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Dopo le elezioni, Berlusconi è un’anatra zoppa.

Il Cavaliere in frenata di MASSIMO GIANNINI-Repubblica.

L’Italia monocolore può attendere. L’Italia azzurra dalle Alpi alla Sicilia per ora esiste solo nei sogni del presidente del Consiglio. Le elezioni amministrative ci consegnano un Paese palesemente spostato a destra, ma non irrimediabilmente votato al berlusconismo. Da questo voto esce, ancora una volta, un’Italia divisa, frammentata e spaccata in due metà. Il Pdl cresce sul territorio ma non sfonda. Il sogno plebiscitario di Berlusconi svanisce nelle trame oscure della sua personale “Velinopoli”. L’onda alta e lunga del berlusconismo si infrange sugli scogli di Casoria e sulle spiagge di Bari. Il Cavaliere ha dichiarato vittoria, ma subito dopo è tornato a parlare della sua vera ossessione – che gli ha fatto perdere voti – ripetendo le accuse di “attacchi eversivi” a Repubblica.

C’è un dato quantitativo, che conferma il mancato sfondamento. E qui il giudizio non può prescindere dai dati di partenza, che erano già di per sé eccezionali. Il centrosinistra si presentava a queste amministrative forte del risultato clamoroso e irripetibile del 2004: aveva vinto 51 province e 26 comuni capoluogo, contro le 9 e 6 rispettivamente conquistate dal centrodestra. Cinque anni dopo, il 6 giugno scorso il centrodestra aveva avviato una promettente rimonta, vincendo il primo turno e battendo il centrosinistra 26 a 14 nelle province e 9 a 5 nei comuni capoluogo.

Quindici giorni dopo, il centrosinistra re-inverte la tendenza, vincendo i ballottaggi e superando il centrodestra 15 a 7 nelle province e 12 a 4 nei comuni. Il quadro complessivo di questo voto locale, dunque, ci consegna un sostanziale pareggio: la maggioranza in carica prevale in 33 province e in 13 comuni, mentre l’opposizione mantiene 29 province e 17 comuni capoluogo. Non proprio un Paese governato ovunque dal monocolore azzurro, insomma. Piuttosto, e ancora una volta, un Paese trasversalmente tagliato a metà, e fortemente polarizzato tra due schieramenti “anelastici”, che scambiano flussi nel perimetro interno senza mai valicare quello esterno.

Ma c’è anche un dato qualitativo, che non può essere sottovalutato. Province e comuni capoluogo non si possono solo contare: vanno anche “pesati”. Anche da questo punto di vista, benché il Pdl abbia strappato al Pd la provincia di Milano e di Venezia, non si può parlare di “marcia trionfale” del centrodestra. Al Nord il Pd perde terreno, ma mantiene qualche presidio importante: Padova tra i comuni, ma poi anche Torino, Alessandria, Belluno e Rovigo tra le province. Al Centro il Pdl espugna Ascoli e Prato dopo 63 anni, ma nell’insieme la ex “zona rossa” della dorsale appenninica, tra comuni e province, resta saldamente in mano al Pd: da Firenze a Ferrara, da Bologna a Forlì, da Rimini a Parma, da Rieti a Fermo. La stessa cosa vale per il Sud, dove il Pdl conquista Lecce, ma il Pd si riconferma da Bari a Brindisi, da Crotone a Cosenza. Detto altrimenti: al Popolo delle Libertà non riescono più i clamorosi cappotti alla siciliana di qualche tempo fa, mentre al Partito democratico, almeno per ora, sembra evitato lo spettro di vedersi immiserito a quella “Lega dell’Appennino” più volte preconizzata da Tremonti.

Certo, in questo esito ha giocato un ruolo fondamentale l’astensionismo, che si è rivelato la vera novità di una velenosa e accidiosa stagione elettorale italiana. Un astensionismo che prima di tutto ha finito di uccidere il referendum sulla legge elettorale, con il tasso di partecipazione più basso della storia repubblicana, frutto delle troppe strumentalizzazioni cui i quesiti sono stati sottoposti, oltre che della consueta, abusata distorsione dello strumento referendario compiuto in questi decenni. E poi ha condizionato fortemente anche il voto amministrativo: quanti leghisti se ne saranno andati al mare, preferendo l’affondamento del referendum contro la porcata di Calderoli al sostegno del candidato dell’alleanza di centrodestra? Sta di fatto che l’ennesimo fallimento della consultazione popolare impone un ripensamento dell’istituto: se vogliamo salvare questa importante forma di democrazia diretta, piuttosto, eliminiamo il quorum ed alziamo di molto la soglia della raccolta delle firme. Ma di questo ci sarà tempo e modo per discutere. Sul piano politico, questo ciclo di voto si presta ad almeno due considerazioni di fondo.

La prima riguarda la maggioranza. O meglio, il premier. Sembra incredibile, a poco più di un anno dal trionfo del 13 aprile 2008, che aveva consacrato il Cavaliere come uno “statista” baciato dal consenso e aveva cementato una maggioranza con numeri “bulgari” in Parlamento. Eppure è accaduto: la metamorfosi si è compiuta. Il cigno è già un’anatra zoppa. Vulnerata dalla sua stessa, tragica esondazione egotistica, prima ancora che dalla sua drammatica inazione politica. La sovrapposizione delle europee e delle amministrative fotografa la vera novità della fase: l’insuccesso, l’appannamento, la crisi del Cavaliere. Sancita dalle preferenze, che si fermano a quota 2 milioni e 700 mila con la somma dei voti dei due ex partiti (Forza Italia ed An) mentre raggiunsero quota 2 milioni e 900 mila nel 1994 e nel 1999, quando a votarlo era solo il suo partito personale.

Palesata dai consensi a livello locale, e soprattutto a Bari, che per ovvi motivi (l’inchiesta sulle feste nelle dimore berlusconiane) era diventato un test pilota, quasi un referendum. Ebbene, tutto dimostra quanto era già evidente da tempo, e quanto solo i vacui replicanti del premier si ostinavano a non vedere: il torbido terremoto a sfondo sessuale che fa vacillare le mura di Villa Certosa e di Palazzo Grazioli ha un contenuto politico incancellabile, e un impatto sociale innegabile. A destra lo hanno ammesso persino antichi sodali dell’uomo di Arcore, come Marcello Dell’Utri, e lucidi intellettuali vicini al presidente della camera Fini, come Alessandro Campi. Solo i ventriloqui del Re Travicello come Bondi, Cicchitto o Gasparri si ostinano a negare questa evidenza.

La seconda considerazione riguarda l’opposizione. O meglio, il Pd. Il risultato in Puglia, e nelle altre zone dove è stato possibile l’accordo con l’Udc, dimostra che il dialogo con il centro di Casini è forse l’unica via per tentare una riapertura del gioco politico. Per provare a scongelare i due blocchi contrapposti, in una ricomposizione difficile ma forse non impossibile. Nei ballottaggi l’Udc ha adottato la politica dei due forni: in 7 province si è alleato con il centrosinistra, in 10 con il centrodestra. La stessa cosa ha fatto nei comuni, firmando un’alleanza con la sinistra in 3 casi, e con la destra in 7. L’epilogo di questo opportunismo neo-democristiano di Casini dimostra che, dove è stato possibile, l’alleanza con la sinistra ha premiato. E avrebbe premiato persino a Milano, se fosse andato in porto l’accordo per sostenere Penati. Anche questo, in vista del congresso di ottobre che a questo punto non sarà un funerale, impone una seria riflessione, che può utilmente incrociare anche un ragionamento sulla riforma della legge elettorale: in queste condizioni un ritorno sul modello tedesco, proporzionale con la soglia di sbarramento, potrebbe essere una soluzione da valutare, vista anche la disponibilità teorica della Lega.

L’Italia che esce dal voto non è bipartitica, ma resta bipolare. Anche di questo occorrerà tener conto, per definire il profilo di un’opposizione che, mai come ora, ha il dovere di riprofilarsi e di ripresentarsi al Paese come un’alternativa seria, vera, credibile. Di fronte al “complottismo” e alle “teorie cospiratorie” che lui stesso alimenta, il Cavaliere tradisce uno “stile paranoico” (raccontato a suo tempo da Richard Hofstadter) che non promette nulla di buono. Le “scosse” al governo e alla maggioranza sono arrivate. Non c’entravano le spallate giudiziarie. C’entra la politica. E per lui è persino peggio. (Beh, buona giornata).

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A Confindustria non piace più il governo Berlusconi.

Confindustria: pil 2009 a -4,9% ripresa “faticosa” nel 2010
Emma Marcegaglia: “Senza un cambiamento strutturale nessuna ripresa per 5 anni”
Confindustria: pil 2009 a -4,9% ripresa “faticosa” nel 2010-Repubblica

Nel 2009 il prodotto interno lordo in Italia si contrarrà del 4,9%. E’ la stima del centro studi di Confindustria che ha tagliato le precedenti previsioni che, a marzo, parlavano di un calo del 3,5%. Un quadro in cui l’occupazione continua a calare. L’economia dovrebbe tornare a crescere dello 0,7% nel 2010 ma la ripresa sarà “ripida” e l’Italia “vi si inerpicherà faticosamente”. Quanto al debito pubblico, crescerà dal 105,7% del pil nel 2008 al 114,7% nel 2009, fino a toccare nel 2010 il 117,5%. Sulla questione interviene anche il presidente Emma Marcegaglia: “Ci sono timidi segnali di ripresa, ma davanti abbiamo mesi molto difficili ed è assolutamente necessario varare le riforme strutturali altrimenti usciremo dalla crisi con un tasso di crescita molto basso e ci vorranno 5 anni per tornare ai livelli di prima”.

Il calo dei consumi. Nel 2009 i consumi si ridurranno dell’1,9%, accelerando il calo dello 0,9% che si è avuto nel 2008. Torneranno a crescere nel 2010 ( 0,7%) grazie a “una maggiore fiducia sostenuta dalla ripresa economica e a un reddito disponibile reale in aumento dell’1,2% dopo la riduzione dell’1,6% subita nel 2009”.

L’uscita dalla crisi. “Indicare ‘exit strategy’ dalla crisi con troppo anticipo – avverte Confindustria – rischia di ottenere l’effetto opposto a quello desiderato di stabilizzazione delle aspettative”.

Allarme occupazione. Nei due anni tra il primo trimestre del 2008 e il primo del 2010, la recessione causerà la perdita di circa un milione di unità di lavoro (tra posti di lavoro e cassa integrazione). Il Centro studi di Confindustria sottolinea che il tasso di disoccupazione arriverà quest’anno all’8,6% e nel 2010 al 9,3%, “livello che non veniva più toccato dal 2000”.

Le mancate riforme. Secondo Confindustria, “lo stato sociale è insostenibile”. Nel presentare i dati, il direttore del Centro studi, Luca Paolazzi, ha rimarcato che “le mancate riforme hanno costi enormi e al contempo offrono gigantesche opportunità: facendo leva su infrastrutture, istruzione, pubblica amministrazione e liberalizzazioni il pil italiano può guadagnare almeno il 30% nei prossimi 20 anni”.

Le “cura” Marcegaglia. Il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, ribadisce la necessità di agire subito per permettere al paese di tornare a crescere. Gli ambiti da riformare indicati dal numero uno di viale dell’Astronomia sono l’istruzione, le infrastrutture e la giustizia. Ma anche il sistema finanziario necessita di una rivoluzione, dando attuazione al Sace, il fondo di garanzia e la cassa depositi e prestiti, e spingendo sulle liberalizzazioni: “Ci sono ancora interi settori dove il mercato non ha spazio sufficiente e c’è tutt’ora una concorrenza sleale”

Le reazioni. Dure le critiche dell’opposizione. “Le stime di Confindustria smentiscono le bufale propinate dal governo Berlusconi e confermano ciò che il partito democratico ripete da mesi: sulla crisi l’esecutivo non ha mai avuto il polso della situazione”. Lo afferma Sergio D’Antoni, responsabile per il Mezzogiorno del Pd e vicepresidente della commissione Finanze della Camera. “Con l’alibi del debito pubblico, il ministro Giulio Tremonti non ha fatto assolutamente nulla per sciogliere i nodi strutturali che impediscono la ripresa del paese”. Interventi a sostegno delle zone deboli, infrastrutture, aiuti alle piccole e medie imprese, più tutela ai precari. Queste, per D’Antoni, “le priorità disattese dal governo”. (Beh, buona giornata).

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“È soltanto malinconico il tentativo del presidente del Consiglio e degli obbedienti corifei di liquidare questo affare come “spazzatura”, come violazione della privacy presidenziale.”

L’utilizzatore finale di GIUSEPPE D’AVANZO-la Repubblica.

UNA vita disordinata spinge sempre di più e sempre più in basso la leadership di Silvio Berlusconi. In un tunnel da cui il premier non riesce a venir fuori con decoro. Nel caleidoscopio delle verità rovesciate le ugole obbedienti accennano al consueto e oggi inefficace gioco mimetico. Creano “in vitro” un nuovo “caso” nella speranza che possa oscurare la realtà. S’inventano così artificialmente un “affare D’Alema” per alzare il polverone che confonda la vista. Complice il telegiornale più visto della Rai che, con la nuova direzione di un dipendente di Berlusconi, ha sostituito alle pulsioni gregarie di sempre una funzione più schiettamente servile.

Dicono i corifei e il Tg1: è stato lui, D’Alema, a parlare di possibili “scosse” in arrivo per il governo, come sapeva dell’inchiesta di Bari? Il ragionamento di D’Alema era con tutta evidenza soltanto politico. Chiunque peraltro avrebbe potuto cogliere lo stato di incertezza e vulnerabilità in cui è precipitata la leadership di Berlusconi che vede diminuire la fiducia che lo circonda a petto del maggiore consenso che raccoglie non lui personalmente – come ci ha abituato da quindici anni a questa parte – ma l’offerta politica della destra.

Legittimo attendersi che quel nuovo equilibrio – inatteso fino a sette settimane fa, fino alla sua visita a Casoria – avrebbe prodotto ai vertici di quel campo un disordine, quindi un riassestamento. In una formula, sussulti, tensioni, una nuova stabilità che avrebbe ridimensionato il gusto del plebiscito, un cesarismo amorfo che, come è stato scritto qui, ha creduto di sostituire “lo Stato con un uomo, il governo con il comando, la politica con il potere assoluto e carismatico”.

Era questa idea di politica, questa fenomenologia del potere che, suggeriva D’Alema, riceverà presto delle “scosse” e gli esiti potrebbero essere drammatici.

Vediamo come questa storia trasmuta nella propaganda che manipola e distrae, ora che salta fuori come a Palazzo Grazioli, dove garrisce al vento il tricolore degli edifici di Stato, siano invitate per le cene e le feste di Berlusconi donne a pagamento, prostitute. Le maschere salmodiano la solita litania: l’opposizione, e il suo leader, più le immarcescibili toghe rosse di Magistratura democratica aggrediscono ancora il presidente del Consiglio. Ma è così?

I fatti fluttuano soltanto se la memoria deperisce. Se si ha a mente che è stato il ministro Raffaele Fitto, per primo, a suggerire che Berlusconi poteva essere coinvolto a Bari in un’inchiesta giudiziaria, si può concludere che non D’Alema, ma il governo sapeva del pericolo che incombeva sul premier e oggi lo rovescia in arma contro l’opposizione e, quel che conta di più, in nebbia per abbuiare quel che tutti hanno dinanzi agli occhi: Berlusconi è pericolosamente – per il Paese, per il governo, per le istituzioni, per i nostri alleati – vulnerabile. Le sue abitudini di vita e ossessioni personali (qual è il suo stato di salute?) lo espongono a pressioni e tensioni. A ricatti che il capo del governo è ormai palesemente incapace di prevedere e controllare, come ha fatto sempre in passato immaginando per se stesso un’eterna impunità.

È soltanto malinconico il tentativo del presidente del Consiglio e degli obbedienti corifei di liquidare questo affare come “spazzatura”, come violazione della privacy presidenziale. Se il presidente riceve prostitute nelle sue residenze private diventate sedi del governo (è così per Villa Certosa e Palazzo Grazioli), la faccenda è pubblica, il “caso” è politico. Non lo si può più nascondere sotto il tappeto come fosse trascurabile polvere fino a quando ci sarà un giornalismo in grado di informare con decenza il Paese. Di raccontare che la vulnerabilità di Berlusconi è ormai una questione che interpella la credibilità delle istituzioni e minaccia la sicurezza nazionale.

Quante sono le ragazze che possono umiliare pubblicamente il capo del governo? Dove finiscono o dove possono finire le informazioni – e magari le registrazioni e le immagini – in loro possesso?

Da sette settimane (e a tre dal G8) non accade altro che un lento e progressivo disvelamento della vita disordinata del premier e della sua fragilità privata che si fa debolezza e indegnità della sfera pubblica. La festa di Casoria; le rivelazioni degli incontri con Noemi allora minorenne che lo costringono a mentire in tv; i book fotografici che gli vengono consegnati per scegliere i “volti angelici”; la cerchia di prosseneti che gli riempie palazzi e ville di donne a pagamento; migliaia di foto che lo ritraggono, solo, circondato da decine di ragazze di volta in volta diverse; i ricordi imbarazzati e imbarazzanti di capi di Stato che gli hanno fatto visita.

E ora, svelata dal Corriere della Sera, anche la confessione di una donna che è stata pagata per una cena e per una notte con in più la promessa di una candidatura alle Europee e poi in consiglio comunale. La storia può essere liquidata, come fa l’avvocato Ghedini, dicendo Berlusconi comunque non colpevole e in ogni caso soltanto “utilizzatore finale” come se una donna fosse sempre e soltanto un corpo e mai una persona?

Che cosa deve ancora accadere perché la politica, a cominciare da chi ha sempre sostenuto la leadership di Berlusconi, prenda atto che il capo del governo è vittima soltanto di se stesso? Che il suo silenzio non potrà durare in eterno? Che presto il capo del governo, trasformatosi in una sola notte da cigno in anatra zoppa, non è più la soluzione della crisi italiana, ma un problema in più per il Paese. Forse, il dilemma più grave e più drammatico se non si riuscirà a evitare che la crisi personale di una leadership divenga la tragedia di una nazione. (Beh, buona giornata).

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democrazia Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

La crisi economica “complotta” contro il governo.

(fonte: Ansa).
La teoria del complotto del presidente Berlusconi è una “scorciatoia” che serve a coprire la “debolezza” dell’azione di Governo. Lo ha detto l’ex presidente del Consiglio, Massimo D’Alema, interpellato su questo punto in un collegamento del Tg3 con ‘In mezz’orà dove é ospite.

“Non c’é nessun complotto, naturalmente”, ha detto D’Alema. “C’é la condizione del presidente del Consiglio che unisce a una notevole arroganza e violenza verbale una grande debolezza; una debolezza sostanziale, una incapacità di governare il Paese e anche una grande debolezza di immagine, soprattutto sulla scena internazionale”. “E’ chiaro – conclude – che quando ci si trova in una condizione così debole, la tentazione di dare la colpa a qualche oscuro complotto diventa la scorciatoia anziché fare i conti con le ragioni di questa debolezza che sono nella fragilità e nei comportamenti del presidente del Consiglio”.

“Nel centrodestra c’é un malessere evidente” e a comandare è “la guardia pretoriana, che è Bossi”, ha detto ancora D’Alema ed ha aggiunto che d’altra parte si tratta di una condizione tipica da fine impero “quando le guardie pretoriane hanno sempre più potere dei senatori”.

OPPOSIZIONE SIA PRONTA IN CASO SCOSSE – “La vicenda italiana portà avere delle scosse, dei momenti di conflitto, di difficoltà il che richiede una opposizione in grado di assumersi le sua responsabilità con forza e nella pienezza delle sue funzioni e spero che saremo presto in grado di farlo”, ha sottolineato l’ex presidente del Consiglio. (Beh, buona giornata).

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Chi ha vinto e chi ha perso la partita epocale che si è giocata con le elezioni europee.

Se Marx seduce la destra di BARBARA SPINELLI-La Stampa.

Anche le destre – forse soprattutto le destre – guardano d’un tratto a Karl Marx in altro modo: l’odierna crisi economica somiglia non poco al «continuo stravolgimento dei rapporti consolidati», alla «continua evaporazione di quel che è solido», descritti dal filosofo nel 1848. Il padre del comunismo fantasticò il riscatto di una sola classe, e fu funesto, ma la descrizione era realista, tutt’altro che fantasiosa. È vero che la borghesia tende a rispondere alle crisi «provocando crisi sempre più generalizzate, più distruttive, e riducendo i mezzi necessari a prevenirle». È vero che «la moderna società borghese è come l’apprendista stregone, incapace di controllare le potenze sotterranee da lui stesso evocate». È vero che essa «ha spietatamente strappato tutti i variopinti vincoli feudali che legavano l’uomo al suo superiore naturale, e non ha lasciato fra uomo e uomo altro vincolo che il nudo interesse, il freddo “pagamento in contanti”. Ha affogato nell’acqua gelida del calcolo egoistico i sacri brividi dell’esaltazione devota, dell’entusiasmo cavalleresco, della malinconia piccolo-borghese. Ha disciolto la dignità personale nel valore di scambio e al posto delle innumerevoli libertà patentate e onestamente conquistate, ha messo, unica, la libertà di commercio priva di scrupoli». È vero infine che il capitalismo sormonta spesso i mali coi veleni che li scatenano: tra essi, «l’epidemia della sovrapproduzione». Il Capitale è di moda da qualche tempo.

A prima vista può apparire stupefacente quel che è accaduto alle elezioni europee. Marx e Keynes tornano in auge, ma per le sinistre socialiste o radicali è catastrofe: sono crollate in 16 paesi su 27, con punte massime in Francia, Germania, Inghilterra, Italia, Spagna. Al momento sono come istupidite, e non sapendo spiegare a se stesse il disastro si rifugiano nella denegazione. Il capo dei socialdemocratici tedeschi Müntefering fa finta di nulla e giudica assurdo l’esito, «visto che abbiamo spiegato così bene l’Europa sociale». I compagni francesi balbettano. Franceschini, in Italia, emette il verdetto, consolatorio e falso: «Abbiamo perso perché il vento della destra soffia così forte in Europa».

In realtà non ha vinto un vento di destra ma un vento ben contraddittorio: il vento di una destra pragmatica, spregiudicata, non più ideologica, che pur di mantenere il potere agguanta ogni utensile a disposizione. Soprattutto gli utensili della socialdemocrazia: lo Stato che protegge i deboli, e se necessario governa estesamente l’economia. Quel che la destra ha fatto in pochi mesi è impressionante: è stata lei a chiudere l’era Thatcher, sorpassando una sinistra paralizzata dai complessi di colpa, allergica a una conflittualità di cui si vergogna, ammaliata per 13 anni dal Nuovo Labour di Blair e dal suo mimetismo thatcheriano. Senza patemi la destra europea ha smesso l’antistatalismo, la lotta alla spesa pubblica, il dogma delle privatizzazioni. Con sotterfugi linguistici esalta perfino il Welfare: dice «stabilizzatori automatici» per non dire Stato Provvidenza. Uomini come Tremonti scoprono l’anticapitalismo, chiamandolo anti-mercatismo. Qualche tempo fa, in una manifestazione della sinistra estrema a Parigi, ho incontrato un militante che mi ha detto: «Beati voi che avete Tremonti!».

Niente vento di destra dunque, ma un’usurpazione più o meno cinica di idee socialdemocratiche e anche marxiste che devasta le sinistre classiche. Se in Europa si riapre la questione sociale saranno Sarkozy, Tremonti, Angela Merkel a gestirla, nazionalizzando o stampando moneta. Essenziale è traversare il torrente con ogni mezzo, e sperare che si torni allo status quo ante senza mutare il modo di sviluppo produttivistico. Marx e Keynes sono usati non per cambiare modello, ma per perpetuarlo con l’ambulanza del Welfare. È un modello che socialisti e sindacati condividono, quando accusano la destra di ultraliberismo o si limitano a chiedere aumenti salariali e tutela dei posti fissi. Per questo sono oggi ombre di se stessi.

Le elezioni europee non dicono tuttavia solo questo. Le sinistre defraudate sono aggrappate allo status quo ma nuove forze emergono, che pensano la crisi con sguardo più profondo e lungo. Che seguono con estrema attenzione Obama e presentono, in quel che annuncia, la possibilità di una trasformazione, di un ricominciamento. È il caso dei Verdi in Francia, Germania, Inghilterra, Svezia, Belgio, Grecia, Finlandia. È il caso dei liberali-legalitari di Di Pietro, e perfino di forze inedite come i Pirati in Svezia. Quattro consapevolezze accomunano questi gruppi. Primo, la crisi presente è tettonica, e non si esaurisce nella questione sociale. Secondo: il capitalismo di Stato che ovunque risorge accresce i poteri dello Stato censore sulle libertà cittadine. Terzo: la corruzione che ha accompagnato la crisi può perdurare, perché le urgenze governative sono altre. Quarto: il ricominciamento dovrà accadere in Europa, non negli Stati-nazione.

Daniel Cohn-Bendit è precursore in questo campo, e il suo successo è significativo. La questione sociale non è negata, ma egli la vede in connessione stretta con il clima: dunque con una crescita alternativa, e come ha detto Obama al vertice dei G-20, con un «mercato dei consumi meno vorace». A suo avviso sia la destra che la sinistra difendono lo status quo: la crescita dei consumi e di vecchie produzioni, la lotta sul clima rinviata al dopo-crisi, come nei desideri di governanti e imprenditori italiani. «È come se le sinistre avessero nel computer un software inadatto», dice: un «software produttivistico» sorpassato e nocivo. Il carisma del leader verde non è senza legami con quello di Di Pietro, De Magistris, Arlacchi. Anche i francesi di Europa-Ecologia hanno schierato giudici: Eva Joly, numero due nella lista, ha indagato sulla corruzione dei potenti (incriminando il faccendiere Tapie o – nell’affare Elf – l’ex ministro degli Esteri Roland Dumas) ed è esperta in delinquenza finanziaria internazionale. Anche lei è cittadina d’Europa: come Cohn-Bendit è franco-tedesco, lei è franco-norvegese.

Infine c’è il Partito dei Pirati: una formazione che ha raccolto il 7 per cento ed è il terzo partito svedese per numero di iscritti. La sua battaglia per il libero e completo accesso a internet è emblematico segno dei tempi: con il dissesto dei giornali e l’estendersi del capitalismo di Stato, si è visto negli ultimi giorni quanto sia prezioso lo spazio internet e dei blog. È prezioso in Francia, dove la Corte costituzionale ha appena invalidato una legge che vieta lo scaricamento di programmi, affermando che solo il giudice può emettere sanzioni e non l’autorità amministrativa. È prezioso in Italia, dove la libertà internet è minacciata dalla nuova legge sulle intercettazioni: lo spiega molto bene Giuseppe Giulietti sul quotidiano online per la libertà d’espressione (Articolo21.info).

L’impotenza dello Stato-nazione accelera le cose. Sono cresciuti i partiti concentrati sull’Europa, per respingerla o approvarla. I Verdi sono i soli, nel voto di giugno, ad aver appreso la dimensione sovranazionale delle politiche europee. Cohn-Bendit è l’unico ad aver parlato in nome d’un partito non nazionale: il che vuol dire che non siamo giunti, con la crisi delle sinistre tradizionali e del modello produttivistico, alla fine del progetto europeo pensato dai fondatori. Sono sfibrate le forze dimentiche dell’Europa, non quelle che investono su essa e reinventano. L’analisi di Cohn-Bendit è giusta: «Una forza politica moderna deve avere oggi dimensioni europee. E la crisi della socialdemocrazia la si risolverà solo formulando, contro le alternative nazionali, alternative europee. È qui che il socialismo ha fallito: aveva davanti a sé un boulevard in Europa, e ha dato risposte solo sul piano nazionale». (Beh, buona giornata).

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democrazia Leggi e diritto

Berlusconi e le “quattro calunnie”.

Le menzogne del Cavaliere da Noemi al caso Mills di GIUSEPPE D’AVANZO-Repubblica.

Dice Berlusconi a Santa Margherita Ligure: “Su quattro calunnie messe in fila – veline, minorenni, Mills e voli di Stato – è stata fatta una campagna che è stata molto negativa per l’immagine all’estero dell’Italia”. Il significato di calunnia è “diceria o imputazione, coscientemente falsa e diretta ad offendere l’integrità o la reputazione altrui” (Devoto e Oli). Per comprendere meglio quali siano, per il premier, le “dicerie o imputazioni coscientemente false” raccolte contro la sua reputazione bisogna leggere il Corriere della sera di ieri.

Nel colloquio il Cavaliere spiega quali sono le quattro menzogne, strumenti del fantasioso “progetto eversivo”. Qui si vuole verificare, con qualche fatto utile e ostinato, se la lamentazione del Cavaliere ha fondamento e chi alla fine mente, se Berlusconi o chi oppone dei rilievi alla “verità” del capo del governo.

1 “Hanno iniziato scrivendo che c’erano “veline” nelle liste del Pdl alle Europee. Non erano “veline” e sono state tutte elette”. (Berlusconi al Corriere, 13 giugno, pagina 9)

I ricordi del Cavaliere truccano quel che è accaduto e banalizzano una questione che, fin dall’inizio, è stata esclusivamente politica, per di più sollevata nel suo campo. Sono i quotidiani della destra, e quindi da lui controllati direttamente o indirettamente influenzati, a dar conto dell’affollamento delle “veline” nelle liste europee del Popolo della Libertà. Comincia il Giornale della famiglia Berlusconi, il 31 marzo. Ma è il 22 aprile, con il titolo “Gesto da Cavaliere. Le veline azzurre candidate in pectore” – sommario, “Silvio porta a Strasburgo una truppa di showgirl” – che Libero rivela i nomi del cast in partenza per Strasburgo: Angela Sozio, Elisa Alloro, Emanuela Romano, Rachele Restivo, Eleonora Gaggioli, Camilla Ferranti, Barbara Matera, Ginevra Crescenzi, Antonia Ruggiero, Lara Comi, Adriana Verdirosi, Cristina Ravot, Giovanna Del Giudice, Chiara Sgarbossa, Silvia Travaini, Assunta Petron, Letizia Cioffi, Albertina Carraro. Eleonora e Imma De Vivo e “una misteriosa signorina” lituana, Giada Martirosianaite.

Contro queste candidature muove la fondazione Farefuturo, presieduta da Gianfranco Fini. Il pensatoio, diretto dal professor Alessandro Campi, denuncia l'”impoverimento della qualità democratica del paese” e, con un’analisi della politologa Silvia Ventura, avverte che “l’uso strumentale del corpo femminile (…) denota uno scarso rispetto (…) per le istituzioni e per la sovranità popolare che le legittima” (www.ffwebmagazine. it).

Queste scelte sono censurate, infine, anche da Veronica Lario che le definisce “ciarpame senza pudore del potere” (Ansa, 29 aprile). Il “fuoco amico” consiglierà Berlusconi a gettare la spugna, nella notte del 29 aprile. In una telefonata da Varsavia alle 22,30 in viva voce con i tre coordinatori del Pdl, La Russa, Bondi e Verdini, il premier dice: “E va bene, bloccate tutto. Togliete quei nomi. Sostituitele”. Molte “veline”, in interviste pubbliche, diranno della loro amarezza per l’esclusione.

2 “Poi hanno tirato in ballo Noemi Letizia, come se fossi una persona che va con le minorenni. In realtà sono solo andato a una festa di compleanno, e per me – che vivo tra la gente – è una cosa normale”. (Berlusconi al Corriere, 13 giugno, pagina 9).

Non c’è un grano di “normalità” nei rapporti tra il Cavaliere e i Letizia. Dopo 31 giorni, è ancora oscuro (e senza risposta) come sia nato il legame tra Berlusconi e la famiglia di Noemi. L’ultima versione ascoltata è contraddittoria come le precedenti. Elio Letizia sostiene di aver presentato la figlia al capo del governo in un luogo privato, nel suo studio a Palazzo Grazioli, alla vigilia del Natale del 2001. Berlusconi, nello stesso giorno, ha ricordato di averla conosciuta in un luogo pubblico, “a una sfilata”. Ma la “diceria” che il capo del governo denuncia è di “andare con minorenni”. E’ stata Veronica Lario per prima a svelare che il marito “frequenta minorenni” (Repubblica, 3 maggio). La circostanza è stata confermata dall’ex-fidanzato di Noemi (Gino Flaminio) che colloca il primo contatto telefonico tra il capo del governo e la ragazza nell’autunno del 2008. Le parole di Gino costringono Berlusconi – contrariamente a quanto fino a quel momento aveva detto (“Ho visto sempre Noemi alla presenza dei genitori”) – ad ammettere di aver avuto Noemi ospite a Villa Certosa per dieci giorni a cavallo del Capodanno 2009, accompagnata da un’amica (Roberta O.) e senza i genitori. Nel gennaio del 2009, Noemi come Roberta, era minorenne. Dunque, è corretto sostenere che Berlusconi frequenti minorenni.

3 “Nel frattempo si sono scatenati sul “caso Mills”, un avvocato che non conosco di persona” (Berlusconi al Corriere, 13 giugno, pagina 9)

Negli atti del processo contro David Mills (teste corrotto, condannato a 4 anni e 6 mesi di carcere) e Silvio Berlusconi (corruttore, ma immune per legge ad personam), sono dimostrati con documenti autografi, per ammissione dell’imputato, con le parole di testimoni indipendenti, gli incontri del Cavaliere con l’avvocato inglese che gli ha progettato e amministrato l’arcipelago delle società off-shore All Iberian, il “gruppo B di Fininvest very secret”. Un documento scovato a Londra dà conto di un incontro al Garrick Club di Garrick Street (discutono delle società estere e Berlusconi autorizza Mills a trattenere 2 milioni e mezzo di sterline parcheggiati sul conto dell’Horizon Limited). Un altro documento sequestrato a Mills fa riferimento a una “telefonata dell’altra notte con Berlusconi”. Mills, interrogato, ammette di aver parlato con il Cavaliere la notte del 23 novembre 1995. Ancora Mills, il 13 aprile 2007, conferma di aver incontrato Berlusconi ad Arcore. L’avvocato “descrive anche la villa” (dalla sentenza del tribunale di Milano).

Due soci di Mills nello studio Withers, ascoltati da una corte inglese, così rispondono alla domanda: “C’è stata mai una riunione tra Mills e Berlusconi?”. Jeremy LeM. Scott dice: “So che c’è stato un incontro per mettersi d’accordo sul dividendo”. A Virginia Rylatt “torna in mente che lui [Mills] era ritornato dal signor Berlusconi”. E’ una menzogna, forse la più spudorata, che il capo del governo non abbia mai conosciuto David Mills.

4 “Infine hanno montato un caso sui voli di Stato che uso solo per esigenze di servizio” (Berlusconi al Corriere, 13 giugno, pagina 9).

In una fotografia scattata dal fotografo Antonello Zappadu si vede lo stornellatore del Cavaliere, Mariano Apicella, scendere da un aereo di Stato. Dietro di lui, una ballerina di flamenco. Il fotoreporter sostiene che l’immagine è stata scattata il 24 maggio 2008. In quel giorno era ancora in vigore un decreto del governo Prodi che limitava l’uso degli aerei di Stato “esclusivamente alle personalità e ai componenti della delegazione della missione istituzionale”. Si può sostenere che Apicella e la ballerina facevano parte di una “missione istituzionale”? E’ quanto dovrà accertare il Tribunale dei ministri sollecitato dalla Procura di Roma a verificare, per il capo del governo, l’ipotesi di abuso d’ufficio. Infatti soltanto due mesi dopo, il 25 luglio 2008, il presidente del consiglio ha cambiato le regole per i “voli di Stato” prevedendo “l’imbarco di personale estraneo alla delegazione”, ma “accreditato su indicazione dell’Autorità in relazione alla natura del viaggio, al rango rivestito dalle personalità trasportate, alle esigenze protocollari e alla consuetudini anche di carattere internazionale”. Il caso sui “voli di Stato”, che è poi un’inchiesta giudiziaria dovrà accertare se musici, ballerine, giovani ospiti del presidente viaggiano in sua compagnia (con quale rango?) o addirittura in autonomia, nel qual caso l’abuso d’ufficio può essere evidente.

Quindi, quattro “calunnie” o quattro menzogne presidenziali? Si può concludere che Berlusconi, a Santa Margherita Ligure, ancora una volta ha precipitato coscientemente la vita pubblica nella menzogna nella presunzione di abolire l’idea stessa di verità. (Beh, buona giornata).

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democrazia Leggi e diritto

“In realtà Berlusconi minaccia soprattutto se stesso, rivelando questa sua instabilità, questa paura.”

Il Cavaliere e il suo fantasma di EZIO MAURO-Repubblica.

Dunque siamo giunti al punto in cui il Presidente del Consiglio denuncia pubblicamente un vero e proprio progetto eversivo per farlo cadere e sostituirlo con “un non eletto dal popolo”. Un golpe, insomma, nel cuore dell’Europa democratica, come epilogo dell’avventura berlusconiana, dopo un quindicennio di tensioni continue introdotte a forza nel discorso pubblico italiano: per tenere questo sventurato Paese nella temperatura emotiva più adatta al populismo che può dominare le istituzioni solo sfidandole, fino a evocare il martirio politico.

È proprio questa l’immagine drammatica dell’Italia che l’uomo più ricco e più potente del Paese porta oggi con sé in America, all’incontro con Obama.

Solo Berlusconi sa perché dice queste cose, perché solo lui conosce la verità, che non può rivelare in pubblico, della sciagura che lo incalza. Noi osserviamo il dramma di un leader prigioniero di un clima di sconfitta anche quando vince perché da quindici anni non riesce a trasformarsi in uomo di Stato nemmeno dopo aver conquistato per tre volte il favore del Paese.
Quest’uomo ha con sé il consenso, i voti, i numeri, i fedeli. Ma non ha pace, la sicurezza della leadership, la tranquillità che trasforma il potere in responsabilità. Lo insegue l’altra metà di se stesso, da cui tenta di fuggire, sentendosi ghermito dal fondo oscuro della sua stessa storia. E’ una tragedia del potere teatrale e eccessiva, perché tutto è titanico in una vicenda in cui i destini personali vengono portati a coincidere col destino dell’Italia. Una tragedia di cui Berlusconi, come se lo leggesse in Shakespeare, sembra conoscere l’esito, sino al punto da evocare la sua fine davanti al Paese.

In realtà, come è evidente ad ogni italiano di buon senso, non c’è e non ci sarà nessun golpe. C’è invece un rapido disfacimento di una leadership che non ha saputo diventare cultura politica ma si è chiusa nella contemplazione del suo dominio, credendo di sostituire lo Stato con un uomo, il governo con il comando, la politica con il potere assoluto e carismatico.

Oggi quel potere sente il limite della sua autosufficienza. Ciò che angoscia Berlusconi è il nuovo scetticismo istituzionale che avverte intorno a sé, il distacco internazionale, il disorientamento delle élite europee, le critiche della stampa occidentale, la freddezza delle cancellerie (esclusi Putin e Gheddafi), lo sbigottimento del suo stesso campo: dove la regolarità istituzionale di Fini risalta ogni giorno di più per contrasto.

Il Cavaliere sente di aver perso il tocco, che aveva quando trasformava ogni atto in evento, mentre lo spettacolo tragicomico dei tre giorni italo-libici dimostra al contrario che le leggi della politica non sono quelle di uno show sgangherato.

Soprattutto, Berlusconi capisce che la fiaba interrotta di un’avventura sempre vittoriosa e incontaminata si è spezzata, semplicemente perché gli italiani improvvisamente lo vedono invece di guardarlo soltanto, lo giudicano e non lo ascoltano solamente. E’ in atto un disvelamento. Questa è la crepa che il voto ha aperto dentro la sua vittoria, e che è abitata oggi da queste precise inquietudini.

Il Cavaliere ha infatti ragione quando indica i quattro pilastri che perimetrano il campo della sua recente disgrazia: le veline, le minorenni, lo scandalo Mills e gli aerei di Stato. Giuseppe D’Avanzo, che su questi temi indaga da tempo con risultati che Berlusconi conosce benissimo, spiega oggi perché siano tutt’altro che calunnie come dice il premier. Sono quattro casi che il Cavaliere si è costruito con le sue mani, che lo perseguitano perché non può spiegarli, che lui evoca ormai quotidianamente mentre tenta di fuggirli, e che formano insieme uno scandalo pubblico, tutt’altro che privato: perché dimostrano, l’uno insieme con l’altro, l’abuso di potere come l’opinione pubblica comprende ogni giorno di più.

E’ proprio questo il sentimento del pericolo che domina oggi Berlusconi. Incapace di parlare davvero al Paese, di confrontarsi con chi gli pone domande, di assumersi la responsabilità dei suoi comportamenti, reagisce alzando la posta per trascinare tutto – le istituzioni, lo Stato – dentro la sua personale tragedia: di cui lui solo (insieme con la moglie che di questo lo ha avvertito, pochi giorni fa) conosce il fondo e la portata. Reagisce minacciando: l’imprenditore campione del mercato invita addirittura gli industriali italiani a non fare pubblicità sui giornali “disfattisti”, quelli che cioè lo criticano, perché la sua sorte coincide col Paese. Poi si corregge dicendo che voleva invitare a non dar spazio a Franceschini, come se non gli bastasse il controllo di sei canali televisivi ma avesse bisogno di un vero e proprio editto. E’ qualcosa che non si è mai visto nel mondo occidentale, anche se la stampa italiana prigioniera del nuovo conformismo preferisce parlar d’altro, come se non fosse in gioco la libertà del discorso pubblico, che forma l’opinione di ogni democrazia.

In realtà Berlusconi minaccia soprattutto se stesso, rivelando questa sua instabilità, questa paura. Se sarà coerente con le sue parole, c’è da temere il peggio. Cosa viene infatti dopo la denuncia del golpe? Quale sarà il prossimo passo? E se c’è una minaccia eversiva, allora tutto è lecito: dunque come userà i servizi e gli altri apparati il Cavaliere, contro i presunti “eversori”? Come li sta già usando? Chi controlla e chi garantisce in tempi che il premier trasforma in emergenza?

Attendiamo risposte. Per quanto ci riguarda, continueremo a comportarci come se fossimo in un Paese normale, dove la dialettica e anche lo scontro tra la libera stampa e il potere legittimo del Paese fanno parte del gioco democratico. Poi, ognuno giudicherà dove saprà fermarsi e dove potrà arrivare questo uso privato e già violento del potere statale da parte di un uomo che sappiamo pronto a tutto, anche a trasformare la crisi della sua leadership in una tragedia del Paese. (Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia Leggi e diritto

Italia,10 giugno 2009:”così muore la giustizia penale”, avvertono i giudici.

La Camera dice sì alla fiducia al ddl intercettazioni: 325 i favorevoli, 246 i contrari, due gli astenuti. Ma intanto è scontro con l’opposizione che, unita, scrive al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Pd, Udc e Idv insieme contestano sia il ricorso al voto di fiducia, sia i contenuti del provvedimento. a ancora più duro è l’attacco al disegno di legge che arriva dall’associazione nazionale magistrati: così, avvertono i giudici, “muore la giustizia penale”. Beh, buona giornata.

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Attualità democrazia

Pd, ultima fermata. Parola di Romano Prodi.

di Romano Prodi-Il Messaggero
Due sono le lezioni che arrivano ai partiti di centrosinistra dalle recenti elezioni: una lezione per l’Europa ed una per l’Italia. Riguardo all’Europa la batosta complessiva dei socialisti è stata troppo ampia e diffusa per non obbligare a ripensare al semplice interrogativo se essi siano in grado di fare avanzare da soli il complesso compito del riformismo europeo.

I dubbi nascono anche dal fatto che questa diffusa disfatta avviene in un momento di grave crisi economica con profondi disagi concentrati soprattutto nelle categorie tradizionalmente rappresentate dagli stessi partiti socialisti, a partire dai lavoratori di più basso livello e dai precari.

Qualche anno fa l’idea di pensare ad una nuova alleanza fra i progressisti (chiamata forse troppo pomposamente ulivo mondiale) era stata scartata come una proposta fuori dalla storia. Ho paura che quest’idea nella storia ci debba ritornare, almeno per aiutare a rielaborare le proposte che i diversi partiti socialisti hanno presentato ai loro elettori. E ci debba ritornare con una forte e coraggiosa politica europea. Abbiamo infatti assistito ad elezioni europee nelle quali le tesi degli euroscettici erano chiarissime, mentre le voci dei filo-europei erano flebili e non si concretizzavano in proposte precise.

La lezione per il centrosinistra italiano è altrettanto chiara, anche se maggiormente scontata in quanto i danni della frammentazione si erano già resi evidenti nelle precedenti contese elettorali.

Per il Partito Democratico in particolare il risultato, soprattutto mettendolo a confronto con le cattive previsioni e con il relativo flop del Pdl,è stato abbastanza buono da garantire la durata del partito stesso. Ma è stato abbastanza cattivo per obbligare a quel grande dibattito ideologico e programmatico di cui un nuovo partito ha assolutamente bisogno. E che è finora mancato. Insomma la lezione europea e la lezione italiana si intrecciano fra di loro e rendono necessario un rinnovamento radicale. /Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia

Il referendum di cui tutti parlano, ma nessuno sa di che si tratta.

Le tre proposte abrogative tendono alle riforma della legge elettorale del 2005-Legge elettorale, i tre quesiti referendari di Saverio De Laura-kataweb.it
I referendum abrogativi del 2009 presentano tre quesiti, ideati per riformare la legge elettorale in vigore da dicembre 2005.

Il sistema attuale – L’attuale sistema proporzionale è corretto con premio di maggioranza, conseguibile da una singola lista o da una coalizione di liste. La lista o la coalizione più votata possono così raggiungere il 55% dei seggi della Camera. Al Senato lo stesso premio è però attribuito su base regionale. Inoltre, la legge elettorale permette l’elezione contemporanea dei candidati in più di una circoscrizione elettorale.
L’eventuale riforma – Con i primi due quesiti (modulo verde per la Camera e modulo bianco per il Senato), il comitato referendario propone di abrogare il collegamento tra liste e la possibilità di attribuire un premio di maggioranza alle coalizioni di liste. In caso di esito positivo, il premio di maggioranza verrebbe quindi attribuito alla lista singola che abbia ottenuto il maggior numero di seggi. I promotori del referendum auspicano che ciò abbia l’effetto di spingere i partiti politici verso delle aggregazioni forti, sia da un punto di vista dinamico (alleanze in previsione delle elezioni), sia in termini assoluti (bipartitismo). In pratica, sulle schede per le votazioni politiche comparirebbe un solo simbolo, un solo nome (il candidato premier) ed una sola lista per ciascuna aggregazione candidata ad ottenere il premio di maggioranza.
Il terzo quesito (modulo rosso) propone l’abrogazione delle candidature multiple. L’attuale legge elettorale consente, sia per la Camera che per il Senato, che un unico soggetto si possa candidare in più di una circoscrizione elettorale. Se l’interessato risulta eletto in più circoscrizioni, può assegnare i seggi ai quali rinuncia ai primi dei candidati “non eletti” nelle liste circoscrizionali che ha rifiutato. Di fatto questa possibilità attribuisce a pochi eletti la capacità di gestire un enorme potere discrezionale da grandi elettori, scegliendo personalmente chi andrà in Parlamento. (17 aprile 2009)
I tre quesiti referendari sulla legge elettorale I Quesito – modulo colore verde: Premio di maggioranza alla lista più votata – CAMERA DEI DEPUTATI
Volete voi che sia abrogato il Decreto del Presidente della Repubblica 30marzo 1957, n. 361 [1], nel testo risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive, titolato “Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei Deputati”, limitatamente alle seguenti parti:

art. 14-bis, comma 1: “I partiti o i gruppi politici organizzati possono effettuare il collegamento in una coalizione delle liste da essi rispettivamente presentate. Le dichiarazioni di collegamento debbono essere reciproche.”;

art. 14-bis, comma 2: “La dichiarazione di collegamento è effettuata contestualmente al deposito del contrassegno di cui all’articolo 14. Le dichiarazioni di collegamento hanno effetto per tutte le liste aventi lo stesso contrassegno.”;

art. 14-bis, comma 3, limitatamente alle parole: “I partiti o i gruppi politici organizzati tra loro collegati in coalizione che si candidano a governare depositano un unico programma elettorale nel quale dichiarano il nome e cognome della persona da loro indicata come unico capo della coalizione.”;

art. 14-bis, comma 4, limitatamente alle parole “1, 2 e”;

art. 14-bis, comma 5, limitatamente alle parole: “dei collegamenti ammessi”;

art. 18-bis, comma 2, limitatamente alle parole: “Nessuna sottoscrizione è altresì richiesta per i partiti o gruppi politici che abbiano effettuato le dichiarazioni di collegamento ai sensi dell’art. 14-bis, comma 1, con almeno due partiti o gruppi politici di cui al primo periodo e abbiano conseguito almeno un seggio in occasione delle ultime elezioni per il Parlamento europeo, con contrassegno identico a quello depositato ai sensi dell’art. 14.”;

art. 24, numero 2), limitatamente alle parole: “alle coalizioni e”;

art. 24, numero 2), limitatamente alle parole: “non collegate”;

art. 24, numero 2), limitatamente alle parole: “, nonché per ciascuna coalizione, l’ordine dei contrassegni delle liste della coalizione”;

art. 31, comma 2, limitatamente alle parole: “delle liste collegate appartenenti alla stessa coalizione”;

art. 31, comma 2, limitatamente alle parole: “di seguito, in linea orizzontale, uno accanto all’altro, su un’unica riga”;

art. 31, comma 2, limitatamente alle parole: “delle coalizioni e”;

art. 31, comma 2, limitatamente alle parole: “non collegate”;

art. 31, comma 2, limitatamente alle parole: “di ciascuna coalizione”;

art. 83, comma 1, numero 2): “2) determina poi la cifra elettorale nazionale di ciascuna coalizione di liste collegate, data dalla somma delle cifre elettorali nazionali di tutte le liste che compongono la coalizione stessa, nonché la cifra elettorale nazionale delle liste non collegate ed individua quindi la coalizione di liste o la lista non collegata che ha ottenuto il maggior numero di voti validi espressi;”;

art. 83, comma 1, numero 3), lettera a): “a) le coalizioni di liste che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 10 per cento dei voti validi espressi e che contengano almeno una lista collegata che abbia conseguito sul piano nazionale almeno il 2 per cento dei voti validi espressi ovvero una lista collegata rappresentativa di minoranze linguistiche riconosciute, presentata esclusivamente in una delle circoscrizioni comprese in regioni il cui statuto speciale prevede una particolare tutela di tali minoranze linguistiche, che abbia conseguito almeno il 20 per cento dei voti validi espressi nella circoscrizione;”;

art. 83, comma 1, numero 3), lettera b), limitatamente alle parole, ovunque ricorrono: “non collegate”;

art. 83, comma 1, numero 3), lettera b), limitatamente alle parole: “, nonché le liste delle coalizioni che non hanno superato la percentuale di cui alla lettera a) ma che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 4 per cento dei voti validi espressi ovvero che siano rappresentative di minoranze linguistiche riconosciute, presentate esclusivamente in una delle circoscrizioni comprese in regioni il cui statuto speciale prevede una particolare tutela di tali minoranze linguistiche, che abbiano conseguito almeno il 20 per cento dei voti validi espressi nella circoscrizione”;

art. 83, comma 1, numero 4), limitatamente alle parole: “le coalizioni di liste di cui al numero 3), lettera a), e”;

art. 83, comma 1, numero 4), limitatamente alle parole, ovunque ricorrono: “coalizione di liste o”;

art. 83, comma 1, numero 4), limitatamente alle parole: “coalizioni di liste o”;

art. 83, comma 1, numero 5), limitatamente alle parole: “la coalizione di liste o”;

art. 83, comma l, numero 6): “6) individua quindi, nell’àmbito di ciascuna coalizione di liste collegate di cui al numero 3), lettera a), le liste che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 2 per cento dei voti validi espressi e le liste rappresentative di minoranze linguistiche riconosciute, presentate esclusivamente in una delle circoscrizioni comprese in regioni il cui statuto speciale prevede una particolare tutela di tali minoranze linguistiche, che abbiano conseguito almeno il 20 per cento dei voti validi espressi nella circoscrizione, nonché la lista che abbia ottenuto la maggiore cifra elettorale nazionale tra quelle che non hanno conseguito sul piano nazionale almeno il 2 per cento dei voti validi espressi;”;

art. 83, comma 1, numero 7): “7) qualora la verifica di cui al numero 5) abbia dato esito positivo, procede, per ciascuna coalizione di liste, al riparto dei seggi in base alla cifra elettorale nazionale di ciascuna lista di cui al numero 6). A tale fine, per ciascuna coalizione di liste, divide la somma delle cifre elettorali nazionali delle liste ammesse al riparto di cui al numero 6) per il numero di seggi già individuato ai sensi del numero 4). Nell’effettuare tale divisione non tiene conto dell’eventuale parte frazionaria del quoziente così ottenuto. Divide poi la cifra elettorale nazionale di ciascuna lista ammessa al riparto per tale quoziente. La parte intera del quoziente così ottenuta rappresenta il numero dei seggi da assegnare a ciascuna lista. I seggi che rimangono ancora da attribuire sono rispettivamente assegnati alle liste per le quali queste ultime divisioni hanno dato i maggiori resti e, in caso di parità di resti, alle liste che abbiano conseguito la maggiore cifra elettorale nazionale; a parità di quest’ultima si procede a sorteggio. A ciascuna lista di cui al numero 3), lettera b), sono attribuiti i seggi già determinati ai sensi del numero 4);”;

art. 83, comma 1, numero 8), limitatamente alle parole: “varie coalizioni di liste o”;

art. 83, comma 1, numero 8), limitatamente alle parole: “per ciascuna coalizione di liste, divide il totale delle cifre elettorali circoscrizionali di tutte le liste che la compongono per il quoziente elettorale nazionale di cui al numero 4), ottenendo così l’indice relativo ai seggi da attribuire nella circoscrizione alle liste della coalizione medesima. Analogamente,”;

art. 83, comma 1, numero 8), limitatamente alle parole, ovunque ricorrono: “coalizione di liste o”;

art. 83, comma 1, numero 8), limitatamente alle parole, ovunque ricorrono: “coalizioni di liste o”;

art. 83, comma 1, numero 8), limitatamente alle parole: “coalizioni o”;

art. 83, comma 1, numero 9): “9) salvo quanto disposto dal comma 2, l’Ufficio procede quindi all’attribuzione nelle singole circoscrizioni dei seggi spettanti alle liste di ciascuna coalizione. A tale fine, determina il quoziente circoscrizionale di ciascuna coalizione di liste dividendo il totale delle cifre elettorali circoscrizionali delle liste di cui al numero 6) per il numero di seggi assegnati alla coalizione nella circoscrizione ai sensi del numero 8). Nell’effettuare tale divisione non tiene conto dell’eventuale parte frazionaria del quoziente. Divide quindi la cifra elettorale circoscrizionale di ciascuna lista della coalizione per tale quoziente circoscrizionale. La parte intera del quoziente così ottenuta rappresenta il numero dei seggi da assegnare a ciascuna lista. I seggi che rimangono ancora da attribuire sono assegnati alle liste seguendo la graduatoria decrescente delle parti decimali dei quozienti così ottenuti; in caso di parità, sono attribuiti alle liste con la maggiore cifra elettorale circoscrizionale; a parità di quest’ultima, si procede a sorteggio. Successivamente l’Ufficio accerta se il numero dei seggi assegnati in tutte le circoscrizioni a ciascuna lista corrisponda al numero dei seggi ad essa attribuito ai sensi del numero 7). In caso negativo, procede alle seguenti operazioni, iniziando dalla lista che abbia il maggior numero di seggi eccedenti, e, in caso di parità di seggi eccedenti da parte di più liste, da quella che abbia ottenuto la maggiore cifra elettorale nazionale, proseguendo poi con le altre liste, in ordine decrescente di seggi eccedenti: sottrae i seggi eccedenti alla lista in quelle circoscrizioni nelle quali essa li ha ottenuti con le parti decimali dei quozienti, secondo il loro ordine crescente e nelle quali inoltre le liste, che non abbiano ottenuto il numero di seggi spettanti, abbiano parti decimali dei quozienti non utilizzate. Conseguentemente, assegna i seggi a tali liste. Qualora nella medesima circoscrizione due o più liste abbiano le parti decimali dei quozienti non utilizzate, il seggio è attribuito alla lista con la più alta parte decimale del quoziente non utilizzata. Nel caso in cui non sia possibile fare riferimento alla medesima circoscrizione ai fini del completamento delle operazioni precedenti, fino a concorrenza dei seggi ancora da cedere, alla lista eccedentaria vengono sottratti i seggi in quelle circoscrizioni nelle quali li ha ottenuti con le minori parti decimali del quoziente di attribuzione e alle liste deficitarie sono conseguentemente attribuiti seggi in quelle altre circoscrizioni nelle quali abbiano le maggiori parti decimali del quoziente di attribuzione non utilizzate.”;

art. 83, comma 2, limitatamente alle parole: “la coalizione di liste o”;

art. 83, comma 2, limitatamente alle parole: “coalizione di liste o”;

art. 83, comma 2, limitatamente alle parole: “di tutte le liste della coalizione o”;

art. 83, comma 3, limitatamente alle parole: “coalizioni di liste e”;

art. 83, comma 3, limitatamente alle parole, ovunque ricorrono: “coalizione di liste o”;

art. 83, comma 3, limitatamente alle parole: “coalizioni di liste o”;

art. 83, comma 4: “L’Ufficio procede poi, per ciascuna coalizione di liste, al riparto dei seggi ad essa spettanti tra le relative liste ammesse al riparto. A tale fine procede ai sensi del comma 1, numero 7), periodi secondo, terzo, quarto, quinto, sesto e settimo.”;

art. 83, comma 5, limitatamente alle parole: “numero 6),”;

art. 83, comma 5, limitatamente alle parole: “e 9)”;

art. 83, comma 5, limitatamente alle parole: “coalizione di liste o”;

art. 83, comma 5, limitatamente alle parole: “coalizioni di liste o”;

art. 84, comma 3: “Qualora al termine delle operazioni di cui al comma 2, residuino ancora seggi da assegnare alla lista in una circoscrizione, questi sono attribuiti, nell’àmbito della circoscrizione originaria, alla lista facente parte della medesima coalizione della lista deficitaria che abbia la maggiore parte decimale del quoziente non utilizzata, procedendo secondo un ordine decrescente. Qualora al termine di detta operazione residuino ancora seggi da assegnare alla lista, questi sono attribuiti, nelle altre circoscrizioni, alla lista facente parte della medesima coalizione della lista deficitaria che abbia la maggiore parte decimale del quoziente già utilizzata, procedendo secondo un ordine decrescente.”;

art. 84, comma 4, limitatamente alle parole: “e 3”;

art. 86, comma 2, limitatamente alle parole: “, 3”?».

II Quesito – modulo colore bianco:

Premio di maggioranza alla lista più votata – SENATO

Volete voi che sia abrogato il Decreto legislativo 20 dicembre 1993, n.533 [2], nel testo risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive, titolato “Testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica”, limitatamente alle seguenti parti:

art. 1, comma 2, limitatamente alle parole: “di coalizione”;

art. 9, comma 3, limitatamente alle parole: “Nessuna sottoscrizione è altresì richiesta per i partiti o gruppi politici che abbiano effettuato le dichiarazioni di collegamento ai sensi dell’art. 14-bis, comma 1, del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, con almeno due partiti o gruppi politici di cui al primo periodo del presente comma e abbiano conseguito almeno un seggio in occasione delle ultime elezioni per il Parlamento europeo, con contrassegno identico a quello depositato ai sensi dell’art. 14 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957.”;

art. 11, comma 1, lettera a), limitatamente alle parole: “alle coalizioni e”;

art. 11, comma 1, lettera a), limitatamente alle parole: “non collegate”;

art. 11, comma 1, lettera a), limitatamente alle parole: “, nonché, per ciascuna coalizione, l’ordine dei contrassegni delle liste della coalizione”;

art. 11, comma 3, limitatamente alle parole: “delle liste collegate appartenenti alla stessa coalizione”;

art. 11, comma 3, limitatamente alle parole: “di seguito, in linea orizzontale, uno accanto all’altro, su un’unica riga”;

art. 11, comma 3, limitatamente alle parole: “delle coalizioni e”;

art. 11, comma 3, limitatamente alle parole: “non collegate”;

art. 11, comma 3, limitatamente alle parole: “di ciascuna coalizione”;

art. 16, comma 1, lettera a), limitatamente alle parole: “. Determina inoltre la cifra elettorale circoscrizionale di ciascuna coalizione di liste, data dalla somma delle cifre elettorali circoscrizionali di tutte le liste che la compongono”;

art. 16, comma 1, lettera b), numero 1): “1) le coalizioni di liste che abbiano conseguito sul piano regionale almeno il 20 per cento dei voti validi espressi e che contengano almeno una lista collegata che abbia conseguito sul piano regionale almeno il 3 per cento dei voti validi espressi;”;

art. 16, comma 1, lettera b), numero 2), limitatamente alle parole: “non collegate”;

art. 16, comma 1, lettera b), numero 2), limitatamente alle parole: “nonché le liste che, pur appartenendo a coalizioni che non hanno superato la percentuale di cui al numero 1), abbiano conseguito sul piano regionale almeno l’8 per cento dei voti validi espressi”;

art. 17, comma 1, limitatamente alle parole: “le coalizioni di liste e”;

art. 17, comma 1, limitatamente alle parole: “coalizioni di liste o”;

art. 17, comma 1, limitatamente alle parole, ovunque ricorrono: “coalizione di liste o”;

art. 17, comma 2, limitatamente alle parole: “la coalizione di liste o”;

art. 17, comma 3: “Nel caso in cui la verifica di cui al comma 2 abbia dato esito positivo, l’ufficio elettorale regionale individua, nell’àmbito di ciascuna coalizione di liste collegate di cui all’articolo 16, comma 1, lettera b), numero 1), le liste che abbiano conseguito sul piano circoscrizionale almeno il 3 per cento dei voti validi espressi. Procede quindi, per ciascuna coalizione di liste, al riparto, tra le liste ammesse, dei seggi determinati ai sensi del comma 1. A tale fine, per ciascuna coalizione di liste, divide la somma delle cifre elettorali circoscrizionali delle liste ammesse al riparto per il numero di seggi già individuato ai sensi del comma 1, ottenendo così il relativo quoziente elettorale di coalizione. Nell’effettuare tale divisione non tiene conto dell’eventuale parte frazionaria del quoziente. Divide poi la cifra elettorale circoscrizionale di ciascuna lista ammessa al riparto per il quoziente elettorale di coalizione. La parte intera del quoziente così ottenuta rappresenta il numero dei seggi da assegnare a ciascuna lista. I seggi che rimangono ancora da attribuire sono rispettivamente assegnati alle liste per le quali queste ultime divisioni hanno dato i maggiori resti e, in caso di parità di resti, alle liste che abbiano conseguito la maggiore cifra elettorale circoscrizionale; a parità di quest’ultima si procede a sorteggio. A ciascuna lista di cui all’articolo 16, comma 1, lettera b), numero 2), sono attribuiti i seggi già determinati ai sensi del comma 1.”;

art. 17, comma 4, limitatamente alle parole: “alla coalizione di liste o”;

art. 17, comma 5, limitatamente alle parole, ovunque ricorrono: “coalizioni di liste o”;

art. 17, comma 5, limitatamente alle parole, ovunque ricorrono: “coalizione di liste o”;

art. 17, comma 5, limitatamente alle parole: “alle coalizioni di liste e”;

art. 17, comma 6: “Per ciascuna coalizione l’ufficio procede al riparto dei seggi ad essa spettanti ai sensi dei commi 4 e 5. A tale fine, per ciascuna coalizione di liste, divide il totale delle cifre elettorali circoscrizionali delle liste ammesse al riparto ai sensi dell’articolo 16, comma 1, lettera b), numero 1), per il numero dei seggi ad essa spettanti. Nell’effettuare tale divisione non tiene conto dell’eventuale parte frazionaria del quoziente così ottenuto. Divide poi la cifra elettorale circoscrizionale di ciascuna lista per quest’ultimo quoziente. La parte intera del risultato così ottenuto rappresenta il numero dei seggi da attribuire a ciascuna lista. I seggi che rimangono ancora da attribuire sono rispettivamente assegnati alla lista per la quale queste ultime divisioni abbiano dato i maggiori resti e, in caso di parità di resti, a quelle che abbiano conseguito la maggiore cifra elettorale circoscrizionale.”;

art. 17, comma 8: “Qualora una lista abbia esaurito il numero dei candidati presentati nella circoscrizione regionale e non sia quindi possibile attribuire tutti i seggi ad essa spettanti, l’ufficio elettorale regionale assegna i seggi alla lista facente parte della medesima coalizione della lista deficitaria che abbia la maggiore parte decimale del quoziente non utilizzata, procedendo secondo un ordine decrescente. Qualora due o più liste abbiano una uguale parte decimale del quoziente, si procede mediante sorteggio.”;

art. 17-bis, limitatamente alle parole: “e 6”;

art. 19, comma 2: “Qualora la lista abbia esaurito il numero dei candidati presentati in una circoscrizione e non sia quindi possibile attribuirle il seggio rimasto vacante, questo è attribuito, nell’àmbito della stessa circoscrizione, ai sensi dell’articolo 17, comma 8.”».

III Quesito – modulo colore rosso:

Abrogazione candidature multiple

Volete voi che sia abrogato il Decreto del Presidente della Repubblica 30marzo 1957, n. 361 [3], nel testo risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive, titolato “Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei Deputati”, limitatamente alle seguenti parti:

art. 19, limitatamente alle parole: “nella stessa”,

art. 85.

(Beh, buona giornata).

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“Questa è una sconfitta che non tocca, non fa neanche un graffio al governo Berlusconi premier ma che è uno schiaffo, neanche tanto dolce, a Berlusconi uomo pubblico, guida e oracolo degli italiani.”

Elezioni/ Berlusconi primo ma non vince: il 35 per cento non sconfigge il governo ma smentita il leader, ed è colpa sua. Le vittorie della Lega e Di Pietro, il Pd salva la pelle, la sinistra suicida, il miracolo di Casini. In Europa il giorno nero dei socialisti, il vento di destra. E quel seggio che si inchina a Noemi. di Lucio Fero-blitzquotidiano.it

La sorpresa c’è stata: Berlusconi arriva primo ma non vince. Quel 35 per cento è più di quanto abbia raccolto ogni altro partito, ma è poco. E che sia per tutti, lui compreso, poco, proprio poco, è scelta, responsabilità e colpa proprio sua, di Berlusconi.

Tecnicamente è andata così: agli astenuti per stanchezza e sfinimento, malattie tipiche e in certa misura ormai croniche dell’elettorato di centro sinistra, stavolta si sono aggiunti gli astenuti per indigestione e inappetenza. Due malesseri, due indisposizioni forse momentanee e forse no che hanno colto un bel po’ di elettorato di centro destra. Indigestione da premier troppo pimpante, troppo narrante, troppo promettente, troppo tutto… E inappetenza, voglia un po’ calcolata e un po’ casuale di metterlo a moderata dieta di consensi questo premier già autoproclamatosi “santo” e non normale uomo della politica e della storia.

Tecnicamente dunque Berlusconi è stato fermato dall’astensione, stavolta dall’astensione anche della sua gente. Un danno, ma niente di più grave di un’ammaccattura. Se non fosse che altro e più grave danno ha subito Berlusconi: la smentita. I risultati infatti smentiscono non la sua forza ma la sua narrazione. Aveva narrato non solo di altre percentuali, 40 e passa per cento, aveva narrato di un’Italia pronta a risarcirlo in massa delle offese subite. Di un’Italia che faceva ressa ansiosa non per confermarlo premier ma per innalzarlo più in alto, sempre più in alto. Aveva chiesto più voti contro il Parlamento lento e inutile, contro la stampa, i giudici, contro tutto ciò che fa ragine alla sua azione salvifica del paese. Li aveva chiesti questi voti e non li ha avuti, alla sua potente narrazione crede un italiano su tre. Questa è una sconfitta che non tocca, non fa neanche un graffio al governo Berlusconi premier ma che è uno schiaffo, neanche tanto dolce, a Berlusconi uomo pubblico, guida e oracolo degli italiani. La sua insomma è la voce più forte che c’è, ma non è la voce narrante dell’Italia.

C’è stata la vittoria, anzi ce ne sono state due. Quella della Lega e quella di Di Pietro. Sommandole, se ne deduce che il 20 per cento degli elettori vogliono, fortemente vogliono cose impossibili, sognano e chiedono choc sociali. Vogliono la fine dell’immigrazione, l’esenzione non solo dalla crisi economica ma anche dalla riconversione di abitudini sociali ed economiche senza le quali dalla crisi non si esce, l’abolizione per decreto o per frontiera della globalizzazione…Oppure la defenestrazione, l’impeachement giudiziario di Berlusconi, un “Grande Processo” che purifichi l’Italia…E’ la volontà e la voglia di un bel pezzo, anzi di due pezzi crescenti di elettorato, sono due voglie entrambe “matte”. Cioè tanto incontenibili quanto pericolose.

Non c’è stato il funerale, anzi il Pd ha salvato la pelle. Niente di più della pelle, ma tra il restare in vita e chiudere bottega c’è un mare, anzi un oceano di differenza. Sono ancora in tempo a disperderlo quel 26 per cento, quelli che guidano il Pd sono capaci anche di questo. Sarebbero anche in tempo, incredibilmente l’elettorato glielo ha dato ancora il tempo, di diventare una forza riformista davvero. Insomma hanno avuto tempo, che in politica è una forma di “denaro”.

C’è stata la sentenza: hanno disperso e buttato via il 6,5 per cento dei voti. Le due liste di sinistra si sono suicidate non per caso e non per sbaglio. La sentenza è di inaffidabilità politica e culturale, oltre che organizzativa.

C’è stata la conferma: l’Udc di Casini esiste e resiste, anzi avanza. Il centro destra non se la mangia, il centro sinistra non la scalfisce.

Dunque un’Italia alquanto diversa da come lei stessa si aspettava di essere, diversa almeno un po’, più complicata di come veniva narrata dalla versione ufficiale.

E l’Europa? Stanca, illusa, nervosa. Ai governi e ai partiti socialdemocratici non crede più e anzi di loro non sa più tanto bene che farsene. Paga dazio Zapatero, anche se in fondo resiste, l’Spd tedesca si avvia a mollare il governo, il Labour inglese è annichilito, i socialisti francesi sembrano un vecchio partito comunista. Tengono invece i governi di centro destra nei paesi sociallmente più solidi. In quelli di fragile e recente democrazia invece avanza la destra estrema. Ci si soprende che i ceti popolari e anche il ceto medio sotto la pressione della crisi economica guardino a destra. Non è però un fenomeno nuovo, anzi è una costante della storia. E’ un’Europa stanca di dover cambiare, infinitamente stanca di dover correre il rischio che invece gli americani accettano. Illusa di poter restare come sta. Nervosa perchè in realtà non sa a chi chiedere la garanzia dell’immobilità.

Ultima nota, marginale, casalinga e mortificante: quel seggio dove Noemi arriva scortata dai vigili urbani e dalle forze dell’ordine, l’energumeno che spinge via gli altri elettori in attesa, il presidente di seggio che chiude la porta in faccia ai comuni cittadini perchè i vip stanno votando. Piccola, grande scena di un’Italia servile per vocazione, civilmente ignorante e cafona. Una scena triste e avvilente, ma questa, almeno questa, non è certo colpa di Berlusconi. In quel seggio un’Italia eticamente “meridionale” si è mostrata com’è, al naturale. (Beh, buona giornata).

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Elezioni europee: i voti veri tradiscono i risultati percentuali. Chi ha perso, chi non ha vinto, chi ha vinto ma non ce l’ha fatta.

(fonte corriere.it)

Il calo dei votanti è stato brutale: 65,04% degli aventi diritto al voto alle Europee 2009 rispetto all’80,5% alla Camera dei deputati alle politiche dell’aprile 2008. Un crollo di oltre di oltre 15 punti percentuali, che si è tramutato in un calo secco dei voti effettivi ottenuti dai vari partiti. Con alcune eccezioni, che riguardano Lega Nord, Italia dei valori e, soprattutto, le due liste della sinistra radicale che, proprio a causa del fatto di presentarsi divise non sono riuscite a raggiungere la soglia minima del 4% che permetteva di eleggere deputato all’Europarlamento.

CHI PERDE – Il Popolo delle libertà ha avuto 3.100.000 voti in meno rispetto alle Politiche 2008.
Peggio per il Partito democratico: un calo di 4.420.000 voti, che scendono però a -3.700.000 voti se si scorpora il risultato ottenuto dai radicali, che nel 2008 si presentavano all’interno del Pd
Un calo limitato (130 mila voti in meno) anche per l’Udc.

CHI VINCE – Chi ottiene il maggiore balzo in avanti sono le sinistre radicali: 840 mila voti in più sommando i voti di Rifondazione comunista e Comunisti italiani con quelli di Sinistra e libertà (che raggruppo gli scissionisti di Vendola, i Verdi e i socialisti). Queste liste si erano presentate insieme nel 2008 ottenendo in tutto 1,15 milioni di voti.
Grande balzo in avanti dell’Italia dei valori, che incrementa i voti di 820 mila unità.
La Lega Nord, che ottiene un grande successo in termini percentuali alle Europee, aumenta in realtà solo di 100 mila unità i voti ottenuti alle Politiche. Beh, buona giornata.

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Berlusconi, l’unico vero sconfitto. Diffidate delle imitazioni.

Tra i credenti perso il 20% in un mese. Crisi di immagine. E il premier ora teme uno choc sul G8
di Federico Verderami-corriere.it

È allarme rosso nel Pdl. Altro che 25 aprile, al­tro che pacificazione naziona­le, altro che dialogo e riforme condivise. Da domani maggio­ranza e opposizione contribui­ranno ognuna per la propria parte a rendere ancora più alto il muro che le tiene separate. Perché ormai è chiaro quale te­ma terrà banco in Parlamento fino all’estate, è sulla giustizia che si sfideranno i due schiera­menti. Berlusconi ha invitato il suo Guardasigilli a prepararsi per uscire allo scoperto, sapen­do che Bossi si comporterà da «alleato leale», dopo aver otte­nuto quanto chiedeva: la legge delega sul federalismo fiscale. E siccome al momento non ci sono le condizioni per un ta­volo bipartisan dove discutere sulle modifiche alla Carta costi­tuzionale, il Cavaliere vorreb­be sfruttare questi due mesi di lavoro parlamentare per porta­re a casa il nuovo testo sulle in­tercettazioni e la riforma del processo penale. Era questo il piano prima delle elezioni, ma il risultato delle urne lo conse­gna indebolito e sarà più com­plicato in questo modo dar bat­taglia.

Eppure lo scontro inizierà già domani alla Camera, dove si voterà la mozione del Pd che chiede l’abolizione del «lodo Alfano». Per l’ennesima volta sarà come ripiombare in un passato che non è mai alle spal­le, se è vero che si intravedono le ombre di ulteriori e clamoro­si colpi di scena giudiziari. Da tempo voci preoccupate ali­mentano i colloqui riservati dell’inner circle berlusconia­no, nuovi fantasmi si muove­rebbero nel triangolo delle pro­cure di Milano, Napoli e Paler­mo, con il Cavaliere — e non solo lui — nel mirino. È un’ipoteca politica che gra­va anche sul G8 dell’Aquila, do­ve Berlusconi teme «una sgra­devole sorpresa» come quella del ’94. È una questione che co­munque ieri sera è rimasta ai margini delle prime analisi sul voto.

A preoccupare i dirigenti del Pdl, semmai, è stato l’azzar­do del premier, che tenendo al­tissima l’asticella del risultato in campagna elettorale aveva prodotto un’aspettativa molto ambiziosa. Anche troppo. «Quota 40» era la soglia, inve­ce non solo è sceso sotto quel limite, ha ripiegato anche ri­spetto alle Politiche. Una scon­fitta. Nessuno lo immaginava nel Pdl, dove si è avvertito un sen­so di smarrimento, più di quanto ne avesse prodotto la sfuriata di Berlusconi qualche ora prima, irritato per la «pessi­ma organizzazione» dell’ulti­ma manifestazione a Milano: «C’era pochissima gente». Quella convention è stata em­blematica perché ha dato l’idea di un partito che stenta a decollare. In fondo, quando il premier sostiene di esser stato «forzato» a candidarsi, disvela la fragilità del Pdl.

Il punto è che Berlusconi re­sta l’unico attaccante, l’uomo panino, il collettore di consen­si. Fino al 25 aprile, infatti, quando ancora macinava gli avversari, quando si sentiva ed era «il presidente di tutti gli ita­liani », il Pdl veleggiava tra il 43-45%. Il Cavaliere appariva un dominus della politica ita­liana capace di proiettare la sua forza anche a livello inter­nazionale, prefigurando il Pdl come primo partito del Ppe e ipotecando persino la presiden­za dell’Europarlamento. Poi è cambiato tutto.

La crisi d’immagine è iniziata cinque settimane fa, il tarlo del sospet­to su Noemi, la ragazza di Caso­ria che lo chiama «papi», ha iniziato a minare il suo rappor­to con l’opinione pubblica, che aveva toccato il suo picco stori­co nel giorno della festa della Liberazione, quel «76%» di fi­ducia che lo stesso premier aveva definito «imbarazzan­te». Da allora è precipitato nei numeri personali. Una crepa si è aperta soprattutto con l’elet­torato cattolico: per i sondaggi­sti, in meno di un mese, c’è sta­to un crollo di venti punti per­centuali, concentrati sui cre­denti praticanti. E con lui ha preso a calare anche il Pdl. Berlusconi a quel punto ha capito di essere in affanno e do­po aver giocato la competizio­ne con la Lega si è aggrappato a Bossi. Nel Pdl c’è chi contesta le sue ultime sortite, perché non si possono cedere Kakà al Real e il Veneto alla Lega a po­chi giorni dal voto.

La sconfit­ta si fa cocente, paradossal­mente passa in secondo piano il fatto che si sia allargata la for­bice con il Pd. Resta la botta. È tutto da vedere se cambie­rà la strategia del Cavaliere, è certo che già prima delle urne il premier si era preparato a ri­solvere i casi politici aperti, riannodando i rapporti con il governatore siciliano Lombar­do e anticipando di voler lascia­re a un leghista la candidatura in Veneto alle prossime regio­nali. Berlusconi mirava (e mi­ra) a spegnere i focolai d’incen­dio per garantirsi un percorso parlamentare sicuro sui prov­vedimenti che gli stanno più a cuore, in modo poi da concen­trarsi su un G8 che non sarà fa­cile, vista la freddezza con cui la Casa Bianca tiene i rapporti con l’Europa intera. Immagi­narsi con l’Italia di un Cavalie­re che si è indebolito.

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Alla faccia della crisi: “Oggi ministri e sottosegretari sgomitano per spaparanzarsi sulle poltrone in pelle di Falcon e Airbus dagli arredi extralusso.”

Con papi si vola di Gianluca Di Feo-l’Espresso
Il premier. I ministri. E poi amici ballerine. Con il governo Berlusconi l’uso degli aerei blu è quasi triplicato. Con un costo di 60 milioni

Magari fosse solo Apicella. Magari fosse solo il menestrello di corte ad accomodarsi sui jet presidenziali per volare verso la reggia di villa Certosa. Ormai le scalette per salire sugli aerei di Stato sono diventate larghissime: a bordo può salire chiunque, ministri e sottosegretari, assistenti e portavoce, parenti e amiche. Clemente Mastella ha fatto scuola: il suo viaggio al Gran Premio con figlio e conoscenti è diventato un modello. E così Silvio Berlusconi nello scorso agosto ha cancellato l’austerity aeronautica introdotta dal governo Prodi dopo lo scandalo dell’Airbus di Monza più affollato della metro nell’ora di punta. I risultati si sono visti subito. I decolli dei velivoli del 31mo stormo, che da Roma Ciampino garantisce il trasporto delle autorità, sono aumentati a velocità supersonica: raddoppiati o addirittura triplicati. Il confronto tra lo stesso periodo dell’anno è eloquente.

I dati ottenuti da ‘L’espresso’ mostrano che a gennaio 2008 c’erano state 153 ore di volo per accompagnare in giro ministri e presidenti, un anno dopo erano diventate 370. A febbraio si passa da 176 a 468; a marzo da 183 a 510; ad aprile da 124 a 471. In questo mese di maggio appena concluso, denso di impegni elettorali sparsi per la penisola, ci sono state centinaia di missioni vip con Airbus e Falcon impegnati fino ai limiti tecnici. Al ministero della Difesa è scattato l’allarme rosso: se si dovesse continuare con questo ritmo, a fine 2009 gli Stakanov del jet presidenziale potrebbero arrivare a bruciare oltre 5600 ore a spasso tra le nuvole.

Più di 15 ore al giorno, un primato che potrebbe battere i consumi mostruosi del 2005 quando l’overdose di aerei blu spinse Gianni Letta a rimproverare tutto il governo. Parole volate via nel vento.

Oggi ministri e sottosegretari sgomitano per spaparanzarsi sulle poltrone in pelle di Falcon e Airbus dagli arredi extralusso. La flotta del 31mo stormo non basta più: i 10 jet, nonostante offrano 216 comodissimi posti, non riescono a soddisfare le brame aviatorie del governo Berlusconi. Ed ecco che tornano in pista le Ferrari dei cieli, i Piaggio 180 di Pratica di Mare, bimotori executive che dovrebbero servire per collegare le basi dell’Aeronautica. Prodi ne aveva vietato l’uso per i voli di Stato: nei primi mesi del 2008 mai un decollo. Ma il salottino volante fa gola a tanti politici di seconda fila, che in soli quattro mesi quest’anno si sono accaparrati 240 ore di volo a sbafo.

E poi c’è la fantomatica Cai, non la compagine che ha rilevato Alitalia ma la leggendaria squadriglia dei servizi segreti. Che con il pretesto della sicurezza svolge il 90 per cento dell’attività come taxi per ministro. Anche lì Prodi e il suo sottosegretario Enrico Micheli erano stati drastici: ‘Basta gite di governo’. E per concretizzare l’ordine si era deciso di mettere in vendita due dei cinque Falcon della Cai.

Adesso invece di ridurre la flotta non si parla più, perché l’hangar degli 007 pullula di auto blu che trasbordano politici e accompagnatori al riparo da sguardi curiosi. Si stima che dall’insediamento del Cavaliere la Cai abbia già regalato 1800 ore di volo al governo, un altro record a carico dei contribuenti. Il bilancio finale dei costi è altissimo. Solo per i dieci jet del 31mo stormo il 2008 ha significato una spesa di quasi 40 milioni di euro, su cui ha pesato il consumo di carburante a prezzi stratosferici nel semestre berlusconiano: con i vincoli prodiani si contava di pagarne circa la metà. È come se in 180 giorni fossero stati bruciati 25-30 milioni di euro: in alcune giornate fino a 160 mila euro buttati via per i velocissimi taxi dei politici vincenti. E se si aggiungono gli esborsi top secret per i passaggi a bordo degli 007 con le ali della Cai e delle Ferrari dei cieli si rischia di arrivare a una bolletta annuale salatissima: un conto da oltre 60 milioni di euro. Alla faccia della crisi e dei sacrifici per gli italiani. Sono lontani i tempi in cui l’austerity prodiana aveva fatto ipotizzare un taglio netto anche al 31mo stormo: via un quinto dello schieramento, mettendo all’asta un paio di Falcon e forse un Airbus. Un’illusione scomparsa dagli schermi radar.

Di riduzione della linea di volo proprio non se ne parla, l’attività per il trasporto di Stato è intensa’, ha dichiarato il generale Daniele Tei, comandante in capo dell’Aeronautica alla rivista specializzata Rid. E ha poi esternato il malumore dell’Arma azzurra: ‘Tra l’altro siamo sempre a credito per le attività che conduciamo e che le altre amministrazioni ci rimborsano con enorme ritardo (e non sempre)’. Infatti la forza armata deve anticipare i fondi per i voli extra tagliando altre attività: nel 2005 per pagare le missioni dei politici rinunciò alla più importante esercitazione internazionale. Nel solo 2008 lo sforamento berlusconiano ha comportato quasi venti milioni di sacrifici: meno addestramento, meno manutenzione. E mentre la crisi impone di azzerare l’attività di intere squadriglie, i piloti degli aerei blu non si fermano mai: ‘Nel 2008 hanno volato l’11 per cento delle ore dell’intera forza armata’, sottolinea il generale Tei. Pensate: l’Aeronautica ha quasi 400 velivoli, ma da soli i dieci jet presidenziali hanno macinato il record di decolli, mentre gli equipaggi dei caccia restano a terra con i serbatoi vuoti. Ovviamente il frequent flyer numero uno è Silvio Berlusconi. Il Cavaliere ama le comodità dell’Airbus 319 CJ da 50 posti: la sala riunioni, i lettini, gli schermi al plasma. Quando nel 2006 lasciò Palazzo Chigi, corse a comprarne uno tutto per sé. Appena tornato al potere, lo ha rivenduto: adesso può usare a piacimento l’ammiraglia di Stato. Le rotte favorite? Quelle per Olbia e Linate, a cui nell’ultimo anno si è aggiunta Napoli tra summit per i rifiuti e feste di compleanno. Segue Ignazio La Russa, che viene segnalato spesso con significative presenze femminili imbarcate al seguito. Il ministro della Difesa è maestro nelle trasferte che abbinano impegni ufficiali e comizi di partito. Il 24 maggio è atterrato a Grosseto per una breve visita alla base militare e successivo incontro di sostegno al candidato Pdl alla Provincia, per replicare l’accoppiata poche ore più tardi a Pisa.

Ma la passione ha contagiato tutto l’esecutivo. Un uso reso lecito dalle regole berlusconiane, che spesso ha il sapore dello spreco. Il ministro Stefania Prestigiacomo è finita fuori pista al rientro da un vertice ambientale a Varsavia, città ben collegata a Roma: un volo di linea avrebbe fatto risparmiare oltre 25 mila euro alla collettività. Maria Vittoria Brambilla a settembre era stata sorpresa su un Falcon di Stato tra Roma e Milano. La replica: ‘Non c’era altro modo per raggiungere il forum europeo del turismo’. Raffaele Fitto spesso torna in Puglia con il jet blu mentre i leghisti non disdegnano un passaggio ‘per questioni di sicurezza’ sulla squadriglia degli 007. Grande consumatore di aerei di Stato è il presidente del Senato Renato Schifani, che lo usa per tornare a Palermo nel weekend: un privilegio riconosciuto al suo rango istituzionale.

La scorsa settimana un Airbus lo ha portato a Mosca per una visita ufficiale, lo ha scaricato ed è tornato a Ciampino. Dopo 48 ore il jet è tornato in Russia per riportare a casa il presidente Schifani ma un’avaria lo ha costretto ad un atterraggio d’emergenza. Secondo le agenzie, l’Airbus di Stato era decollato alle 16.30: gli orari indicano un aereo Alitalia per Roma in partenza solo 60 minuti dopo. La missione del grande bireattore è costata quasi 100 mila euro, con Alitalia Schifani e il suo seguito ne avrebbero spesi circa 5 mila: in un momento di crisi, non sarebbe meglio attendere un’ora e risparmiare? In fondo Alitalia è stata soccorsa con denaro pubblico proprio perché compagnia di bandiera, peccato che ai nostri ministri piacciano più i Falcon: niente check in, niente code, si sale e si vola via. Nel blu dipinto di blu. (Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia

Il complotto demo- pluto- giudaico- massonico contro Berlusconi.

“Si pubblicano articoli in Italia, vengono tradotti in inglese e inviati nelle redazioni di Londra e Bruxelles, e quindi ripubblicati in Italia creando una rete promossa da italiani nemici dell’Italia nel mondo, una rete di stampa internazionale ostile al Governo di Roma”. Franco Frattini, ministro degli Esteri dixit. Beh, buona giornata.

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Attualità democrazia Lavoro

Un candidato alle elezioni europee:”Vedendo quel che è diventata la politica italiana negli ultimi anni, in particolare nelle ultime settimane gonfie di veline, minorenni e satiriasi senili­ sento crescere in me il desiderio di ritirare la candidatura alle elezioni europee.”

EUROPEE: CAVOLA, RIGENERAZIONE POLITICA RICHIEDE SCATTO D’ORGOGLIO = Roma,
2 giu. – (Adnkronos) – «Vedendo quel che è diventata la politica italiana negli ultimi anni, in particolare nelle ultime settimane gonfie di veline, minorenni e satiriasi senili­ sento crescere in me il desiderio di ritirare la candidatura alle elezioni europee». Lo ha detto Andrea Cavola, candidato indipendente alle europee nell’Italia centrale con la Lista comunista e anticapitalista (Rifondazione, Comunisti italiani, Socialismo 2000). «Chi come me è cresciuto vivendo la ‘questione moralè come una stella polare dell’agire politico, anche individuale – ha proseguito – non può che provare rifiuto all’idea di entrare all’interno di un meccanismo che ormai la popolazione vive con assoluto disprezzo. In queste settimane di campagna elettorale, vissute quasi esclusivamente in assemblee di lavoratori di aziende in difficoltà o di interessanti bocconcini ‘pubblicì che si vogliono privatizzare, tra i miei colleghi del settore trasporti o tra realtà produttive esemplari de ‘L’Italia di mezzò, ho potuto misurare la distanza abissale che separa e oppone questa classe politica e la realtà sociale le cui condizioni di vita vengono sepolte e ignorate sotto una valanga di gossip ‘piccantì». «Il sostegno alla mia lista e alla mia persona, che ho trovato in ogni luogo che ho visitato, non mi consentono però di fare questo passo indietro – ha aggiunto -. Al tempo stesso, sento il bisogno di dire che questo sostegno non è da me vissuto come una ‘delega in biancò. E che la rigenerazione della politica, la ricostruzione di una sinistra degna di questo nome, non può avvenire nel chiuso di una tornata elettorale. Ma richiede una sollevazione morale, uno scatto di orgoglio e di dignità, che veda protagoniste tutte quelle forze sociali che sento fisicamente a me vicine in questa battaglia, dalla parte più attiva e conflittuale della Cgil alla galassia del sindacalismo di base, finalmente avviata sulla via della confederazione unitaria. Solo questa sintonia mi convince a rimanere in lizza, mettendomi a disposizione di tutti quelli che ­ in questo vergognoso momento politico ­ hanno ancora meno voce del solito. Per portare in Europa ­ là dove si decide della nostra vita senza alcun controllo democratico ­ il punto di vista e la forza di pressione della parte migliore di questo popolo e di questo paese». (Stp/Ct/Adnkronos) 02-GIU-09 18:34 NNN FINE DISPACCIO

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Attualità democrazia Popoli e politiche Società e costume

Elezioni europee, ecco parole buone e nutrienti come la Nutella Ferrero.

Comunicato stampa. Dichiarazione di Paolo Ferrero, segretario nazionale del Prc-Se.-da unaltraeuropa.eu

Basta con le chiacchiere sulle amanti e le amiche del premier, basta con i gossip e le polemiche da salotto. La politica italiana deve tornare a misurarsi con i problemi reali del Paese, in particolare con la crisi economica, sempre più grave.
Come lista comunista avanziamo una proposta concreta, fattibile e dalla rapida applicazione: usare i fondi già stanziati per il Ponte sullo Stretto di Messina, i tanti miliardi spesi per comprare cacciabombardieri F35 e quelli previsti per costruire centrali nucleari per un fine dal fortissimo impatto sociale ed economico, ridurre le tasse ai lavoratori e ai pensionati e garantire la cassa integrazione all`80% per tutti coloro che hanno perso il posto di lavoro. Governo e forze politiche si misurino con questa e altre proposte concrete sul tappeto, non con le polemicucce fatte a colpi di gossip e di retroscena pruriginosi.(Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia Società e costume

“L’Italia ospita quest’anno il summit del G8, dove si discuterà di maggiore cooperazione nella lotta al terrorismo e al crimine internazionale. E’ un importante membro della Nato. Fa parte dell’eurozona, che è confrontata dalla crisi finanziaria globale. Non sono soltanto gli elettori italiani a domandarsi cosa sta succedendo. Se lo chiedono anche i perplessi alleati dell’Italia”.

l Times: “Cade la maschera del clown”.Libération: “Lo scandalo è alle calcagna”
dal corrispondente ENRICO FRANCESCHINI-repubblica.it

Uno scandalo che non riguarda più solo gli italiani, ma anche i paesi partner dell’Italia, nell’Unione Europea, nella Nato, nel G8 che l’Italia si prepara ad ospitare. E’ questo il severo giudizio di un editoriale del Times di Londra sulla vicenda che ruota da settimane attorno a Silvio Berlusconi, al suo rapporto con la 18enne Noemi Letizia, alle feste in Sardegna e al divorzio con la moglie Veronica Lario. E non è solo il Times a occuparsi ancora una volta di questa storia, che la stampa inglese sta seguendo con particolare attenzione: ci sono nuovi articoli anche sul Financial Times, sul Daily Telegraph, sull’Independent.

“Cala la maschera del clown”, s’intitola l’editoriale del Times, il secondo su questa vicenda dopo quello altrettanto duro del 18 maggio, pubblicato al primo posto fra i tre commenti del giorno nella pagina degli editoriali. “La qualità del governo Berlusconi non è una questione privata”, afferma il sottotitolo. “L’aspetto più sgradevole del comportamento di Silvio Berlusconi non è che è un pagliaccio sciovinista, né che corre dietro a donne di 50 anni più giovani di lui, abusando della sua posizione per offrire loro posti di lavoro come modelle, assistenti o perfino, assurdamente, come candidate al parlamento europeo”, comincia l’articolo. “Ciò che è più scioccante è il completo disprezzo con cui egli tratta l’opinione pubblica italiana. Il senile dongiovanni può trovare divertente agire da playboy, vantarsi delle sue conquiste, umiliare la moglie e fare commenti che molte donne troverebbero grottescamente inappropriati. Ma quando vengono poste domande legittime su relazioni scandalose e i giornali lo sfidano a spiegare legami che come minimo suscitano dubbi, la maschera del clown cala. Egli minaccia quei giornali, invoca la legge per difendere la propria ‘privacy’, pronuncia dichiarazioni evasive e contraddittorie, e poi melodrammaticamente promette di dimettersi se si scoprisse che mente”.

Il Times riconosce che la vita privata di Berlusconi è appunto un affare privato, ma osserva che, come è si è dovuto rendere conto Bill Clinton, scandali e alti incarichi pubblici non vanno d’accordo. “Molti potrebbero dire che l’Italia non è l’America, che l’etica puritana degli Stati Uniti non ha mai dominato la vita pubblica italiana, e che pochi italiani si scandalizzano davanti ai donnaioli. Ma questo è un ragionamento insensato e condiscendente. Gli italiani comprendono quanto gli americani cosa è accettabile e cosa non lo è. E, come gli americani, giudicano spregevole il cover-up”.

L’editoriale del quotidiano londinese nota quindi che pochi media in Italia possono fare simili affermazioni, senza timore di un castigo. “A suo merito, la Repubblica ha continuamente sollevato domande al primo ministro sulla sua relazione con Noemi Letizia, e alla maggior parte di queste domande non ci sono state risposte soddisfacenti. Quando e dove egli ha conosciuto la famiglia della ragazza? Mr. Berlusconi chiese di avere fotografie da un’agenzia di modelle per iniziare i contatti con la signorina Letizia? Che cosa c’è di vero sulle notizie di party con decine di giovani donne nella sua villa in Sardegna? Mr. Berlusconi ha promesso di spiegare tutto in parlamento. Ma non ha certo riassicurato i suoi critici con la sua iniziativa per bloccare la pubblicazione di 700 fotografie che potrebbero mostrare cosa succedeva a quei party. Né lo aiuta il suo sventurato ministro degli Esteri, che ha provato a difenderlo sottolineando che l’età per il consenso (a rapporti sessuali, ndr.) in Italia è 14 anni, come se ciò fosse rilevante”.

Qualcuno potrebbe dire, si conclude l’editoriale, che tutto ciò non riguarda i forestieri. Ma gli elettori italiani, alla vigilia delle elezioni europee, dovrebbero riflettere sul modo in cui è guidato il loro governo, sui candidati selezionati per Strasburgo e sul livello di sincerità del premier. E la faccenda “riguarda anche altri”, afferma il Times. “L’Italia ospita quest’anno il summit del G8, dove si discuterà di maggiore cooperazione nella lotta al terrorismo e al crimine internazionale. E’ un importante membro della Nato. Fa parte dell’eurozona, che è confrontata dalla crisi finanziaria globale. Non sono soltanto gli elettori italiani a domandarsi cosa sta succedendo. Se lo chiedono anche i perplessi alleati dell’Italia”.

Il Times pubblica anche una lunga corrispondenza dall’Italia, intitolata “Berlusconi blocca la pubblicazione di foto di giovani donne in bikini a un party nella sua villa”. Un articolo sul Financial Times, invece, osserva che “l’ondata di gossip” e “l’odore di scandalo” intorno a Berlusconi distolgono l’attenzione dell’opinione pubblica italiana da questioni ben più gravi, come le cattive notizie sull’andamento dell’economia italiana.

Una corrispondenza sul Daily Telegraph afferma che “gli alleati di Berlusconi mettono nel mirino la moglie” per il divorzio, con la rivelazione che Veronica Lario avrebbe un partner da tempo, fatta da Daniela Santanché sul quotidiano Libero. E l’Independent riporta le pesanti critiche fatte dal premio Nobel per la letteratura Josè Saramago, che hanno spinto la casa editrice Einaudi, “parte dell’impero Modandori di Berlusconi”, a non pubblicare il suo ultimo libro, che descrive tra l’altro il primo ministro come “un delinquente”.

Francia. Il quotidiano Libération dedica la copertina alla vicenda: “Lo scandalo alle calcagna” e nelle due pagine interne: “Rivelando la tresca il quotidiano Repubblica ha fatto vacillare la popolarità del presidente del consiglio. E’ una battaglia portata avanti nel nome di una certa concezione dell’interesse pubblico”.

Spagna. Il quotidiano El Pais torna a trattare la questione in una corrispondenza da Roma: “L’opposizione italiana chiede a Berlusconi che spieghi in parlamento se abbia portato nell’organizzazione elettorale del partito i suoi invitati delle feste private in Sardegna” e si chiede: “Berlusconi utilizza gli aerei ufficiali dello stato Italiano per portare gli artisti, ballerine e veline a Villa Certosa? Ha fatto uso improprio dei beni dello stato? È l’ultimo capitolo del Naomigate che ha trasformato l’Italia in un manicomio semplicemente portando allo scoperto l’abitudinaria mescolanza tra vita privata e pubblica di Berlusconi e la sua tendenza a conquistarsi amici e amiche dell’ambiente televisivo portandoli in quello politico”.

Sferzante il pezzo della Vanguardia: “La campagna elettorale per le Europee continua in Italia, astrusa e noiosissima, incapace di competere quanto a contestazioni, incanto mediatico, spessore del tema con la vita personale della stella più sgargiante della politica italiana degli ultimi quindici anni: Silvio Berlusconi. Nelle cerchia del potere si parla più di questa commediola che delle vicende poltico-continentali a Bruxelles. A volte diverte. La maggior parte delle volte preoccupa ed esaurisce tanta banale frivolezza”.

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Attualità democrazia Società e costume

“C’è ancora qualcuno che può pensare che questa sia la trama di un gossip e non la storia di un abuso di potere continuato, ora anche violento, e quindi una questione che scrolla la nostra democrazia?”

Il nuovo volto del potere di GIUSEPPE D’AVANZO -la Repubblica.

IL “caso Berlusconi” svela da oggi anche altro e di peggio. Ci mostra il dispositivo di un sistema politico dove la menzogna ha, non solo, un primato assoluto, ma una sua funzione specifica. Distruttiva, punitiva e creatrice allo stesso tempo. Distruttiva della trama stessa della realtà; punitiva della reputazione di chi, per ostinazione o ingenuità o professione, non occulta i “duri fatti”; creatrice di una narrazione fantastica che nega eventi, parole e luoghi per sostituirli con una scena di cartapesta popolata di fantasmi, falsi amori, immaginari complotti politici.

E’ stato per primo Silvio Berlusconi a muovere. Si scopre vulnerabile nelle condizioni di instabilità provocate dalle parole della moglie (“frequenta minorenni”, “non sta bene”) e fragile per la sua presenza nella peggiore periferia di Napoli a una festa di compleanno di una minorenne. E’ dunque costretto a mostrare, senza finzioni ideologiche, il suo potere nelle forme più spietate dell’abuso e della pura violenza. E’ già un abuso di potere (come ha scritto qui Alexander Stille) in un pomeriggio di autunno telefonare, da un palazzo di Roma e senza conoscerla, a una ragazzina che sta facendo i compiti nella sua “cameretta” per sussurrarle ammirazione per “il volto angelico” e inviti a conservare la sua “purezza”. E’ un abuso di potere ancora maggiore imporre ai genitori della ragazza di confermare la fiaba di “una decennale amicizia” con il premier, nata invece soltanto sette mesi prima grazie a un book fotografico finito non si sa come sullo scrittoio presidenziale.

E’ pura violenza pretendere che gli si creda quando dice: “Io non ho detto niente”. Tutti abbiamo sentito Berlusconi dire, spiegare, raccontare in pubblico e soprattutto contraddirsi e mentire. Ora egli pretende che il potere delle sue parole sulla realtà e sui nostri stessi ricordi sia, per noi, illimitato e indiscusso. Esige che noi dimentichiamo ciò che ricordiamo e crediamo vero ciò che egli dice vero e noi sappiamo bugiardo. Non ha detto niente, no? Berlusconi chiede la nostra ubbidienza passiva, l’assuefazione a ogni manipolazione anche la più pasticciata. Reclama una sterilizzazione mentale (e morale) dell’intera società italiana.

Già basterebbe questo atto di pura violenza per riproporre le dieci domande a cui il capo del governo non vuole dare risposta da più di due settimane perché, palesemente, non è in grado di farlo. Se lo facesse, potrebbe compromettere se stesso, rivelare abitudini e comportamenti in rumorosa contraddizione con il suo messaggio politico (Dio, patria, famiglia).
C’è altro, però. Berlusconi sa che questa prova di forza non lo mette al sicuro dal potenziale catastrofico della “crisi di Casoria”. Sa che spesso i fatti sono irriducibili e hanno la tendenza a riemergere. Sa che per distruggere quella realtà minacciosa, deve distruggere presto e nel modo più definitivo chi la può testimoniare. Anche in questo caso il premier ha deciso di muoversi con un canone di assoluta violenza. E’ quel che accade in queste ore. Per raccontarlo bisogna ricordare che i giorni non sono passati inutilmente perché hanno offerto a chi ha voglia di sapere e capire qualche accenno di “verità”.
Veronica Lario dice a Repubblica che il premier “frequenta minorenni”. Berlusconi nega dinanzi alle telecamere di Porta a porta di frequentare minorenni.
Mente, ora è chiaro. Ci inganna intenzionalmente e consapevolmente, ben sapendo che cosa vuole deliberatamente nascondere. Ha frequentato la minorenne di Napoli come altre minorenni hanno affollato le sue feste e affollano i suoi weekend nella villa di Punta Lada in Sardegna. Dov’erano quelli che oggi minimizzano la presenza di ragazzine alla corte di un anziano potente di 73 anni quando quel signore negava di “frequentare minorenni”?

Un secondo punto, fermo e indiscutibile, è l’inizio dell’amicizia con Noemi, la ragazza napoletana. La retrodatazione del legame tra il premier e la famiglia della ragazza al 1991 si è rivelata posticcia e contraddittoria. I suoi incontri con la minorenne, anche in assenza dei genitori, sono stati documentati (Villa Madama; Capodanno 2009 a Villa Certosa). L’inizio dell’affettuosa e paterna amicizia tra il capo del governo e la minorenne è stata testimoniata dall’ex-fidanzato della ragazza, confermato da una zia di Noemi, fissato nell’autunno del 2008.

Contro questi “punti fermi”, che lasciano il premier nudo con le sue bugie, si è scatenata una manovra utile a scomporre, ricomporre e confondere i fatti in un caleidoscopio mediatico di immagini false dove l’arma è la menzogna e gli armigeri sono i giornalisti stipendiati dal capo del governo, dimentichi di ogni deontologia professionale e trasformati in agenti provocatori; i corifei del leader, forti dell’immunità parlamentare e disposti a ogni calunnia. Buon’ultima Daniela Santanché che accetta di fare, nell’interesse del Capo, il lavoro sporco di diffamarne la moglie (“ha un compagno”). Chiunque, in questo affare, abbia portato il suo granellino di verità viene ora sottoposto a un pubblico rito di degradazione fabbricato con un violento uso della menzogna.

Il primo assalto è toccato a Repubblica investita, dall’editore all’ultimo cronista che si è occupato del “caso”, da un’onda di panzane. Prima il complotto politico (ma la polemica sulle veline è stata sollevata dal think tank di Gianfranco Fini). Poi la bubbola del pagamento del testimone (Gino Flaminio) che colloca la prima telefonata di Berlusconi a Noemi alla fine del 2008. L’accusa la grida in tv il ministro Bondi. Qualche giorno prima che un allegro commando di redattori del giornale della famiglia Berlusconi si scateni contro Flaminio allungandogli un paio di centoni “per l’incomodo” e realizzando la ridicola impresa di essere i soli a pagare l’ingenuo Gino. Che, anche se spaventato e intimorito, dice, ridice e conferma in tre occasioni di “non aver avuto un centesimo da Repubblica”. Non è finita. Uguale trattamento viene inflitto al fotografo che ha immortalato, nell’aeroporto di Olbia, lo sbarco da un aereo di Stato delle ragazze (alcune, appaiono da lontano minorenni) invitate a allietare il fine settimana del presidente del consiglio. Infilato prima in una trappola dall’house organ di Casa Berlusconi, denunciato poi per truffa (improbabile reato) dall’avvocato del premier, la procura di Roma decide di sequestrare sia le immagini illegittime (scattate verso il patio di Villa Certosa) sia le foto legittime (raccolte in un luogo pubblico).

Siamo solo all’interludio perché il colpo finale, la menzogna usata come manganello punitivo, viene riservato alla prima e più autorevole testimone dell’instabilità psicofisica del premier e dei suoi giorni con le minorenni: Veronica Lario. Daniela Santanché (non è un’amica della Lario, non frequenta la villa di Macherio) svela a Libero che “Veronica ha un compagno”. E, se “Veronica ha un compagno”, come possono essere attendibili i suoi rilievi al marito? Il cerchio ora è chiuso. Il pestaggio menzognero è completo, anche se non concluso. Ciascuno ha cominciato ad avere quel che si merita.

Questo spettacolo nero ha il suo significato politico. Berlusconi vuole insegnarci che, al di fuori della sua verità, non ce ne può essere un’altra. Vuole ricordarci che la memoria individuale e collettiva è a suo appannaggio, una sua proprietà, manipolabile a piacere. Si scorge nella “crisi di Casoria” un uso della menzogna come funzione distruttiva del potere che scongiura l’irruzione del reale e oscura i fatti. Si misura l’impiego dei media sotto controllo diretto o indiretto del premier come fabbrica di menzogne punitive di chi non si conforma (riflettano tutti coloro che ripetono che ormai il conflitto d’interesse è stato “assorbito” dal Paese). E’ il nuovo volto, finora nascosto, di un potere spietato. E’ il paradigma di una macchina politica che intimorisce. C’è ancora qualcuno che può pensare che questa sia la trama di un gossip e non la storia di un abuso di potere continuato, ora anche violento, e quindi una questione che scrolla la nostra democrazia? (Beh, buona giornata).

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democrazia

“Il gossip, lo show, il privato che fagocita il pubblico, i problemi veri semplificati fino a divenire non-problemi, dunque falsi problemi: questi i golem, e tutti provengono dalle officine del berlusconismo.”

Vacuità della politica di BARBARA SPINELLI-La Stampa.

Non è la prima volta che il presidente del Consiglio s’indigna per il trattamento che gli riservano i magistrati che lo processano, o i giornalisti che indagano sulla spregiudicatezza con cui mescola condotte private e pubbliche. S’indigna a tal punto che le due figure – il magistrato, il giornalista – sono equiparate a quella del delinquente: è avvenuto giovedì all’assemblea della Confesercenti. Le tre categorie sono assimilate a loro volta all’opposizione politica. Le accuse che vengono loro rivolte sono essenzialmente due. Primo, l’offesa al popolo sovrano, al consenso che esso ha dato alle urne e che imperturbato rinnova nei sondaggi. Secondo, la natura pretestuosa di tali attacchi antidemocratici: il primato dato alla forma sulla sostanza, ai problemi finti degli italiani su quelli veri, allo show sulla realtà, al gossip sulla politica del leader.

L’accusa va presa sul serio, perché il premier ha costruito il proprio carisma sulla maestria dello show e non ha concorrenti in materia. In particolare sa abbandonarlo, se serve, e presentare l’avversario come vero manipolatore della società dello spettacolo. Come ha scritto Carlo Galli, «il suo vero potere è sul linguaggio e sull’immaginario»: qui è l’egemonia che dagli Anni 80 esercita sul senso comune degli italiani, e che l’opposizione non ha imparato a scalfire (la Repubblica 25 maggio).
Ma qualcosa si va scheggiando, in questo perfetto potere d’influenza, come accade agli apprendisti stregoni che non dominano più interamente i golem fabbricati.

Il gossip, lo show, il privato che fagocita il pubblico, i problemi veri semplificati fino a divenire non-problemi, dunque falsi problemi: questi i golem, e tutti provengono dalle officine del berlusconismo. Sono la stoffa della sua ascesa, gli ingredienti della sua egemonia culturale in Italia. Quel che succede oggi è una nemesi: il problema finto divora quello vero, show e gossip colpiscono chi li ha messi sul trono. All’estero la condanna è dura. Non da oggi, certo: l’Economist lo giudicò «inadatto a governare» il 28 aprile 2001, sono passati anni e Berlusconi resta forte. Ma lo sguardo esterno stavolta s’accanisce, perché finzioni e non-verità si accumulano.

Il fatto è che nel frattempo il mondo è cambiato, attorno a lui. Berlusconi è figlio di un’epoca di vacuità della politica: il mercato la scavalcava impunemente, ignorando ogni regola; l’imprenditore-speculatore sembrava più lungimirante e realista del politico di professione. Il liberalismo dogmatico regnò per decenni, e Berlusconi fu una sua escrescenza. Ma questo mondo giace oggi davanti a noi, squassato dalla crisi divampata nel 2008. La regola e la norma tornano a essere importanti, il realismo dei boss della finanza è screditato, la domanda di politica cresce. È quel che Fini presagisce: senza dirlo si esercita in toni presidenziali, conscio del prestigio miracolosamente sopravvissuto del Colle. La crisi del 2007-2008 è sfociata in America nella sconfitta di Bush, ma quel che Pierluigi Bersani ha detto in una recente conferenza è verosimile: «Il capitalismo non finisce, ma finisce una fase ad impronta liberista della globalizzazione. E non finisce perché c’è Obama, ma c’è Obama perché finisce».

Questo spiega come mai Berlusconi – a seguito della sentenza Mills che lo indica come corruttore di testimoni e della vicenda Noemi in cui appare come boss che esibisce private sregolatezze fino a sfidare il tabù della minorenne – irrita più che mai chi ci guarda da fuori. Un’irritazione che si accentua di fronte ai troppi nascondimenti della verità: nel caso Mills la verità di sentenze che non sono tutte di assoluzione ma anche di prescrizione o assenza di prove; nel caso Noemi la verità di incontri poco chiari. Non dimentichiamolo: quando si incolpano le bolle, finanziarie o politiche, è di menzogne e sortilegi che si parla.

Quel che finisce, attorno a noi, è la negligenza dell’imperio della legge, della rule of law. Non tramonta solo il dogma del mercato onnisciente ma la figura del sovrano-boss, eletto per stare sopra le leggi, i magistrati, le costituzioni, le istituzioni. La fusione tra il suo interesse-piacere privato e il suo agire pubblico diventa un male non più minore ma maggiore, perché nelle democrazie c’è sete di regole e istituzioni, dopo lo sfascio, e non di favole ottimiste ma di realtà e verità. C’è bisogno di gesti fattivi e antiburocratici come la presenza in Abruzzo o a Napoli sui rifiuti, ma c’è anche bisogno di cose che durino più di una legislatura e non siano bolle. È utile osservare l’America, oggi: l’immenso sforzo pedagogico che sta compiendo Obama, per convincere i cittadini che il breve termine è letale, che la Costituzione e le norme devono durare più dei politici.

Deve poter durare il sistema di checks and balances innanzitutto: l’equilibrio tra poteri egualmente forti e indipendenti. Il presidente americano sta riconquistando l’egemonia della parola, con linguaggio semplice e vera passione pedagogica. Il suo discorso su Guantanamo e terrorismo, il 21 maggio, lo conferma: «Nel nostro sistema di pesi e contrappesi, ci deve essere sempre qualcuno che controlli il controllore. \ Tratterò sempre il Congresso e la giustizia come rami del governo di eguale rango». Berlusconi va oggi controcorrente: all’estero non ha altra sponda se non quella di Putin, figura tipica di politico-boss.

Tuttavia la società italiana gli crede ancora, e questo consenso varrà la pena studiarlo, con la stessa umile immedesimazione mostrata da Obama. Varrà la pena studiare perché gli italiani somigliano tanto ai russi, come se anch’essi avessero alle spalle regimi disastrosi. Perché tanta sfiducia verso le regole, lo Stato, la res publica. Non esiste una congenita debolezza morale degli italiani, e dunque occorre capire come mai la politica è così profondamente sprezzata, il conflitto così radicalmente temuto. La tesi esposta più di vent’anni fa dallo studioso Carlo Marletti è tuttora valida: è vero che da noi esiste un «eccesso di pluralismo e complessità che le istituzioni legali non semplificano» adeguatamente. E che al loro posto si sono installate auto-organizzazioni informali, claniche o familiste, che non sono arcaiche ma si sono adattate alla modernità meglio di altre. Marletti spiega come lo sviluppo industriale si sia mescolato alla criminalità organizzata e come si siano creati, in assenza di uno Stato che semplifichi la complessità, meccanismi di semplificazione sostitutivi, solidaristico-clientelari, «di tipo nero o sommerso» (Marletti, Media e politica, Franco Angeli, 1984).

Berlusconi prometteva questa fuga nella semplificazione deviante, meno ingarbugliata che ai tempi della Dc. Secondo il filosofo Václav Belohradsky, essa è basata sul prevalere dei fini personali o corporativi sui mezzi che sono le norme prescritte a chi vuol realizzare tali fini. Tra i due elementi è saltata ogni coerenza ed è il motivo per cui l’Italia vive nell’anomia sociale, come fosse fuori-legge.

In Italia accade questo: le mete del singolo sono tutto, le norme nulla. La legalità vale per gli altri (i clandestini), non per noi, scrive Carlo Galli. Per noi le leggi sono d’impedimento: quelle italiane e anche quelle dell’Unione Europea, come ha ripetuto Berlusconi alla Confesercenti. L’opposizione potrebbe ripartire da qui: dalle norme pericolosamente sprezzate, dall’Europa che il governo finge di poter aggirare senza rischi, dalla sovranità nazionale che esso finge di possedere, a cominciare dal clima. La commistione privato-pubblico ha condotto a tutto questo, non è solo la storia di un padre, di una moglie mortificata, dei loro figli. I più preveggenti dicono: dopo la crisi il mondo non sarà più eguale. Berlusconi promette di conservarlo: anche questo è bolla, ed è spinta rivoluzionaria che si sta esaurendo. (Beh, buona giornata).

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