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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Una fotografia della carta stampata a sinistra in Italia.

(fonte: blitzquotidiano.it)
Le voci della sinistra si sono moltiplicate e l’offerta in edicola è ampia e variegata. Si espande infatti la galassia di carta con risultati sorprendenti (anche se non tutti i giornali sono certificati), e con una nuova platea che si fa largo: Il Fatto è la sorpresa di quest’anno, l’Unità è in buona salute e cresce rispetto all’anno scorso, più o meno stabili Liberazione e il Manifesto così come il Riformista.

Nell’elenco ci sono anche Gli altri di Piero Sansonetti (4000 copie vendute), e Terra che rappresenta l’istanza ecologista. Il Fatto è l’ultimo arrivato, seguito – ma solo in questo – nella sua scelta di rinunciare ai finanziamenti pubblici – dal Clandestino, il quotidiano di David Parenzo e Pierluigi Diaco in edicola da qualche giorno.

Il giornale fondato da Antonio Padellaro e Marco Travaglio – considerando i dati – è il fenomeno dell’anno: nato il 23 settembre, dopo una campagna di promozione che ha attraversato tutta l’Italia, si è assestato nell’ultimo mese su una media di 65 mila copie vendute. Nei suoi primi trenta giorni di vita la media è stata di 75 mila. In più ci sono i quarantunomila abbonamenti postali e on line.

Un giornale da centomila copie: il picco con 133 mila l’8 ottobre, il giorno dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha bocciato il Lodo Alfano. Dieci redattori, venti pagine, tante firme, collaboratori autorevoli e free lance anche all’estero, Il Fatto rappresenta un nuovo pubblico e ‘pesca’ in una inedita fetta di mercato: i lettori mostrano di apprezzare il giornale con le sue scelte nette e per la riuscita integrazione con Internet.

Nel momento della sua uscita, l’idea comune era che avrebbe portato via copie ai suoi ‘fratelli’, primo fra tutti l’Unità, ma questo non è accaduto. L’Unità, firmata da Concita De Gregorio dal 25 agosto 2008, è in crescita: a ottobre l’indice positivo è del 9,8 %, 55.672 copie di media giornaliera contro le 50.716 dell’ottobre del 2008 (dati Fieg).

Il Fatto ha quindi raccolto consensi in altri e inesplorati ambiti: i suoi lettori – secondo gli analisti – sono giovani, più vicini ad Antonio Di Pietro che a Pierluigi Bersani, quelli che riempiono teatri e piazze alle presentazioni dei libri di Marco Travaglio e agli spettacoli di Sabina Guzzanti, lontani dai partiti tradizionali e contro Silvio Berlusconi. Una conferma a questa tesi arriva dai dati riguardanti gli altri giornali.

Il Manifesto, storica testata diretta da Valentino Parlato e gestita da un collettivo di giornalisti, secondo i dati forniti dal giornale, vende circa 24 mila copie giornaliere (primo semestre 2009) , senza registrare particolari fluttuazioni rispetto al 2008. Né rispetto all’uscita del Fatto: nei giorni successivi al 23 settembre ha accusato un calo temporaneo di 400-500 copie.

Stabile Liberazione, organo di Rifondazione Comunista: le vendite – spiegano al giornale – sono di circa 10 mila copie al giorno. Un nocciolo duro di lettori rimasti fedeli alla linea del direttore Dino Greco subentrato a Piero Sansonetti, rimosso dal suo incarico per volontà della segreteria di Rifondazione guidata da Paolo Ferrero.

Sansonetti, per cinque anni alla guida di Liberazione, ha dato vita a Gli Altri. Il primo numero è uscito il 12 maggio di quest’anno: la vendità è di circa 4000 copie. Il Riformista completa il puzzle: il quotidiano, fondato da Antonio Polito e ideato dall’ex consigliere politico di Massimo D’Alema, Claudio Velardi, è stabile su 12-15 mila copie vendute, secondo le cifre fornite dallo stesso giornale. Beh, buona giornata.

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Attualità Lavoro Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La tv rende stupidi. Ma non sono mica stupidi tutti quelli che quardano la tv.

Miracolo in tv: una fiction “seria e di successo”.Il falso dogma televisivo della insopportabilità da parte del pubblico dei temi sociali- Giuseppe Giulietti-blitzquotidiano.it

Per anni ci siamo sentiti ripetere che “la gente in tv” non vuole sentire o vedere rotture di scatole e tanto meno temi ansiogeni o sgraditi. Nell’ipotetico elenco venivano inseriti tutti i temi legati alle povertà, alla questione sociale, alle morti sul lavoro e da lavoro.

Lo abbiamo sentito ripetere tante volte che quasi quasi ci eravamo cascati anche noi, avevamo assunto questa tesi alla stregua del dogma trinitario per un cattolico fervente.

Per questa ragione non volevamo credere agli odierni risultati auditel che assegnano la ragguardevole cifra di 6 milioni di spettatori alla fiction “Un caso di coscienza”, prodotta dai Rai Fiction, trasmessa da Rai uno e curata da Andrea Purgatori. La puntata, infatti, era dedicata alle morti sul lavoro, alla risoluzione di alcuni misteri italiani.

Miracolo natalizio, o meglio post natalizio, ha voluto che milioni di cittadini seguissero la puntata dall’inizio alla fine, contrastando il primato niente di meno che al Grande fratello.

E’ bastata dunque una serata diversa e una fiction ben pensata, ben girata, ben interpretata a smentire qualche quintale di luoghi comuni.

Questo tipo di ricostruzioni ispirate alla realtà hanno un loro pubblico, anzi c’è una grande domanda di prodotti che raccontino l’Italia reale che non può essere esaurita da grandi fratelli e medie sorelle.

La loro progressiva cancellazione dai principali palinsesti non è stata decisa da una fantomatica pubblica opinione, ma da una sapiente regia di un ristrettissimo gruppo di proprietari e di signori degli appalti che così hanno deciso per ragioni politiche, commerciali, per opportunità e per opportunismo.

Siamo quasi certi che alcun editorialista dedicherà la sua attenzione al successo di questa fiction e agli argomenti trattati nella puntata, eppure sarebbe un bel tema per riflettere sulle tante contraddizioni che ci circondano e talvolta ci attraversano.

Forse si potrebbe scoprire che i partiti dell’amore sono tanti e distanti tra di loro, tra questi c’è anche il partito di chi ancora si appassiona ai grandi temi sociali, rimossi da tante parte della politica, ma non da milioni di italiani,sempre in attesa del partito che non c’è.

Una ultima annotazione: il regista della fiction si chiama Luigi Perelli, fu anche uno dei registi de La Piovra.

Non ditelo al capo dell’altro partito dell’amore, già voleva “strozzare” gli autori de La Piovra, non vorremmo che adesso volesse bisoffocare il bravo e appassionato Perelli. (Beh, buona giornata).

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Attualità Media e tecnologia Pubblicità e mass media Società e costume

La testimonial dello spot del Governo sulla monnezza a Napoli: «Fra me e Berlusconi? Molto più che sesso».

Elena Russo: “Con Berlusconi molto più che sesso”.”Inutile essere ipocriti: tutti siamo dei raccomandati.” da blitzquotidiano.it

Vi ricordate Elena Russo, l’attrice “raccomandata” da Silvio Berlusconi nel 2007 al capo di Rai Fiction Agostino Saccà in una delle ormai famose telefonate intercettate? La procace attrice che venne assoldata dal governo come protagonista del discusso spot per “celebrare” la “pulizia” di Napoli dalla Monnezza? Ora, anche lei, ha deciso di parlare: «Fra me e Berlusconi? Molto più che sesso», dice dalle colonne di “A”, in edicola dal 9 dicembre.

«La mia frequentazione con lui -spiega- va ben oltre il sesso, è fatta di stima e di rispetto. Anche se non posso negare che all’inizio lui mi abbia rivolto degli apprezzamenti sul mio aspetto fisico. Io sono una persona che ama divertirsi e lui pure. Ogni volta che ci vedevamo per lui era una parentesi rilassante».

Sulla famosa raccomandazione a Saccà, all’epoca direttore di Rai Fiction, risponde: «Inutile essere ipocriti: tutti siamo dei raccomandati. Chi, avendo l’occasione di essere segnalato, non la prende al volo? Poi, però, non basta, perchè se non vali niente alla fine non vai lontano. Comunque Berlusconi non ha fatto altro che sensibilizzare una persona, che conoscevo da anni e mi stimava, per farmi fare un provino». (Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia - Lavoro Lavoro Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Crisi della pubblicità in Italia: anche nel loro piccolo i creativi della McCann si incazzano.

Sciopero in McCann Erickson-da kttbblog.spinder.com
Ieri in Mc Cann 4 persone hanno scoperto di non avere più un lavoro.
Quello che scrivo mi è stato riportato da un paio di gole profonde che, per ovvie ragioni, hanno chiesto di non essere menzionate.

I 4 sfortunati colleghi sono stati convocati di “sopra”, con “scuse varie”.
Gli è stato comunicato il licenziamento e, tornati “giù”, hanno trovato il loro Mac spento. Non gli è stato possibile portare via nulla.

Il licenziamento sembrerebbe aver colpito il reparto creativo.
Uno dei licenziati sarebbe padre di due bambini.
“il tuo stipendio è troppo alto per il ruolo che ricopri”
2500 euro al mese (ngp -nota gola profonda).

I dipendenti Mc Cann ieri hanno dichiarato uno sciopero e oggi dovrebbe esserci un’altra assemblea.

A quanto pare, altri nove dovrebbero essere licenziati a breve.
Era da almeno sei anni che non si registrava uno sciopero nel nostro settore,
dai tempi della Grey “guidata” da Valeria Monti.

La direzione creativa di Mc Cann viene definita “fuggita a Londra per non affrontare la situazione”. Questa affermazione potrebbe essere gratuita.
La sfiga esiste, è talvolta si è costretti a partire in un momento in cui si preferirebbe restare.
Restiamo sui problemi reali.
Il nostro lavoro ha perso valore perché si sono persi prima i valori.
Questo è successo molto prima dell’ultima crisi economica, ha iniziato ad accadere già nella seconda metà dei dorati anni ’80.

Un’agenzia nuova avviò una politica commerciale improntata su un dumping molto aggressivo, cosa relativamente normale.
Molte grandi agenzie si spaventarono e ne seguirono l’esempio, cosa meno normale.
Smettemmo di farci concorrenza con la forza delle idee, rendendo più deboli le nostre condizioni economiche, i nostri contratti, le nostra fondamenta.

Qualunque professionista operi nel nostro settore deve battersi, nel suo piccolo o nel suo grande, dicendo no a tutte quelle situazioni che possono concorrere a minare ulteriormente il nostro settore.
Mi riferisco alle gare non remunerate, alla mancata applicazione di qualunque tariffario, al fenomeno degli stagisti ad libitum non pagati.
Non parlo di un “cartello”, ma dovrebbe essere evidente a tutti che vendere un radiocomunicato a 100 euro, o una campagna integrata a 10 mila, è una follia.
Sono manovre che posso comprendere in un giovane agli inizi, non in una delle prime 10 agenzie d’Italia.
Continuare ad adeguarci a questa politica commerciale significa essere complici e conniventi con tutte le conseguenze. (Beh, buona giornata).

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Continua la crisi della pubblicità italiana.

Media Italia, centro media del Gruppo Armando Testa, agenzia di pubblicità italiana, ha fornito le stime della raccolta pubblicitaria a fine 2009. Il mercato chiuderà intorno al -15%, con la televisione a -8.8%, Quotidiani -24%, Periodici -22%, Radio – 9%; Affissione -20%, Cinema -5%, Internet: +10%. Mala tempora currunt. Beh, buona giornata,

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Pubblicità e mass media: il medium cambia, cambiamo il messaggio.

CENSIS E MEDIA La crisi seleziona:su i prodotti gratuiti e i social network-di FRANCESCO PICCIONI, Il Manifesto

Il messaggio batte il /medium/, McLuhan non abita più questo mondo.
L’ottavo rapporto del Censis sulla comunicazione («I media tra crisi e metamorfosi») registra e tematizza i cambiamenti più rilevanti nell’arco degli ultimi 10 anni. E decreta, in parte, «la rivincita dello spettatore», che non accetta più di esser preda dell’«ipnotismo televisivo» e passa all’«azione diretta».

I diversi media diventano relativamente indifferenti, di fronte a una ricerca di informazione e socializzazione (sia pure virtuale) che vede il singolo teso a soddisfare i propri interessi saltando a pie’ pari la mediazione del produttore di contenuti. Almeno all’apparenza, perché – nell’indescrivibile quantità di informazioni disponibili – «risulta sempre più difficile cogliere il confine tra verità e finzione, tra eventi del mondo reale e prodotti della fantasia».

Questo individuo-agente, infatti, è a sua volta un prodotto. Di un lungo processo sociale di «affermazione del primato del soggetto», per un verso, della disponibilità a basso costo delle tecnologie digitali, per l’altro. In ogni caso, rappresenta solo una metà della società italiana, per lo più giovanile o con buoni livelli di istruzione; che convive con una quota altrettanto rilevante di «vittime del /digital divide/», escluse per età, reddito o formazione dall’uso di questi media. Ma entrambe le metà convergono nel momento in cui solo un soggetto è chiamato a garantire la «verificabilità» delle informazioni: la tv. La ricerca conferma che «ad orientare le scelte di voto della grande maggioranza degli italiani sono i telegiornali delle tv generaliste nazionali».

La conclusione è solo apparentemente paradossale, perché l’effettiva totale libertà individuale – nel reperimento delle informazioni secondo una personale scala di priorità, nella formazione dell’opinione – si scontra con due limiti ineliminabili: l’individuale /capacità di discernere/ (cultura, livelli di istruzioni, esperienza) e l’/attendibilità/ delle informazioni (comunque «confezionate» da altri).

Proprio la modalità di fruizione dei contenuti digitali (rapide, spesso casuali, im-mediate) brucia quello che Giuseppe De Rita chiama «il prefisso ‘ri’ (riflettere, ritornare, ripensare)», identificato da sempre come «il fondamento della cultura». Tradotto: nella giungla delle informazioni digitali ci si muove senza più una guida. Finché non la si ritrova sullo schermo che tutto riunisce: quello televisivo.

La crisi economica ha accelerato questi processi. Creando ora anche un /press divide/, una massa crescente di persone che ha eliminato la stampa su carta dalla propria «dieta mediatica»: il 39,3%. Non solo analfabeti di ritorno, ma anche giovani e adulti istruiti. Se infatti il numero di quanti usano internet si è stabilizzato (47%, crescerà ormai solo con il normale «tasso di sostituzione generazionale»), si è intensificato il suo utilizzo a scapito della stampa (dal 6 al 12,9%) – e persino della /free press/ – con i quotidiani che hanno visto calare le vendite del 15% in soli due anni. Soprattutto, la crisi ha favorito «l’espansione dei mezzi gratuiti e la sostanziale battuta d’arresto di quelli a pagamento». O meglio, ha favorito quei media che permettono di avere il massimo di servizi informativi col minimo di costi economici.

Quindi sì all’Adsl e alla tv a pagamento (con boucquet che coprono tutti gli interessi familiari, dal calcio ai cartoon, ai serial); sì ai cellulari, ma solo nelle versioni /basic/ (telefonate e sms); sì soprattutto alla radio (+12,4%), che copre in buona parte i bisogni di ben 13 milioni di pendolari. Sopravvivono i libri, ma molto ci sarebbe da dire sullo «spessore» di quelli che «vendono». La tv, si diceva, raggiunge proprio tutti (98%); ma via web ha triplicato gli adepti in due anni. L’ampliamento delle scelte possibili fa della rete il medium ideale di chi vuole «agire». Lo svluppo impetuoso dei /social network/ (Facebook, YouTube, Messenger, ecc) risponde a un’esigenza di socializzazione attiva che è già una reazione all’isolamento individuale.

Ma cambia radicalmente anche il modo di pianificare il marketing (qualsiasi produttore professionale di contenuti, in rete, sopravvive solo grazie alla raccoltà pubblicitaria). Il fenomeno era «preesistente alla crisi economica, che però lo ha sottolineato».

Per Marco Ferri, del Consorziocreativi, «è il momento di capovolgere il paradigma, e lo devono comprendere anche le imprese: quando decidono un budget prima si devono comprare una buona idea, e poi vedere come veicolarla, non viceversa». Vale anche per i quotidiani: «chi indovina la nuova formula fa bingo, gli altri…». (Beh, buona giornata)

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Televisioni italiane: è scoppiata la guerra. Si salvi chi può.

Calabrò: “Rai anche su Sky se indispensabile” Mediaset, ricorso contro la chiavetta digitale
Il gruppo del Biscione denuncia all’Antitrust la distribuzione dell’apparecchiatura “contraria alla normativa comunitaria e nazionale in materia di concorrenza”-repubblica.it

Si riaccende la guerra delle tv. Da una parte Corrado Calabrò, presidente dell’Agcom, chiarisce che la Rai deve stare anche su Sky “se indispensabile”, per consentire a tutti gli utenti di vedere i programmi. Dall’altra Mediaset ricorre all’Antitrust contro la chiavetta di Sky per il digitale terrestre. La replica dell’emittente di Murdoch è immediata: “E’ solo un modo per garantire a milioni di famiglie la possibilità di fruire dell’offerta digitale in chiaro sul digitale terrestre”.

A margine dell’audizione in commissione di Vigilanza, dove ha presentato le linee guida del nuovo Contratto di servizio, Calabrò ha affermato che la Rai “potrà stare su tutte le piattaforme commerciali” e invece “dovrà stare su tutte le piattaforme tecnologiche, quindi anche sul satellite”, così da consentire a tutti gli utenti di vedere le trasmissioni. E quindi “se Sky in una zona è indispensabile, la Rai deve starci nel periodo transitorio”, limitandosi a criptare “proprio il minimo” delle sue trasmissioni. Il tutto in questa fase di transizione che secondo quanto stabilito a livello europeo dovrà portare al digitale in tutta Italia entro il 2012.

In questo lasso di tempo le cose potranno cambiare, ha spiegato ancora Calabrò, rispondendo a una domanda dei giornalisti, in relazione alla diffusione di TivùSat (la
nuova piattaforma satellitare creata da Rai, Mediaset e Telecom Italia Media, ndr): “Vedremo che copertura sarà stata assicurata da TivùSat”, ha concluso. In buona sostanza, qualora la Rai decidesse di oscurare Rai1, Rai2 e Rai3 su Sky prima del 2012, l’Agcom valuterà “la copertura altrimenti assicurata sul satellite” del servizio pubblico.

L’ordine dei canali. L’Agcom si occuperà dell’ordine dei canali sul telecomando del televisore nella prossima seduta di giovedì 19 novembre. ”Ne avremmo fatto volentieri a meno ma – ha detto Calabrò – la questione non si è risolta. Ce ne occuperemo quindi nella prossima seduta”. Allo studio, tra le altre, l’ipotesi di obbligare chi fabbrica televisori a produrre un telecomando dotato di guida elettronica ai programmi, tecnicamente ‘Epg’.

Il ricorso di Mediaset all’Antitrust. Il ricorso di Mediaset, si legge su un comunicato della società, è motivato dal fatto che “la distribuzione da parte di Sky di questa chiavetta è contraria alla normativa comunitaria e nazionale in materia di concorrenza e costituisce una violazione degli impegni assunti nel 2003 da Newscorp in occasione della concentrazione delle attività di Telepiù e Stream”.

“Le norme Antitrust, infatti – prosegue Mediaset – non consentono a un’impresa dominante di ostacolare l’ingresso sul mercato di concorrenti mediante vendite abbinate o aggregate dei propri prodotti”. Inoltre per Mediaset, il fine della digital key, che non consente l’accesso né ai servizi interattivi né ai contenuti a pagamento, “è quello di frenare la diffusione sul mercato di decoder che consentano di ricevere i programmi a pagamento e i servizi interattivi di altri operatori. Il tutto evidentemente a danno dei consumatori che vedranno così limitata la loro possibilità di scelta a livello di offerta e di contenuti”.

A stretto giro la replica di Tom Mockridge, amministratore delegato Sky: “La Digital Key è una semplice iniziativa di Sky che garantirà a milioni di famiglie la possibilità di fruire dell’offerta in chiaro sul digitale terrestre in modo facile ed efficace”.

E Mockridge passa al contrattacco sulla tendenza oligopolistica di Mediaset: “Si tratta di uno strumento che aiuta il processo di digitalizzazione del paese offrendo un servizio per i consumatori in un mercato in veloce sviluppo. Uno sviluppo che, evidentemente, non è facile da accettare per un gruppo come Mediaset che per molti anni è stato, ed è ancora oggi, il principale soggetto privato operante in Italia nella televisione commerciale e dominante nel mercato della pubblicità”.
(Beh, buona giornata).

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Quello che può fare la pubblicità per uscire dalla crisi.

Creativi anti-crisi: arriva l’agenzia di pubblicità di nuova generazione-di Jacopo Orsini-ilmessaggero.it

Uno dei fondatori lo definisce un «aggregatore di capacità». Una struttura leggera, «senza spargimento di costi», in grado di svolgere tutte le attività di comunicazione commerciale. Ma anche un «fornitore di idee» che le aziende potranno poi gestire con la loro struttura di pubblicità. Si chiama Consorzio creativi ed è un nuovo modo di concepire l’agenzia di pubblicità ai tempi della crisi.

«Le aziende hanno grandi difficoltà ad avere rapporti con le agenzie, che con la crisi si sono impoverite e annaspano», dice Marco Ferri, uno dei fondatori di Consorzio creativi. Il ciclone che ha investito l’economia mondiale infatti non ha risparmiato la pubblicità. I grandi marchi hanno tagliato fortemente gli investimenti (-16% nei primi nove mesi dell’anno secondo i dati di Nielsen Media Research) e anche le agenzie sono state costrette a ridurre costi e personale per non soccombere. Da qui l’idea di creare una nuova organizzazione più snella, senza i costi delle grandi holding, con l’ambizione di rivoluzionare il settore.

Il gruppo è composto da una rete di professionisti, tutti con parecchi anni di esperienza alle spalle (con Ferri i fondatori sono Paolo Del Bravo, Fabrizio Sabbatini, Agostino Reggio, Francesca Schiavoni e Paolo Costa). Un desk a Roma, un altro in fase di apertura a Milano. Via le strutture gerarchiche e burocratizzate dei grandi nomi del settore, ecco gruppi di lavoro che si creano intorno ai progetti concordati con le aziende e si sciolgono subito dopo. E attenzione concentrata soprattutto sui settori in via di sviluppo, come le energie rinnovabili.

Ma la crisi, inevitabilmente, dopo aver fatto crollare le vendite, modificherà anche il modo di comunicare e di fare pubblicità. Non capire che il mondo è cambiato, sarebbe rischioso anche per i pubblicitari. «Il nosto compito non è solo riempire di prodotti le case dei consumatori – spiega ancora Ferri -. La comunicazione commerciale deve informare in maniera corretta e non intrattenere trastullando». (Beh, buona giornata).

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Tv terrestri contro tv satellitari: è scoppiata la guerra dei mondi.

Te lo dò io il decoder: se l’Antitrust indaga sull’Auditel-di Giulio Gargia *

L’Antitrust ha aperto un’indagine sull’Auditel, accusato di monopolio delle rilevazioni dell’audience . Ma la notizia non è tanto questa. Si trattava di un atto quasi dovuto, visto che chi lo chiedeva era Sky, stanca di essere presa in giro dai continui rimandi del comitato tecnico di Auditel. La stessa richiesta era stata fatta – qualche anno fa – da associazioni come Megachip e Articolo 21.

Ora che anche Murdoch, per i suoi interessi, vuole una riforma del sistema, è più difficile per l’Antitrust traccheggiare, come ha fatto in questi anni. Ma la vera notizia è un’altra: che all’Auditel , con l’avvento del digitale per tutti, non sanno più che pesci prendere. Ovvero come fronteggiare l’avvento dei diversi telecomandi che in ogni famiglia servono a vedere tutte le Tv che viaggiano nell’etere. Ricordiamo che il metodo della rilevazione statistica dell’Auditel, con il panel di 5100 famiglie campione che decide i gusti degli italiani, è stato già pesantemente messo in discussione , per motivi sostanzialmente pratici, e definito come inattendibile da più parti. Ora, con l’arrivo dei decoder obbligatori, le cose si complicano ancora. Prendiamo una normale serata Tv di una famiglia- campione, una di quelle che determinano gli indici Auditel, e quindi il successo o l’insuccesso di un programma.

La signora Giuseppina guarda la Tv in cucina, su un apparecchio dove non è stato ancora sistemato il decoder , e dunque non prende, in mezza Italia, né Rete4 né Rai 2. Se c’è un programma che vuol vedere su queste reti, deve spostarsi in soggiorno, dove invece il decoder c’è, ma in quel momento è occupato da Marco, il figlio, che sta vedendo i cartoni animati con un suo compagno. La signora Giuseppina dice allora ai ragazzi di andare a vedere i loro cartoons in cucina, mentre lei si godrà Emilio Fede digitale.

Ma c’è un altro ostacolo: il meter dell’Auditel, che – come ogni volta che si cambia programma – inizia a lampeggiare chiedendo : “ Stesse persone ? “ . La signora allora cerca il comando del meter, ma non lo trova perché i ragazzi lo hanno disperso da qualche parte tra i cuscini del divano. Intanto, l’acqua inizia a bollire e la signora si ritrasferisce in cucina, mentre il meter continua a pulsare senza esito. Buttata la pasta, suonano al campanello, e arriva Giorgio, il marito, che si piazza davanti alla Tv del soggiorno. Vede il meter che lampeggia e , ben addestrato, trova il comando tra i cuscini e schiaccia il tasto “si”.

Così, il meter registra che Emilio Fede è stato visto da 2 ragazzini di 8 anni che stavano invece vedendo i loro Simpson su Italia Uno. Giorgio, nell’attesa della cena, cambia canale e passa su Minzolini. Per potersi godere uno dei suoi editoriali senza interferenze del meter, deve però ritrovare l’altro telecomando, quello del decoder, che la moglie si è portata con sé in cucina appena ha capito che le stava tracimando la pentola. Il marito, allora, va in cucina. “ Pina , è pronto ? “ chiede. “ Due minuti, comincia a chiamare Riccardo, sta in camera sua”, prende tempo la signora. Giorgio, dimenticato il telecomando, attraversa il corridoio e trova l’altro figlio che sta alla sua scrivania davanti al computer, dove sta vedendo Blob su RAI 3 , scaricando un brano degli U2, e chattando con la sua fidanzata di Barcellona.

In questo quarto d’ora tipo di una famiglia campione, non un solo spettatore Auditel è stato correttamente registrato. Una situazione già presente e molto criticata prima, ma che il digitale obbligatorio ha reso ancora più complicata. Oggi, e fino al 2012 quando sarà completata la transizione, una famiglia può avere un telecomando per il digitale terrestre, uno per il satellite Sky, uno per quello RAISET, un altro per la Tv tradizionale, e infine uno per l’IPTV, quella via computer. A questo bisogna aggiungere – per la rilevazione corretta dei dati – il meter dell’Auditel, che implica un altro apparato completo di simil-telecomando per registrarsi ogni volta che si cambia canale.

Le richieste della Tv di Murdoch chiedevano di adeguare le rilevazioni a questa situazione di estrema confusione, contando di ricavarne un vantaggio in termini di proprio audience. “Il procedimento, avviato alla luce di una denuncia presentata da Sky Italia, dovrà verificare se la società abbia assunto un atteggiamento dilatorio o ostruzionistico nei confronti delle proposte avanzate da Sky per migliorare la rappresentatività dei dati rilevati”, dice l’Antitrust in una nota.

Ma il problema non è solo quello di chi sapere chi vede e che cosa. Con il decoder, diventa anche quello di sapere chi NON vede più quello che vedeva prima. E’ notizia di una decina di giorni fa l’istituzione dei “ volontari del decoder” . Ragazzi che – pagati dalla provincia autonoma di Trento – dalla primavera scorsa di lavoro fanno proprio questo: installano decoder a domicilio, gratis, agli over 75. Una fascia di persone che con la tecnologia, anche quella semplice, non va tanto d’accordo. Pare che ne abbiano usufruito in oltre 6.000. Ma l’Italia non è il Trentino, e dobbiamo quindi immaginare cosa stia succedendo in Piemonte, Lazio , Campania e nelle altre regioni già tutte o parzialmente digitalizzate, dove gli “angeli del decoder” non arrivano. Ma l’Auditel tutto questo non lo sa, e continua a registrare i suoi presunti ascolti su cui si fanno palinsesti e programmi. Chissà se e quando l’Antitrust arriverà laddove il buon senso, l’osservazione pratica e perfino Franceschini in campagna per le primarie sono giunti da tempo: dichiarare superato questo meccanismo e voltare pagina. Farebbe un gran bene a tutti, in primis ai telespettatori. (Beh, buona giornata)

• Autore del libro “ L’arbitro è il venduto “ – Audiradio, Auditel, Hit Parades, Audiweb, Audisat
di Editori Riuniti , insegna Giornalismo Internazionale all’Università L’Orientale di Napoli

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La pubblicità italiana non esce dalla crisi.

Nielsen Media Research: la pubblicità a -16% nel periodo gennaio-settembre 2009.

Nei primi 9 mesi gli investimenti pubblicitari ammontano a 5.990
milioni di euro. A settembre 2009 verso settembre 2008 la variazione è
del -12,8%. In particolare la Televisione mostra una flessione del
-13,2% sul periodo cumulato, la Stampa da gennaio ha un calo del
-23,6%, la Radio diminuisce del -14,0%, l’Affissione del -26,0%. Segno
più per Internet (+5,2%) e per le Cards (+1,0%).

Nielsen Media Research comunica che da gennaio a settembre gli
investimenti pubblicitari ammontano a 5.990 milioni di euro con una
flessione del -16,0% rispetto al corrispondente periodo del 2008. A
settembre 2009 verso settembre 2008 la variazione è del -12,8%. A
livello di settori merceologici, considerando il periodo cumulato, si
registrano: -11,6% per gli Alimentari, -21,3% per le Auto e -5,7% per
le Telecomunicazioni.

Wind, Unilever, Vodafone, Telecom It. Mobile, Ferrero, Barilla,
Procter&Gamble, L’Oreal, Volkswagen e Fiat Div. Fiat Auto guidano la
classifica dei Top Spender nei primi nove mesi del 2009 con
investimenti pari 829 milioni di euro, in calo del -11,9% sul
corrispondente periodo dell?anno scorso.

La Televisione, considerando i canali generalisti e quelli satellitari
(marchi Sky e Fox), mostra una flessione del -13,2% sul periodo
cumulato e del -7,1% sul singolo mese.

La Stampa, nel suo complesso, da gennaio ha un calo del -23,6%. I
Periodici diminuiscono del -28,8% con l?Abbigliamento a -29,0%, la
Cura Persona a -24,3% e l’Abitazione a -31,7%.

I Quotidiani a pagamento mostrano una flessione del -19,5% con
l’Automobile, l’Abbigliamento e la Distribuzione, i tre settori più
importanti, che riducono la spesa rispettivamente del -34,5%, del
-24,1% e del -25,7%.

Sono in controtendenza l’Abitazione che aumenta del +8,8% sul cumulato
(e del +15,6% settembre 2009 su settembre 2008) e il Turismo/Viaggi
con il +7,5%. A livello di tipologie la Commerciale segna il -22,9%,
la Locale il -15,1% e la Rubricata/Di Servizio il -17,1%. In
contrazione anche la raccolta dei Quotidiani Free/Pay Press (-28,7%).

La Radio diminuisce da gennaio del -14,0% ed è in leggera crescita nel
confronto mensile settembre 2009 su settembre 2008 (+0,6%). Fanno
registrare variazioni negative anche: Affissioni (-26,0%), Cinema
(-12,4%), Out of Home Tv (-1,1%) e Direct Mail (-17,9%).

Performance positiva invece per Internet che cresce del +5,2%
raggiungendo i 421,4 milioni di euro e per le Cards (+1,0%).

Si aggiungono al mercato fin qui analizzato gli investimenti
pubblicitari sul Transit, la pubblicità dinamica gestita da IGPDecaux
su metropolitane, aeroporti, autobus e tram. Da gennaio a settembre
2009 l’advertising è di circa 71 milioni di euro.

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Finanza - Economia - Lavoro Lavoro Media e tecnologia Pubblicità e mass media Società e costume

L’Italia del 2009, il Paese che guarda la tv, non si accorge della crescente disoccupazione, e non dà lavoro ai giovani talenti.

Ho sognato la star del momento, un racconto di MATTIA D’ALESSANDRO
Esasperati ed esasperanti colpi di tosse. Fu così che mi svegliai. Note poco note di bassi baritonali. Ero perfino riuscito a creare una melodia nella mia mente. A colpi di polmone. Fuori non si vedeva, ma sembrava il solito lunedì d’ottobre. Scesi dal letto, la mia spina dorsale si drizzò. Una sensazione mai sentita prima. La parrucca della zia Ester galleggiava su un mare di inchiostro. Tutto galleggiava su un mare di inchiostro. Poi qualcosa mi azzannò la caviglia. Svenni.

Al mio risveglio ero ancora nella stanza piena d’inchiostro. Mi affacciai dal letto per vedere a terra, tutto era stato pulito. Sui muri ancora i segni di quel mare nero. Cos’era stato? Di colpo ricordai del morso alla caviglia. Scalciai le coperte per vedere i segni. Quello che apparve da sotto le coperte era ed è ancora difficile a narrarsi. Un colpo di vento spalancò le finestre. Poi qualcosa di vivo mi avvolse e con me, tutta la casa. Non riuscii più a guardarmi le caviglie. L’aria era satura di polvere. Feci appena in tempo a rannicchiarmi sotto le coperte. Mi addormentai.

Rimasi un tempo infinito tra sonno e sogno. Continuavo a vedere le mie caviglie. Un mostro, mai visto prima, stava mordendole. Anzi peggio. Iniziava ad ingoiarmi, ma con lentezza. La sensazione era quasi piacevole, ogni tanto però, il mostruoso essere scaricava delle piccole dosi di elettricità sulle mie carni. Ero rapito da quella cosa. Non mi sarei mai più svegliato.

Salutai i miei piccoli, uno sguardo sfuggente alla foto di mia moglie. Entrai in macchina.

Temperatura interna: meno cinque gradi centigradi. Avvertii ancora un leggero mal di testa fino all’arrivo in azienda. Il posto auto, interno. Cancello automatizzato. Schiacciai il pulsante per l’apertura, nulla.

Dall’altro ingresso, grida e schiamazzi. Scesi dall’auto, mi avvicinai, nel gelo. Un cordone di polizia piantonava l’ingresso. I colleghi erano disperati. Alcuni cercavano di sfondare il cordone. Volò qualche manganellata.

Rientrai in macchina e tornai a casa. Mentre guidavo mi tornò in mente il mostro del sogno. Mi aveva già divorato, ero disoccupato.
Potrebbe continuare…
(Beh, buona giornata)

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Finanza - Economia - Lavoro Media e tecnologia Pubblicità e mass media Società e costume

Consumare meno, consumare meglio. La crisi insegna.

(fonte:repubblica.it)
La crisi cambia il consumo e gli italiani fanno di necessita’ virtu’. Guariti dalla smania dell’acquisto i cittadini hanno imparato a comprare meno, meglio e ottenere piu’ soddisfazione dalla spesa “competente”. E, dall’equazione “piu’ consumi uguale piu’ felicita'” si e’ passati alla formula “meno consumo piu’ vivo meglio” (79,7%). Il ritratto del nuovo consumatore e’ stato dipinto dall’Osservatorio sui consumi degli italiani, indagine annuale di Consumers’ Forum, l’associazione che riunisce le maggiori associazioni dei consumatori e le piu’ grandi aziende italiane, curata da Giampaolo Fabris e Ipsos e presentata stamane in occasione del decennale. “I consumatori sono diventati piu’ esperti, chiedono alle aziende piu’ qualita’ e alle associazioni che li rappresentano piu’ presenza”, ha spiegato Sergio Veroli, presidente di Consumers’ Forum. “Il nuovo consumatore e’ per necessita’ piu’ attento a non sprecare, al rapporto prezzo-qualita’ e piu’ responsabile verso l’ambiente. In altri termini, si puo’ definire un consumatore virtuoso”. Beh, buona giornata.

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Attualità Media e tecnologia Pubblicità e mass media Salute e benessere

Aspettando il vaccino contro la pandemia della mezza bugia.

Nel tentativo di tranquillizzare l’opinione pubblica, il vice ministro del Welfare, con delega alla Salute, ha detto: “Sono 16 o 17 le vittime italiane ad oggi – ha detto Fazio – contro 44 vittime in Francia, 137 in Gran Bretagna, 63 in Spagna. In Europa sono 317 su 500 milioni di abitanti, un’incidenza di 0,062 per 100.000, mentre in Italia la media è 0,027 per centomila, quindi la metà”.

Veda, caro vice ministro, se lei cita con esattezza le vittime in Europa e le percentuali al millesimo, perché dice che in Italia “sono 16 o 17”?
Sa com’è, uno si preoccupa, non tanto dell’influenza maiala, ma del pressappoco con cui si sta affrontando la situazione. Tanto per fare un esempio, tra 16 e 17 vittime, magari ce n’è una che neanche viene calcolata. Senza contare quel “ad oggi”,che come minimo porta sfiga. Beh, buona giornata.

P.s.: E’ per questo pressapochismo che il governo italiano ha fatto una campagna per la prevenzione dell’influenza A/H1N1 con Topo Gigio?

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Attualità democrazia Media e tecnologia Pubblicità e mass media

“Le leggi ad personam? Le fa per proteggersi. Se non fai la legge ad personam vai dentro.” Il presidente di Mediaset parla del presidente del Consiglio.

Confalonieri alla Stampa: “A Berlusconi danno fastidio i freni della democrazia”-blitzquotidiano.it

Fedele Confalonieri, presidente di Mediaset e amico di Silvio Berlusconi dagli anni del liceo, racconta il suo rapporto con il premier in un’intervista a Claudio Sabelli Fioretti su La Stampa in edicola oggi lunedì 2 novembre. Ovvio – dato anche il nome che porta – che difenda il premier, cui si accontenta di passare la palla visto che uno come lui “è come Pelè”.

Fedele Confalonieri l’ha visto vincere ogni sfida, un vero fuoriclasse, ma qualche difficoltà la soffre anche lui, specie quegli ostacoli che le società democraticamente avanzate pongono all’esercizio del potere: “Gli riesce difficile prendere atto che la democrazia pone dei freni. Silvio è un uomo del fare. I freni gli danno fastidio. Ma non è un dittatore come dicono”

“Le leggi ad personam? Le fa per proteggersi – dice Confalonieri – Se non fai la legge ad personam vai dentro. Una volta dentro, poi non ti chiedono scusa. E’ il sistema della giustizia in Italia. I magistrati sono gli unici che non pagano mai: irresponsabili. L’errore di Berlusconi è pensare che tutti i magistrati siano rossi – aggiunge – Sbaglia e io glielo dico… come anche che i comunisti non ci sono più… ma bisogna ammettere che è un ottimo argomento di vendita”.

“Berlusconi parla troppo – dice poi Confalonieri – Prenda la vicenda D’Addario. Se non diceva un cavolo in tre giorni finiva”. Le dieci domande di Repubblica? “Dissi a Silvio: Fregatene, non le legge nessuno e invece lui va a parlare a Porta a Porta”.

Nell’intervista a tutto campo Confalonieri definisce poi Eugenio Scalfari “l’unico giornalista che ha il senso degli affari”, di Nanni Moretti dice che gli sta “sulle palle” e di Giulio Tremonti “che è legittimo che pensi al dopo”.

Sulla proposta di non pagare il canone Rai il presidente Mediaset osserva che “é una sciocchezza e che Berlusconi sbaglia”.

“Se Berlusconi si fosse limitato alla televisione – conclude Confalonieri – oggi avrebbe più del 90% dei consensi. Ma ha voluto giocare in prima persona. E ha spaccato in due il Paese”. (Beh, buona giornata).

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Conti in rosso, futuro nero per la pubblicità: Interpublic Group a -18%.

Il terzo trimestre 2009 si chiude con il segno meno per Interpublic Group. L’utile netto della società guidata dal si è infatti attestato a 17,2 milioni di dollari contro i 38,7 milioni dello stesso periodo dello scorso anno.

A 1,43 miliardi di dollari (-18%) il fatturato. La crescita organica invece è diminuita del 14,2%. Considerando i primi nove mesi dell’anno, la perdita netta di Interpublic Group si è attestata a 35,8 milioni di dollari rispetto ai 56,7 milioni di dollari di utile netto del 2008. Il fatturato è stato pari a circa 4,23 miliardi (-17% sullo scorso anno), mentre la crescita organica nei primi nove mesi è calata dell’11,8%.

“La crisi economica continua ad incidere negativamente sui conti della società – ha commentato Michael Roth, Ceo di Interpublic Group- Tra gli investitori regna ancora la cautela ed è molto difficile fare previsione per il prossimo anno”. Beh, buona giornata.

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Conti in rosso, futuro nero per la pubblicità: Publicis perde terreno anche nel terrzo trimestre 2009.

Per il Gruppo Publicis la performance peggiore è stata registrata lo scorso giugno. Ora pare che sia in atto una lenta ma progressiva ripresa.

Nel terzo trimestre il fatturato consolidato è stato di 1.047 milioni di euro, in calo del 5,3% rispetto al terzo trimestre 2008, mentre la crescita organica è diminuita del 7,4%.

Anche se la crisi ha investito tutti i Paesi europei, si sottolineano le buone perfomance di Publicis Worldwide in Francia e dei centri media del Gruppo nell’Europa occidentale e in Polonia. Tutte le attività in Inghilterra e nel Sud Europa, tra cui l’Italia hanno subito invece un calo significativo.

Il fatturato consolidato nei primi nove mesi del 2009 si è attestato a 3,256 miliardi di euro, in calo del 2,3% rispetto ai 3,332 miliardi dello stesso periodo del 2008. Il mercato dell’advertising ha subito una flessione di circa il 13%, stando alle stime correnti, la contrazione della crescita organica di Publicis Groupe si è fermata al 6,9%. Il calo è stato limitato anche grazie al 5,5% di crescita organica raggiunto nelle comunicazioni digitali, che nei primi nove mesi del 2009 hanno contribuito al fatturato consolidato del Gruppo per il 21,3%, ovvero in misura maggiore rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, quando erano valse per il 18,5% delle revenue. Beh, buona giornata.

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Conti in rosso, futuro nero per la pubblicità: Wpp in difficoltà.

Secondo Martin Sorrell è ancora presto per stappare le bottiglie di champagne. Anche se tra i clienti si registra un maggiore grado di fiducia e di ottimismo infatti, per il Ceo di WPP, colosso mondiale del marketing, non si può ancora parlare di ripresa del mercato dell’advertising.

Come si legge oggi sulla stampa internazionale, per Sorrell “è sbagliato parlare di fine della recessione basandosi su miglioramenti sequenziali”. Il top manager ha affermato che per dichiarare finita ufficialmente la crisi aspetterà la crescita delle vendite same-store. Beh, buona giornata.

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro Lavoro Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La crisi morde gli italiani e si mangia i consumi. Se il Governo non cambia politica economica, anche la pubblicità finisce nei guai.

Diminuisce il reddito disponibile lordo delle famiglie italiane, calano il potere d’acquisto, le spese per consumi finali e gli investimenti fissi lordi. Diminuisce anche la propensione al risparmio. È il quadro delineato dall’Istat nell’indagine riferita al secondo trimestre 2009.

Il reddito lordo a disposizione delle famiglie italiane, consumatori e micro-imprese, è calato di 11 miliardi di euro (-1%). Secondo l’Istat insieme al reddito si riduce anche la propensione al risparmio che è scesa dello 0,4% rispetto al trimestre precedente. Nel dettaglio, la propensione al risparmio delle famiglie nel secondo trimestre 2009 è stata pari al 15,2% del reddito lordo, in calo dopo molti trimestri di aumento.

La spesa delle famiglie per consumi finali si è ridotta invece dello 0,5%. Beh. buona giornata.

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La quarta crisi: altri 100 giornalisti mandati a casa dal New York Times.

Crisi editoria: Il New York Times licenzia altri 100 giornalisti-blitzquotidiano.it
La crisi dell’editoria fa ancora sentire la sua morsa negli Usa: il New York Times, infatti, si appresta a licenziare altri 100 giornalisti (l’8% del totale) entro la fine dell’anno dopo gli 80 posti di lavoro tagliati lo scorso anno.

Lo ha reso noto la proprietà specificando che giovedì 22 ottobre offrirà un pacchetto di incentivi all’esodo a tutta la redazione. I giornalisti avranno 45 giorni per decidere.

Ma se almeno 100 redattori non accetteranno l’offerta a quel punto sarà la direzione a scegliere chi dovrà lasciare il giornale, ha spiegato il direttore Bill Keller, auspicando che cio «non accada anche se potrebbe».

Già lo scorso anno il Nyt aveva ridotto la newsroom da 1.330 giornalisti a 1,250, oltre ad aver ridotto i compensi del 5% a tutti i dipendenti. La “Grey old lady”, come tutti i quotidiani statunitensi, ha subito forti cali di vendite delle copie cartacee e di raccolta pubblicitaria danneggiata dal suo stesso sito web che è completamente gratuito.

Per far fronte alle perdite il New York Times era stato costretto a ricorrere misure d’emergenza tra cui vendere il nuovo grattacielo di Renzo Piano, dove si erano trasferiti nel 2007 e chiedere in prestito 250 milioni di dollari al tasso del 14% dal magnate messicano Carlos Slim. (Beh, buona giornata).

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La quarta crisi: negli Usa crescono i lettori on line.

Huffington Post supera Washington Post come numero di visitatori on line-blitzquotidiano.it

L’Huffington Post ha superato il Washington Post come numero di visitatori. Lo confermano i dati di settembre di Nielsen Online relativi ai siti di informazione americani.

Nell’ultimo anno l’aggregatore di notizie creato da Arianna Huffington è cresciuto del 26%, raggiungendo in settembre 9,4 milioni di utenti unici, mentre il Washington Post è sceso del 29%, a 9,2 milioni.

Nello stesso periodo il sito del New York Times è cresciuto del 7%, arrivando a 21,5 milioni di utenti unici. Meglio ancora hanno fatto il Daily News (+54%) e il Guardian (+51). Ma il record di crescita spetta ad Examiner.com: +373%.

I dati sono però da prendere con cautela, perché – come avverte la stessa Nielsen Online – in giugno la società di ricerca ha ampliato di otto volte il suo panel, il che per certi siti può aver influenzato il confronto anno su anno.

Ecco la classifica completa:

Yahoo! News: 42.649.000 utenti unici in settembre (+12% rispetto a settembre 2008)

Cnn Digital Network: 38.266.000 (+3%)

Msnbc Digital Network: 36.511.000 (-16%)

Aol News: 25.733.000 (+20%)

NyTimes.com: 21.530.000 (+7%)

Fox News Digital Network: 17.909.000 (+20%)

Tribune Newspapers: 16.453.000 (-9%)

AbcNews Digital Network: 14.631.000 (-15%)

Google News: 14.555.000 (+8%)

Gannett Newspapers and Newspaper Division: 12.272.000 (-10%)

Cbs News Digital Network: 10.575.000 (-5%)

McClatchy Newspaper Network: 10.543.000 (-1%)

UsaToday.com: 9.908.000 (-13%)

Advance Internet: 9.530.000 (+21%)

TheHuffingtonPost.com: 9.474.000 (+26%)

Washingtonpost.com: 9.239.000 (-29%)

MediaNews Group Newspapers: 8.739.000 (+30%)

Hearst Newspapers Digital: 7.905.000 (-19%)

WorldNow: 7.828.000 (-1%)

Bbc: 7.178.000 (-23%)

Daily News Online Edition: 6.824.000 (+54%)

Examiner.com: 6.474.000 (+373%)

Guardian.co.uk: 6.043.000 (+51%)

Telegraph: 5.649.000 (+38%)

Cox Newspapers: 5.443.000 (+14%)

Boston.com: 5.231.000 (-39%)

MailOnline: 5.046.000 (+26%)

Topix: 4.860.000 (-25%)

NBC Local Media: 4.835.000 (+N/A)

The Slate Group Websites: 4.798.000 (-12%)

(Beh, buona giornata).

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