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Questo bisogna leggerlo due volte. Perché è quello ci aspetta.

L’ultima sfida del Cavaliere al Quirinale, di EUGENIO SCALFARI-la Repubblica

OGGI bisognerebbe parlare delle famose riforme. Ne parlano tutti: la Lega che vuole il federalismo compiuto e si acconcia a farlo marciare insieme al presidenzialismo e alla “grande grande” riforma della giustizia per tenere agganciato Berlusconi; l’opposizione che si dichiara disponibile a leggere le carte del centrodestra per giudicarle nel merito ma intanto pone come pregiudiziale provvedimenti economici a sostegno dei consumi e dei redditi più bassi; il ministro dell’Economia che preannuncia entro tre anni la “madre delle riforme”, quella del fisco “dalle persone alle cose”; il presidente del Consiglio che, tra tutte, rilancia il presidenzialismo nelle sue varie versioni possibili e in particolare quella francese ma senza modificare la legge elettorale vigente in Italia. Infine ne ha parlato Giorgio Napolitano in varie recenti occasioni, l’ultima delle quali venerdì scorso da Verona.

Che cosa ha detto Napolitano? Ha detto che è necessario modernizzare lo Stato, che il federalismo è la prospettiva concreta per iniziare questo percorso, che esso deve essere concepito come uno strumento di autonomia delle istituzioni locali e deve servire a rafforzare l’unità del paese e la perequazione tra le sue aree territoriali. Di fronte a questo compito, di per sé immane, la riforma della “governance” del paese passa in seconda linea (così ha detto Napolitano) nell’ordine delle priorità perché rischia di introdurre nuovi elementi di divisione e di confusione.

In questi stessi giorni il presidente della Repubblica ha rinviato alle Camere la legge sui contratti di lavoro da lui considerata inadeguata e per certi aspetti di dubbia costituzionalità; ha invece promulgato quella sul legittimo impedimento nonostante i rilievi di presunte incostituzionalità formulati da tutta l’opposizione, da molti giuristi e dalla magistratura associata.
Insomma una miriade di tesi, ipotesi, convergenze, divergenze tra gli opposti schieramenti e all’interno dei medesimi; una crescente confusione di lingue e di interessi che alimenta l’indifferenza ostile dei cittadini e la loro separazione dalla politica e dalle istituzioni.

Emerge comunque la volontà berlusconiana di dare una spallata definitiva alla Costituzione repubblicana sostituendola con un regime autoritario, un Parlamento di “cloni” plebiscitati, un potere giudiziario frantumato e subordinato all’esecutivo. Questo sbocco era inevitabile, è stato covato negli scorsi dieci anni ed ora da quelle uova non usciranno teneri pulcini ma serpenti a sonagli.
In uno degli angoli del ring c’è Silvio Berlusconi, nell’altro, almeno per il momento, nessuno, o meglio un capannello di persone niente affatto concordi tra loro dalle quali sembra difficile estrarre un valido “competitor”.

Giorgio Napolitano dovrebbe arbitrare la partita dalla quale potrebbe uscire una Repubblica ammodernata ma fedele ai principi dello Stato di diritto e della libertà, oppure un autoritarismo plebiscitario. L’arbitro potrà compiere il suo ufficio in assenza di uno dei due “competitors”? Oppure finirà, contro le sue intenzioni, col prender lui il posto nell’altro angolo del ring? E quale sarà in tal caso il finale di partita?

* * *

Il sipario si apre su tre scenari. Il primo si svolge il 1° aprile al Quirinale. Colloquio Napolitano-Berlusconi, presente Letta. Comincia distesamente ma si conclude nel gelo più assoluto. Il premier mette sotto accusa lo staff giuridico di Napolitano il quale gli risponde che si tratta di “validissimi servitori dello Stato” che collaborano con lui per valutare la conformità delle leggi con la Costituzione. Il premier rinnova le critiche, Napolitano ritiene concluso l’incontro e lo congeda. Poche ore dopo arriva da Palazzo Chigi una telefonata del premier che si scusa delle parole “sopra le righe” che attribuisce al nervosismo e allo stress della campagna elettorale da poco conclusa. “Non si ripeterà mai più” promette. “Ha la mia parola”.

La seconda scena viene recitata a Parigi. Accanto ad un Sarkozy alquanto stupito da quel che sente in traduzione nel suo auricolare, il premier italiano annuncia “la riforma delle riforme”: proporrà agli italiani il semipresidenzialismo alla francese, ma con una variante non da poco, la legge elettorale resterà quella attuale con i parlamentari indicati dagli apparati dei partiti e voterà il giorno stesso in cui si vota per il capo dello Stato con suffragio popolare diretto.

Quello stesso giorno, 9 aprile, prima di partire per Parigi Berlusconi aveva chiamato il Quirinale per ringraziare Napolitano d’aver promulgato la legge sul legittimo impedimento; gli aveva preannunciato che la stagione della riforme era finalmente arrivata. Tra queste ci sarebbe anche stata la proposta del semipresidenzialismo da lui “ripescata soltanto per fare un favore a Fini”.

Ma parlando poche ore dopo da Parigi si era visto che non si trattava affatto di un ripescaggio (dal quale peraltro Fini si era immediatamente e clamorosamente smarcato) bensì di un obiettivo a lungo coltivato e gettato sul tavolo subito dopo le Regionali per farlo accettare dalla Lega in cambio del federalismo. B. B., Berlusconi e Bossi. Due alleati o due compari? Presidenzialismo e federalismo regionale. Tasse da ridurre nelle aliquote dell’Irpef e nello spostamento “dalle persone alle cose”.
Che vuol dire? Le cose sono gli immobili, gli oggetti, i beni e i servizi acquistati, cioè i consumi. L’elemento della progressività scompare nelle tasse sui consumi.
Comunque per ora non si entra nei dettagli, ci penserà Tremonti tra tre anni sempre che, tra tre anni, la crisi sia terminata o non invece tuttora in pieno svolgimento dal punto di vista dell’occupazione e del reddito, come molti osservatori qualificati prevedono. Quel che è certo, Tremonti dovrà rientrare di almeno mezzo punto di deficit nel 2011 e di tre quarti di punto nel 2012, vale a dire rispettivamente di 8 e di 12 miliardi. Come antipasto all’abbattimento delle imposte non sembra affatto appetitoso.

* * *

La terza scena va in onda ieri dal convegno confindustriale di Parma. A mezzogiorno e mezza Berlusconi comincia l’arringa, diretta ad una platea di industriali piccoli, medi, grandi. Marcegaglia in prima fila col suo discorso in tasca che sarà pronunciato subito dopo quello del premier.
Il quale comincia come al solito: la crisi è finita o quasi, il declino non c’è stato e non ci sarà, l’economia italiana è competitiva più di tutte le altre in Europa, la società è coesa, le esportazioni vanno bene e andranno sempre meglio se sapranno dirigersi verso la Cina, l’India, la Russia. Le tasse ovviamente saranno abbassate e gli ammortizzatori sociali sono operanti e sufficienti.

Tremonti è al timone e fa benissimo. Il programma del Pdl e quello della Confindustria sono assolutamente identici “perciò qui sono a casa mia”.
Segue la consueta illustrazione dei meriti acquisiti dal governo: l’Ici abolita, l’Alitalia salvata, i rifiuti di Napoli risolti, il terremoto dell’Aquila eccetera. Ma…
Ma da un certo momento in poi l’oratore passa bruscamente dal regno dell’amore a quello dell’odio. Chi l’ha visto a Parma ne descrive il volto di nuovo contratto sotto il cerone e i capelli dipinti sulla fronte. Nei telegiornali non ce n’è traccia perché quei passaggi sono stati “silenziati”.

Nelle agenzie addirittura omessi.
Perciò ricorriamo al testo letterale, talvolta la pura cronaca si commenta da sola.
“Il governo italiano non è in grado di governare nel quadro del sistema vigente. Non può paragonarsi a nessun altro governo europeo da questo punto di vista. L’esecutivo non ha alcun potere; i disegni di legge vanno in esame alle Commissioni della Camera, poi in aula, poi al Senato.
“Nessuno dei due rami del Parlamento accetta di approvare lo stesso identico testo approvato dall’altro; lo deve dunque modificare a sua volta. Finalmente, una volta approvato dal Parlamento, quel testo, che non corrisponde più a quello inizialmente preparato dal governo, viene comunque rallentato dalle burocrazie nazionali e regionali. Senza dire, come antefatto, che il testo viene preliminarmente sottoposto al presidente della Repubblica e al suo staff che ne controlla addirittura gli aggettivi”.

Segue un attacco in grande stile – non nuovo e perciò ancor più grave perché ripetuto in ogni occasione e perfino il giorno prima da Parigi per il sollazzo dei francesi – contro la Corte costituzionale, colpevole perché “essendo di sinistra e quindi politicizzata, annulla tutte le leggi e le sentenze che non piacciono ai pubblici ministeri, anch’essi politicizzati”.
Siamo in pieno Caimano. Gli industriali vorrebbero che si parlasse dei loro problemi, la Marcegaglia lo dirà subito dopo a muso duro. Vorrebbero almeno un fondo di due miliardi e mezzo per tenere il mare agitato del 2010.

Ma a sentirlo attaccare la sua burocrazia, la sua Camera e il suo Senato, dove domina con maggioranze bulgare, comunque lo applaudono. Attacca i suoi perché li disprezza. Anche la platea di Parma li disprezza ed è divertita e soddisfatta dallo spettacolo vagamente schizofrenico. La doppia o tripla o quadrupla personalità del premier piace a quella platea.
Ho visto venerdì sera in Sky tivù un vecchio film di Dino Risi con Tognazzi e Gassman protagonisti. Uno fa il giudice istruttore e l’altro un imprenditore cialtrone e corruttore. Fu prodotto nel 1980, sembra scritto oggi sulla misura di Berlusconi.

* * *

Quelle frasi di Parma, nonostante il silenzio delle agenzie e dei telegiornali ufficiali, arrivano naturalmente alle orecchie del Quirinale. Si racconta che il Presidente ne sia rimasto stupefatto e indignato. Si è fatto chiamare al telefono Gianni Letta e gli ha chiesto conto di quanto aveva appena udito.
Pare che la risposta di Letta sia stata: “Non sapevo nulla. Ho udito anch’io. Le faccio le mie personali scuse”.
E pare che la risposta del Presidente sia stata: “Le sue scuse personali non risolvono la questione. Se non si trattasse del presidente del Consiglio ma di una qualunque altra persona dovrei dire che siamo in presenza di un bugiardo che dice una cosa al mattino e fa l’opposto la sera oppure d’una persona dissociata e afflitta da disturbi schizoidi”.

Ho scritto “pare” perché trattandosi di un colloquio telefonico tra due soggetti eminenti, le parole sopra riferite non possono che venire da amici intimi dell’uno o dell’altro. Perciò bisogna scrivere “pare” anche se si ha certezza che il colloquio sia stato nella sostanza di questo tenore.
È inutile soggiungere che un sottosegretario alla Presidenza del Consiglio che sente di doversi scusare a titolo personale per quanto detto poco prima dal suo premier, dovrebbe avere un soprassalto morale e dimettersi dall’incarico. Ma è altrettanto inutile aspettarsi da Letta un atto del genere e se gli chiederete perché vi risponderà che resta dove è per cercare di limitare i danni.
L’ipocrisia è il vero sentimento che governa il mondo.

* * *

Io credo – l’avevo già scritto domenica scorsa ma “repetita iuvant” – che i nodi sono arrivati al pettine e il tempo da qui allo “showdown” si sia raccorciato. Prima ci saranno i decreti attuativi della legge sul federalismo e la “grande grande” riforma della giustizia, intercettazioni comprese.
La squadra “occhiuta” del Quirinale “che controlla anche gli aggettivi” farà i suoi rilievi ma nei punti che interessano la Costituzione i rilievi non ci sono per definizione: dopo la doppia lettura in Parlamento la legge approvata a maggioranza semplice va al referendum confermativo se è impugnata da un quinto dei parlamentari.

Il secondo round ci sarà con la presentazione della legge sul presidenzialismo alla francese ma con la legge elettorale “porcellum” preparata a suo tempo da Calderoli.
Ed anche qui il referendum, se richiesto da un quinto del Parlamento.
E tuttavia queste riforme, a differenza di tutte le altre fin qui discusse, non sono semplici modifiche realizzate nei limiti dell’articolo 138 della Costituzione.
Queste riforme cambiano il volto della Repubblica perché distruggono lo Stato di diritto, alterano l’equilibrio dei poteri e la loro reciproca autonomia, ne subordinano uno o due al terzo prevalente. Devastano la giurisdizione, la legislazione, i poteri di controllo.

Mettono al vertice dello Stato un personaggio eletto da un plebiscito. Per cinque anni rinnovabili fino a dieci.
Questo scontro si concluderà nel 2011, ma comincerà tra meno di un mese. L’opposizione è divisa perché c’è ancora chi spera di prendere qualche voto in più tra tre anni attaccando fin d’ora Napolitano. “Deus dementet qui vult pervere”.
Credo di sapere che Napolitano deve e vuole restare al di sopra delle parti perché quel capitale sarà il solo a poter far inclinare il piatto della bilancia dalla parte giusta e non da quella terribilmente sbagliata.

Credo di sapere, anzi di prevedere, che contro le sue intenzioni, sul ring a contrastare un vero e proprio “golpe bianco” ci sarà lui. Non in veste di giocatore ma in veste di arbitro di fronte a chi contesta gli arbitri, i soli che possano richiamarlo a rispettare le regole del gioco.
Credo di sapere e di prevedere che sarà una durissima battaglia per la democrazia italiana. (beh, buona giornata).

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democrazia Leggi e diritto Popoli e politiche

George W. Bush,Donald Rumsfeld e Dick Cheney dovrebbero essere deportati a Guantanamo. Senza processo. Manco quello di Norinberga.

GUANTANAMO: BUSH SAPEVA DI CENTINAIA PRIGIONERI INNOCENTI-Agi
Malgrado George W. Bush, il capo del Pentagono Donald Rumsfeld e il vicepresidente Dick Cheney sapessero che centinaia di innocenti erano stati deportate a Guantanamo non fecero nulla per liberarli. Il tutto per non compromettere la legittimita’ dell’invasione dell’Iraq e della guerra al terrorismo. E’ quanto sostiene, secondo Il Times, il colonnello Lawrence Wilkerson, capo dello staff dell’allora segretario di Stato, Colin Powell . Beh, buona giornata.

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democrazia Popoli e politiche

Siamo un Paese in imminente pericolo di vita.

Il falso mito del risultato elettorale già scritto. Ma solo dopo- da Bussole, di Ilvo Diamanti. (repubblica.it)

Oggi che le classi sociali hanno perso visibilità e forse sono perfino scomparse, confuse in mezzo a una moltitudine di individui. E le ideologie sembrano ridotte a leggende perdute nel tempo. Oggi, in politica, si evocano altre definizioni. Meno suggestive, meno epiche, ma comunque eloquenti. Capaci di spezzare. Distinguere. Stigmatizzare. Dividere il mondo. Per esempio: gli aristocratici e il popolo. Con tre p. Oppure la gente. Con quattro g. I radical chic e i radical choc. La sinistra dei salotti e la destra delle partite IVA e delle piccole imprese. Quelli che parlano di cultura tra Uomini di Cultura – rigorosamente con le iniziali maiuscole – e quelli che parlano dei problemi di tutti i giorni nella vita di tutti i giorni con le persone comuni. Quelli dell’Alta Finanza e quelli che hanno i calli alle mani. Insomma: definizioni di senso comune dette in modo diretto. Capaci di tracciare confini chiari e netti. Per riprodurre la distanza fra Noi e Loro. Amici e nemici. Senza possibilità di dialogo, ma che dico?, di sguardo reciproco. Ciascuno per la sua strada, dalla sua parte della strada. Senza neppure pensare di attraversarla.

Così, i “populisti” – orgogliosi di essere tali, dalla parte del popolo, di quelli che faticano e si sporcano le mani – guardano gli “elitisti” e gli aristocratici da lontano. Come animali rari. La destra popolare e la sinistra impopolare. Condannata – e rassegnata – a perdere le elezioni. Tutte le elezioni. Sempre. Senza speranza. E viceversa. Gli aristocratici, chiusi nei loro salotti e nei loro circoli culturali, tra loro, lontano dal vociare del popolo minuto. Il ventre di questa società imbarbarita dal benessere e dalla televisione. Che la sinistra aristocratica osserva con malcelata insofferenza. Così tutto pare congelato. Vincitori e vinti predestinati, in competizioni elettorali non competitive. Dall’esito scontato.

Non c’è luce, in questo scenario senza luce. In questa rappresentazione ideologica. Tanto ideologica, però, da occultare la realtà. Fino a negarla. Come spiegare, altrimenti, comportamenti ed esiti elettorali tanto diversi in poco tempo? Nello stesso giorno? La sinistra sconfitta nel 1994 vittoriosa nel 1996; di nuovo sconfitta nel 2001 e poi di nuovo vittoriosa, in tutte le elezioni successive, fino al 2006. Per poi subire l’insuccesso nel 2008 e le battute d’arresto successive. E, dall’altra parte, come spiegare le vicende altalenanti di Berlusconi, One Man Show.

Che, dopo il 1994, solo “insieme” alla Lega. Nel 2000, nel 2001, nel 2008. E solo “grazie” alla Lega, alle regionali di 10 giorni fa. La Lega, per sua parte, oggi appare invincibile. Eppure ha perso tante volte, da quando è sorta. È cresciuta e poi si è ristretta. Dall’8% nel 1992 al 10% nel 1996: 3-4 milioni di voti. Poi è crollata negli anni seguenti.. Ha tenuto a fatica il 4%. Per poi risalire, dopo il 2006. Fino a raggiungere e sfondare, negli ultimi 3 anni, la barriera del 10%. Senza però produrre la valanga di voti degli anni Novanta.

E come spiegare, con la teoria del Popolo con tre p, lontano dalle èlite, che quel popolo, lo stesso popolo, lo stesso giorno, il 28 marzo scorso, ha votato diversamente, molto diversamente, per la Regione e il Municipio? A Venezia e a Lecco, per esempio: i voti leghisti, alle regionali, si sono tradotti in sostegno ai sindaci di centrosinistra.
Perché, ha suggerito qualcuno, le città sono radical chic. Affollate di borghesi e intellettuali da salotti. Ma, allora, Verona? Governata dalla Lega? Dubitiamo che, se si fosse votato per il Comune, due settimane fa, i cittadini avrebbero votato diversamente.
I benpensanti e i malpensanti, i salotti e le partite IVA, la società civile e la società reale. Queste definizioni dirette, per quanto suggestive e di senso comune, sono molto più ideologiche delle vecchie ideologie. Aiutano a coltivare l’etica dell’irresponsabilità. Non spiegano ma rassicurano. Non aiutano a distinguere, ma soddisfano gli istinti. Sono autoconsolatorie. Ti convincono che se perdi non è colpa tua. Ma della gente. Del popolo. Oppure degli intellettuali, dei poteri forti. Del destino cinico e baro. Storie già scritte, dove la politica e gli uomini non contano. Storie senza pathos e senza epica. Troppo scontate per essere vere. Sono attraenti e insidiose. Soprattutto per chi ha per ha perso. (Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia

Fascistelli.

Gianfranco Fini e soci corrono ai ripari. Sotto l’ala protettiva del Cavaliere. Hanno tentato un 25 Luglio ’43, ma siccome il 29 marzo 2010 gli ha dato torto, essi corrono, eccome corrono. Il Duce è il duce: magari mandan giù un poco di olio di ricino, ma poi vanno (non solo di corpo) ma anche con l’anima verso il Capo. Son fascisti, mica cazzi. E’ solo qualche buontempone della sinistra che aveva creduto nella leggenda metropolitana di una Destra democratica. Democratica? Ma chi se ne frega della democrazia: quella era solo Polverini per gli occhi. Beh, buona giornata.

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democrazia Leggi e diritto Popoli e politiche

Acqua.

A partire dal 24 aprile 2010 inizierà la raccolta delle firme per il referendum contro la privatizzazione dell’acqua pubblica. Se si raggiungeranno le 500mila, nella primavera del 2011, scatterà il referendum. Ecco i tre punti:
-abrogare l’art 23 bis che prevede che le società, per poter fornire servizi idrici, si debbano trasformare in aziende miste con capitale privato al 40%:
-abrogare l’articolo 150 del decreto legislativo 152/2006 che prevede, come unico modo per ottenere l’affidamento di un servizio idrico, la gara e la gestione attraverso società per azioni;
-abrogare l’articolo 154, nella parte in cui si impone al gestore di ottenere profitti garantiti sulla tariffa, caricando sulla bolletta dei cittadini un 7% in più.

Il referendum è promosso dal Forum italiano dei movimenti dell’acqua. Il Forum rappresenta la più vasta coalizione associativa formale mai esistita. Cento comitati locali, sessanta associazioni, i cattolici, gli ambientalisti, i sindacati. E i partiti, che svolgono una funzione di supporto. Non tutti militanti di professione, però. Piuttosto, molti di loro si dichiarano parte degli “astenuti” alle regionali del 2010. I numeri.

I riscontri concreti di quanto nocivo sia privatizzare la gestione dell’acqua ci sono già. Da quando è cominciata l’escalation qualcosa è peggiorato. Ecco i numeri: il prezzo dell’acqua è salito del 68% a fronte del 22% registrato dal dato sull’inflazione. Gli investimenti privati nel settore idrico sono calati (da 2miliardi a 700mila euro l’anno) mentre l’occupazione nel settore idrico è diminuita del 30% e lo spreco annuo è aumentato di più del 20%. Beh, buona giornata.

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democrazia Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

Altro che percentuali elettorali: la disoccupazione giovanile in Italia è al 28,2 per cento.

Vola a febbraio il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni), attestandosi a quota 28,2%. La disoccupazione tra i giovani cresce di 0,8 punti percentuali rispetto a gennaio e di 4 punti percentuali rispetto a febbraio 2009. Lo rende noto l’Istat nella stima provvisoria di febbraio relativa a occupati e disoccupati. I tecnici dell’Istituto sottolineano che il tasso italiano è superiore di 7,6 punti rispetto a quello relativo alla Ue-27 (20,6%). Resta stabile invece il tasso complessivo a 8,5%, con una variazione congiunturale nulla ma in crescita di 1,2 punti percentuali rispetto a febbraio 2009. Il mese scorso sono stati persi 395 mila posti di lavoro. A perdere il lavoro sono stati soprattutto gli uomini: 294 mila a fronte di 101mila donne. Beh, buona giornata.

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Attualità democrazia

Elezioni regionali: ha vinto l’antiberlusconismo dei berlusconisti.

Silvio Berlusconi giosce dopo il risultato elettorale che ha visto il centrodestra vincere in sei regioni. E non esita a dare la sua lettura del voto: l’attività di governo è stata premiata, ora avanti con le riforme.

Però, fa finta di non capire l’avanzata dello “tsunami Lega” in Veneto, Lombardia e Piemonte: “L’alleanza è garanzia di rinnovamento”, taglia corto il premier. Poi lo slogan degli ultimi mesi: “L’amore ha vinto sull’invidia e sull’odio, gli elettori ci hanno dato ragione”. Invidia e odio? E la finiana Polverini nel Lazio? Beh, buona giornata.

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Attualità democrazia

Brunetta lo nomi(nano), mica lo votano.

I cittadini di Venezia, che avevano già bocciato Brunetta dieci anni fa, quando si era candidato a sindaco contro Paolo Costa, non lo hanno votato. Come non hanno digerito il doppio incarico di ministro e di sindaco che Brunetta aveva annunciato di voler mantenere in caso di vittoria. Questa la triste storia di un piccolo fannullone della politica italiana. Beh, buona giornata.

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Attualità democrazia Media e tecnologia Popoli e politiche

Berlusconi bacia le mani a Gheddafi. Voscienza sa benedica?

Il presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi si ferma per baciare la mano del dittatore libico Muammar Gheddafi. La scena, alla quale hanno assistito i partecipanti al vertice della Lega Araba a Sirte, è al centro di ironie e polemiche sulla stampa internazionale: inchinarsi a un leader controverso come Gheddafi stona con il tentativo del premier italiano di accreditarsi come il miglior amico di Israele in Europa.

Dell’episodio del baciamano ha parlato, tra gli altri, il quotidiano inglese The Guardian. La televisione iraniana Press Tv ha pubblicato il video e un fermo immagine del bacio sul suo sito internet.

Non è l’unica gaffe nella quale è incorso il premer durante il vertice libico: ieri gli obiettivi dei fotografi lo avevano colto mentre si assopiva durante i discorsi ufficiali. E il ministro degli Esteri Frattini? Beh, buona giornata.

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Attualità democrazia

Polverini, Berlusconi e lo ius primae noctis.

«Sai che ho lo ius primae noctis sulle nostre candidate. È scritto nello statuto del Pdl». Il presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, scherza con Renata Polverini, candidata del centrodestra alla guida della Regione Lazio, nel comizio di chiusura della campagna elettorale del Pdl. Contenta lei ?! Beh, buona giornata.

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democrazia Media e tecnologia

E adesso vogliono licenziare Santoro.

“Alla luce delle ultime evenienze”, scrive Mauro Masi riferendosi alla serata di “Rai per una notte”. Il direttore generale ha mandato ieri mattina una lettera formale al presidente del Cda Paolo Garimberti e ai consiglieri per chiedere una riunione ad hoc e straordinaria sulla situazione complessiva “legata al signor Michele Santoro”. Viale Mazzini dovrebbe cioè valutare se i comportamenti del conduttore danneggiano o meno “la credibilità dell’azienda” e se il suo contratto “al di là di ogni giudizio di merito, travalica i limiti della gestione ordinaria e dei poteri del direttore generale”. In parole povere, significa che è partito l’attacco finale a Santoro. Obiettivo: la risoluzione del contratto. Ovvero, la cacciata dalla Rai.
(Beh, buona giornata).

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Raiperunanotte: “Come se tutto quello che non si è potuto mai dire avesse trovato all’improvviso una finestra, uno sfogo impensato e impensabile.”

Un’altra Italia in tivù-l’espressonline.it
Raiperunanotte è stato un grande rito di liberazione collettiva. Lontano dalle censure e dal linguaggio ovattato di Rai e Mediaset. E ha messo a nudo la claustrofobia e il torpore in cui viviamo da troppi anni E’ stato un grande rito di liberazione collettiva. E’ stata una notte in cui in televisione si è potuto dire, per una volta, tutto quello a cui di solito non si può nemmeno accennare, tutto quello che è frenato dalle mille cautele dell’autocensura o dalle censure dirette dei grandi broadcaster.

E’ stata un’anomala puntata di “Annozero” che ha visto riapparire volti scomparsi dal monoscopio da tempo, come Daniele Luttazzi, con la sua comicità estrema. Che ha visto le argomentazioni lucide e pacate, seppur amareggiate, di Giovanni Floris e di Gad Lerner. Che ha visto la comicità surreale di Cornacchione giocare al rovescio sul partito dell’amore. E che ha trasmesso, recitate da voci di attori, le spaventose pressioni del premier all’Authority per le comunicazioni perché censurasse Santoro: quelle che le televisioni di Stato o direttamente in mano al premier si sono ben guardate dal rendere note, tanto meno in campagna elettorale.

Ma Raiperunanotte, la manifestazione-trasmissione per la libertà di stampa che è arrivata attraverso Internet o altri canali in centinaia di piazze e teatri e in centinaia di migliaia di case, è stato anche il battesimo di una nuova televisione: quella che non ha paura, quella che è forse normale in tutti i paesi dell’occidente, ma che da noi è diventato impossibile fare.

Non si sa ancora se è una televisione possibile, o se rimarrà l’esperienza di una sera: ma guardando e ascoltando gli ospiti di Santoro parlare, veniva da chiedersi che cosa sarebbe oggi l’Italia se per quindici anni non fosse stata anestetizzata da una comunicazione omologata, paludata, autocensurata anche nelle trasmissioni meno controllabili dal governo, come quelle di Floris e Santoro. Veniva da chiedersi che cosa sarebbe oggi l’Italia se i telegiornali non fossero – sempre, anche nei periodi in cui Berlusconi non è stato al governo – dei grandi silenziatori e degli inesorabili frenatori.

E’ stato, appunto, un grande rito di liberazione collettiva. Come se tutto quello che non si è potuto mai dire avesse trovato all’improvviso una finestra, uno sfogo impensato e impensabile.

A chi non è più un ragazzo, Raiperunanotte ha ricordato una storica trasmissione di Dario Fo, andata in onda a metà degli anni Settanta. Quando, dopo vent’anni di lontananza dalla Rai, lo scrittore e comico milanese ebbe la possibilità di portare il suo teatro sulla neonata Raidue. Allora il futuro premio Nobel recitava nella palazzina Liberty di Milano, in zona Vittoria; questa volta l’esplosione di libertà è arrivata dal Paladozza di Bologna, attrezzato a studio televisivo. Ma uguale era l’emozione e uguale la sensazione di violare un territorio abitualmente chiuso, quello appunto della tivù di Stato.

Questa volta, però, la Rai non c’era. Mentre Marco Travaglio raccontava l’odissea fantozziana della presentazione delle liste del Pdl del Lazio, il canale in cui avrebbe dovuto stare Santoro era impegnato nella trasmissione di una gara di pattinaggio: come nella vecchia Unione Sovietica, quando si riempivano i palinsesti di sport mentre i segretari del Pcus erano agonizzanti “per un raffreddore”.

E l’impressione che è emersa dalla nottata di ieri è stata proprio quella di un regime fatiscente e moribondo, claustrofobicamente chiuso in se stesso per quanto ancora furioso e capace di lunghi colpi di coda. Fuori, però, sta crescendo un’altra Italia che ha voglia di parlare, di ascoltare, di esistere. (Beh, buona giornata).

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Raiperunanotte: è stato un successo.

(fornte: corriere.it)
Un filmato montato con un parallelo tra un comizio di Mussolini e l’intervento di Berlusconi alla manifestazione del Pdl di Piazza San Giovanni e le loro domande «retoriche» rivolte al popolo. Così al Paladozza di Bologna è iniziata «Raiperunanotte», la trasmissione nata dall’iniziativa ideata da Michele Santoro contro la decisione della Rai di sospendere tutti i talk show politici per rispettare la par condicio. Niente Rai, niente “Annozero”, ma “Raiperunanotte”. Un evento reale e visibile, al Paladozza di Bologna e sui maxischermi nella piazza fuori, per miglia di persone che hanno voluto partecipare direttamente all’insolito talk show. Un evento mediatico trasmesso da altre tv, in particolare da Sky Tg 24, ma anche da emittanti locali. E che ha soprattutto giocato la carta del web. Dirette sono state effettuate dal sito “Raiperunanotte”, creato per l’occasione, dai siti di Corriere, Repubblica, Stampa, da YouDem e altri ancora.

NAPOLITANO – Prende poi la parola Santoro che, dal palasport emiliano, si rivolge al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: «Noi non siamo al fascismo – dice il giornalista – ma certe assonanze sono comunque preoccupanti… Noi siamo qui per il nostro lavoro di giornalisti. «Noi non solo abbiamo il diritto di parlare ma anche il diritto di farci sentire, e il dovere di parlare e farci sentire. Noi dobbiamo essere ascoltati e per questo stasera noi accendiamo le nostre luci perché ricominci Annozero». Santoro ha ricordato poi il caso delle intercettazioni di Trani: «Vorrei ricordarle signor presidente – ha aggiunto – che per una telefonata Nixon dovette dimettersi: aveva ordinato di spiare i suoi avversari del partito democratico e una commissione del Senato, quando scoprì che le telefonate erano state registrate, disse di pubblicarle per sapere cosa è successo. Qui si è compiuto un delitto di grande gravità: interferenza politica sulla libertà di espressione». E ha ricordato che il 25 marzo di 40 anni fa «la radio libera di Danilo Dolci fu chiusa per un intervento della polizia era la prima radio libera italiana. Aveva violato al legge perché aveva violato il monopolio». «Io – ha aggiunto, rivolgendosi sempre a Napolitano – non voglio tirarla per la giacchetta, non voglio nè che firmi nè che non firmi, ma voglio ribadire che se i partiti non si allontano dalla Rai, sarà sempre prigioniera del conflitto d’interesse. Noi abbiamo il diritto, ma anche il dovere di parlare e di farci sentire, noi dobbiamo essere ascoltati. Per questo – ha concluso – noi accendiamo le nostre luci perchè ricominci Annozero». Alla fine del discorso Nicola Piovani ha eseguito in diretta la sigla di Annozero.

CORNACCHIONE – Poi irrompe un esilarante Antonio Cornacchione: «Con questa iniziativa – dice Cornacchione – si può dimostrare che in Italia non c’è la censura e quindi anche questa manifestazione andrà a favore di Berlusconi. Sento un afflato di amore che arriva dagli spalti. Quanto amore arriva da voi amici! Siamo 2, 3, 4… 6 milioni. Le cifre me le ha date Verdini”. Nel suo intervento di dieci minuti circa, il comico spiega che la “censura ha colpito due paladini della libertà, due giornalisti che non guardano in faccia a nessuno: Feltri e Minzolini». «Silvio – continua – non ha mai censurato nessuno, ci tiene a rimanere incensurato».

TRAVAGLIO – Come fa di solito durante le puntate di Annozero, Marco Travaglio a «Raiperunanotte» ha ricostruito i passaggi della vicenda delle intercettazioni della procura di Trani sul caso Rai e Agcom, che avevano al centro proprio «Annozero», definendolo uno «scandalo peggiore del Watergate», che sarebbe stato eccessivamente minimizzato. Il suo intervento è stato accolto da un applauso scrosciante, è stato forse il più applaudito fra tutti i protagonisti dell’iniziativa. «Masi – ha detto Travaglio – ha sollecitato esposti contro la propria azienda. È come se Moratti prima del derby chiamasse l’arbitro per chiedergli di inventarsi un fallo per espellere il proprio centravanti, magari su richiesta del presidente del Milan. Berlusconi dice che si è sempre espresso anche pubblicamente contro Annozero: ma è come se uno dicesse per tutta la vita che vuole ammazzare la moglie, poi assolda un killer e al processo si scusasse dicendo… “va beh, ma io l’ho sempre detto…”».
Successivamente il giornalista è intervenuto anche sul pasticcio delle liste del Pdl a Roma, ironizzando sul decreto interpretativo del governo.

FLORIS -LERNER – Poi è intervenuto il conduttore di «Ballarò», Giovanni Floris che si è detto «non d’accordo sul parallelo con il fascismo ma non è questo il punto – ha aggiunto -. Io penso che il bello di questo periodo sia che a una ingiustizia come la chiusura delle trasmissioni sia seguito un periodo in cui le persone hanno reagito. Questo ha portato a più aria. Dopo tutta l’aria che è stata sottratta in questo Paese, penso che sia il momento di ricominciare a respirare». Le intercettazioni saranno valutate dalla magistratura, ma da quelle telefonate emerge che c’è un politico che vede una cosa che non gli piace e ne chiede la chiusura. L’idea che quello che non ti soddisfa possa essere chiuso è un’idea asfittica». A seguire Gad Lerner: «Di fronte all’evidenza della Rai trattata come una tv privata di proprietà privata dei partiti, perché questo è stato il meccanismo che ha bloccato le tramissioni, forse bisogna che anche noi ripensiamo il modo di stare in tv dei politici. Questa compagnia di giro bisogna che cambi, gli ospiti sembrano sempre gli stessi di qualsiasi cosa si parli. Sembrano essere competenti di tutto».

RECORD WEB – Poi Santoro segnala che la diretta di «Rai per una notte» è il più grande evento in diretta del web italiano con 100.000 contatti unici in contemporanea. Poi diventati 120.000. Santoro successivamente ha mostrato Piazza Azzarita e ha parlato di Roma, Milano, Torino, commentando: «Dall’Italia è venuta una risposta straordinaria».

LUTTAZZI – Successivamente è cominciato lo show di Daniele Luttazzi, tutto concentrato su Silvio Berlusconi. Ma anche sul direttore del Tg1 Minzolini e il direttore generale della Rai Masi accusati insieme al premier nel monologo del comico di «fare un uso criminoso della tv». «Erano otto anni che aspettavo di dirlo…» ha detto Luttazzi facendo riferimento all’«editto bulgaro» del 2002, che sancì il suo allontanamento dalla Rai insieme a Enzo Biagi e Michele Santoro. Aprendo il suo intervento, pieno di battute al vetriolo sul premier Luttazzi spiega: «Berlusconi ogni tanto ha dei rimorsi, poi pensa a quanto è ricco e tutto passa…»). Luttazzi ha fatto un monologo di una ventina di minuti, forte, esplicito, pieno di allusioni sessuali, ma soprattutto molto critico contro il governo ed in particolare contro «Silvio Lolito Berlusconi» come lo ha definito, «lui è un fuoriclasse, la costituzione gli va stretta, sarebbe come far giocare Tiger Woods a golf in uno sgabuzzino». Quindi, Luttazzi ha dettagliatamente spiegato la sua teoria sui motivi per cui Berlusconi avrebbe il 60% del consenso, con una metafora sul sesso anale. Nel suo monologo non ha risparmiato battute nei confronti dell’ex vicepresidente della Regione Puglia Frisullo e del direttore del Tg1 Minzolini. «C’è una differenza – ha detto Luttazzi – fra una prostituta e certi giornalisti: ci sono certe cose che una prostituta non fa». Dagli spalti applausi scroscianti, anche quando Luttazzi ha criticato l’eccessiva timidezza dell’opposizione. Alla fine Luttazzi conclude contro il partito dell’amore berlusconiano, ricordando con Quintiliano che «Odiare i mascalzoni è cosa nobile».

LA RICOSTRUZIONE DELLA VICENDA ANNOZERO – Arriva anche il momento più strettamente giornalistico con una ricostruzione delle intercettazioni telefoniche sul caso Santoro, con le telefonate del premier al mebro dell’Agcom Innocenzi e di quelle tra quest’ultimo e Masi.

BENIGNI – Poi è il momento dello show di Roberto Benigni che invita tutti ad andare in «Zimbabwe il paese della libertà dove però non ci sono i masai, ma i Masi». «Siamo il paese della libertà – scherza Benigni – dove si può chiudere una trasmissione e si può fare una manifestazione contro i magistrati». Benigni poi sciorina battute sui radicali «che si sdraiano dappertutto», e sulle cifre fornite da Denis Verdini sulla manifestazione di sabato del Pdl, infine saluta Enzo Biagi («Peccato che non possa partecipare a questa iniziativa»). «Sant’Agostino diceva che anche quando se ne fa un cattivo uso, come Santoro, la libertà è un bene – conclude l’attore -. Si riferiva proprio a Santoro…».

INTERVISTA A FEDE- La trasmissione si conclude con un’intervista al direttore del Tg4 Emilio Fede, che minimizza la porta delle intercettazioni e sottolinea: «Hanno forse chiuso Annozero?». Fede poi chiede «maggiore rispetto per il capo del governo». E conclude: «Berlusconi non ha mai chiesto la chiusura di Annozero».

CROZZA E VAURO – C’è spazio per un ultimo sipario comico con Crozza che imita il ministro Brunetta e per le tradizionali vignette di Vauro.

LA DENUNCIA DELLA FNSI – Poco prima che si accendessero le telecamere di «Raiperunanotte» il presidente dell’Fnsi Roberto Natale intervenendo al microfono svela: «Abbiamo notizie di telefonate al gruppo di lavoro di Santoro da parte di dirigenti Rai che vogliono sapere cosa stanno facendo i collaboratori ricordando l’obbligo di esclusiva». «Ricordi bene la Rai, la vergognosa Rai di questi giorni che questa è un’iniziativa sindacale – prosegue Natale – e non si azzardino a pensare a provvedimenti, pensino piuttosto alle scandalose telefonate del direttore generale». Il riferimento è alle intercettazioni relative all’inchiesta sul caso Rai- Agcom.
(Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia

Il papi scrive al Papa. Chiede il miracolo di vincere le elezioni regionali 2010.

Una “risposta straordinariamente efficace”, davanti a “situazioni difficili” che diventano anche “motivo di attacco” verso la Chiesa. Silvio Berlusconi si rivolge così al Papa Benedetto XVI, a proposito alla “lettera pastorale ai cattolici irlandesi”, scritta dopo le denunce di pedofilia a carico di sacerdoti. Si tratta, scrive il presidente del Consiglio al Ponetfice “solo dell’ultimo esempio del suo grande carisma”.

“A nome del governo italiano – sottolinea tra l’altro Berlusconi – voglio esprimere a Benedetto XVI tutto l’affetto, la vicinanza e la solidarietà che ha verso di Lui il nostro popolo. La nostra gente, infatti, sa distinguere tra gli errori umani, di cui la storia è piena, e gli enormi frutti di bene che sono nati e continuano a nascere dalla radice cristiana”.
Beh, buona giornata.

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Attualità democrazia Media e tecnologia

Come nel ’48: se non è zuppa, è pan Bagnasco.

I comunisti mangiano i bambini. I preti li “amano”. “La vita umana va difesa innanzitutto dal delitto incommensurabile” dell’aborto. E questa difesa è uno dei valori “non negoziabili” in base al quale i cattolici devono votare nelle prossime regionali. Comizio elettorale per le elezioni regionali a favore del centro-destra, del signor Angelo Bagnasco, professione cardinale, al secolo presidente della Cei, acronimo della Conferenza episcolape italiana. Beh, buona giornata.

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Attualità democrazia

Campagna elettorale a Roma: scherzi da prete.

Votare “l’attuale schieramento di Renata Polverini” per difendere i valori della famiglia e della vita: a chiederlo è un sacerdote romano, in un messaggio inviato a tutte le coppie che hanno seguito un corso prematrimoniale nella sua parrocchia. “In coscienza, quanti credono nell’amore, nella vita, nella famiglia non possono votare lo Schieramento avversario, che nega concretamente tali Principi”, scrive per email don Stefano Tardani, parroco di San Tommaso ai Cenci, una chiesa di Roma centro. Beh, buona giornata.

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democrazia Leggi e diritto Natura Salute e benessere

Contro la privatizzazione dell’acqua pubblica: “La consegna definitiva del controllo delle riserve idriche a soggetti privati multinazionali, voluta dal Decreto Ronchi costituisce la più significativa resa della sovranità politica a soggetti privati multinazionali avvenuta in Italia negli ultimi vent’anni.”

Acqua, in ballo c’è il futuro di tutti noi, di UGO MATTEI*-La Stampa
Caro Direttore,
in questi giorni il dibattito sulla privatizzazione dell’acqua, successivo all’approvazione del decreto Ronchi e alla decisione di sottoporlo a referendum ex art. 75 della Costituzione si sta arricchendo di importanti contributi. Alla vigilia della Giornata mondiale dell’acqua, il nostro Paese ha visto, sabato scorso, sfilare a Roma migliaia di persone che hanno protestato contro la nuova norma. Se è vero che invariabilmente gli ultimi referendum non hanno raggiunto il quorum del 50% dei partecipanti dimostrando stanchezza dell’elettorato per uno strumento di democrazia diretta che dovrebbe essere usato soltanto come extrema ratio, è altrettanto vero che questa volta la posta in gioco è altissima. Un dibattito serio su questo tema è dunque essenziale perché davvero ne va di mezzo il futuro di tutti noi.

Infatti, la consegna definitiva del controllo delle riserve idriche a soggetti privati multinazionali, voluta dal Decreto Ronchi costituisce la più significativa resa della sovranità politica a soggetti privati multinazionali avvenuta in Italia negli ultimi vent’anni. Ciò è avvenuto con un semplice voto di fiducia (senza dibattito parlamentare) proprio mentre in tutto il mondo si sta cercando di ripensare il modello di sviluppo fondato sulla privatizzazione e sull’egemonia delle compagnie multinazionali per smussarne quantomeno i lati speculativi più inaccettabili.

Per esempio, il Comune di Parigi, dopo venticinque anni in cui due multinazionali si spartivano il controllo del mercato idrico, è tornato ad un modello di gestione pubblicistica con immediata riduzione delle tariffe ed aumento degli investimenti. Infatti, abbiamo visto come la gestione «for profit» dei servizi idrici, come peraltro di tutti i servizi di pubblica utilità resi in regime di monopolio o di oligopolio (per esempio le Autostrade), comporti storicamente una riduzione degli investimenti ed un aumento dei prezzi.

Per far fronte a questo problema strutturale occorre perciò escogitare buoni strumenti non profit (su cui la cultura giuridica sta lavorando), i soli che consentono il prevalere di una logica ecologica di lungo periodo piuttosto che di quella economica di brevissimo periodo dettata dai valori delle azioni sui mercati finanziari.

La progressiva scarsità dell’acqua sta creando in tutto il mondo una corsa delle multinazionali al controllo di ogni risorsa idrica, perché si tratta di controllare una potenziale fonte di profitto ingentissima creato da un bisogno ineludibile, quello di bere ed irrigare. Senza acqua la vita è semplicemente impossibile e ci sarà quindi sempre domanda di oro blu. Ma questa risorsa soddisfa un diritto fondamentale dell’uomo ed è troppo importante per essere gestita con a mente il solo profitto.

Il decreto Ronchi obbliga alla privatizzazione del servizio idrico costringendo ogni ente, (pubblico o privato che sia) che attualmente in modo diverso da territorio a territorio sta gestendo l’acqua a trasferire il controllo a società private entro fine 2011. Questa scelta politica, provocando la simultanea offerta sul mercato di tutte le quote di gestione, avrà come effetto naturale la svendita del servizio creando le condizioni per un ennesimo regalo dal pubblico al privato.

È singolare come il decreto sia stato voluto da una maggioranza in cui una componente assai forte fa del federalismo e dell’autonomia dei territori una propria bandiera. Esso concretizza in realtà una mossa di centralizzazione nella gestione dell’acqua irragionevole, autoritaria ed estremamente pericolosa per la stessa sopravvivenza. Molti amministratori locali, costretti a svendere strutture e tecnologie create negli anni sulla base della fiscalità generale, se ne stanno accorgendo. La speranza è che il dibattito referendario possa far capire questa drammatica realtà anche a quei cittadini che vogliono essere padroni a casa propria.

*Professore di Diritto civile all’Università di Torino
(Beh, buona giornata).

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democrazia Media e tecnologia

Al Gore:”Current racconta le storie che altri non raccontano. Ecco perche’ siamo orgogliosi di diffondere un importante programma d’informazione come ‘Annozero’, specie nel momento in cui altri canali non lo fanno”.

‘Current racconta le storie che altri non raccontano. Ecco perche’ siamo orgogliosi di diffondere un importante programma d’informazione come ‘Annozero’, specie nel momento in cui altri canali non lo fanno’. Sono le parole con cui Al Gore, ex vicepresidente Usa, ufficializza la messa in onda di ‘Rai perunanotte’ su Current (Sky 130), il canale italiano del network globale di scambio d’informazioni e attualita’ che lui stesso ha fondato nel 2005, insieme all’avvocato Joel Hyatt. Giovedi’ 25 marzo alle 21, il canale 130 di Sky trasmette in diretta l’evento ‘Raiperunanotte’, organizzato al PalaDozza di Bologna dalla redazione di Annozero. Invece da lunedi’ sara’ Michele Santoro a lanciare su Current, e sugli altri canali Sky della piattaforma, l’appello in difesa della liberta’ d’informazione e contro la censura della par condicio, rimandando all’atteso appuntamento bolognese di ‘Raiperunanotte’. Beh, buona giornata

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Attualità democrazia

“Tra sette giorni si va a votare: e si vedrà allora se la marcia dei ministri su Roma è stata l’inizio della rivincita in una campagna elettorale disastrosa. O l’ultima istantanea scattata prima della sconfitta.”

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«Avanti governo!», grida un uomo rasato con il berretto militare e il megafono in mano che si rivela essere il deputato ex An Fabio Rampelli. «Attenzione», avverte all’incrocio con via Merulana, «ora c’è una curva e poi una salita, la prova peggiore che potete affrontare. Curvate piano e poi salite». E il Governo esegue: gira, sale, scende, si ferma, riparte, sempre agli ordini di Rampelli. Canta, perfino.

«Ragazzi, la sapete quella di Troisi? Quella dei fratelli?», grida il ministro La Rissa, al secolo Ignazio La Russa, con un tricolore in mano. Ronchi, Gasparri, Cicchitto, Prestigiacomo si guardano interrogativi. No, non la sanno. «Quella dei fratelli in “Non ci resta che piangere”», insiste il ministro della Difesa. «Coraggio, cantiamola tutti insieme: Po-poropò-poropopopopò Fratelli d’Italia…». E il Governo, docile, intona: l’Italia s’è desta…

Ore quindici e trenta, parte la manifestazione del partito dell’Amore, via ai cortei, che spettacolo meraviglioso. Il Governo in piazza, al gran completo, per le strade di Roma. Uno accanto all’altro ministri e sottosegretari pigiati in favore di telecamera, felici come una scolaresca in gita. Faticano a sistemarsi dietro la striscione con la scritta “L’amore vince sempre sull’odio”. Qualche istante di incertezza. «Alzate lo striscione!», «Macchè, mettetelo giù, sennò Brunetta non si vede!». Poi finalmente partono.

Alfano con la giacca Belstaff. Matteoli avvinghiato a una signora. Bondi in girocollo celestino tenuto al guinzaglio dalla compagna Manuela Repetti, deputata Pdl. La Brambilla inerpicata sui tacchi tra i binari del tram. E Fazio il ministro della Salute mai visto in azione, figuriamoci in corteo. E la Santanchè con i boccoloni bicolori. E Brunetta a suo agio in questo sabato da spensierati fannulloni. E la banda venuta da Frosinone che improvvisa una marcetta. Sembrano usciti da una vignetta di Forattini: «Giù le mani dar valoroso popolo iracheno…», ma sono ministri e non si capisce bene per cosa marcino, dato che il potere sono loro. Una marcia contro se stessi?

Alle spalle della prima fila governativa si capisce finalmente quale sia la divisione dei ruoli all’interno del Pdl tra ex Forza Italia e ex An. Ai reduci di An, gente di movimento e di lotta, spettano il servizio d’ordine e l’animazione del corteo. C’è il deputato Marco Marsilio con la pettorina gialla della sicurezza. C’è il coordinatore romano Vincenzo Piso in giubbotto di pelle che dirige un altro spezzone, dove cantano a squarciagola Battisti, «planando sopra un bosco di braccia tese», e ci siamo capiti.

C’è la moglie del sindaco Alemanno Isabella Rauti che impugna il megafono e strepita come ai tempi di via Sommacampagna: “Siamo noi siamo qua/Polverini vincerà”. Prova a far gridare anche le colleghe di Forza Italia: la Rizzoli con cappello, la Calabria, la Savino, la Mariarosaria Rossi. Ma quelle niente, non sono abituate. “Polverini presidente”, grida la Rauti, petto in fuori, piglio da leader. E quelle, poverette, si prendono per mano, per farsi coraggio. Insomma, una mosceria. «Ahò», esclama la Polverini con i ministri, manco fosse un deejay, «me sa che vado in fondo alla fila, so’ più allegri. Ve dovete riprendere un po’!»

I ministri fanno ingresso in piazza al suono di Star Wars, che fico, anche Giovanardi sembra un cavaliere jedi. Arrivati in piazza San Giovanni quelli di An spariscono. Resta il mitico senatore Gramazio, “er pinguino”, lui non delude mai. Quando cadde il governo Prodi si fece beccare che sventolava una fetta di mortadella nell’aula del Senato. Oggi si aggira con una scritta stradale, “Via Michele Santoro da Rai Due”, che divertente.

Sul palco si esercita l’egemonia culturale di Forza Italia: il disco pub. C’è Maurizio Lupi che conduce al microfono, una vita ai meeting di Comunione e liberazione non passano invano. Mentre La Russa cade sui fondamentali: «Adesso cantiamo nell’azzurro dipinto d’azzurro…», che poi sarebbe nel blu dipinto di blu. C’è l’orchestra di Demo Morselli scatenata con tutto il repertorio degli anni Settanta-Ottanta: Sinatra, i Bee Gees di “Staying Alive”, i figli delle stelle di Alan Sorrenti, Julio Iglesias («Non ti sembra un po’ caro/il prezzo che sto per pagare…se un uomo tradisce/tradisce a metà») mentre si fa vedere Tremonti, Rino Gaetano e la sua Gianna che sogna un-mondo-diverso-ma-fatto-di-sesso. E in quel momento spunta Silvio.

Un Berlusconi classico. La sorpresa che avrebbe dovuto cambiare la campagna elettorale non arriva. L’unico jolly sono i centomila alberi da piantare, chissà come si conciliano con il piano casa. E l’annuncio che nei prossimi giorni arriverà nelle case una pubblicazione con i risultati del governo, preparatevi.

In compenso, il Cavaliere inciampa sui numeri. Verdini ha detto che i manifestanti sono un milione? E Berlusconi lo corregge: «Nel 2006 eravamo due milioni…», come dire che oggi sono la metà. Cita se stesso per la seicentesima volta. La religione della libertà. La scesa in campo del ‘94. La sinistra con i suoi giudici eccetera. La richiesta alla piazza di ripetere i suoi sì e i suoi no, come si fa nei battesimi: sì a Silvio, no alla sinistra. Ma la fede comincia a vacillare, anche nelle prime file. «Io a Berlusconi dico sì, ma per me non ho visto ancora una lira», si sfoga una signora con la bandiera proprio sotto il palco. E quando il premier cita il successo dell’Alitalia sbotta: «Lascia perdere l’Alitalia, Silvio mio…».

Le uniche novità arrivano quando il Cavaliere ammette che per una volta gli è sfuggita di mano la campagna elettorale: «la sinistra ha fatto credere che le liste non le abbiamo presentate per colpa nostra, lo hanno scritto anche i giornali amici, purtroppo, e la gente c’è cascata». E quando accanto al premier sale Umberto Bossi: «Sono uno dei pochi che non ha chiesto soldi a Berlusconi», spiega il Senatur alla piazza, gelando sotto il palco ministri e parlamentari miracolati. E racconta che la sua amicizia con Silvio è nata quando il Cavaliere disse no alla pedofilia e alla “famiglia trasversale”.

Qualsiasi cosa sia, l’asse B&B c’è, eccome. Mentre nella piazza il desaparecido si chiama Gianfranco Fini. A Gubbio, sei mesi fa, disse che il Pdl era come la temperatura di Bolzano, «non pervenuto». Ma oggi il non pervenuto è lui. Nessuno lo nomina. I pochi finiani presenti, Flavia Perina, Benedetto Della Vedova, si fanno forza e scherzano con i giornalisti.

Quando Berlusconi descrive la nascita del Pdl fa solo un rapido passaggio su «An e gli altri partiti amici che si sono sciolti insieme a Forza Italia». E abbracciato a Bossi fa a pezzi l’idea del voto agli immigrati extracomunitari, cara al presidente della Camera: «La sinistra vuole sostituire i proletari italiani che ha perso con gli stranieri promettendo la casa e il lavoro», ringhia Bossi. E Berlusconi: «Ma no Umberto, non c’è più il problema, i clandestini sono spariti!»

La manifestazione finisce con i candidati governatori che firmano con la mano sul cuore un patto con il Governo nazionale, cioè con Berlusconi, e leggono il testo tutti insieme, tipo Padre nostro. Formigoni vestito da Tony Manero, sempre più berlusconizzato. E Cota della Lega che corre in Piemonte, «io lo amo», lo presenta il Cavaliere.

Prima di andare via Berlusconi si inebria per l’ultima volta del coro che sale dalle prime file: «Un presidente/c’è solo un presidente». C’è solo un leader, si metta l’anima in pace Fini. E la coppia che vuole vincere le elezioni e guidare l’Italia è quella formata da Silvio e Umberto. Sono loro gli unici co-fondatori della destra italiana. Tutto il resto è plastica. Teatrino. Bandiere arrotolate. Pullman che tornano a casa. Tra sette giorni si va a votare: e si vedrà allora se la marcia dei ministri su Roma è stata l’inizio della rivincita in una campagna elettorale disastrosa. O l’ultima istantanea scattata prima della sconfitta.

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L’Italia è diventata un Paese di venditori. (Tanto non lo legge nessuno.)

L’Italia è diventato un Paese di venditori. Si vende il proprio sesso per avere un posto in parlamento, un ministero. Si vende il sesso degli altri, meglio sarebbe dire delle altre, per avere un appalto, una commessa per la fornitura di apparecchiature mediche. Si vende la propria professione per avere un posto da direttore di telegiornale. Si vende la propria faccia sui manifesti elettorali per un posticino in un consiglio regionale. Non produciamo più idee, prodotti innovativi, personalità istituzionali, intuizioni creative.

Non siamo più il Paese che si risollevò dalla tragedia della Seconda Guerra Mondiale, per diventare uno dei paesi più industrializzati del Mondo, un Paese che si rimboccò le maniche e ricostruì case, ponti, strade, fabbriche, ma anche diritti, competenze, convivenza civile, scuole per alunni, ma anche scuole di pensiero.

No, ormai vendiamo il vendibile. Così non è per nulla strano che si vendano onorificenze ai pompieri, quelli che si ammazzano di fatica, e spesso ci lasciano la pelle per salvare altre pelli, per toglierci dai guai. I guai, quelli che inavvertitamente facciamo contro di noi. I guai, quelli di cui siamo vittime, per colpa di “inavvertiti” politici e amministratori della cosa pubblica: che sono quelli che chiamano i pompieri quando frana un collina, sulla quale si sono date allegramente licenze edilizie; quando esonda un fiume, attorno al quale si è lottizzato senza pensare alle conseguenze; quando vengono giù le case, costruite con l’ingordigia dell’affarismo, invece che col cemento armato.

Quando è stato intervistato il responsabile amministrativo della Protezione Civile, a proposito della vendita delle onorificenze, egli mostrava orgoglioso il campionario: una medaglia e un paio di fregi alla comoda cifra di 130 euro. Un affare, no!? Ma certo che è un affare.

Il nostro Paese non è forse una grande, smisurata televendita? Alcune centinaia di migliaia di persone parteciperanno a una minifestazionde pubblica in piaza San Giovanni in Laterano. Compreranno la tesi del Governo.

Le posizioni politiche non si confrontano, si vendono nei talk show. Il talento non si esercita, si vende nei talent show. La politica non progetta, vende candidati.

La giustizia non sanziona comportamenti criminali, no, la giustizia vende l’ingiustizia del complotto contro gli eletti dal popolo. E gli imputati vendono la loro impunità.

L’informazione non vende giornali, no, vende “fango” contro quelli che presi con le mani nel sacco, vendono in saldi la loro sfacciata impunità.

Fin tanto che ci sarà qualcuno disposto a comprare la merce (della politica, dell’informazione, dell’intrattenimento, addirittura dell’architettura istituzionale), beh, che volete? È la legge della domanda e dell’offerta.

Ci stanno pignorando beni comuni, libertà collettive, diritti condivisi, l’idea della democrazia, la visione stessa del futuro dei nostri figli. Berlusconi, ogni giorno batte l’asta.

Un piccolo, forse prezioso “consiglio per l’acquisto”: cerchiamo, almeno di non comprare prodotti scaduti (così in basso). È un consiglio gratis.
Beh, buona giornata.

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