«Mi si è avvicinato, pensavo mi volesse salutare – ha raccontato il direttore del Tg4 – invece senza alcuna ragione mi ha dato tre pugni in testa». Tre pugni come le tre virtù teologali: Fede (Emilio), speranza (poca) e carità (di Patria). Beh, buona giornata.
Categoria: Pubblicità e mass media
Il format Saviano tra politica e tv, di ILVO DIAMANTI-la Repubblica
QUESTA sera, a “Vieni via con me”, è ospite il ministro dell’Interno Roberto Maroni. Arriva su Rai Tre dopo una settimana di polemiche: contribuiranno a tenere alta l’audience della trasmissione. Sarebbe, tuttavia, sbagliato interpretarle come un segno di insofferenza da parte delle forze politiche di governo e dei dirigenti della tivù “loro fedeli” contro programmi e conduttori sgraditi. Dopo Santoro, Gabanelli, Dandini: Fazio e, soprattutto, Saviano. Certo, c’è anche questo.
Ma “Vieni via con me”, a mio avviso, non è “un caso”, semmai: una svolta. Perché rovescia il rapporto fra televisione e politica. Non più la televisione al servizio della politica, ma neppure la televisione e la politica, in rapporto di reciprocità e di scambio. È la “politica al servizio della televisione”. Meglio ancora: la televisione che “usa” la politica, a sua volta “usata” da un intellettuale e scrittore per narrare la politica. Si tratta di un format originale, che conclude un percorso che dura da anni. Cominciato dopo la caduta della Prima Repubblica, quando la politica “controllava” la televisione e la delimitava in spazi “separati”. Le “tribune politiche”, al tempo dei partiti immersi nella società e nelle istituzioni. Poi, agli inizi degli anni Novanta, Gad Lerner, per primo, entra “Nella tana della Lega”. Scruta il “Profondo Nord”. Mette in scena Tangentopoli e lo scontro fra “Milano e l’Italia”.
In teatro, il pubblico rappresenta la piazza, meglio le piazze (lo spettacolo è itinerante) della società civile in rivolta. Mentre sul palco scorrono gli attori della nuova stagione politica e antipolitica. Primi: i leghisti. E poi, sindaci, magistrati, giudici, piccoli imprenditori. Il Nord e il Nordest.
La “discesa in campo” di Berlusconi cambia ancora la scena. Impone alla politica le logiche della comunicazione e del marketing. Non solo: le orienta e le controlla, vista la sua posizione dominante nel sistema televisivo. Avanza, così, la “democrazia del pubblico” (come la definisce Bernard Manin). È la “Repubblica dei media” (titolo di un recente saggio di Carlo Marletti, edito da “Il Mulino”). Dove la televisione prende il posto del territorio e della partecipazione. Dove gli elettori divengono spettatori e i partiti si personalizzano. Al servizio di leader che diventano, a loro volta, “attori” e “comparse” di nuovi format. I “salotti” e le trasmissioni di dibattito, che si svolgono in studio. Protagonisti, i conduttori. Floris, Vespa, Santoro, Mentana, Ferrara (e quelli che seguono: Vinci, Gruber, ecc.). Insieme agli uomini politici. Che recitano se stessi. Di fronte a un pubblico limitato di “tifosi”. Riproducono il dibattito politico seguendo le regole della comunicazione. Cioè, si danno sulla voce e si scontrano talora con violenza. Perché in questo modo si alzano gli ascolti. Audience e popolarità politica – questa la convinzione o, forse, la superstizione – coincidono. Per altro verso, i politici si mischiano con personaggi di altri ambienti. Spettacolo, sport, cultura. Mentre gli specialisti della psicologia, della società, della politica e soprattutto i professionisti dei sondaggi fanno da garanti dell’Opinione Pubblica. Così, si realizza un processo di ibridazione, che rende difficile distinguere la politica dallo spettacolo. È la “politica pop” (descritta da Mazzoleni e Sfardini e raccontata per anni, su queste pagine, da Berselli). La “politica immediata”. Senza mediazione, se non quella dei media. Che si svolge sotto gli occhi del pubblico. In tempo reale. Ogni giorno, ogni sera, un salotto, un’arena, un dibattito. Come un reality. Una sorta di “Grande fratello”, dove tutti fingono di comportarsi “come se” non ci fossero le telecamere a osservarli. “Come se” non vi fossero copioni e regie accorte a definire le situazioni.
“Vieni via con me”, programma di Roberto Saviano e Fabio Fazio, segna un ulteriore cambiamento. Anzi, un rovesciamento di modello. Giovanni Minoli ha evocato “la televisione che si mangia la politica”. Definizione efficace, ma parziale. Perché, in questo caso, la televisione è, a sua volta, “usata” da un intellettuale – Saviano – per narrare, in modo critico, i temi tragici e topici del nostro tempo. La criminalità organizzata, l’eutanasia, le connessioni tra malavita e affari, la demonizzazione dell’avversario. È la “tivù come narrazione critica”, interpretata da personaggi del teatro, della società, dello spettacolo e della cultura, della politica. Paolo Rossi e Beppino Englaro, Gianfranco Fini e Antonio Albanese. Roberto Benigni, Pierluigi Bersani e Roberto Maroni. Non recitano se stessi. Recitano e basta. Con un successo di pubblico strabiliante. Oltre 7 milioni la prima puntata, più di 9 la seconda. Il 30% di share, ma circa il 15% della popolazione e il 20% degli elettori. Un risultato favorito dal contributo di componenti in parte nuove e distaccate dalla tivù. O almeno, a questo tipo di programmi. Giovani istruiti, fra 15 e 30 anni, residenti nel Centro-Nord. (Lo ha messo in luce Stefano Balassone su Europa, analizzando i dati dell’Auditel.)
Il che mi induce ad avanzare due considerazioni. O meglio, due ipotesi.
1. Nella società è ormai diffusa l’insofferenza verso la politica come marketing e come spettacolo. Verso il “Grande Fratello politico”. Questo sentimento, tuttavia, come nel passato, si rivela e si sfoga proprio attraverso la televisione. Usa Saviano e Fazio, capaci di allestire una narrazione della società e della politica alternativa a quella dominante. Dove i “politici” recitano come personaggi di una commedia. La “loro” commedia. Al servizio del pubblico. Cioè: la (cosiddetta) società civile.
2. Non sono un critico di televisione (come Antonio Dipollina e Aldo Grasso). Tuttavia, immagino che le logiche della comunicazione – mediatica e politica – imporranno “Vieni via con me” come un nuovo format. Al di là delle polemiche. Le quali, anzi, ne alimentano il successo. In ambito mediatico e politico. (D’altronde le distanze fra i due campi non si vedono). Nove milioni di spettatori, al tempo della “democrazia del pubblico”, possono convincere Maroni – Ministro dell’Interno e leader della Lega – ad accettare le regole imposte da Saviano. Cioè a recitare per lui, alle sue condizioni. E fanno di Saviano un leader d’opinione. Al tempo stesso: mediatico e politico. Nell’ordine che si preferisce. (Beh, buona giornata).
Il primo novembre di quest’anno è morto a New York a 82 anni Theodore Sorensen, autore dei più famosi discorsi pronunciati da John Kennedy negli anni alla Casa Bianca. Sorensen è stato il gost-write per eccellenza. Sua una delle più celebri frasi di JFK: “Non chiederti cosa possono fare gli Stati Uniti per te, ma cosa tu puoi fare per gli Stati Uniti”.
Anche dopo aver smesso di lavorare, Sorensen continuò a collaborare con Nelson Mandela e, più recentemente, contribuì alla campagna presidenziale di Barack Obama.
C’è da credere che Sorensen sarebbe inorridito al solo pensiero di scrivere anche una sola parola per Gianfranco Fini. E, probabilmente, sarebbe scoppiato a ridere se qualcuno gli avesse chiesto di scrivere un paio di brillanti battute per Pierluigi Bersani. Infatti, a Gianfranco e a Perluigi ci ha pensato qualcun altro. Non ci sarebbe niente di strano, se non fosse che questo qualcun altro sembrerebbe essere uno solo.
Insomma, nel circo mediatico di un Paese senza più idee, dunque anche senza parole, sembrerebbe che un epigono di Sorensen sia stato il gost- writer che ha scritto i due discorsetti: con una mano (destra?) quello di Fini, con una mano (sinistra!?) quello di Bersani. Tutto è successo nell’ormai famoso programma “Vieni via con me”, che ha sbancato gli ascolti per ben due volte consecutive. La cosa è straordinaria. E’ straordinario che un programma televisivo sulla Rai faccia il botto di ascolti.
E’straordinario che questo succeda dopo l’accanita opposizione del direttore generale della Rai. E’straordinario che quel direttore generale della Rai sia il direttore generale di qualsiasi cosa: a uno così si ribellerebbero anche i lacci delle scarpe. Ma la cosa più straordinaria è che il programma televisivo in questione sia targato Endemol, compagnia mondiale specializzata in format televisivi. E’ straordinario che il direttore generale della Rai abbia tentato di sabotare un format Endemol. Perché Endemol è di proprietà di Mediaset. E Mediaset è di proprietà di Berlusconi. Proprio come il direttore generale della Rai.
Ma la cosa straordinariamente straordinaria è che Endemol fa un programma che sbanca gli ascolti, che viene contro-programmato da RaiTre contro il Grande Fratello, che è l’ammiraglia della produzione Endemol. E l’ammiraglia della produzione Endemol ceda il passo al successo di RaiTre contro l’ammiraglia delle reti televisive private, cioè Canale 5. Riassumendo: Endemol fa “Vieni via con me” che da RaiTre batte “Il Grande Fratello” su Canale 5, programma di Endemol. E’ vero che Endemol perde nel mondo nel 2010 circa un miliardo di dollari, come certificano gli analisti di Wall Street. Dunque, tutto fa brodo pur di fare liquidi. In altri termini, il presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica italiana possiede Mediaset, controlla la Rai e a entrambi vende format tv, attraverso la sua società Endemol.
E’ il miracolo dei miracoli: egli è il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo dell’audience. Mentre l’odiata Auditel viene sdoganata come metro di misura del successo di Fazio e Saviano, come se per incanto l’Auditel fosse diventata Santa Romana Chiesa della tv di qualità, i giornali, vittime sacrificali dello strapotere televisivo, certificherebbero grandi elogi al programma: nuovo, libero, fresco. Ma Endemol. Che fa tanto “altissima, purissima, Levissima”.
Che Paese meraviglioso è il nostro: un unico, grande, materno ventre mollo partorisce il tutto e il contrario di tutto, a comando, col telecomando. Cosa avrebbe potuto inventare, a questo proposito, Sorensen, il gost-writer per antonomasia? “Non chiederti cosa possono fare le tv per te, ma cosa tu puoi fare per i programmi tv”. Beh, buona giornata.
Daniele Capezzone, portavoce nazionale del Pdl, è stato aggredito a pochi metri dalla sede di via dell’Umiltà da uno sconosciuto, che gli ha sferrato un pugno al viso e poi si è dileguato.
Lo riferisce Gregorio Fontana, deputato del Popolo della libertà tra i primi a soccorrere il collega insieme al coordinatore nazionale, Denis Verdini.
Capezzone è stato portato subito con l’ambulanza all’ospedale Santo Spirito, dove è stato dimesso circa un’ora dopo, conclusi tutti i controlli necessari. Raggiunto telefonicamente, dal portavoce del partito poche parole: “Sono stato aggredito, mi hanno dato un pugno…”.
Un pugno sul muso non è un bel gesto. A Capezzone, che ha preso un cazzottone tutta la comprensione.
Però, se il cerotto se lo fosse andato a comprare in farmacia, magari i soldini glieli prestava Verdini, non avremo sprecato il danaro pubblico dell’ambulanza, del ricovero e della degenza in un ospedale pubblico.
Magari c’era qualcuno che aveva più bisogno di lui di urgenti cure mediche. Magari, c’era qualcuno meno famoso, ma più bisognoso di urgenti attenzioni mass madiatiche. Beh, buona giornata.
La politica è una pagliacciata, ma l’Italia no. La personalizzazione della politica ha condotto diritti dentro la sua spettacolarizzazione. Così ridotta, la politica italiana va in scena ogni giorno, a grande richiesta dei palinsesti televisivi. E’ assolutamente farsesco che più i partiti sono scollati dalla realtà sociale del Paese, più si moltiplicano i talk show del cosiddetto approfondimento politico. C’è per tutti i gusti, spesso privi del buon gusto.
Ilva Diamanti scriveva giorni fa su Repubblica a proposito della tv dell’ansia, nella quale si fanno processi sommari in un salotto televisivo, si emettono sentenze in diretta, si dà la caccia ai colpevoli, comodamente seduti sulla poltrona di casa, col telecomando in mano: è successo col delitto di Cogne, fino a quello della povera Sarah. E’ sotto gli occhi di tutti, però che questo modo frettoloso e ciarliero di affrontare i problemi politici, economici e sociali, avendo come pulpito uno studio televisivo, non ha affatto portato bene al Paese.
La tele predicazione ha spostato consensi elettorali verso proposte spesso aberranti: xenofobia, sessismo, intolleranza, un ritorno dura al classismo hanno contrassegnato il dibattito politico dei nostri talk show. Col risultato, non solo di avvelenare i pozzi della coscienza collettiva, ma di fare del politicamente scorretto la misura del talento degli invitati. Colpi bassi, palesi falsificazioni, sicumera, continue provocazioni verbali sono gli ingrediente dei programmi tv.
I clown della politica italiana devono stupire, invece che convincere. Devono altercare, invece che ragionare. Devono insultare, invece che dialogare. E’ un cattivo costume indotto dalla personalizzazione fattasi spettacolarizzazione? Non solo. E’ una tecnica: ti concedo l’arena su cui sbranare l’avversario perché così tiro su l’audience. Contemporaneamente, ti concedo senza remore notorietà personale, utile per essere candidati, non solo in Parlamento, ma anche a qualche gustosa carica pubblica. Ecco allora che il confronto democratico fra schieramenti, la battaglie delle idee diventano un mero artificio spettacolare, per influire sui dati di ascolto, ma anche sui sondaggi di opinione.
E i problemi irrisolti del Paese? Quelli, come le stelle, stanno a guardare. E’ invalsa nel Paese la sensazione di un diffuso disimpegno da parte della stragrande maggioranza dei cittadini della Repubblica. Diciamo subito che questo è falso.
Dai pastori sardi, agli operai di Pomigliano, dagli studenti ai precari, dagli uomini e le donne del mondo della cultura e dello spettacolo, dai lavoratori stranieri e dei loro figli alle piccole imprese strangolate dalla crisi economica l’Italia vera c’è e si fa sentire: protesta, propone, immagina un Paese diverso da quello farsesco, che va in replica tutte le sere su tutte le tv. Il mainstream fatica a tenere fuori queste migliaia di persone impegnate nella difesa dei loro diritti. Ogni tanto le telecamere si occupano del Paese reale, e quei servizi vengono poi annegati di chiacchiere e interruzioni pubblicitarie. Forse succederà anche oggi, 16 per la manifestazione a favore della Fiom. Ciò che è importante, però, è che l’Italia migliore dei clown che vorrebbero rappresentarla c’è e si fa sentire, alla faccia dei palinsesti televisivi. (Beh, buona giornata).
di Pasquale Barbella-3DNews, inserto di Terra, quotidiano ecologista
La disavventura in cui sono incorso come utente di Facebook (la rimozione di un ponderoso archivio di immagini, testi, video e commenti innescata dall’incomprensibile protesta di un’organizzazione di “studi della civiltà cristiana”) ha suscitato un’ampia gamma di reazioni fra coloro che ne sono venuti a conoscenza. Dichiarazioni di solidarietà, interventi critici in vari blog e nelle stesse pagine di Facebook, petizioni al suo fondatore, Mark Zuckerberg, perché si rivedano le procedure in caso di presunte infrazioni. Ma non sono mancati punti di vista più gelidi, pragmatici e neutrali. Alcuni mi hanno fatto notare che, dopotutto, io facevo un “uso improprio” di Facebook. Ero in casa d’altri, insomma, ed ero tenuto ad attenermi alle regole della casa. Un padrone di casa ha il diritto di mettere alla porta l’ospite indesiderato.
Ho riflettuto a lungo su questa osservazione, dopo aver superato le prime emozioni di chi subisce un’ingiustizia: sbigottimento, sdegno, sete di vendetta. Non sono sicuro che sia gentile, da parte del padrone di casa, cacciare dalla mensa i suoi invitati. Ma è vero che di Facebook facevo un “uso improprio”: più umanistico (nel senso meno aulico e più umile della parola) che “chattoso” («ciao cara come stai…»)
Ci sono “usi impropri” pericolosi, come quando si adopera una comune posata da cucina per accoltellare la suocera; neutri, come quando per distrazione si usa il dentifricio per deodorare l’ascella; e simpaticamente innocui, come facevo io quando caricavo su Facebook, a puntate, i miei database d’immagini, suoni e parole, perché anche altri potessero fruirne.
Con l’età che avanza, agli interessi e agli hobby di sempre se n’è aggiunto un altro, insidioso, quasi ossessivo: sono diventato un addict del FileMaker Pro, un meraviglioso software che mi consente di riordinare non solo le collezioni di libri, CD e DVD, ma anche di dare una sistematina alle poche cose che ho imparato dalla vita. Temo lo smarrimento della memoria più della morte stessa. E sopravvivo in un mondo che tende a rimuovere le nozioni e gli insegnamenti del passato, anche recente e recentissimo. Non è banale nostalgia: chi è così pazzo da rimpiangere una giovinezza senza doccia e senza frigorifero? È che diventa difficile interpretare il presente e i segni del futuro, se non li si raffronta con i loro antefatti. Si dice che i vecchi hanno la testa nel passato remoto: balle. I vecchi sono la categoria più interessata al futuro, perché sanno che domani potrebbe essere l’ultimo giorno e si preoccupano di cosa gli succederà.
Ancor prima dei social network, il web nel suo insieme mi conquistò per la sua natura di sconfinato database. Ho usato (impropriamente) Facebook per convogliare, selezionandoli un po’ dai miei modesti giacimenti e moltissimo dal web, contenuti che avessero un qualche senso storico oltre che ludico, “insiemi” culturali che avessero qualche affinità con le mie passioni e i miei sentimenti, allo scopo di condividerli con persone vicine o del tutto sconosciute. Mi sono reso conto che Facebook non è la piattaforma ideale per questo genere di perversione. Ora sono più lucido, anche se deluso. (Beh, buona giornata).
Facebook è gratis e conta 500 milioni di utenti, nel maggio di questo anno ha avuto 130 milioni di visitatori unici. E’ una società privata (il fondatore Zuckerberg possiede il 24%) ha 1400 impiegati e fatturerà questo anno circa un miliardo di dollari, quasi tutti provenienti dalla pubblicità, attraverso un contratto esclusivo con Microsoft. Però, il caso Barbella, il famoso pubblicitario italiano censurato da Facebook, dimostra che Facebook è così tenero, che si taglia con un grissino.
Il più importante e profittevole social network del mondo globale inciampa malamente su una segnalazione di un misterioso gruppazzo di invasati catto-fascisti, pre-conciliari. Perché lo hanno fatto non si sa. Forse la spiegazione è nella famosa storiella dello scorpione e della rana. Lo scorpione ucciderà la rana che lo traghettava attraverso il fiume, semplicemente perché è nella sua natura. Entrambi moriranno affogati.
Facebook ha inventato un grande business, basato sul protagonismo virtuale delle persone: la raccolta dei dati personali ha il vantaggio delle loro facce. Facebook, appunto.
Ma il business di Facebook non prevede i pensieri delle persone. Contempla solo e soltanto la quantità, per questo ha acquisito valore, per questo raccoglie pubblicità, cioè una montagna di soldini, senza fare niente che non sia: venite, venite, accalcatevi, scambiatevi le vostre chiacchiere, intanto vi preleviamo i dati, vi somministriamo pressione pubblicitaria. Voi chattate, e noi incassiamo.
Facebook non vuole persone, ha bisogno di corpi, con le loro faccette sorridenti. Per Facebook nessuno creda di possedere un qualche residuo di diritto di cittadinanza. Facebook ha superato l’idea antica di esseri umani, titolari di diritti, Facebook è oltre quella roba vecchia, tipo la democrazia, i diritti umani, le costituzioni, la cittadinanza. Tu non sei un cittadino, sei un “friend”. Facebook è così moderna che è il modernismo fatto tecnologia: voi non siete esseri pensanti, capricciosi, individualisti, emotivi, generosi, coraggiosi, idealisti. No. Voi siete consumatori. E allora, prendetevi tutto quello che la merce vi offre. Questa è la felicità, godetevela e non rompete le palle: sennò, fuori dal mondo dei social network, fuori da Facebook.
Pasquale Barbella, uomo colto, intellettuale prestato alla pubblicità è incappato proprio su Facebook. Ha toccato con mano che cos’è la dittatura commerciale, ai tempi del commercio globale, al tempo dei social network. La sua indignazione è genuina, quanto genuino è l’inganno proposto dall’idea che i social network avrebbero potuto allargare gli orizzonti della libertà di espressione.
Ma il caso Barbella pone un problema alle grandi imprese che investono budget pubblicitari su Facebook: se il sistema è così fragile da essere penetrato da un piccola banda di squinternati, che affidabilità può avere Facebook per il loro business? Meditate, direttori del marketing, meditate.Beh, buona giornata.
Facebook fa un passo indietro nella vicenda del bavaglio a Pasquale Barbella. Come è noto Facebook, su segnalazione di un certo Cenacolo Tradizione Cattolici Mordini, aveva chiuso il gruppo Advertonw, una pagina diretta da Barbella e altri creativi pubblicitari italiani, una pagina che raccoglieva annunci pubblicitari, una sorta di archivio della buona pubblicità in Italia e nel mondo.
Alle ore 10.04.44 GMT di oggi 14 settembre il Facebook Team italiano ha comunicato a Barbella il ripristino del suo account. Attualmente Barbella può rientrare nelle pagine che ha creato su Facebook. Tutte tranne Advertown, la pagina incriminata. “Ritengo – ma non ne ho le prove – che le proteste inoltrate da più parti al FB Team abbiano sortito questo effetto, e ringrazio tutti gli amici e i colleghi che si sono interessati alla vicenda”, ha detto Pasquale Barbella.
A questo punto la palla passa al Cenacolo. Intervistato ieri da ADVexpress Giuseppe Passalacqua, socio del Cenacolo aveva dichiarato “Non era nostra intenzione oscurare l’intero gruppo, abbiamo semplicemente seguito la procedura indicata dal social network per segnalare il nostro dissenso. Il nostro obiettivo era semplicemente eliminare dalla rete soltanto la pagina in questione”.
Se questo è vero, il signor Passalaqua ha il dovere di indicare la pagina ‘incriminata’, di modo che Barbella e i suoi colleghi possano rimuoverla e Advertown essere subito ripristinato. Solo così sarà chiaro che si trattava di ‘dissenso’ e non di atto proditorio di rappresaglia. E’ l’unico modo per chiudere questa bizzarra quanto opaca vicenda.
“Rimane aperto il “dossier Cenacolo”-ha detto infatti Barbella – una brutta storia che spero trovi prima o poi un perché”. Insomma, finché Advertown rimarrà chiuso, la questione resterà aperta. Beh, buona giornata.
A proposito di “Perché Facebook ha messo il bavaglio a Pasquale Barbella”, ricevo da Hans-Rudolf Suter, uno dei fondatori della mitica STZ, la seguente lettera:
“Marco ci fa un grande favore perché riassume in poche righe i dispersi e numerosi commenti sull’argomento. Dissento.
Facebook è gratis e conta 500 milioni di utenti, nel maggio di questo anno ha avuto 130 mio di visitatori unici. E’ una società privata (il fondatore Zuckerberg possiede il 24%) ha 1400 impiegati e fatturerà questo anno circa un miliardo di dollari, quasi tutto proveniente da pubblicità attraverso un contratto esclusivo con Microsoft.
Mi sembra ovvio che Facebook non può rispondere del contenuto pubblicato dai suoi membri. Mi sembra anche che non deve esercitare alcun controllo preventivo sul contenuto. Perché se questo dovrebbe essere necessario per legge (tipo responsabilità dell’editore), nessuna piattaforma per socialmedia sarebbe concepibile.
Come la mettiamo invece con insulti, denigrazioni, bugie, truffe una volta che sono pubblicate?
Se la cosa è grave la si denunci alla magistratura. Altrimenti la si segnali a facebook che sospende il membro. La parti in conflitto si diano da fare per risolvere il problema. Ci manca solo un altro circuito giudiziario, quello di Facebook.
E’ comunque prudente usare Facebook come un luogo dove creare lo stimolo per visitare un blog o un sito che non è così fragile.
Infine aggiungo che ho telefonato al Signor Passalaqcua (quello del sito cristiano che ha denunciato Pasquale) che prima ha negato di esistere e poi ha detto che avrebbe risposto, ma non oggi, che doveva sentire altri durante il weekend, che avrebbero risposto lunedì. La voce era quello di un vecchietto spaventato. Spero non in conseguenza dei miei modi non sempre urbani.
Saluti
Hans Suter Interpretive Manager STZ pubblicità.”
Qui di seguito la risposta alle obiezioni di Suter:
Caro Hans,
mi pare ci siano due questioni semplici: la prima è che chiunque riceva una sanzione, ha il diritto di sapere perché. Faccio un esempio: se ricevo una multa per una contravvenzione al codice della strada, ho diritto di sapere quale articolo ho violato. Un divieto di sosta? Un passaggio col rosso? Nessuno accetterebbe un generico “per violazione del codice della strada”.
La seconda questione è che non si capisce perché, dopo aver chiuso Advertown, a Barbella sia stato inibito l’accesso alle altre sue pagine. E’ come se, siccome ho preso una multa, io non possa neppure più salire su un’auto.
Detto questo, ti segnalo che i signori del Cenacolo Tradizione Cattolici Mordini, che hanno promosso l’azione contro Barbella, scrivono sul loro sito: “Quali fedeli testimoni del pensiero mordiniano e dell’autentica Tradizione non possiamo che dissociarci ed condannare fermamente quelle persone che divulgano queste sacre tematiche nei social network.
Abbiamo trovato riferimenti al nostro cenacolo e al nostro sito in FACEBOOK. Diffidiamo chiunque intraprenda queste iniziative, peraltro non autorizzate, che sono opposte alla nostra natura”.
Mi pare evidente chi è che ce l’abbia con i social network. Non certo Barbella, che di Facebook è un utilizzatore. Dico questo perché Facebook scrive a uno degli amministratori di Advertown, Massimo Gaustini: “Se credi che abbiamo commesso un errore nel rimuovere questi contenuti, ti preghiamo di contattare direttamente la controparte per risolvere la questione(…).Firmato: Giulia, User Operations Facebook.
Insomma Barbella per essere “riammesso” in Facebook deve avere il beneplacido di una organizzazione che ritiene Facebook e i social network “iniziative opposte alla nostra natura.” Non ti sembra che tutta la vicenda sia un tantinello strampalata? Beh, buona giornata.
La censura ha sempre qualcosa di comico. Ma stavolta siamo al grottesco: Facebook, il social network per eccellenza, molto usato per fini pubblicitari censura i pubblicitari. Roba da far venire la pelle d’oca anche a un uovo sodo. Ecco i fatti: Pasquale Barbella, notissimo pubblicitario italiano, circa un anno fa apre una pagina su Facebook, intitolata Advertown. Su questa pagina, come una sorta di archivio collettivo, vengono pubblicati annunci e campagne pubblicitarie che hanno fatto la storia dell’advertising mondiale. Ad uso e consumo di studenti di scuole di pubblicità e di giovani creativi che lavorano nelle agenzie di pubblicità italiane, Barbella e altri pubblicitari di lungo corso, stimolavano la pubblicazione di esempi di comunicazione commerciale, un modo di tener viva la “memoria storica” della buona pubblicità.
Una iniziativa innocua, se volete ingenua, niente di più di quello che si è visto negli annual, cioè quei libri compilativi che raccolgono campagne premiate come le migliori. Una iniziativa lodevole, se non altro perché metteva a disposizione buoni esempi di pubblicità, una nicchia di fruitori che contava circa 700 “friends”, come vengono chiamati da Facebook coloro che si iscrivono e partecipano alla pagina in questione. Se non che il 31 agosto scorso, Barbella, fondatore di Advertown e altri “amministratori”, tra cui Massimo Guastini, Andrea Concato e Luigi Montaini, tutti pubblicitari di fama, ricevono un “Facebook Warning”: «Abbiamo disabilitato il tuo profilo poiché ci è stato segnalato da terzi che trasgrediva o violava i suoi diritti.».
Ma di che cosa stiamo parlando, se si tratta di una raccolta “storica” di annunci pubblicitari, pubblicati nel passato? Qualche erede di un pubblicitario americano o inglese si è irritato? Qualche grande azienda non ha gradito si pubblicassero annunci pubblicitari con il loro marchio, senza magari aver chiesto il permesso?
Macché, niente di tutto questo. Contattata Facebook, Barbella viene informato proprio da Facebook che una organizzazione che risponde all’indirizzo cenacolo@tradizionecattolicimordini.it ha chiesto la rimozione di Advertown. A parte che andare sul sito di questi signori sembra di finire nelle pagine di Dan Brown, la domanda è: perché? Facebook non fornisce spiegazioni, ma invita Barbella a trovare una composizione con cenacolo@tradizionecattolicimordini.it: se loro danno il permesso, la pagina Advertown potrà essere ripristinata.
Dalla comicità si è passati al grottesco, ma ecco che si affaccia la farsa: Facebook ritiene violate le sue regole, però non dà spiegazioni, ma anzi indica i responsabili della richiesta di cancellazione. Inutile dire che Barbella scrive ai signori di cenacolo@tradizionecattolicimordini.it, i quali si sono fin qui guardati bene dal rispondere.
Insomma, uno aderisce a un social network, ma è soggetto al veto di una organizzazione politico-religiosa esterna al social network medesimo. Ma né Facebook né cenacolo@tradizionecattolicamordini.it danno alcuna spiegazione.
Se dalla comicità si è passati al grottesco, e dal grottesco alla farsa, arriva infine il sopruso: il 9 settembre scorso Facebook chiude a Barbella ogni accesso alla pagina di base (“Pasquale Barbella”) e a tutti i gruppi tematici da lui fondati (musica, arte, letteratura, cinema, fotografia, attualità politica, satira politica). Insomma, prima a Pasquale Barbella è stato messo il bavaglio, e subito dopo è stato espulso, come indesiderabile dal “mondo” Facebook: attualmente, gli altri possono accedere alle “sue”pagine di Facebook, lui no. Roba da matti.
Perché Facebook ha messo il bavaglio a Pasquale Barbella non si sa, non si può sapere. L’unico fatto certo è che cenacolo@tradizionecattolicamordini.it ordina, Facebook esegue. Con tanti saluti alla libertà di espressione del più famoso social network nell’era dei new media. Beh, buona giornata.
S’è rotto l’uovo di Colombo. Fare programmi a basso costo, di bassa qualità con un’ alta redditività pubblicitaria non paga più. Il tonfo di Endemol lo ha dimostrato. La televisione ha ingannato per anni gli inserzionisti pubblicitari, vendendogli format in grado di fare ascolti, che si volevano trasformati in altrettanti contatti utili alle campagne pubblicitarie. Ma a un certo punto il giocattolo si è rotto. Perché il successo di alcuni programmi era effimero, gonfiato dalle società di rilevamento dell’audience. Quando la crisi ha cominciato a picchiare duro, sono crollati i consumi, dunque le vendite, dunque gli introiti. E le grandi compagnie hanno cominciato a disinvestire in pubblicità televisiva.
Ecco la verità del tonfo di Endemol. Una verità che in Italia è ancora più rimarchevole. Pensate solo al fatto che Mediaset è la più grande compagnia del settore televisivo privato, ma è anche azionista di Auditel, ma è anche proprietaria di Endemol. Se poi non ci dimenticassimo che il capo di tutto questo è anche il capo del governo italiano, dovremmo tenere a mente che nel 2009 Berlusconi, che è anche il capo di Mediaset, di Auditel e di Endemol diceva che la crisi non c’era, poi che era alle spalle, poi che non bisognava investire pubblicità sulle testate “catastrofiste”. Risultato?
Secondo Nielsen Media Reaserch, compagnia americana operante anche in Italia, specializzata nelle ricerche di mercato, la raccolta pubblicitaria nelle tv italiane nel 2009 è scesa a -10%. Dunque, “Il Grande Fratello”, piuttosto che “Chi vuol essere milionario”, piuttosto che “Che tempo che fa”, tanto per citare solo alcuni format targati Endemol non sono riusciti a fermare la crisi dei consumi e di conseguenza la crisi degli investimenti pubblicitari in televisione. La formula secondo la quale, più abbasso la qualità più rendo fruibile la visione, più è facile inserirvi la pubblicità, più è garantito il successo delle vendite è andato a farsi friggere.
Il tonfo di Endemol non è un fatto semplicemente finanziario. E’ la prova provata della crisi di un modello di business della pubblicità. Se i consumatori se ne sono accorti, tanto da non dare più retta ai “consigli per gli acquisti” in tv; se i telespettatori se ne sono accorti, tanto da non accordare gli stessi livelli di audience; se gli investitori se ne sono accorti, tanto da penalizzare la tv a favore di internet; quello che stupisce è che non se ne siano accorti in tempo Goldman Sachs, Mediaset e Jon De Mol. Ma forse no. Dopo le “bolle speculative” cui siamo stati abituati, cosa volete che siano le “balle speculative” che sono state raccontate in questi anni ai consumatori, ai telespettatori e agli investitori pubblicitari?
Insomma, il vero reality show non è andato in onda nelle case dei telespettatori, è andato in sala riunione delle case produttrici di prodotti e servizi, ingannati dalla facilità con la quale gli si potevano vendere mediocri programmazioni televisive, da farcire con mirabolanti pianificazioni pubblicitarie. Beh, buona giornata.
(fonte: repubblica.it).
“La mancata messa in onda” di Annozero sarebbe “un grave danno per il servizio pubblico e mi costringerebbe a impiegare tutte le energie per difendere diritti miei, dei miei collaboratori e degli spettatori”. Lo scrive oggi Michele Santoro in una lettera al direttore generale della Rai Mauro Masi, commentando “l’ennesimo rinvio di una settimana” da parte del Cda Rai sulle decisioni relative alla messa in onda della trasmissione. Ecco la lettera:
“Gentile Direttore,
al termine di una stagione faticosa, durante la quale sono stato costretto a lavorare più per contrastare manovre politiche e impedimenti burocratici che per realizzare un prodotto televisivo, solo al fine di trovar modo di continuare a svolgere la mia professione con un minimo di serenità, avevo accolto il tuo invito a valutare una ipotesi transattiva che ponesse fine all’interminabile vicenda giudiziaria che mi riguarda.
Ma siccome nessuna azienda seria rinuncerebbe a cuor leggero a una trasmissione come Annozero e nessuna azienda libera discuterebbe di materie contrattuali riguardanti i suoi dipendenti come ha fatto la Rai, addirittura dedicando intere trasmissioni alla nostra cosiddetta trattativa, si è scatenata una incredibile concatenazione di errori di comunicazione e polemiche.
Oggi sono costretto a constatare che non si è ottenuto il risultato sperato: individuare soluzioni che appaiano e siano dalla parte del pubblico. E’, invece, risultato evidente che Annozero, perfino da chi esprime nei suoi confronti critiche violente, è considerato un elemento assai importante del panorama informativo italiano. Il clamore suscitato dalla eventualità di una sua soppressione, al di là delle critiche ingiustificate e immotivate sulla portata e il valore del possibile accordo, ha dimostrato inequivocabilmente che un pubblico enorme non vuole rinunciare ad uno dei suoi appuntamenti preferiti.
Perciò lasciami dire che, indipendentemente dalle tue intenzioni, la tattica di rinviare continuamente la conferma in palinsesto del programma, anche dopo quanto emerso dall’inchiesta di Trani, conferma nell’opinione pubblica la convinzione di un carattere strumentale dell’interesse manifestato per le nuove trasmissioni alle quali avrei potuto dar vita. Non c’è più spazio, quindi, per rinvii e ambiguità. E non c’è più tempo per trovare alcun accordo tra noi che non preveda la messa in onda di Annozero.
Ti prego di provvedere di conseguenza a sbloccare le pratiche che con i miei collaboratori sono state già tutte opportunamente istruite e consegnate alla Rete dopo aver definito con il Direttore Liofredi e gli uffici competenti della Rai date e modalità produttive. La mancata messa in onda del programma sarebbe un grave danno per il servizio pubblico e mi costringerebbe ad impiegare tutte le energie per difendere diritti miei, dei miei collaboratori e degli spettatori. Ti ringrazio per la cortese attenzione e ti invio i miei più cordiali saluti.
Michele Santoro
(Beh, buona giornata).
Il 1° luglio tutti in piazza contro la legge – bavaglio
IL SILENZIO UCCIDE LA LIBERTA’, di Giulio Gargia-3Dnews, settimanale allegato al quotidiano Terra.
Ora sembrano che facciano marcia indietro. Ora che perfino l’OSCE, l’organizzazione europea per la sicurezza, quella che in genere interviene in Kirghizistan o in Kurdistan, critica questo bavaglio contro giudici e giornalisti e dice che l’hanno fatta grossa, ora che Fini rilancia e Bossi si sfila, ora insomma… si prendono una pausa.
Si profila perciò uno stop, almeno temporaneo, della più sciagurata e malfatta legge tra tutte quelle pessime concepite e approvate in questi anni. Un provvedimento che ha paura non solo dei cronisti, ma perfino dei blogger, cui vuole applicare gli stessi criteri del Corriere della Sera. Ma nessuno si illuda che rinunceranno. Prima o poi, appena una notizia casuale o gonfiata ad arte farà cambiare il vento, ci riproveranno. Perciò, non solo non bisogna fermare la mobilitazione, ma rilanciarla e darle degli obiettivi che non siano più solo difensivi.
Attaccare sul terreno dell’avversario, quello mediatico. Riproporre leggi che levino la RAI alla politica e la restituiscano ai cittadini, come quella firmata da Tana De Zulueta e abbandonata in una commissione del governo Prodi. Costruire iniziative come “RAI per una notte”, cose che non “parlino” di comunicazione, ma la “facciano”, che si possa vedere, questa comunicazione. Come ha fatto Santoro quella notte, rilanciato e moltiplicato da centinaia, migliaia di Tv regionali, locali, satellitari, digitali.
Chiediamo alla Federazione Nazionale della Stampa di farsi carico di organizzare ancora – con o senza Santoro – iniziative come quella, che facciano parlare “ oscurati e oscurandi”, per dirla come Giulietti, tutte le sorelle di Cucchi, le madri di Aldrovandi, gli amici di Sandri, i padri di Agostino ( il poliziotto di Palermo ammazzato da un intrigo di mafia e apparati deviati) che hanno nll’opinione pubblica la loro prima, immediata difesa. Al di là e al di sopra del processo, che ha tempi e articolazioni e obiettivi diversi.
Se i cingolati del premier si sono fermati, un po’ è merito anche degli sforzi di quei tanti ragazzi, cittadini e professionisti che hanno messo con determinazione, metaforicamente e no, il loro corpo davanti ai carri armati del premier che stanno per occupare la nostra Tien A Men. Sappiamo che finchè ci sarà una telecamera accesa a riprenderli, sarà più difficile schiacciarli.
Quello di queste settimane è stato un grande esempio di “ giornalismo partecipativo”, di chi ha “ fatto notizia” per non farsi strappare le notizie. Buon segno, ma non basta. Non abbassiamo il microfono. E il 1° luglio, tutti in piazza Navona. (Beh, buona giornata).
Raiuno. Molti cambiamenti nel day time, dalla programmazione festiva, con l’approdo sulla rete ammiraglia di In famiglia, storico contenitore di Michele Guardì, e la nuova conduzione di Lorella Cuccarini a Domenica In; nei giorni feriali, Antonella Clerici torna a condurre La prova del cuoco, mentre nel pomeriggio Maurizio Costanzo riapre il sipario su Bontà loro, seguito dal contenitore familiare Festa Italiana. Sarà affiancato da Mara Venier alla guida de La vita in diretta Lamberto Sposini, mentre Carlo Conti torna con L’eredità e Fabrizio Frizzi con I soliti ignoti, promosso anche in prime time, il sabato sera per una versione con concorrenti vip.
Per la programmazione serale, dopo Miss Italia, si aprirà una grande stagione di fiction, calcio della nazionale e intrattenimento, con la nuova edizione di Ti lascio una canzone, con Antonella Clerici, e I migliori anni, abbinato alla Lotteria Italia e condotto da Carlo Conti. In seconda serata si segnala la conferma dei quattro appuntamenti di Porta a Porta, di e con Bruno Vespa.
Raidue. Tornano dal lunedì al venerdì I fatti vostri con Giancarlo Magalli e il sabato e la domenica Mezzogiorno in famiglia con Amadeus e Laura Barriales, mentre la fascia per i ragazzi si arricchisce di due nuovi segmenti, telefilm e programmi per ragazzi. Al pomeriggio, prendono il via un nuovo contenitore, affidato a Caterina Balivo, e I gialli sul due, che abbina un classico del genere, La signora in giallo, a uno di nuova generazione come Numbers.
Dopo lo sport, appuntamento con la striscia di X-factor, mentre il sabato è confermato quello con Top of the pops. Nel prime time, arriva l’atteso Persone sconosciute, la coproduzione Rai-BBC-Fox, firmata da Bryan Singer (il regista de I soliti sospetti) che negli USA sta sbancando gli ascolti. E poi nuovi episodi per i cult NCIS, Castle, Cold Case, Criminal Minds. Sempre in prima serata tornano Voyager e X-Factor, condotto da Francesco Facchinetti e Alessandra Barzaghi e con Elio in giuria, e arriva un nuovo programma di intrattenimento condotto da Monica Setta, Solo per amore. Informazione in seconda serata, con la rubrica economica di Barbara Carfagna e gli approfondimenti di Gianluigi Paragone.
Raitre. Diventa mattiniero Andrea Vianello, per condurre un nuovo programma dalla parte dei cittadini, dal lunedì al venerdì, seguito da un nuovo talk show condotto da Michele Mirabella. Il sabato TV Talk, la tv che fa conoscere la televisione, si sposta al pomeriggio. Confermati Le storie di Corrado Augias, i telefilm, la programmazione per i ragazzi, Geo & Geo con Sveva Sagramola.
In fascia access, il nuovo Zaum, nome futurista per una sorta di ‘blob’ tematico, insieme allo stesso Blob e ai nuovi episodi di Un posto al sole. Al sabato e alla domenica torna Che tempo che fa, di Fabio Fazio con Luciana Littizzetto, seguito dal programma Report di Milena Gabanelli, da Elisir con Michele Mirabella, il sabato da Ritorno al futuro, con Alex Zanardi, e poi Nati liberi, di Licia Colò.
Nel prime time feriale, il nuovo programma di intrattenimento e memoria, affidato a Pippo Baudo, il debutto di Hotel Patria, dedicato alle domande di cittadini e con esperti in studio, le conferme del programma di informazione di Giovanni Floris Ballarò e di quello di servizio condotto da Federica Sciarelli Chi l’ha visto?, la scommessa di Fabio Fazio e Roberto Saviano, Vieni via con me. In seconda serata, spazio all’ironia con Gene Gnocchi la domenica e con Serena Dandini a Parla con me nelle seconde serate feriali, ma anche alla Storia e alle ‘storie’: le Storie maledette di Franca Leosini, o quelle di Amore criminale e di Un giorno in pretura. Beh, buona giornata.
Con la nuova legge i magistrati e
i giornali avranno più difficoltà
A cura di FRANCESCO GRIGNETTI-lastampa.it
1- Le intercettazioni telefoniche
Intercettazioni possibili solo per i reati puniti con più di cinque anni di carcere. I telefoni possono essere messi sotto controllo per 75 giorni al massimo. Se c’è necessità, motivata dalpme riconosciuta dal giudice, è possibile un periodo aggiuntivo di tre giorni, prorogabili di volta in volta con provvedimento delpm controfirmato dal giudice fino a che esista la necessità. Per i reati più gravi (mafia, terrorismo, omicidio, ecc.) le intercettazioni sono possibili per 40 giorni, più altri venti prorogabili. Inoltre, le intercettazioni disposte per un reato potranno essere utilizzate anche per provarne un altro, purché il fatto sia lo stesso.
2- Divieti e sanzioni
Gli atti delle indagini in corso possono essere pubblicati solo per riassunto. Gli editori che ne consentono la pubblicazione in maniera testuale rischiano fino a 300mila euro di multa. Le intercettazioni sono off limits per la stampa fino a conclusione delle indagini: per gli editori che violano il divieto, sono previste sanzioni oltre i 300 mila euro, che salgono a 450mila euro se si tratta di intercettazioni di persone estranee alle indagini o che devono essere espunte dal procedimento perché illecite o irrilevanti ai fini processuali. Condanne dure anche per i giornalisti: fino a 30 giorni di carcere o una sanzione fino a 10.000 euro se pubblicano intercettazioni durante le indagini o atti coperti da segreto.
3- Intercettazioni ambientali
Niente più microfoni piazzati in casa o in auto per registrare le conversazioni degli indagati. Le «cimici» saranno consentite per un massimo per tre giorni, prorogabili di tre in tre con provvedimento delpmcontrofirmato dal giudice.
4- Pm in televisione
Se il responsabile dell’inchiesta passa alla stampa atti coperti dal segreto d’ufficio o rilascia dichiarazioni pubbliche su un’inchiesta a lui affidata può essere sostituito dal capo del suo ufficio. La sostituzione non avviene più per automatismo,ma occorre la volontà del capo dell’ufficio.
5- Norma transitoria
Le nuove regole si applicano ai processi in corso. Quindi, anche se erano già state autorizzate intercettazioni con le vecchie regole, dovrà essere applicato il tetto dei 75 giorni. Dal giorno di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, inoltre, saranno necessari 15 giorni di vacatio ordinaria per consentire alle Procure di allestire il registro segreto e un luogo dove conservare le intercettazioni, di cui è responsabile il capo dell’ufficio.
6- Riprese dei processi
Sulle riprese tv per i processi decide il presidente della Corte d’Appello, che può autorizzarle anche se non c’è il consenso delle parti.
7- Registrazione
Le registrazione carpite di nascosto sono permesse solo ai servizi segreti e ai giornalisti professionisti e pubblicisti.
8- Preti e onorevoli
Se nelle intercettazioni finisce un sacerdote bisogna avvertire la diocesi; se l’intercettato è un vescovo il pmdeve avvertire la segreteria di Stato vaticana. Per quanto riguarda i parlamentari, occorre il via libera della Camera di appartenenza. Vietato ascoltare assistenti e familiari degli onorevoli se sono estranei ai fatti per cui è in corso l’indagine.
Ecco alcuni casi clamorosi che non potremmo più sapere
Mafia, nulla su Ciancimino e addio a Gomorra
La vera vita di don Vito Ciancimino, raccontata dal figlio Massimo, i suoi rapporti pericolosi con la mafia, gli incontri dell’ex sindaco di Palermo con Bernardo Provenzano, e poi la misteriosa trattativa con lo Stato. Quindi il Papello mafioso, le richieste di Totò Riina, le intuizioni di Paolo Borsellino, i contatti con gli ufficiali del Ros dei carabinieri, forse la chiave occulta che sottostà alle stragi del ‘92. Tutto questo e molto altro non si sarebbe mai potuto raccontare con la nuova legge perché guai a riferire di un atto giudiziario, come sono gli interrogatori di un testimone quale è Ciancimino jr. Il libro «Don Vito», scritto da Francesco La Licata, non sarebbe mai arrivato in libreria. Ma anche «Gomorra» di Saviano.
La «cricca», tre anni per far emergere gli affari sui grandi appalti
La Cricca è un termine azzeccato per raccontare la consorteria di Balducci & soci che viene fuori, guarda caso, da un’intercettazione. E’ uno degli indagati che ne parla al telefono, e si lamenta perché è rimasto escluso da certi appalti fiorentini, a dire: «Ecco, vedi, questa è la cricca romana…». Sapeva di che cosa parlava. Ma quelle intercettazioni, con la nuova legge, non ci sarebbero mai state. I carabinieri di Firenze, infatti, sotto la guida della procura, hanno intercettato i protagonisti dei Grandi Appalti per quasi tre anni. Sono centinaia di migliaia le conversazioni captate. Una montagna. E mai, in tre anni, una fuga di notizie che abbia messo in forse l’inchiesta. Solo quando sono scattate le manette, nel febbraio scorso, e con le ordinanze dei giudici è iniziata la «discovery» degli atti, i media hanno scoperto l’esistenza stessa di quest’inchiesta. Molti retroscena sarebbero rimasti ignoti. E con la nuova legge anche i resoconti sarebbero stati ben diversi, parziali, minimali. I giornalisti avrebbero potuto raccontare «per riassunto» gli atti, non per esteso. E mai un’intercettazione sarebbe finita sulle pagine di un giornale.
Furbetti del quartierino, le imprese di Ricucci e la caduta di Fazio
Aho, qua stamo a fa’ i furbetti del quartierino…». Indimenticabile Stefano Ricucci. Era l’estate del 2006. L’immobiliarista dall’accento romanesco, partito dal nulla e entrato nel salotto buono della finanza italiana, era stato appena arrestato. E l’Italia scoprì, scorrendo avidamente le pagine dei giornali, le gesta di un nuovo ceto d’imprenditori. Le intercettazioni finirono a pacchi sui giornali, anche quelle francamente ininfluenti, tipo l’sms di Anna Falchi al marito. Di tutto ciò, un domani, nulla si saprà fino al termine delle indagini preliminari. E forse Antonio Fazio, l’ultimo Governatore a vita, che con sé ha trascinato nel fango anche questa prerogativa di Bankitalia, sarebbe ancora al suo posto.
Caso Scajola, addio alle notizie sulla casa con vista sul Colosseo
Era e rimane un testimone, Claudio Scajola. Il suo, è un caso di ministro della Repubblica che si dimette prima ancora di avere ricevuto un avviso di garanzia o di essere iscritto al registro degli indagati. A suo carico insomma non c’è nulla di rilevante dal punto di vista penale a tutt’oggi. Ma politicamente parlando, la questione è diversa. Quando si è scoperto che il costruttore Diego Anemone aveva fatto arrivare novecentomila euro alle due signore che vendevano la celebre casa con vista sul Colosseo, tramite i buoni uffici dell’architetto Zampolini, e che quindi quella compravendita era quantomai misteriosa, i sondaggi ordinati da Berlusconi hanno segnato una scossa tellurica. Ed è caduta una testa. La storia dell’appartamento di Claudio Scajola non ha neanche a che fare con le intercettazioni. C’entrano gli accertamenti bancari, la testimonianza di Zampolini e delle due sorelle Papa, alcuni buoni articoli di cronaca giudiziaria. Gli italiani hanno saputo e si sono formati un’opinione. Di tutto ciò, con la nuova legge in arrivo, non si sarebbe potuto sapere nulla. E il ministro Scajola sarebbe sempre al suo posto.
Protezione civile, le discutibili amicizie di Bertolaso
Macelleria mediatica», dice Guido Bertolaso. L’immagine è forte. Denota l’esasperazione di un sottosegretario al centro della curiosità dei media. Ma in quale paese al mondo, dove ci sia la libertà di stampa, potrebbe passare inosservata la vicenda di un sottosegretario potentissimo, commissario straordinario in un’infinità di situazioni di emergenza reale e non, che è costretto penosamente ad ammettere una volta che conosce sì Diego Anemone e ha con lui rapporti familiari, ma «so come evitare le trappole»; che proprio ad Anemone ha affidato lavori di falegnameria per il suo villino ai Parioli, ma «erano tapparelle»; che sua moglie aveva avuto un incarico professionale da Anemone per 90 mila euro; infine la storia non chiara dell’appartamento di via Giulia che forse lo pagava Anemone e forse no; e che i massaggi della fisioterapista del Salaria Sport Village gli avevano fatto «vedere le stelle perché mi aveva “sconocchiato” la schiena»? La storia dei Grandi Appalti è ancora da scrivere, ma quello che è emerso finora dall’inchiesta, in futuro non più pubblicabile se non per estremo riassunto, racconta di comportamenti forse non censurabili sul piano penale, ma sicuramente sul piano dell’opportunità per chi manovra miliardi di euro a sua discrezione.
La caduta di Prodi, dopo le telefonate di Lady Mastella
L’ ultimo governo Prodi, qualcuno se lo ricorda ancora? Accadeva due anni fa: ministro della Giustizia era Clemente Mastella; sua moglie, la signora Lonardo, presidente del consiglio regionale della Campania. L’Udeur compagno di strada della sinistra, ma in perenne lite con i dipietristi e con la sinistra radicale. In questo instabile equilibrio politico piombarono due inchieste penali. Una partiva dalla Calabria, titolare era Luigi De Magistris. L’altra veniva dalla Campania, procura di Santa Maria Capua Vetere. Furono due mazzate. Fu svelato il sistema-Mastella di nomine e di clientelismo. Indimenticabile quell’intercettazione in cui la signora Mastella diceva di un ex del suo partito, tale Gigi Annunziata, direttore generale della Asl per grazia di partito: «Allora per quanto mi riguarda lui è un uomo morto! E lo è anche per mio marito. Quindi per cortesia tenetevene alla larga: dal punto di vista professionale tu incontri chi vuoi. Ci mancherebbe. Ma dal punto di vista politico le cose passano attraverso di noi». L’intercettazione finiva sui giornali il 17 gennaio 2008. Pochi giorni dopo cadeva il governo Prodi.
Lo scandalo escort, inutilizzabili i nastri della D’Addario
In Parlamento, la norma che vieta in futuro di autoregistrarsi «fraudolentemente» le telefonate, l’hanno chiamata assai maliziosamente Emendamento D’Addario. Inevitabile infatti il riferimento a quelle registrazioni che la escort più famosa d’Italia, la barese Patrizia D’Addario, effettuò in casa Berlusconi la sera che fu ricevuta dal premier e poi, il giorno dopo quando il premier la chiamò al telefono per salutarla e chiacchierare sulla notte bollente trascorsa assieme. Quelle autoregistrazioni finirono agli atti di un’inchiesta penale, l’inchiesta sui maneggi di Giampi Tarantino (ancora in corso) e poi in un libro («Gradisca presidente», Aliberti editore) che l’ha buttata sul felliniano. La novità è davvero rivoluzionaria perché fino ad oggi le autoregistrazioni erano un caposaldo delle difese, un modo considerato più che lecito per tutelarsi, e molti big della politica sono più che abituati a registrare tutti i colloqui che si svolgono nel loro studio. All’Emendamento D’Addario sono seguite alcune specifiche deroghe per gli agenti segreti, per le forze di polizia e per i giornalisti professionisti perché il divieto era parso francamente esagerato. Resta lecito autoregistrarsi anche per i normali cittadini, ma solo per utilizzarle nel corso di controversie davanti a un giudice o per farne oggetto di esposti.
Il caso Minzolini, le pressioni sul Tg1 e l’Authority
Trani, in Puglia, oltre che per lo splendido centro storico, è divenuta famosa per la sua piccola procura da dove qualche mese fa s’intercettava tutto il mondo. A margine di un’inchiesta su certi imbrogli che si consumano con le carte di credito, era finito sotto ascolto il telefono di Augusto Minzolini, il direttore del Tg1, e quello di Giancarlo Innocenzi, membro dell’Authority sulle Comunicazioni. Non indagati, ma intercettati. E s’è finiti per registrare le telefonate di Berlusconi che chiama Minzolini «direttorissimo» oppure che chiede la testa di Michele Santoro. Fuga di notizie, intercettazioni sui giornali, grande scandalo di questi (per il tono usato da Berlusconi) e di quelli (perché le intercettazioni sono già a disposizione del grande pubblico). E intanto si va a votare alle Regionali, che il Cavaliere stravince, a dimostrazione che la via giudiziaria non aiuta granché sul piano elettorale.
La morte di Cucchi, le foto del pestaggio non le avreste viste
U n atto giudiziario può anche essere una fotografia, inserita nel faldone di un’inchiesta. La foto del giovane detenuto Stefano Cucchi, per dire, morto in un ospedale romano dopo un sicuro pestaggio e una lunga agonia. Per scelta della famiglia la foto finì sui giornali e fu chiaro a tutti che erano volate le botte. Nel clima di commozione alcuni testimoni trovarono la voglia di collaborare. Disse la sorella Ilaria: «Con la nuova legge non avremmo potuto far conoscere la verità». Per chi volesse rivivere la vicenda, è appena uscito un libro («Non mi uccise la morte», Castelvecchi editore) con le foto della vergogna. In futuro sarebbe impossibile.
Le dimissioni di Saccà, c’erano una volta le veline raccomandate dal Cavaliere
C’era una volta un potente direttore di Raifiction di nome Agostino Saccà che spesso e volentieri era al telefono con Silvio Berlusconi, amico di lunga data. Anche per lui la buccia di banana furono alcune intercettazioni, ordinate dalla procura di Napoli, effettuate nel dicembre 2007, che portarono alla luce le trattative di Berlusconi con alcuni senatori per arrivare alla «spallata» contro il governo di sinistra. Con l’occasione si scoprì che Saccà si dava un gran daffare per agganciare politici e portarli da Berlusconi, ma che quest’ultimo, a sua volta, implorava Saccà di dare lavoro a qualche attrice a lui cara. Tre anni dopo, le inchieste sono finite nel nulla, ma si cominciarono a conoscere le gesta del Cavaliere sotto le lenzuola.
Rignano Flaminio, nessuno spazio ai dubbi sulle violenze
Non soltanto la grande politica, ma anche la cronaca sarà rivoluzionata dopo questa legge che vieta di entrare nei dettagli di un’inchiesta. Si prenda il caso dei presunti pedofili di Rignano Flaminio. Una vicenda assolutamente controversa: tre maestre, una bidella, un benzinaio di colore, un autore tv, nell’aprile 2007 finiscono in carcere perché accusati di atti di pedofilia; il paese si spacca. Davvero è stata scoperta una banda di perversi o è un caso di suggestione collettiva? Tra continui colpi di scena il processo sta iniziando ora. Nel frattempo l’opinione pubblica è stata informata minuziosamente e le difese hanno potuto spiegare i loro argomenti. Quantomeno il dubbio è stato insinuato: e se fossero innocenti? Non è poco se poi venissero assolti. (Beh, buona giornata).
Audipress, l’indagine sulla lettura della stampa in Italia, torna a pubblicare i dati dopo quasi 2 anni di black out: l’ultima pubblicazione risaliva ai dati di lettura cumulati dei cicli Autunno 2007-Primavera 2008. Alcune innovazioni introdotte nel questionario avevano creato un grave problema di comparabilità con i dati precedenti tanto da portare al comunicato stampa del 4 Febbraio 2009: “I dati rilevati con la nuova metodologia non sono confrontabili con i precedenti e conseguentemente il Consiglio ha deciso di non dare luogo alla pubblicazione dei dati dell’indagine sperimentale Autunno 2008…”.
In assenza dei dati di lettura il mercato ha guardato con ancora maggiore attenzione ai dati di diffusione, che in questi ultimi anni hanno registrato un tendenziale calo per la maggioranza delle testate. In questo quadro la pubblicazione dei nuovi dati di lettura era attesa con una notevole curiosità e con una certa apprensione per lo stato di salute di molte testate. Audipress invita a non fare confronti con il passato. Ma poiché la definizione di lettore non è sostanzialmente cambiata, riteniamo utile analizzare come il tempo trascorso abbia inciso sui lettori delle testate rilevate.
Il nostro confronto, quindi, è con l’edizione 2008/I. I risultati sono molto, molto sorprendenti.
Quotidiani – lettori giorno medio. Rilevati 52 Quotidiani a pagamento + 3 free.
+4% il totale lettori Quotidiani con la maggior parte delle testate in crescita rispetto al passato. Non è cambiata la classifica dei primi 5 quotidiani a pagamento: in testa La Gazzetta dello Sport con quasi 4 milioni di lettori nel giorno medio, in crescita dell’8%. Seguono La Repubblica (3,2mio +5%), Il Corriere della Sera (2,9mio -1%), La Stampa (1,7mio +17%) e Corriere dello Sport-Stadio (1,7mio + 25%).
E-Polis, con poco più di 1,4mio di lettori, guadagna la sesta posizione (era al nono posto) con una crescita del 46% dovuta alle edizioni aperte nel corso del 2008-2009. Sopra il milione di lettori troviamo Il Resto del Carlino (1,3mio +13%), Il Messaggero (1,3mio -2%) e Il Sole 24 Ore (1mio -8%).
Per quanto riguarda i quotidiani free, Leggo mantiene la leadership (2,2mio) ma, essendo in flessione (-5%), si riduce il gap con City (2mio +2%). Metro perde l’8% di lettori nel giorno medio (1,8mio).
Settimanali – lettori ultimo periodo. Rilevati 34 Settimanali + 5 Supplementi.
Stabile il totale lettori Settimanali (+0,4%) e anche in questo caso la maggior parte delle testate sono in crescita (20 su 34) ! Sorrisi e Canzoni Tv mantiene la leadership (4,9mio +0,3%). Il secondo posto lo guadagna Chi (3,4mio) con un salto di due posizione grazie ad una crescita del 24% (era al 5° posto). Di conseguenza scendono di una posizione Oggi (3,2mio +4%) e Panorama (2,9mio +2%). Il Settimanale Di Più fa un gran balzo dal decimo al quinto posto (2,8mio +19%). Le testate sopra al milione di lettori sono tutte in crescita, tranne Famiglia Cristiana (2,7mio) che perde il 3% dei lettori. In alcuni casi le crescite sono a doppia cifra, come per Donna Moderna (+10% 2,6mio), Telesette (+13% 1,4mio), Vanity Fair (+15% 1,2mio) e Visto (+54% 1,2mio). Gioia (0,6mio +49%) scala 9 posizioni (dal 30° a 21° posto) riducendo il distacco con Grazia (0,8mio -8%). Parlando ancora dei femminili, Tu perde il 50% dei lettori (0,4mio) e A-Anna il 17% (0,5mio).
Per quanto riguarda i supplementi, sono tutti in crescita ad eccezione di Affari & Finanza. Nessuna nuova testata in rilevazione, mentre non sono più rilevati Cioè, Guerin Sportivo (cambio nome e periodicità), Repubblica Salute, I Viaggi di Repubblica (entrambi posizionati all’interno del quotidiano) e Corriere della Sera Magazine (diventato Sette).
Mensili – lettori ultimo periodo. Rilevati 72 Mensili + 1 Supplemento
Anche il totale lettori Mensili è positivo (+2%) con 45 testate in crescita, 1 stabile, 24 in flessione, 5 uscite rispetto alla precedente edizione e 2 new entry: Hachette Home con 92mila lettori e Velvet con 290mila lettori.
Nessuna novità ai primissimi posti della classifica: Focus mantiene il primo posto con oltre 6,2mio di lettori (+10%), seguito da Quattroruote (4,3mio +3%) e da Al Volante (2,4mio +5%). Crescite a doppia cifra per quasi tutti i mensili con oltre 1 milione di lettori (dalla quarta all’undicesima posizione). Variazioni superiori al 20% per Cucina Moderna che registra un +37% (1,5mio) e per Glamour +22% (1,2mio) che dal 13° posto sale all’8°. Cucina Moderna non è un caso eccezionale, poiché tutti i mensili di cucina hanno guadagnato lettori.
Internet
All’intervistato che ha dichiarato la lettura di una testata, quotidiana e/o periodica, è stato chiesto se ha visitato almeno una volta il sito della testata corrispondente. Questa è una novità di Audipress 2010/I. Novità che consente di leggere la fruizione web, ma solo per le testate di cui si è dichiarata la lettura. In altre parole, sappiamo quanti lettori del quotidiano cartaceo “x” hanno dichiarato di aver visitato il sito del medesimo quotidiano.
Per la quasi totalità dei quotidiani rilevati, c’è almeno un lettore che ha dichiarato di aver visitato il sito del quotidiano letto. La Repubblica è il quotidiano con il maggior numero di lettori-visitatori del proprio sito: oltre 1 milione di lettori ha dichiarato di aver visitato anche il sito del quotidiano, cioè il 34% del totale lettori del cartaceo. Segue, per numero di lettori del sito, Il Corriere della Sera con poco più di 800mila (28%).
I lettori della Gazzetta dello Sport, invece, non vantano percentuali altrettanto elevate: infatti sono solo il 16% del totale lettori (poco più di 600mila). Così come per La Repubblica, anche Il Sole 24 Ore ha un terzo dei suoi lettori che ha dichiarato di aver visitato il sito. Per quanto riguarda i periodici sono poche le testate che riportano un dato e, di queste, nella maggior parte dei casi, il valore assoluto è molto contenuto.
Tra i settimanali spiccano con oltre 100 mila lettori, L’Espresso e Panorama, rispettivamente con il 12% e il 6% dei lettori che hanno dichiarato di aver visitato anche il sito.Tra i mensili segnaliamo Quattroruote (691mila, pari al 16% del totale lettori), Focus (475mila / 8%), National Geographic Italia (176 mila / 17%) e Pc Professionale (156mila / 24%).
(Beh, buona giornata).
Santoro, Setta e Paragone “tagliati”, Dandini, Fazio e Saviano “dimezzati”: il can can dei palinsesti Rai-blitzquotidiano.it
E’ can can dei palinsesti in casa Rai. Le bozze sono arrivate sul tavolo del direttore generale Mauro Masi e martedì verranno discusse in Consiglio di amministrazione. Ma già non mancano le sorprese. Più che un can can si potrebbe parlare di “caos” dei palinsesti, tra trasmissioni cancellate, giornalisti sostituiti, puntate dimezzate. Michele Santoro, Monica Setta e Gianluigi Paragone rischiano di chiudere i programmi. Serena Dandini e la coppia Fabio Fazio-Roberto Saviano sono a rischio “dimezzamento”. I giornalisti di RaiNews24 sono sul piede di guerra e scioperano. In più la mannaia dei tagli al personale si sta per abbattere sull’azienda.
Iniziamo da Raidue dove le sorprese, a dir la verità, erano attese. Nel palinsesto 2010-2011 non c’è “Annozero” di Michele Santoro. Nella tabella degli orari, il giovedì sera, al suo posto compare la scritta “spazio informativo”. Così, laconico, senza ulteriori spiegazioni. Prova che la frattura tra il conduttore e i vertici Rai è ancora in corso. Tanto che Santoro ha annunciato una conferenza stampa lunedì 7 giugno alle 12 a viale Mazzini per spiegare la vicenda della “separazione consensuale” dalla Rai.
Ma Santoro non è l’uncio a risentire del can can dei palinsesti. Ad essere a rischio di riconferma sono anche le trasmissioni “Il fatto del giorno” di Monica Setta e “L’ultima parola” di Gianluigi Paragone. Anche in questo caso al posto delle loro trasmission, si legge sul palinsesto “spazio informativo”. Per ora è tutto un punto di domanda, sono delle ipotesi, dei dubbi. Dubbi che verranno sciolti presto, visto che i palinsesti definitivi verranno approntati l’8 giugno durante la riunione del Consiglio d’amministrazione.
Movimenti, stravolgimenti e polemiche non riguardano solo il secondo canale. Anche Raitre naviga in acque agitate. Il viceministro Paolo Romani il 2 giugno ha criticato duramente la trasmissione “Parla con me” di Serena Dandini e nella bozza dei palinsesti il programma perderebbe una serata delle quattro settimanali per far spazio a speciali sui 150 anni dall’Unità d’Italia. Intanto, sempre su Raitre è scoppiato il caso Fabio Fazio – Roberto Saviano per il programma “Vieni via con me”. E’ già tutto pronto: quattro puntate in ottobre condotte da Fazio e con ospite speciale Saviano. Quattro puntate per quattro argomenti: una dedicata a Piergiorgio Welby, una alla ‘ndrangheta, una sulla ricostruzione in Abruzzo dopo il terremoto del 6 aprile 2009, una sulla vicenda dei rifiuti a Napoli. Proprio questi due ultimi argomenti, che infastidirebbero il governo Berlusconi, potrebbero passare sotto la mannaia dei vertici Rai. A viale Mazzini, infatti, si punta a dimezzare le serate di Saviano ed eliminare proprio quelle in cui si parlerebbe di terremoto e di rifiuti. Dalle iniziali quattro puntate, quindi, si passerebbe a due. Il tira e molla tra i dirigenti Rai e la coppia Fazio-Saviano è già in atto. Da una parte i vertici di viale Mazzini sono fermi sul punto. Dall’altro Fazio punta i piedi e dice: o si fanno tutte e quattro le puntate o non se ne fa niente.
Sull’argomento già monta la polemica. Il portavoce dell’Idv, Leoluca Orlando parla della Rai come “la stalla di Arcore” e di Mauro Masi come “lo stalliere di Arcore”. Di tutta risposta il presidente Masi ha deciso di querelare l’esponente dipietrista per “le dichiarazioni diffamatorie di inaudita gravità rilasciate ad agenzie di stampa”. In aperto contrasto con i vertici di viale Mazzini scendono in campo anche i “finiani” di FareFuturo, la fondazione del presidente della Camera, Gianfranco Fini. Il direttore di Ffwebmagazine oggi scrive: “Speriamo che non sia vero. Perché non è un bel paese quello in cui la propria televisione pubblica, la televisione di tutti, decide di tagliare un evento culturale prima che mediatico come la trasmissione di Roberto Saviano. Significa che lo Stato abdica alle sue funzioni per accontentarsi di nani e ballerine, di zerbini e di veline”.
In casa Rai rimane poi aperto il caso Ruffini. L’ex direttore di Raitre è stato reintegrato da un giudice ma quello che è stato il suo posto è attualmente occupato da Antonio Di Bella. Il direttore della Rai, Mauro Masi, starebbe dunque pensando ad affidare a Ruffini la direzione di RaiCinema oppure quella di RaiNews24, determinando, però, l’allontanamento di Corradino Mineo e un altro, inevitabile, giro di walzer.Proprio oggi i giornalisti di RaiNews24 sono scesi sul piede di guerra, hanno indetto uno sciopero e fatto un sit in a viale Mazzini contro la “carenza di mezzi e risorse” con cui devono lavorare e contro “l’oscuramento” di RaiNews24 sul digitale in varie parti d’Italia.
A complicare ulteriormente le cose in casa Rai sono, infine, i tagli e gli esuberi di personale necessari per ripareggiare il bilancio dell’azienda nel 2012. La quota minima di esuberi che è stata individuata è di 750 posti. I tagli ci saranno anche tra i giornalisti: si parla di 1700 dipendenti dell’informazione che verranno mandati a casa. Le “uscite”, promettono a viale Mazzini, saranno per lo più soluzioni “soft” con pensionamenti e incentivi alla pensione. A risentire della crisi dei fondi Rai saranno anche interi settori dell’azienda. Quelli non non centrali, come il trucco e il parrucco, saranno appaltati a società esterne. Si taglierà poi sulle spese “extra” come quelle per le auto e i pullman di servizio. Masi inoltre sta pensando ad accorpare alcune redazioni, come quella di RaiNews24 e Televideo e RaiInternational oltre che, ma è solo un’ipotesi, chiudere definitivamente l’edizione notturna del Tgr e del Tg1 di mezza sera. (Beh. buona giornata).
di Marco Ferri-3Dnews, inserto di cultura, spettacolo e comunicazione di Terra, quotidiano ecologista.
Facebook non è per niente creativo. Non produce assolutamente nulla. Tutto quello che fa è mediare relazioni che si sarebbero allacciate in ogni caso.
“Io disprezzo Facebook. Questa azienda statunitense di enorme successo si descrive come «un servizio che ti mette in contatto con la gente che ti sta intorno». Ma fermiamoci un attimo. Perché mai avrei bisogno di un computer per mettermi in contatto con la gente che mi sta intorno? Perché le mie relazioni sociali debbono essere mediate dalla fantasia di un manipolo di smanettoni informatici in California? Che ha di male il baretto?”, scriveva qualche anno fa di Tom Hodgkinson, noto scrittore inglese, sulle pagine di The Guardian.
Secondo Tom Hodgkinson ,Facebook è un progetto ben foraggiato, e le persone che stanno dietro il finanziamento, un gruppo di capitalisti “di rischio” della Silicon Valley, hanno un’ideologia ben congegnata che sperano di diffondere in tutto il mondo. Facebook è una delle manifestazioni di questa ideologia, un’espressione di un particolare tipo di liberalismo neoconservatore
Malgrado il progetto sia stato concepito inizialmente dalla star da copertina Mark Zuckerberg, il vero volto che sta dietro Facebook è il quarantenne venture capitalist della Silicon Valley e filosofo “futurista” Peter Thiel
Thiel è considerato da molti nella Silicon Valley e nel mondo del venture capital a stelle e strisce come un genio del liberismo. Ma Thiel è più di un semplice capitalista scaltro e avido. Infatti è anche un filosofo “futurista” e un attivista neocon. Filosofo laureato a Stanford, nel 1998 fu tra gli autori del libro The Diversity Myth [Il Mito della Diversità, ndt], un attacco dettagliato all’ideologia multiculturalista e liberal che dominava Stanford. In questo libro sosteneva che la “multicultura” portava con sé una diminuzione delle libertà personali.
Thiel è membro di TheVanguard.org, un gruppo di pressione neoconservatore basato su internet.
Internet è un’immensa attrattiva per i neocon come Thiel, perché promette, in un certo senso, libertà nelle relazioni umane e negli affari, libertà dalle noiose leggi nazionali, dai confini nazionali e da altre cose di questo genere
«Con Facebook Ads, i nostri marchi possono diventare parte del modo di comunicare e interagire degli utenti su Facebook», disse Carol Kruse vicepresidente della sezione marketing interattivo globale, gruppo Coca Cola.
“Condividere” è la parola in lingua di Facebook che sta per “pubblicizzare”. Chi si registra a Facebook diventa un girovago che parla delle reclame di Blockbuster o della Coca Cola, e tesse le lodi di questi marchi agli amici. Stiamo assistendo alla mercificazione delle relazioni umane, l’estrazione di valore capitalistico dall’amicizia?
Recentemente, il fondatore Mark Zuckerberg ha fatto una sorta di mea culpa sulla privacy policy di Facebook.” Sono stati commessi troppi errori in tema di privacy”, ha scritto nero su bianco Zuckerberg in un articolo apparso sul Washington Post.
Ma forse la verità sta nel fatto che milioni di utenti si sono stancati di essere “prigionieri”di Facebook. Infatti, il 31 maggio si prepara la giornata di “evasione di massa”, indetta da QuitFacebookDay.com.
Beh, buona giornata.
Il segreto per campare 100 anni non è nella genetica, ma nella personalità e in uno stile di vita sereno. Lo dice una ricerca australiana. I tratti comuni evidenziati fra 200 persone ultracentenarie sono non fumare, non bere in eccesso, mantenere un peso regolare, buone relazioni e contatti sociali, ottimismo e apertura al cambiamento. Secondo lo studio dell’Università del Nuovo Galles del sud, la longevità è ereditaria nel 20-30% dei casi, mentre i fattori ambientali pesano fra il 70 e l’80%.
Ma qual è il segreto della longevità del manager? La domanda è lecita, nonché di grande attualità, vista la moria di top manager nella pubblicità italiana degli ultimi mesi. Non fumano, non bevono, non hanno la pancetta. Magari capiscono poco di comunicazione, però hanno avuto almeno il talento di intrattenere buone relazioni e contatti sociali, si sono sempre atteggiati a un grande ottimismo. Oh, mio dio, adesso che ci penso deve essere la mancanza di apertura al cambiamento. Mannaggia. Beh, buona giornata.
Se per un buon giornalista la notizia non è che un cane ha morso un uomo, ma è che un uomo ha morso un cane, per un buon pubblicitario le cose stanno così: immaginate un mandria di
cavalli, al galoppo nella prateria. Adesso figuratevi che tra i cavalli selvaggi al galoppo ci sia una zebra. Uno si chiederebbe: che ci fa una zebra in una mandria di cavalli? Il creativo, invece, rovescerebbe la domanda: che ci fa una mandria di cavalli intorno alla zebra? Si chiama meccanismo di rovesciamento, serve a dare una notizia, sorprendendo l’ascoltatore, il telespettatore, il navigatore, il lettore.
Lo so, lo so: la pubblicità sorprendente in Italia non è di moda, anzi, si pratica il banale conformismo della ripetizione. Così che invece che di cavalli, meglio sarebbe parlare di somari.
Ma, tornando ai cavalli, mi sembra una buona metafora che possa descrivere come si fa new business, cioè si cerca di conquistare nuovi clienti nel nostro mercato della comunicazione
commerciale.
Ecco la metafora.
Non ci sono più cavalli selvaggi da domare: il mercato è saturo, non si affacciano alla comunicazione nuovi soggetti, cioè scarseggiano prodotti innovativi, nuovi territori per le marche.
Le ‘giacche blu’, cioè le multinazionali, nell’era della globalizzazione continuano a usare il 7° cavalleggeri dei grandi network: lenti, polverosi, gnucchi e scomodi, come Forte Apache.
Comandati da testoni presuntuosi e perdenti, come il generale Custer. Ma, nella speranza che la tromba suoni la carica e prima o poi “arrivano i nostri”, continuano a mandare messaggeri a Forte Apache. Quelli però stanno facendo le grandi manovre nel cortile e prima che partano in formazione da combattimento per risolvere i problemi dei coloni, pardòn, dei clienti, quelli i clienti hanno già perso lo scalpo.
Poi nel mercato italiano ci sono piccole tribù, che si rifiutano di finire nelle riserve. E allora che fanno? Siccome cavalli liberi non ce ne sono più, e avvicinarsi a Forte Apache è pericoloso e
dispendioso, allora strisciano nella prateria, aspettando il momento buono per rubare i cavalli alla tribù vicina. La quale si incazza, maledice la sfiga. E poi che fa? Striscia nella prateria, aspettando il momento buono per rubare i cavalli alla tribù vicina. Io rubo a te, che tu rubi a me. Il fatto è che a ogni scorreria, il valore della mandria rubata si assottiglia.
Forse, bisognerebbe fare come Geronimo, cioè fare un consorzio di creativi, mettere d’accordo le piccole tribù e provocare una sonora Little Big Horn e addio i generali Custer e tanti saluti ai
Forte Apache. Ma questo è tutto altro film. Beh, buona giornata.