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“Nonostante il terrorismo mediatico, con le sue accuse al “partito della morte”, una salda maggioranza di cittadini continua a dichiarare che debba essere solo la persona a dover decidere della sua vita. Chi li rappresenterà in Parlamento, vista la debolezza dimostrata finora dal Partito democratico?”

di STEFANO RODOTA’ da repubblica.it

Torna un’espressione che sembrava confinata nel passato – “legge truffa”. Ed è giusto che si dica così, perché non altrimenti può essere definito il testo preparato dalla maggioranza per introdurre nel nostro sistema le “direttive anticipate di trattamento” (o testamento biologico) e che, in concreto, ha l’opposto obiettivo di cancellare ogni rilevanza della volontà delle persone. Non solo per quanto riguarda il morire, ma incidendo più in generale sulla possibilità stessa di governare liberamente la propria vita.

Poiché, tuttavia, si discute di fondamenti, appunto dello statuto della persona e del rapporto tra la vita e le regole giuridiche, bisogna almeno fare un tentativo di andar oltre la rozzezza delle argomentazioni che ci hanno afflitto in queste difficili settimane e che rischiano di trascinarsi anche nell’immediato futuro.

Due ammonimenti dovrebbero guidare chi si accinge a legiferare sulla dignità del morire. Il primo viene da un grande giudice americano, Oliver Wendell Holmes: “Hard cases make bad laws”, i casi difficili producono leggi cattive. Questa affermazione lapidaria è stata variamente interpretata e discussa, ma se ne può cogliere il nocciolo nell’invito a separare la legge dall’occasione, la creazione di una norma destinata a durare dall’emozione di un momento. Rischia di accadere il contrario. L’ossessione della turbolegge (ieri in tre giorni, oggi in tre settimane) possiede la maggioranza e frastorna il Pd. Non riflessione pacata, ma frettolosa imposizione di norme incuranti della loro coerenza interna e, soprattutto, della loro conformità alla Costituzione.

Il secondo ammonimento è nell’alta riflessione di Michel de Montaigne: “La vita è un movimento ineguale, irregolare, multiforme”. Quest’intima sua natura fa sì che la vita appaia come irriducibile ad un carattere proprio del diritto: il dover essere eguale, regolare, uniforme. Da qui, da quest’antico conflitto, nascono le difficoltà che oggi registriamo, più intense di quelle del passato perché l’innovazione scientifica e tecnologica fa progressivamente venir meno le barriere che le leggi naturali ponevano alla libertà di scelta sul modo di nascere, vivere, di morire.

L’occhio del giurista, e del politico, deve registrare questa difficoltà, e cogliere le novità del quadro. Da una parte, l’impossibilità di continuare ad usare il diritto secondo gli schemi semplici del passato, pena la sua inefficacia, la sua riduzione a puro strumento autoritario, la perdita di legittimazione sociale. E, dall’altra, l’ampliarsi delle possibilità di scelta che appartengono alla libertà individuale, che riguardano solo la propria vita, e che per ciò non possono essere sacrificate da mosse autoritarie, da imposizioni ideologiche, senza violare l’eguale libertà di coscienza.

La legge, dunque, deve abbandonare la pretesa di impadronirsi d’un oggetto così mobile, sfaccettato, legato all’irriducibile unicità di ciascuno – la vita, appunto. Quando ciò è avvenuto, libertà e umanità sono state sacrificate e gli ordinamenti giuridici hanno conosciuto una inquietante perversione. Non a caso “la rivoluzione del consenso informato” nasce come reazione alla pretesa della politica e della medicina di impadronirsi del corpo delle persone, che ha avuto nell’esperienza nazista la sua manifestazione più brutale. L’autoritarismo non si addice alla vita, né nelle sue forme aggressive, né in quelle “protettive”.

Riconoscere l’autonomia d’ogni persona, allora, non significa indulgere a derive individualistiche, ma disegnare un sistema di regole che mettano ciascuno nella condizione di poter decidere liberamente. Non a caso, riflettendo proprio sul consenso informato, si è detto che questo strumento, sottraendo il corpo della persona alle pretese dello Stato e al potere del medico, aveva fatto nascere “un nuovo soggetto morale”.

Se il testo sul testamento biologico proposto dalla maggioranza dovesse diventare legge, sarebbe proprio questo soggetto a scomparire. Ma qui s’incontra un altro, e ineludibile, ammonimento, l’articolo 32 della Costituzione. Ricordiamone le ultime parole: “La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. è, questa, una delle dichiarazioni più forti della nostra Costituzione, poiché pone al legislatore un limite invalicabile, più incisivo ancora di quello previsto dall’articolo 13 per la libertà personale, che ammette limitazioni sulla base della legge e con provvedimento motivato del giudice. Nell’articolo 32 si va oltre. Quando si giunge al nucleo duro dell’esistenza, alla necessità di rispettare la persona umana in quanto tale, siamo di fronte all’indecidibile. Nessuna volontà esterna, fosse pure quella coralmente espressa da tutti i cittadini o da un Parlamento unanime, può prendere il posto di quella dell’interessato.

Siamo di fronte ad una sorta di nuova dichiarazione di habeas corpus, ad una autolimitazione del potere. Viene ribadita, con forza moltiplicata, l’antica promessa che il re, nella Magna Charta, fa ad ogni “uomo libero”: “Non metteremo né faremo mettere la mano su di lui, se non in virtù di un giudizio legale dei suoi pari e secondo la legge del paese”. Il corpo intoccabile diviene presidio di una persona umana alla quale “in nessun caso” si può mancare di rispetto. Il sovrano democratico, una assemblea costituente, ha rinnovato la sua promessa di intoccabilità a tutti i cittadini.

La proposta della maggioranza si allontana proprio da questo cammino costituzionale. Nega la libertà di decisione della persona, riporta il suo corpo sotto il potere del medico, fa divenire lo Stato l’arbitro delle modalità del vivere e del morire. Le “direttive anticipate di trattamento”, di cui si parla nel titolo, non sono affatto direttive, ma indicazioni che il medico può tranquillamente ignorare, con un grottesco contrasto tra la minuziosità burocratica della procedura per la manifestazione della volontà dell’interessato e la mancanza di forza vincolante di questa dichiarazione, degradata a “orientamento”. La libertà della persona viene ulteriormente limitata dalle norme che indicano trattamenti ai quali non si può rinunciare e, più in generale, da norme che vietano al medico di eseguire la volontà del paziente, anche quando questi sia del tutto cosciente.

Tutto questo ha la sua origine in una premessa che altera gravemente il quadro costituzionale, poiché si afferma che “la Repubblica riconosce il diritto alla vita inviolabile e indisponibile”. Ora, se è ovvio che nessuno può disporre della vita altrui, altrettanto ovvio dovrebbe essere il principio che vuole ogni persona libera di rifiutare la cura, qualsiasi cura, disponendo così della sua vita. Proprio questo diritto viene illegittimamente negato quando si vieta al medico “la non attivazione o disattivazione di trattamenti sanitari ordinari e proporzionati alla salvaguardia della sua vita o della sua salute, da cui in scienza e coscienza si possa fondatamente attendere un beneficio per il paziente”. Conosciamo, infatti, infiniti casi in cui persone hanno rifiutato interventi sicuramente benefici – dalla dialisi, alla trasfusione di sangue, all’amputazione di un arto – decidendo così di morire. Si introduce così un “obbligo di vivere”, che contrasta proprio con i diritti fondamentali della persona.
E’ abusivo anche il divieto di rifiutare l’alimentazione e l’idratazione, definite “forme di sostegno vitale e fisiologicamente finalizzate ad alleviare le sofferenze”, con una inquietante deriva verso una “scienza di Stato”. Quella affermazione, infatti, è quasi unanimemente contestata dalla scienza medica, sì che un legislatore rispettoso davvero dei diritti delle persone dovrebbe, se mai, limitarsi a prevedere modalità informative tali da mettere ciascuno in condizione di valutare e decidere liberamente, davvero in “scienza e coscienza”: ma, appunto, scienza e coscienza della persona, non del medico o di un legislatore invasivo. E si tratta pure di una affermazione puramente ideologica, che ha come unico fine quello di continuare a gettare un’ombra sulla conclusione della vicenda di Eluana Englaro. Inoltre, dietro il nominalismo della distinzione tra “trattamento” e “sostegno”, si coglie la volontà di aggirare l’articolo 32, dove l’imposizione di trattamenti obbligatori è legata a situazioni particolari o eccezionali (vaccinazioni obbligatorie in caso di epidemia). Questa prepotenza legislativa si concreta anche in un trasferimento di enormi poteri ai medici, caricati di responsabilità che li indurranno ad assumere atteggiamenti fortemente restrittivi, così trasformando la proclamata “alleanza terapeutica” con il paziente in una situazione che prepara nuovi conflitti che, alla fine, saranno ancora i giudici a dover decidere.

Delle molte sgrammaticature giuridiche di quel testo si potrà parlare in un’altra occasione. Ma qui conviene concludere con una domanda francamente politica. Nonostante il terrorismo mediatico, con le sue accuse al “partito della morte”, una salda maggioranza di cittadini continua a dichiarare che debba essere solo la persona a dover decidere della sua vita. Chi li rappresenterà in Parlamento, vista la debolezza dimostrata finora dal Partito democratico?  (Beh, buona giornata).

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Attualità Leggi e diritto

Il pacchetto sicurezza? Un pacco.

“Il susseguirsi di atti di violenza dimostra il fallimento delle misure del governo sulla sicurezza. E’ inutile continuare ad illudersi che la soluzione sia più militari nelle città, quando continuano a diminuire le risorse per il comparto e non si provvede al reintegro degli organici mancanti della polizia. Alle città italiane servono più poliziotti, più carabinieri, non le ronde e né i militari”.Casini dixit. Beh, buona giornata.

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Attualità Leggi e diritto Popoli e politiche

“Una politica dell’immigrazione ridotta a controllo e sicurezza può fruttare in termini di voti, ma non prepara un futuro sereno per la convivenza sociale.”

di Maurizio Ambrosini da lavoce.info

Il pacchetto sicurezza approvato in Senato contiene norme sull’immigrazione dal chiaro significato: maggior controllo e maggiore severità. Al di là delle considerazioni etiche sul diritto speciale riservato agli stranieri, sono provvedimenti del tutto inefficaci. Non ci sono né le risorse, né le forze per espellere davvero gli irregolari, che in gran parte sono donne occupate nelle famiglie italiane. Dovremmo invece seguire l’esempio di altri paesi occidentali, dove gli inasprimenti legislativi sono accompagnati da misure a favore dell’integrazione.

Del pacchetto sicurezza approvato nei giorni scorsi dal Senato, fanno discutere in modo particolare le norme relative agli immigrati: una serie di modifiche normative, che spaziano dalla definizione dell’immigrazione irregolare come reato alla verifica dell’idoneità abitativa degli alloggi, dal permesso di soggiorno a punti all’inasprimento della tassazione sui permessi di soggiorno, fino alla norma più controversa, quella della facoltà di denuncia degli immigrati senza documenti che si presentano ai servizi sanitari pubblici.
Il significato è univoco: una volontà asserita di maggior controllo sull’immigrazione, di maggior rigore e severità. Fino a istituire una sorta di diritto speciale a carico degli immigrati, più esplicito nel caso degli irregolari, con i quali secondo il ministro degli Interni “bisogna essere cattivi”. È una linea che sembra incontrare ampio consenso da parte della maggioranza degli italiani, anche in seguito a recenti episodi di cronaca.
In questo contributo non intendo addentrarmi in considerazioni di natura etico-politica, relative ai diritti umani e ad altri aspetti controversi. Vorrei limitarmi ad alcune considerazioni relative all’efficacia presumibile dei provvedimenti e quindi agli obiettivi perseguiti.

IL REATO DI IMMIGRAZIONE

Cominciamo dalla definizione dell’immigrazione come reato, non più punito con il carcere, ma con un’ammenda, comminata dal giudice di pace. A costo di ripetere una constatazione già espressa su questo foglio, i posti disponibili nei centri di identificazione ed espulsione (Cie) sono circa 1.160 in tutta Italia. Se aggiungiamo i 4.169 dei centri di prima accoglienza, pure destinati a ospitare gli immigrati irregolari, arriviamo a poco più di 5.300. Gli immigrati espulsi, fino all’ottobre 2008, sono stati in tutto 6.500, mentre gli irregolari circolanti sul territorio nazionale sono, stando alle auto-denunce dell’ultimo decreto flussi, almeno 740mila. La sproporzione è evidente, così come la natura retorica della misura. Difficile credere che qualcuno pagherà mai l’ammenda. Non ci sono né le risorse, né le forze per espellere davvero gli irregolari, che per la maggior parte sono donne occupate nelle famiglie italiane. Del resto, la grande maggioranza degli immigrati oggi regolari, sono stati nel passato irregolari, due su tre in Lombardia: le categorie sono molto più fluide di quanto si pretende. In realtà, l’immigrazione irregolare, in Italia come negli Stati Uniti e in molti altri paesi, è vituperata a parole e tollerata nei fatti, anche perché funzionale a molti interessi.
Non deve infatti sfuggire il fatto che tra le molte norme del pacchetto sicurezza, nessuna inasprisce le pene per i datori di lavoro di immigrati irregolari. Anzi, i controlli ispettivi sui luoghi di lavoro sono stati alleggeriti. Eppure lì si trova la calamita che attrae l’immigrazione irregolare, tanto che l’Unione Europea ha preannunciato un giro di vite sul tema.
Non dimentichiamo poi che gli immigrati rumeni, in quanto comunitari, non potranno essere perseguiti.

LA SALUTE DELLO STRANIERO

Quanto alla norma più discussa, quella sulla sanità, molti hanno già osservato che se gli irregolari non si curano, ne scapita l’igiene pubblica e quindi la salute di tutti, perché malattie come la Tbc o l’Aids potrebbero propagarsi più facilmente. Molti medici si sono già dichiarati contrari, varie associazioni hanno chiamato alla disobbedienza. Ma c’è un altro elemento, molto prosaico, da tenere presente: che succede se un immigrato dichiara di non avere i documenti? Ammettiamo che parta una denuncia: in un qualche commissariato arriverà una segnalazione secondo cui una persona sconosciuta, presumibilmente straniera, si è presentata al pronto soccorso per farsi medicare. Se anche partisse una volante, il ferito sarebbe già lontano. Solo in caso di ricovero, e ipotizzando una notevole efficienza delle istituzioni preposte all’ordine pubblico, la disponibilità di posti nei Cie, le risorse per il rimpatrio e quant’altro, si potrà immaginare un qualche effetto. Che sarà comunque molto modesto, costoso e pagato con una minor tutela della salute pubblica.

SOLDI, ROM E PERMESSI A PUNTI

Un terzo esempio: non si potrà più trasferire denaro verso l’estero se non si è in possesso di permesso di soggiorno. L’effetto sarà soltanto quello di favorire lo sviluppo di un mercato di intermediari, provvisti di regolari documenti, che effettueranno l’operazione al posto di chi non potrà più farla personalmente, in genere soprattutto madri che mandano denaro ai figli lontani. Vorrei richiamare un precedente: il prelievo delle impronte digitali degli immigrati disposto, tra roventi polemiche, in seguito alla legge Bossi-Fini. Una volta effettuata qualche azione dimostrativa, non se ne è più saputo nulla.
Per i campi rom, nell’estate scorsa, nuovi annunci di raccolta delle impronte e nuove polemiche. Nei fatti, le impronte prelevate sono state pochissime, a Milano quasi nessuna, e non è dato sapere se siano servite a qualcosa. Di certo, se non altro, si sono sgonfiate le voci incontrollate sull’arrivo e l’insediamento di decine di migliaia di rom: per la provincia di Milano, si è arrivati a parlare di 20mila unità.
Un cenno finale va al permesso di soggiorno “a punti”: un’innovazione che tende a rendere gli immigrati dei sorvegliati speciali, dallo status precario e reversibile. Credo servirebbero di più, come in altri paesi, misure che incoraggino un’integrazione positiva: per esempio, giacché le competenze linguistiche vengono viste dall’Olanda al Canada come un requisito necessario per l’inserimento nella società, un piano massiccio di alfabetizzazione in lingua italiana, sul modello delle 150 ore che hanno consentito nel passato alle classi popolari di accedere all’istruzione di base. L’accertamento della conoscenza dell’italiano dovrebbe produrre qualche beneficio, come un accorciamento dei tempi per l’accesso alla carta di soggiorno e alla cittadinanza. Così si istituirebbe un incentivo a impegnarsi su questo aspetto saliente dell’acculturazione nel nuovo contesto di vita.
Nei paesi occidentali, gli inasprimenti legislativi nella gestione dell’immigrazione, e indubbiamente ne sono intervenuti, giacché il tema quasi ovunque è salito di rango nell’agenda politica, sono generalmente accompagnati da misure a favore dell’integrazione: non si vuole ingenerare l’idea dell’immigrato come nemico da combattere, anche per non alimentare spinte xenofobe nella società.
Dovremmo forse imparare che una politica dell’immigrazione ridotta a controllo e sicurezza, all’insegna del pregiudizio e dell’ostilità, può fruttare in termini di voti, ma non prepara un futuro sereno per la convivenza sociale. (Beh, buona giornata).

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro Leggi e diritto

Il Financial Stability Plan di Obama.

da lavoce.info

Il piano presentato dal Treasury americano o Geithner test, come definito da una parte della stampa economica internazionale, introduce elementi di rilevante novità rispetto al precedente piano Paulson, che continua comunque a rimanere in vigore.
Il Financial Stability Plan si caratterizza innanzitutto per l’intervento dei privati, questa volta non solo auspicato, ma istituzionalizzato. Poi per l’abbandono della logica delle mere iniezioni di capitale, che lascia spazio al controllo statale dei bilanci delle banche e quindi all’acquisto di asset da parte di un fondo. Nonché per il tentativo di andare dritti al cuore del problema, il mercato dei prodotti cartolarizzati, e per ovviare a quella che, nella sua applicazione pratica, era risultata essere una debolezza del programma Paulson: la mancanza di trasparenza e accountability delle banche che ricevevano fondi pubblici.
Il piano, che si ritiene avrà un effetto leva da 2mila miliardi di dollari, prevede cinque linee di intervento: sostegno al capitale bancario, creazione di un fondo misto di investimento, iniziative a sostegno di nuovi prestiti a consumatori e imprese, oneri di trasparenza e responsabilità delle istituzioni creditizie e sostegno ai mutuatari per evitare il pignoramento.

PROGRAMMA DI ASSISTENZA AL CAPITALE BANCARIO (CAP)

Per ottenere una valutazione realistica e di lungo periodo delle effettive condizioni di salute delle banche, il Tesoro americano, di concerto con tutte le autorità di supervisione, condurrà un test di stress sui loro bilanci, per valutare se hanno il capitale necessario a esercitare attività di prestito e se sono in grado di assorbire le perdite potenziali che potrebbero derivare da un declino economico più severo di quello che ci si attende. Al test devono sottoporsi obbligatoriamente tutti gli istituti con asset consolidati superiori a 100 miliardi di dollari e solo così potranno avere accesso ai fondi pubblici. Questi opereranno come una forma di “contingent equity” che servirà da ponte per l’ingresso di capitale privato e assicurerà nel breve termine che le banche continuino o incrementino i prestiti all’economia reale. Il sussidio avrà la forma di azioni privilegiate convertibili, il cui dividendo e prezzo di conversione deve ancora essere stabilito. Il fine è comunque quello di congegnare l’equity in modo che le banche abbiano incentivo a sostituirla con capitale privato o a riscattarla. Su specifica autorizzazione, gli istituti potranno chiedere di “scambiare” le azioni relative al precedente piano con quelle dell’attuale. La gestione dei fondi pubblici investiti sarà affidata a un Trust. La maggiore incognita del Cap riguarda l’esatto ammontare di fondi necessari, che potrà essere stabilito solo dopo che i test siano giunti a compimento. 

CREAZIONE DI UN PUBLIC-PRIVATE INVESTMENT FUND (PPIF)

Nel public-private investment fund saranno convogliati capitali pubblici e privati. Il fondo acquisterà gli asset tossici delle banche, per ridurre la componente di maggior rischio dei loro bilanci e incentivare così l’attività di prestito. Il capitale pubblico, inizialmente 500 miliardi, che potranno arrivare fino a mille, sarà fornito dalla Federal Reserve e dalla Fdic, l’agenzia di tutela dei depositi. Nulla si dice invece su chi siano i “privati” interessati – o meglio, che possano avere incentivo – alla partecipazione al fondo. Ad ogni modo, la presenza di capitale privato farà sì che la valutazione del prezzo degli asset illiquidi sia affidata al mercato. Questo dettaglio ha però due conseguenze. Quella positiva è che si può sperare che venga così fissato un valore “giusto” per tali strumenti e che quindi si ristabilisca la fiducia tra gli operatori finanziari, con beneficio anche per i contribuenti che eviterebbero il rischio di pagare troppo o troppo poco, ipotesi questa che comporterebbe la necessità di ulteriori interventi pubblici. Quella negativa è che in realtà anche il fondo misto può divenire “avverso al rischio”, per cui pagherebbe il prezzo più basso possibile: avrebbe l’effetto di comportare immediate perdite contabili per gli istituti che si intendevano aiutare. Le stesse banche potrebbero mostrarsi dunque riluttanti a partecipare al programma. Non a caso, stante il silenzio del legislatore americano sul modus operandi del fondo, vi è già chi propone soluzioni pratiche al problema. (1)

SOSTEGNO AI PRESTITI A CONSUMATORI E IMPRESE

Il governo americano intende aumentare di 200 miliardi di dollari, con effetto leva fino a mille miliardi, una misura già presente nel piano Paulson, ma sinora inutilizzata: la Talf, Term asset-backed securities loan facility. Si tratta di finanziare l’acquisto da parte di investitori privati di prodotti cartolarizzati (Abs) garantiti da prestiti per l’acquisto di auto, carte di credito, o concessi a studenti e piccole imprese, assistiti da rating AAA, nonché commercial mortgage-backed securities (Cmbs), anch’essi a tripla A. Il Tesoro prevede, dietro consultazione con la Fed, di estendere l’ambito di applicazione della misura anche ai non-Agency residential mortgage-backed securities (Rmbs) e ad asset garantiti da obbligazioni societarie. La Federal Reserve continuerà il precedente programma di acquisto di obbligazioni emesse da agenzie governative (le Gse, come Fannie Mae, Freddie Mac e le Federal Home Loans Banks) e mortgage backed securities, per un totale di 600 miliardi. La misura mira evidentemente a riattivare il mercato dei prodotti cartolarizzati ormai in stallo.

TRASPARENZA, ACCOUNTABILITY E MONITORAGGIO DEI FONDI

Su trasparenza, accountability e monitoraggio dei fondi si registra forse il punto di maggior rottura con il piano Tarp. Anche perché le valutazioni del Troubled Asset Rescue Plan emerse dai primi audit sono state nel complesso negative, pur considerando la frammentaria applicazione e le continue modifiche effettuate. È risultato che parte dei soldi pubblici erogati sono stati utilizzati per pagare bonus ai manager, o sono stati trattenuti in bilancio piuttosto che investiti in attività di prestito. Addirittura, in alcuni casi sono serviti per operazioni di fusioni e acquisizioni che hanno prodotto un ulteriore taglio di posti di lavoro. Il nuovo piano prevede, al contrario, che le banche debbano dimostrare come “ogni dollaro ricevuto” abbia permesso loro di continuare a concedere o a generare nuovi prestiti rispetto a quanto sarebbe stato possibile senza il sostegno pubblico. Inoltre devono presentare un piano dettagliato di utilizzo dei fondi e un resoconto mensile di quanti prestiti hanno concesso a consumatori e imprese e quanti prodotti cartolarizzati (Abs, Mbs) hanno acquistato. I dati verranno resi pubblici sul sito del programma. (2)
Gli istituti partecipanti saranno altresì soggetti a restrizioni sui dividendi trimestrali e sull’acquisto di azioni proprie e sulle acquisizioni di imprese, tutte operazioni che in ogni caso dovranno essere autorizzate dal Tesoro. Si prevedono limiti agli stipendi degli amministratori, incluso il caso di stockoption pagabili solo dopo l’uscita del Tesoro, nonché all’acquisto di beni di lusso da parte delle imprese. Si predispospongono anche misure che evitino ogni ingerenza politico-lobbista nell’utilizzo, nella richiesta o nella restituzione dei fondi. Al fine di garantire la massima trasparenza verso i contribuenti, il Tesoro pubblicherà sul sito tutti i contratti effettuati nell’ambito del piano, compresi dettagli sulla quantità di azioni ricevute, sul prezzo di esercizio delle garanzie e sui tempi di rimborso. I dati dovranno essere comparati con i prezzi di mercato di analoghe transazioni, se disponibili.

EVITARE I PIGNORAMENTI

Evitare il più possibile i pignoramenti: è il filo conduttore che pervade l’ultima parte del piano, che si occupa del sostegno al mercato immobiliare.Èperò anche la più scarna e si attendono maggiori dettagli nelle prossime settimane.
Per aiutare i soggetti che rischiano di perdere la casa, il Tesoro e la Fed, da un lato, investiranno fino a 600 miliardi nell’acquisto di obbligazioni e prodotti cartolarizzati emessi dalle Gse e impegneranno risorse fino a 50 miliardi per prevenire pignoramenti “evitabili” di case già occupate. Dall’altro, obbligheranno tutte le istituzioni che aderiscono al programma a partecipare a piani di rinegoziazione dei mutui-foreclosure mitigation secondo regole stabilite dal Tesoro. È anche previsto di dare maggior flessibilità ai programmi Hope for Homehowners e Fha.
Qui l’interrogativo di fondo riguarda i soggetti specificamente deputati a effettuare la rinegoziazione dei mutui e a evitare i pignoramenti: giudici fallimentari? Camere di conciliazione? E che incentivo sarà dato alle banche per partecipare a tali piani? (Beh, buona giornata).
(1) Si veda Sachs, A strategy of contingent nationalisation, in www.voxeu.org
(2) www.financialstability.gov

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Attualità Leggi e diritto Media e tecnologia

Torna il reato d’opinione.

intervista di Vittorio Zambardino a Marco Pancini – da zambardino.blogautore.repubblica.it

“No, le leggi ad Aziendam che poi hanno un impatto su tutto l’ecosistema non si possono fare. E bisognerebbe evitare di portare l’Italia a livello dei peggiori paesi del mondo in fatto di reati d’opinione”

Al telefono c’è  Marco Pancini, resposabile per le relazioni istituzionali di Google in Italia. L’argomento è l’emendamento “ammazzaFacebook“, approvato il 5 febbraio per iniziativa del senatore D’Alia (Udc). Il parlamentare ieri ha spiegato in questa intervista ad Alessandro Gilioli  le sue posizioni e ripetuto che casi come quello delle pagine che inneggiano a Riina potrebbero portare alla chiusura dell’intero social network…

Non posso parlare a nome di Facebook, ma per quanto ci riguarda per la verità è peggio, se chiedessero a noi di togliere una certa pagina, noi lo faremmo subito, come facciamo con ogni contenuto segnalato come criminoso dall’autorità. Invece con questo emendamento lo chiederanno ai provider, ai fornitori di accesso cioè alle aziende telefoniche

Ma mi sbaglio o il nocciolo dell’emendamento D’Alia è che l’ordine di cancellare un dato contenuto e di eventualmente oscurare la pagina viene dal governo?

Tra l’altro questo è uno degli aspetti cruciali. Si crea una nuova filiera, si parla di controlli preventivi, qualcosa che da noi non è mai esistito.  E poi in questo momento i ministeri non hanno una struttura adeguata a seguire tuttio ciò che si pubblica in rete, quindi dovrebbe esserci un nuovo organismo. Me lo lasci dir bene, su questa faccenda siamo molto preoccupati, davvero…

Dica pure, ma mi pare che già il fatto – questa è una valutazione mia, non sua – che il governo si occupi “personalmente” di colpire i reati di opinione metta la cosa su un’orbita incredibile fino a poco tempo fa

A dire il vero fino a poco tempo fa il governo, con il disegno di legge Cassinelli aveva dimostrato di capire che esistono profili differenziati di responsabilità per chi si esprime in rete, si pensava ad una differenziazione tra blog individuali e siti che riflettono organizzazioni più professionali. Ora invece pare che la tendenza sia ad omologare il signor Rossi, titolare di un piccolo blog, al direttore di Repubblica. Ma come si fa?

Sta invocando anche lei un tavolo di trattative?

Certamente. Sarebbe così folle avere una sede di discussione nella quale esporre, spiegare, far capire? Perché sa, qui si tratta di istituire una filiera del controllo preventivo che è ignota all’ordinamento italiano. Noi possiamo parlare e parliamo con tutti, dalla polizia postale fino al governo, purché ci sia la volontò di ascoltarci…

E invece arriva l’emendamento D’Alia

C’è un orientamento in una parte del mondo politico che riflette una totale separazione dall’industria internet e dal mondo degli utenti

Loro pensano alle pagine su Riina o agli antisemiti

Ma già oggi è possibile individuare e colpire le responsabilità di chi commette un reato, e mi risulta che ci sia ancora scritto nel nostro ordinamento che la responsabilità penale è personale. Qui invece per la responsabilità di uno si vuole oscurare il diritto all’espressione di tutti

Può descrivere in concreto il meccanismo che la preoccupa, cosa intende quando parla di filiera del controllo?

Lei si immagini la Telecom o qualsiasi altro provider  che si vede recapitare l’ordine di rimuovere una pagina “incriminata”. Cosa succede? Chiamano l’autore? Non lo fanno, non possono materialmente farlo in breve tempo. Quindi chiudono tutto il servizio. Per poi riaprirlo a crisi superata… ma ci rendiamo conto a quali paesi stiamo equiparando l’Italia?

La Birmania, la Cina…

Non lo so, ai peggiori della classe in fatto di libertà di espressione: lo ripeto, stiamo parlando del reato d’opinione. A me pare l’abc del diritto. (Beh, buona giornata).

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Attualità Leggi e diritto Media e tecnologia

“Più passa il tempo, più sembra che i nostri governanti non sappiano che cosa sia Internet né come funzioni.”

da www.zeusnews.com

La risposta del social network alla recente legge che permette al nostro governo di bloccare qualunque sito a proprio piacimento.

Bloccare l’accesso a tutto Facebook per colpa della presenza di alcuni gruppi discutibili è come chiudere un’intera rete ferroviaria a causa della presenza di alcuni graffiti offensivi in una singola stazione: così Facebook risponde alla proposta censoria avanzata dal governo italiano.

Il problema era nato a seguito della scoperta di alcuni gruppi inneggianti a criminali riconosciuti, da Riina agli stupratori di Guidonia. La soluzione? Mettere il bavaglio a Internet, incuranti di quanti usano lo stesso strumento per fini più che leciti.

I provider, naturalmente, avrebbero dovuto essere lo strumento della censura, applicando i filtri secondo le disposizioni del Ministero dell’Interno, pena una multa salata.

Sembra che per quanti siedono a Roma Facebook sia il ricettacolo – almeno per adesso, fino alla prossima moda – di ogni malvagità. Qualcuno dovrebbe far loro notare, che il social network è complesso quanto il mondo reale, e che a fronte di 433 fan di Provenzano ce ne sono 369.463 di Falcone e Borsellino.

Il senatore Gianpiero D’Alia ha poi cercato di correggere il tiro: non tutto Facebook verrebbe bloccato, ma solo le pagine incriminate.

C’è da chiedersi se il senatore si sia mai chiesto quali difficoltà tecniche la cosa comporterebbe per i provider, i quali potrebbero essere costretti ad ammettere di non poter fare quanto richiesto.

Più passa il tempo, più sembra che i nostri governanti non sappiano che cosa sia Internet né come funzioni. (Beh, buona giornata).

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Attualità Lavoro Leggi e diritto

Sicurezza sul lavoro – Slitta di due anni l’emanazione del testo unico sulla sicurezza sul lavoro.

Solo nel mese di gennaio 2009 i morti sul lavoro sarebbero 91, gli infortuni 91.322, mentre le persone rimaste invalide 2.283.(Fonte: Marco Bazzoni, rappresentante dei lavoratori per la sicurezza). Beh, buona giornata.

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Attualità Leggi e diritto Popoli e politiche

“Anche quelli fra noi che, come me, sono convinti della necessità dell’esistenza della Chiesa per trasmettere il Vangelo, non si sentono più di accettare per questo lo scandalo delle questioni di principio invocate per puro scopo di potere.”

 
 
di GIANNI VATTIMO da lastampa.it
Ma chi ha esercitato un po’ di carità cristiana nei confronti di Eluana Englaro? I fedeli che si riunivano nelle chiese e nelle piazze per scongiurare l’«assassinio», o il padre che, sostenuto da precise pronunce giudiziarie, voleva aiutarla a interrompere la sofferenza inutile della quale era prigioniera? È vero, non c’era un documento scritto di suo pugno in cui lei esprimesse il desiderio d’esser lasciata morire. Anche perché in Italia di testamento biologico non si è mai potuto discutere davvero, per responsabilità precipua di quella Chiesa che diceva di voler difendere la sua vita. Ma in mancanza del documento, i tutori «naturali», la famiglia, meritavano d’essere ascoltati. Non avevano certo nessun interesse a lasciarla morire, a meno che non si consideri interesse il desiderio di non vederla più soffrire e di non lasciarla ridursi a una larva. (E a meno di condividere l’osceno sospetto che il padre volesse liberarsi di un ingombrante fardello). Perché tenerla in vita a tutti i costi? Il diritto alla vita non può essere puramente diritto alla sopravvivenza biologica: respiro, processi digestivi, funzioni vegetative. Scienza e coscienza dei medici che la seguivano da 17 anni concordavano che non ci fosse speranza di recupero, dunque sopravvivere non poteva avere il senso di attesa di una guarigione. Non è comunque vita vegetativa quella di cui parla la tradizione cristiana o anche il buon senso umano. Propter vitam vivendi perdere causas? Pur di sopravvivere, rinunciare alle ragioni stesse della vita? I martiri cristiani accettavano la morte per non rinnegare la fede. Peccavano contro la vita? E i grandi suicidi della tradizione classica che preferivano la morte alla schiavitù sarebbero da condannare? Anche chi crede che la vita sia «un dono di Dio» non può non pensare che si tratta di accettarlo e gestirlo in piena libertà.

Ma se Eluana avesse scritto quel testamento biologico che ancora non esiste nelle nostre leggi, avremmo potuto da cristiani rispettare la sua scelta? Per quel che si è visto in questi giorni, la Chiesa non ammetterebbe mai che qualcuno possa chiedere d’esser lasciato morire, con la sospensione di cibo e idratazione – che, si è scoperto adesso in Vaticano e dintorni, non sono terapie (che il paziente può rifiutare), ma forme di assistenza elementare alla vita. Sono in gioco valori «indisponibili», questioni di principio. Proprio quelle che hanno preteso di legittimare, nei secoli, i tanti delitti ecclesiastici contro la carità: i roghi di streghe, eretici, liberi pensatori. Davvero non si può ammettere che una persona decida se la propria vita è ancora degna di essere vissuta o no? Se si pone questa semplice domanda, si vede come dietro la questione di principio (la vita è un bene indisponibile) si nasconda una pura questione di potere, e specificamente di potere ecclesiastico: nessuno di noi è in grado di conoscere il proprio «vero» bene, solo la Chiesa lo può. E il potere, la storia insegna, si conserva con la forza e il timore. Non è affatto inverosimile che la Chiesa, consapevole di non dominare più le coscienze con il timore dell’Inferno anticipa quelle pene al momento del morire. Oggi che la scienza-tecnica può prolungare la sopravvivenza vegetativa all’infinito, temiamo molto più dell’Inferno l’essere tenuti in vita in uno stato larvale, magari anche con dolore e sofferenza, almeno psicologica (il dolore è sempre «redentivo», e «nessuna lacrima va perduta», dice il Papa). È su questo terrore che la Chiesa non vuole perdere il suo dominio. Anche quelli fra noi che, come me, sono convinti della necessità dell’esistenza della Chiesa per trasmettere il Vangelo, non si sentono più di accettare per questo lo scandalo delle questioni di principio invocate per puro scopo di potere. Forse è vero che «se vuol distruggere qualcuno, Dio prima lo fa impazzire»? Cercare d’esser caritatevoli con Eluana e con tutti quelli che vogliono poter decidere sulla propria vita è anche un modo di aiutare la Chiesa a non distruggersi per delirio di onnipotenza. (Beh, buona giornata)

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Attualità Leggi e diritto Popoli e politiche

“Berlusconi e la Lega appaiono come residuati di una guerra perduta, come chi vuole fermare con le mani un fiume che straripa.”

di EMANUELE MACALUSO da lastampa.it
La sfida lanciata da Berlusconi, prima e dopo la morte di Eluana Englaro, al mondo laico sul terreno dei valori che caratterizzano la modernizzazione e la secolarizzazione dell’Occidente è destinata ad accrescere il suo isolamento in Europa e oltre l’Atlantico. La vittoria di Obama segna la sconfitta dell’oltranzismo dei teodem. Non è senza significato il fatto che uno dei primi atti del nuovo presidente sia stato quello di sospendere il divieto, ordinato da Bush, di dare finanziamenti pubblici a organizzazioni private che praticano o sostengono l’aborto. Le reazioni dei vescovi americani e dei cardinali della Curia non hanno certo fatto indietreggiare il Presidente Usa. La campagna di Berlusconi sul «caso Eluana» che ha un netto carattere strumentale, guarda solo alla politica interna, allunga la distanza che separa il presidente del Consiglio italiano da quel vasto e complesso mondo credente ma laico che ha sostenuto Obama.

Il clima, nei confronti di Berlusconi, è cambiato anche in Europa. Oggi la destra di Sarkozy guarda con interesse coloro che pensano a un’alternativa al socialismo democratico europeo su un terreno che oggettivamente costituisce una sfida alla sinistra, non solo sul tema dello sviluppo ma anche su quello dei valori che debbono caratterizzare le società moderne multirazziali e multiculturali. Berlusconi e la Lega appaiono come residuati di una guerra perduta, come chi vuole fermare con le mani un fiume che straripa. Chi pensa che le posizioni laiche di Zapatero fossero un caso isolato in Europa sbaglia. È vero, si tratta della Spagna cattolica, ma la laicità e la legislazione sui diritti individuali che non configgono con quelli della collettività, sono comuni a tutta l’Europa. Quel che Obama ha fatto ora lo aveva fatto, anni addietro, Blair in Inghilterra. In Germania le critiche aperte della cancelliera Merkel al Papa, dopo la riammissione nella Chiesa di Roma dei lefebvriani scomunicati, con loro il vescovo negazionista, è un gesto politico che va in direzione opposta a quella di Berlusconi. Il quale, con la sua storia, assume, rispetto al Vaticano, posizioni che uno, con la storia di Giulio Andreotti, considera inaccettabili.

Chi pensa che al fondamentalismo islamico bisogna opporre il fondamentalismo cristiano, è oggi smentito da ciò che vediamo in Europa e nelle Americhe. Insomma, il mondo cambia non solo in ragione della pesante crisi economica, ma anche per i processi sociali e culturali innescati dalla globalizzazione e l’Italia sembra ferma, paralizzata dalla crisi del suo sistema politico con un presidente del Consiglio che appare fuori del tempo e dello spazio che ci circonda. In questo quadro, la politica e il sistema che l’esprime non riescono ad uscire dalla rissa quotidiana e a riflettere sugli scenari nuovi che ci propone il mondo e l’Italia con esso. Lo spettacolo offerto in Senato dopo la fine di Eluana e il volgare attacco al Presidente della Repubblica di chi rappresenta la maggioranza al governo, è un segno dei tempi. E, purtroppo, non c’è un grande partito che ponga i temi essenziali e urgenti di oggi, del quotidiano, in una prospettiva del domani e del futuro.

Anche i delicati e complicati rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica sono giocati sulla redditività elettorale immediata. E il Vaticano in questa situazione pensa di avere una rendita di posizione rispetto ai due poli che cercano i suoi favori rendendo favori su temi e questioni che la Costituzione ha regolato anche incorporando i Patti Lateranensi e la loro revisione. Non è un caso che in questi giorni c’è chi ricorda De Gasperi e Togliatti o Craxi e Berlinguer e i papi del tempo, i quali, anche nel caso di un ampio conflitto politico, seppero trovare equilibri adeguati allo svolgimento della lotta politica e al ruolo anche pubblico delle religioni in un Paese in cui, come diceva Gramsci, «c’è una questione vaticana». E non sono certo mancate posizioni critiche laiche (penso ai radicali) a questa linea, ma tutto si è svolto senza mettere in discussione le fondamenta della Costituzione e dei rapporti tra Stato e Chiesa.

Oggi sembra che tutti gli argini si siano rotti nelle due sponde del Tevere e prevale una strumentalizzazione ed esasperazione dei temi controversi che si riverberano sulla famiglia di Eluana che ha vissuto e vivrà un dramma che le istituzioni e la Chiesa avrebbero dovuto rispettare. Ma qui, ripeto, sembra di essere fuori dal mondo, in un altro pianeta. (Beh, buona giornata).

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Attualità Leggi e diritto Popoli e politiche

“‘Rompiamo il silenzio’ è già stato sottoscritto da centosessantamila cittadini. È la dimostrazione che, per fortuna, la nostra società non è un corpo informe, conserva capacità di reazione.”

Zagrebelsky: “Se il potere nichilista si allea con la Chiesa del dogma”.

di GIUSEPPE D’AVANZO da repubblica.it

L’Avvenire, il quotidiano della Conferenza episcopale italiana, ha definito Beppino Englaro “un boia”. Credo che debba partire da qui, da un insulto atroce, il colloquio con Gustavo Zagrebelsky, presidente emerito della Corte Costituzionale.

Beppino Englaro, “un boia”?”
In un caso controverso dove sono in gioco dati della vita così legati alla tragicità della condizione umana è fuori luogo usare un linguaggio violento, così impietoso, così incontrollato, così ingiusto. Non ho ascoltato, sul versante opposto, che vi sia chi ragiona dell’esistenza di un “partito della crudeltà” opposto a “un partito della pietà”. Credo che in vicende così dolorose debbano trovare espressione parole più adeguate e controllate, più cristiane”.

E tuttavia, presidente, i toni accusatori, le accuse così aggressive e definitive sembrano indicare che cosa è in gioco o a contrasto nel caso di Eluana Englaro. I valori contro i principi, la verità contro il dubbio. Questioni da sempre aperte nelle riflessioni dei dotti che avevano trovato, per così dire, una sistemazione condivisa nella Costituzione italiana. Che cosa è accaduto? Perché quell’equilibrio viene oggi messo di nuovo in discussione dopo appena sessant’anni?
“Le posizioni in tema di etica possono essere prese in due modi. In nome della verità e del dogma, con regole generali e astratte; oppure in nome della carità e della com-passione, con atteggiamenti e comportamenti concreti. Nella Chiesa cattolica, ovviamente, ci sono entrambe queste posizioni. Nelle piccole cerchie, prevale la carità; nelle grandi, la verità. Quando le prime comunità cristiane erano costituite da esseri umani in rapporto gli uni con gli altri, la carità del Cristo informava i loro rapporti. La “verità” cristiana non è una dottrina, una filosofia, una ideologia. Lo è diventata dopo. Gesù di Nazareth dice: io sono la verità. La verità non è il dogma, è un atteggiamento vitale. Quando la Chiesa è diventata una grande organizzazione, un’organizzazione “cattolica” che governa esseri umani senza entrare in contatto con loro, con la loro particolare, individuale esperienza umana, ha avuto la necessità di parlare in generale e in astratto. È diventata, – cosa in origine del tutto impensabile – una istituzione giuridica che, per far valere la sua “verità”, ha bisogno di autorità e l’autorità si esercita in leggi: leggi che possono entrare in conflitto con quelle che si dà la società. Chi pensa e crede diversamente, può solo piegarsi o opporsi. Un terreno d’incontro non esiste. “.

Che ne sarà allora dell’invito del capo dello Stato a una “riflessione comune” ora che il parlamento affronterà la discussione sulle legge di “fine vita”?
” Una legge comune è possibile solo se si abbandonano i dogmi, se si affrontano i problemi non brandendo quella verità che consente a qualcuno di parlare di “omicidio” e “boia”, ma in una prospettiva di carità. La carità è una virtù umana, che trascende di gran lunga le divisioni delle ideologie e dei credi religiosi o filosofici. La carità non ha bisogno né di potere, né di dogmi, né di condanne, ma si nutre di libertà e responsabilità. Dico la stessa cosa in altro modo: un approdo comune sarà possibile soltanto se prevarrà l’amore cristiano contro la verità cattolica”.

Lo ritiene possibile?
“Giovanni Botero nella sua Della Ragione di Stato del 1589 scriveva, a proposito dei Modi di propagandar la religione: “Tra tutte le leggi, non ve n’è alcuna più favorevole a’ Prencipi, che la Christiana: perché questa sottomette loro, non solamente i corpi e le facoltà de’sudditi, dove conviene, ma gli animi ancora; e lega non solamente le mani, ma gli affetti ancora e i pensieri”. Botero era uomo della controriforma. Purtroppo, c’è chi pensa ancora così, tra i nostri moderni “prencipi”. Essi potrebbero far loro il motto di un discepolo di Botero che scriveva: “questa è la ragion di stato, fratel mio, obbedire alla Chiesa cattolica”. Ora, se l’obbedienza alla Chiesa cattolica è la ragion di stato, è chiaro che i laici non troveranno mai un approdo comune con costoro.

Dobbiamo allora credere che il conflitto di oggi tra mondo laico e mondo cattolico, che ha accompagnato il calvario di Eluana, segnali soprattutto la fine della riflessione del Concilio Vaticano II e, per quel che ci riguarda, la crisi di quella “disposizione costituzionale” che è consistita, per lo Stato, nel principio di laicità contenuto nella Costituzione, e per la Chiesa nella distinzione tra religione e politica?
“Il Concilio Vaticano II ha rovesciato la tradizione della Chiesa come potere alleato dello Stato, ha voluto liberarla da questo legame tutt’altro che evangelico. Non si propose di proteggere o conservare i suoi privilegi, ancorché legittimamente ricevuti, e invitò i cattolici a un impegno responsabile nella società, uomini con gli altri uomini, con la fiducia riposta nel libero esercizio delle virtù cristiane e nell’incontro con gli “uomini di buona volontà”, senza distinzione di fedi. Fu “religione delle persone” e non surrogato di una religione civile. Il cattolicesimo-religione civile sembra invece, oggi, essere assai gradito per i vantaggi immediati che possono derivare sia agli uomini di Chiesa che a quelli di Stato”.

Ieri mentre finiva l’esistenza di Eluana Englaro e il Paese era scosso dalle emozioni, dalla pietà e, sì, anche da una rabbia cieca, dieci milioni di italiani hanno voluto vedere il Grande Fratello. E’ difficile non osservare che l’artefice della macchina spettacolare televisiva del reality e di ogni altra fantasmagorica vacuità – capace di distruggere ogni identità reale, alienare il linguaggio, espropriarci di ciò che ci è comune, di separare gli uomini da se stessi e da ciò che li unisce – è lo stesso leader politico che pretende di dire e agire in nome dell’Umanità, della Vita, addirittura della Verità e della Parola di Dio. Le appare più tragico o grottesco, questo paradosso? Come spiegarsi la dissoluzione di ogni senso critico dinanzi a questo falso indiscutibile?
“Non è questo il solo paradosso. Non è la sola contraddizione che si può cogliere in questa vicenda. Il mondo cattolico enfatizza spesso il valore della dimensione comunitaria della vita, soprattutto nella famiglia. E’ la convinzione che induce la Chiesa a invocare a gran voce la cosiddetta sussidiarietà: lo Stato intervenga soltanto quando non esistono strutture sociali che possono svolgere beneficamente la loro funzione. Mi chiedo perché, quando la responsabilità, la presenza calda e diretta della famiglia, nelle tragiche circostanze vissute dalla famiglia Englaro, dovrebbero ricevere il più grande riconoscimento, la Chiesa – con una contraddizione patente – chiude alla famiglia e invoca l’intervento dello Stato; alla com-passione di chi è direttamente coinvolto in quella tragedia, preferisce i diktat della legge, dei tribunali, dei carabinieri. Sia chiaro: lo Stato deve vigilare contro gli abusi – proprio per evitare il rischio espresso dal presidente del consiglio con l’espressione, in concreto priva di compassione, “togliersi un fastidio” – ma osservo come la legge che la Chiesa chiede assorbe nella dimensione statale tutte le decisioni etiche coinvolte: questo è il contrario della sussidiarietà e assomiglia molto allo Stato etico, allo Stato totalitario”.

Lei è il primo firmatario di un appello che ha per titolo Rompiamo il silenzio. Vi si legge che “la democrazia è in bilico”. Le chiedo: può una democrazia fragile, in bilico appunto, reggere l’urto coordinato di un potere politico invasivo e senza contrappesi e di un potere religioso che agita come una spada la verità?
“Oggi la politica è succuba della Chiesa, ma domani potrebbe accadere l’opposto. Se la politica è diventata – come mi pare – mezzo al solo fine del potere, potere per il potere, attenzione per la Chiesa! Essa, la Chiesa del dogma e della verità, può essere un alleato di un potere che oggi ha bisogno, strumentalmente, di legittimazione morale. Il compromesso convince i due poteri a cooperare. Ma domani? Il potere dell’uno, rafforzato e soddisfatto, potrebbe fare a meno dell’altra. “.

Qual è l’obiettivo del suo appello?
“‘Rompiamo il silenziò è già stato sottoscritto da centosessantamila cittadini. È la dimostrazione che, per fortuna, la nostra società non è un corpo informe, conserva capacità di reazione. L’appello ha tre ragioni. E’ uno sfogo liberatorio, innanzitutto: devo dire a qualcuno che non sono d’accordo. E’ poi un autorappresentarsi non come singoli, ma come comunità di persone. Il terzo obiettivo è rendersi consapevoli, voler guardare le cose non in dettagli separati, è un volersi raffigurare un quadro. A volte abbiamo la tendenza a evitare di guardare le cose nel loro insieme. E’ quasi un istinto di sopravvivenza distogliere lo sguardo dalla disgrazia che ci può capitare. L’appello prende posizione. Si accontenta di questo. Se mi chiede come e dove diventerà concreta questa presa di coscienza, le rispondo che ognuno ha i suoi spazi, il lavoro, la scuola, il partito, il voto. Faccia quel che deve, quel che crede debba essere fatto per sconfiggere la rassegnazione”.

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Attualità Leggi e diritto Popoli e politiche Sport

Il Brasile Battisti l’Italia 2-0.

«Il Brasile trovi il modo di ribaltare la sua decisione incomprensibile su Battisti, che non potrebbe che lasciare conseguenze nei rapporti tra Italia e Brasile» La Russa dixit. Il ministro della Difesa che ogni tanto fa il ministro dell’ Interno e stavolta si improvvisa ministro degli Esteri ha perso di nuovo l’occasione di stare zitto. La Russa ha criticato chi «non ha neppure voluto mettere una fascia al braccio, in quella che non è neppure una partita di calcio sportiva, ma che si potrebbe definire una esibizione da globe trotter». Una “partita di calcio sportiva”? Esibizione da “globe trotter”? Povero Gianfranco Fini: pensava di avere allevato colonnelli e si ritrova solo caporali di giornata. Per fianco deee-str, destr! Beh, buona giornata.

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Attualità Leggi e diritto

Il 57% degli italiani è dalla parte di Beppino Englaro. In nome di chi i parlamentari italiani si accingono a votare a favore del ddl: in nome degli elettori o del premier?

(Fonte: Agi).

La maggioranza degli italiani (il 57%)resta favorevole alla sospensione dell’alimentazione forzata nel caso di Eluana Englaro. Ma nelle ultime due settimane la percentuale dei contrari e’ salita dal 19 al 34%. E’ quanto emerge da un sondaggio realizzato per il quotidiano online affaritaliani.it dall’istituto Crespi Ricerche.

Tra il 20 e il 22 gennaio (data dell’ultimo rilevamento) i favorevoli erano il 70%, mentre a dire “non so” o a non rispondere erano l’11%, scesi oggi al 9%. Alla domanda sulla necessita’ di una legge che disciplini il testamento biologico l’86% risponde di essere favorevole (in rialzo rispetto al 75% di gennaio) mentre si dimezza la percentuale dei contrari, dal 12 al 6%. E ancora: alla domanda “In casi come quello di Eluana in cui il paziente non puo’ esprimere la sua volonta’, secondo lei chi dovrebbe assumersi la responsabilita’ di decidere sull’eventuale sospensione di cure o dell’alimentazione forzata?”, il 70% del campione risponde “i familiari e i medici”, il 10% “i medici”, solo il 7% “una legge dello Stato” e il 3% “i giudici e i medici”. Non so/non risponde e’ al 10%.

“Gli italiani hanno le idee chiare su chi deve decidere della vita e della morte nei casi come quello di Eluana – spiega Luigi Crespi -. Mentre nel trend dei dati possiamo vedere con chiarezza l’effetto della campagna di questi ultimi giorni e il peso della presa di posizione del premier, Silvio Berlusconi, che ha spostato milioni di persone, anche se la maggioranza continua ad essere favorevole alla posizione di Beppino Englaro”.

Il sondaggio e’ stato condotto telefonicamente su un campione di 1.000 cittadini maggiorenni, stratificato per sesso, eta’, ampiezza centri ed aree geografiche. Beh, buona giornata.

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Attualità Leggi e diritto Popoli e politiche

Nel “pacchetto sicurezza” ci sono leggi razziali.

«Le ronde – ha detto il ministro dell’Interno – sono formate da cittadini volontari non armati che girano con il telefonino svolgendo un importante ruolo di controllo del territorio. Esistono da dieci anni e non si sono mai verificati episodi di violenza».

“L’Italia precipita, unico Paese occidentale, verso il baratro di leggi razziali, con medici invitati a fare la spia e denunciare i clandestini (col rischio che qualcuno muoia per strada o diffonda epidemie), cittadini che si organizzano in associazioni paramilitari”. Lo scrive Famiglia Cristiana in merito alle norme contenute nel “pacchetto sicurezza”, fiore all’occhiello del ministro dell’Interno. Beh, buona giornata.

 

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Attualità Leggi e diritto

Prove tecniche di Terza repubblica: “Stiamo vivendo una vicenda che sta a metà tra ‘Napoleone il piccolo’ (Victor Hugo) e ‘La resistibile ascesa di Arturo Ui’ (Bertolt Brecht).”

Lo tsunami costituzionale

di STEFANO RODOTA’ da repubblica.it

1) La turbolegge. Berlusconi vuole imporre in tre giorni una norma che cancella ogni traccia di divisione dei poteri, per impedire l’attuazione di un provvedimento giudiziario passato in giudicato e inventando un nuovo circuito istituzionale, che affida a un Parlamento incatenato il compito d’essere il killer dei giudici. Ma la strada scelta è, tecnicamente, non percorribile.

Nella relazione che accompagna il disegno di legge del Governo si sostiene che non siamo di fronte ad una sentenza passata in giudicato, perché i giudici non hanno accertato un diritto, ma si sono limitati ad integrare la volontà di un privato, quella di Eluana Englaro, con un semplice provvedimento di”volontaria giurisdizione”. Non è così.

Quando la Cassazione ha ammesso il ricorso straordinario contro il decreto della Corte d’appello, che autorizzava la procedura di interruzione dei trattamenti, lo ha potuto fare proprio in considerazione del fatto che si trattava di un provvedimento relativo a diritti, che assume i caratteri del giudicato e che, quindi, detta una disciplina immutabile del diritto considerato. Ed è principio indiscutibile in tutti gli ordinamenti che la legge sopravvenuta non può influire sul diritto sul quale il magistrato si è pronunciato con un provvedimento passato in giudicato.

Il Governo tenta una ennesima forzatura, pericolosa e inutile. Pericolosa, perché insiste su una soluzione che, con rigore tecnico, era stata ritenuta non percorribile dal Presidente della Repubblica: si vuole, dunque, mantenere aperto il conflitto con Napolitano. Inutile, perché non sarà possibile intervenire in modo legittimo per bloccare l’attività già avviata di interruzione dei trattamenti sulla base di una legge su questo punto chiaramente incostituzionale.
Quali altri atti di forza, allora, si escogiteranno per espropriare i cittadini della possibilità di condurre “la lotta per il diritto” – è questo il titolo d’un classico del liberalismo ottocentesco, del giurista Rudolf von Jhering, che Benedetto Croce volle fosse ripubblicato negli anni del fascismo – e per impedire che possano avere ancora “giudici a Berlino”? Questa era l’orgogliosa sfida del mugnaio di Sans-Souci in presenza di Federico il Grande. Mugnai e giudici stanno perdendo diritto di cittadinanza in Italia?

2) L’inammissibile libertà. Dice il cardinale Ruini: “Preferisco parlare di una legge sulla fine della vita. La parola testamento implica infatti che si disponga di un oggetto, ma la vita non è un oggetto”. Il mutamento linguistico, dunque, rivela un capovolgimento concettuale e politico. Per quante perplessità il ricorso al termine “testamento” possa suscitare dal punto di vista tecnico-giuridico, esso esprime bene il fine che si vuol raggiungere. Testamento biologico, testament de vie, living will ci parlano di un “atto personalissimo”, in cui è sovrana la volontà dell’interessato.

Certo, la vita non è un oggetto, ma appartiene sicuramente alla sfera più intima dell’interessato che, com’è ormai chiaro, giuridicamente può disporne e ne dispone. Quando, invece, si parla di una legge sulla fine della vita, il legislatore non si fa signore della morte, perché questo è un evento naturale sul quale nessuno può intervenire. Si impadronisce del morire, che è vicenda umana, alla quale si pretende di imporre regole autoritarie, incuranti delle ragioni della coscienza di ciascuno.

La coscienza, allora, che in politica compare soprattutto come diritto al dissenso. Diritto già negato dal Presidente del Consiglio ai suoi ministri, che avrebbero potuto manifestarlo in quest’ultima vicenda solo dando contestualmente le dimissioni. E che i tempi imposti e la minaccia della fiducia negano anche ai parlamentari della maggioranza, perché il dissenso non è solo dire un sì o un no, ma la possibilità di argomentare, di discutere in quel foro democratico che continuiamo a chiamare Parlamento.

Il fatto che il diktat berlusconiano non si estenda direttamente ai parlamentari dell’opposizione non esclude che anche nei loro confronti si commetta un sopruso. Ma bisogna guardare più a fondo. Quando le decisioni legislative incidono direttamente sull’autonomia delle persone nel governare la loro vita, la libertà di coscienza non è solo quella dei parlamentari. La libertà di coscienza da tutelare è, in primo luogo, quella della persona che deve compiere le scelte di vita. Il problema, allora, non riguarda la libertà di coscienza di chi deve stabilire le regole: investe la legittimità stessa dell’intervento legislativo in forme tali da cancellare, o condizionare in maniera determinante, quelle scelte. Altrimenti si determina una asimmetria pericolosa: quando si affrontano i temi eticamente sensibili la libertà di coscienza dei legislatori può divenire massima, quella dei destinatari della norma minima.

3) Un “pieno” di diritto. Si è detto, e si continua a ripetere, che una legge è comunque necessara, perché bisogna colmare un pericoloso vuoto legislativo. Per l’ennesima volta invito a leggere la sentenza della Corte di Cassazione dell’ottobre 2007, la decisione centrale per il caso Englaro, che mostra rigorosamente come il diritto al rifiuto di cure, anche per il futuro, sia solidamente fondato su norme costituzionali, su convenzioni internazionali ratificate dall’Italia (non quella sui disabili, abusivamente richiamata nell’atto di indirizzo del ministro Sacconi), su articoli della legge sul servizio sanitario (e del codice civile, come quelli sull’amministrazione di sostegno per gli incapaci).

Siamo di fronte a un “pieno” di diritto, che si vuole “svuotare” con una mossa restauratrice, invece di integrarlo con poche, semplici norme che rendano più agevole e sicuro l’esercizio di un diritto che, lo ripeto, già esiste, non è un’inaccettabile creazione giurisprudenziale.

L’argomento del far west lo conosciamo e ha sempre prodotto danni, come dimostra tra l’altro la pessima legge sulla procreazione assistita, che davvero ha prodotto un far west legato ad un “turismo procreativo”, che nasce da un proibizionismo cieco e rende più difficile la vita delle persone, delegittimando ai loro occhi una legge che sono obbligati ad aggirare.

Se la turbolegge passerà, ponendo le premesse per una normativa proibizionista sulla fine della vita, si daranno incentivi al turismo “eutanasico”, alle pratiche clandestine già tanto diffuse. Verrà così santificata la doppia morale – fate, ma senza clamore e scandalo. E saranno sconfitti tutti quelli che vogliono rimanere nel solco della legalità e dello Stato di diritto, come ha dolorosamente voluto Beppino Englaro, un eroe civile al quale nessuno dedicherà un film come ha fatto la civilissima America per le storie di Erin Brockovich e Harvey Mills.

4) La Costituzione “sovietica”. Con la nuova dottrina costituzionale del Presidente del Consiglio si precipita in un abisso culturale, in mare di contraddizioni. Non si accorge, il Presidente del Consiglio, del grottesco di una argomentazione che lamenta la debolezza dei suoi poteri costituzionali, e poi accusa la stessa costituzione d’aver preso a modello quella sovietica, che appartiene ad uno dei regimi più violentemente dittatoriali che la modernità abbia conosciuto? Sa che la Costituzione italiana ha inventato un modo nuovo di parlare dell’eguaglianza?

Che ha anticipato tutti gli sviluppi successivi su temi come quelli della salute o del paesaggio, all’epoca ignorati da tutti i grandi documenti costituzionali, la costituzione francese e quella tedesca, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo dell’Onu e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo?

Sarebbe vano ricordare al Presidente del Consiglio la bella frase con la quale Piero Calamandrei descriveva la nostra come una “Costituzione presbite”, dunque capace di guardare lontano e di inglobare il futuro. Risponderebbe senza esitazioni che Calamandrei era “un comunista”. E sarebbe pure vano ricordargli che “i principi supremi” della Costituzione non possono essere modificati neppure con il procedimento di revisione costituzionale, e che tra questi principi supremi vi è proprio quello di laicità, perduto in questo clima di sottoposizione della Costituzione alla tutela vaticana. E che esiste un principio che impone al Governo di “coprire” il Presidente della Repubblica, sì che ci si doveva attendere una protesta ufficiale per la dichiarazione ufficiale vaticana di “delusione” per il comportamento di Giorgio Napolitano.

L’obiettivo è chiaro. Rompendo con la Costituzione, Berlusconi infrange il patto civile tra i cittadini e non ci porta verso una Terza o una Quarta Repubblica, ma verso un cambiamento di regime, ad una sovversione, ad una radicale sostituzione del governo della legge con quello degli uomini (Platone, non Stalin).

Ha colto nel segno Ezio Mauro quando ha parlato di una palese deriva bonapartista. Stiamo vivendo una vicenda che sta a metà tra “Napoleone il piccolo” (Victor Hugo) e “La resistibile ascesa di Arturo Ui” (Bertolt Brecht). Resistibile, Ma bisogna resistere davvero e subito o non vi sarà tempo per ripensamenti e pentimenti. (Beh, buona giornata).

 

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Attualità Lavoro Leggi e diritto Popoli e politiche

L’equazione immigrazione=criminalità è una invenzione della politica.

CRIMINI E IMMIGRATI *

di Milo Bianchi  , Paolo Buonanno e Paolo Pinotti  da lavoce.info

L’allarme sociale destato dal presunto aumento dei crimini legati all’immigrazione domina ormai il dibattito politico e sociale nel nostro paese. Tuttavia, i dati mostrano una realtà diversa. Dal 1990 al 2003 il numero di permessi di soggiorno in rapporto al totale della popolazione residente si è quintuplicato, mentre non c’è alcun aumento sistematico della criminalità, che anzi mostrerebbe una lieve flessione. Gli stessi dati sembrano inoltre escludere l’ipotesi di una relazione causale diretta tra immigrazione e criminalità.

 Nell’immaginario collettivo, l’immigrazione è da sempre associata alla criminalità. I risultati dell’indagine “National Identity Survey” confermano che, in quasi tutti i paesi europei, la maggior parte dei cittadini è convinta che gli immigrati aumentino il tasso di criminalità. (1)

IMMIGRAZIONE E CRIMINALITÀ

L’evidenza empirica, tuttavia, perlomeno in ambito economico, si concentra prevalentemente sugli effetti dell’immigrazione sul mercato del lavoro (salari, occupazione) e sulla spesa per lo stato sociale, trascurando completamente l’impatto sulla criminalità. Abbiamo perciò cercato di colmare questo divario e di ancorare il dibattito pubblico ad alcuni dati statistici. Per analizzare l’evoluzione di immigrazione e criminalità nelle province italiane dal 1990 al 2003, abbiamo dunque incrociato le informazioni sui permessi di soggiorno e sul numero di crimini denunciati, provenienti rispettivamente dagli archivi del ministero dell’Interno e della Giustizia. (2)
Ovviamente, questi dati sottostimano l’effettiva entità sia dell’immigrazione che della criminalità per la presenza di immigrati irregolari e di crimini non denunciati. Si può tuttavia mostrare che, sotto alcune ipotesi, la componente osservata dei due fenomeni fornisce una buona approssimazione di quella non osservabile. Per quanto riguarda l’immigrazione, abbiamo verificato che l’approssimazione è estremamente accurata utilizzando le domande di regolarizzazione, presentate durante le sanatorie del 1995, 1998 e 2002, per stimare il numero di immigrati irregolari e la loro distribuzione sul territorio.
L’analisi rivela alcuni risultati in controtendenza rispetto al comune sentire. (3) Durante il periodo preso in esame, il numero di permessi di soggiorno in rapporto al totale della popolazione residente è quintuplicato, da meno dello 0,8 a quasi il 4 per cento. A tale crescita non è tuttavia associato alcun aumento sistematico della criminalità, che mostrerebbe invece una lieve flessione. A livello nazionale, dunque, non emerge alcuna correlazione significativa tra immigrazione e criminalità.

Una correlazione positiva emerge invece a livello locale. In particolare, le province che hanno attratto un maggior numero di immigrati, in rapporto alla popolazione, hanno registrato anche tassi di criminalità più elevati. Distinguendo tra le principali categorie di reato emerge che la correlazione è dovuta esclusivamente ai reati contro la proprietà, che rappresentano quasi l’80 per cento dei crimini denunciati. I crimini violenti (e in particolare gli omicidi) si concentrano infatti nel Mezzogiorno, dove l’immigrazione è a livelli minimi. Le province del Centro-Nord si caratterizzano invece per una più alta presenza straniera e, al contempo, per una maggiore incidenza di reati contro la proprietà.

L’associazione potrebbe essere dovuta all’esistenza di una relazione causale tra i due fenomeni oppure ad altri fattori che incoraggiano sia la presenza straniera che i furti, come ad esempio la maggiore ricchezza e urbanizzazione delle province settentrionali.
Per distinguere tra le due ipotesi, abbiamo utilizzato dati sulla migrazione dai principali paesi di origine verso il resto d’Europa. Identifichiamo così la componente dei flussi migratori che dipende esclusivamente da shock esogeni nei paesi di origine, come guerre, crisi politiche ed economiche. Questi fenomeni aumentano l’emigrazione, e quindi potenzialmente l’immigrazione in Italia, senza essere correlati con fattori che influiscono direttamente sull’attività criminale nelle province italiane. La correlazione tra tale componente esogena e il tasso di criminalità nelle province italiane non è significativamente diversa da zero.
Il risultato suggerisce che, nel periodo preso in esame, l’immigrazione in Italia non ha avuto un effetto causale significativo sul livello di criminalità.

(1) La percentuale varia tra il 40 per cento in Gran Bretagna e l’80 per cento in Norvegia. In Italia, nel 2003, la percentuale si collocava intorno al 65 per cento. I risultati dell’indagine sono integralmente disponibili all’indirizzo http://www.issp.org/data.shtml 
(2) Non è possibile estendere le serie storiche ad anni più recenti perché nel 2004 è stata introdotta una nuova classificazione dei crimini che rende i dati pre e post-2004 non comparabili. Inoltre, dai nostri dati, non è possibile risalire alla nazionalità del denunciato né al suo status di immigrato regolare o irregolare.
(3) Tutti i risultati sono presi dal nostro articolo “Do immigrants cause crime?” – Paris School of Economics Working Paper No. 2008-05. (Beh, buona giornata).

* Le idee e le opinioni espresse sono da attribuire esclusivamente agli autori e non impegnano la responsabilità dell’Istituto di appartenenza.

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Attualità Leggi e diritto Popoli e politiche

Prove tecniche di Terza repubblica: “Il fine giustifica i mezzi” è uno dei motti del machiavellismo politico; ma che succede se “i mezzi giustificano i mezzi”?

Il veleno nichilista che anima il regime.

di GUSTAVO ZAGREBELSKY da repubblica.it

Viviamo un momento politico-costituzionale certamente particolare. Questo non è in discussione, sia presso i fautori, sia presso i detrattori del regime attuale. Non sarà fuori luogo precisare che, in questo contesto, la parola regime vale semplicemente a dire – secondo il significato neutro per cui si parla di regime liberale, democratico, autoritario, parlamentare, presidenziale, eccetera – “modo di reggimento politico” e non ha alcun significato valutativo, come ha invece quando ci si chiede, con intenti denigratori espliciti o impliciti, se in Italia c’è “il regime”. Ma che tipo di regime? Questa è la domanda davvero interessante.

Alla certezza – viviamo in “un” regime che ha suoi caratteri particolari – non si accompagna però una definizione che dia risposta a quella domanda. Sfugge il carattere fondamentale, il “principio” o (secondo l’immagine di Montesquieu) il ressort, molla o energia spirituale che lo fa vivere secondo la sua essenza. Un concetto semplice, una definizione illuminante, una parola penetrante, sarebbero invece importanti per afferrarne l’intima natura e per prendere posizione.

Le definizioni, per la verità, non mancano, spesso fantasiose e suggestive. Anzi sovrabbondano, a dimostrazione che, forse, nessuna arriva al nocciolo, ma tutte gli girano intorno: autocrazia; signoria moderna; egoarchia; governo padronale o aziendale; dominio mediatico; grande seduzione; regime dell’unto del Signore; populismo o unzione del popolo; videocrazia; plutocrazia, governo demoscopico. Si potrebbe andare avanti. Si noterà che queste espressioni, a parte genericità ed esagerazioni, colgono (se li colgono) aspetti parziali e, soprattutto, sono legate a caratteri e proprietà personali di chi il regime attuale ha incarnato e tuttora incarna.

Ed è una visione riduttiva, come se si trattasse soltanto di un affare di persone; come se, cambiando le persone, potesse cambiare d’un tratto e del tutto la trama della politica. Invece, prassi, mentalità e costumi nuovi si sono introdotti partendo da lontano; sistemi di potere e metodi di governo sono stati istituiti. Un regime non nasce di colpo, va consolidandosi e forse andrà lontano. È un’illusione pensare che ciò che è stato ed è possa poi passare senza lasciare l’orma del suo piede. La questione che ci interroga è quella di cogliere con un concetto essenziale, comprensivo ed esplicativo di ciò che di oggettivo è venuto a stabilizzarsi e a sedimentare nella vita pubblica e che opera e opererà in noi, attorno a noi e, forse, contro di noi. Se, parlando di regime oggi, è inevitabile che il pensiero corra a ciò che si denomina genericamente “berlusconismo”, dobbiamo tenere presente che qui non si tratta di vizi o virtù personali ma di una concezione generale del potere che si irraggia più in là.

Colpisce che tutti i tentativi per arrivare a cogliere un’essenza – giusti o sbagliati che siano – si fermino comunque ai mezzi: denaro, televisione, blandizie e minacce, corruzione, seduzione, confusione del pubblico nel privato e viceversa, impunità, sondaggi, eccetera. Ma tutto ciò in vista di quale fine? Proprio il fine dovrebbe essere ciò che qualifica l’essenza di un regime politico, ciò che gli dà senso e ne rende comprensibile la natura. Se non c’è un fine, è puro potere, potere per il potere, tautologia. Ma qui il fine, distinto dai mezzi, è introvabile.

A meno di credere a parole d’ordine tanto generiche da non significare nulla o da poter significare qualunque cosa – libertà, identità nazionale, difesa dell’Occidente, innovazione, sviluppo, o altre cose di questo genere – il fine non si vede affatto, forse perché non c’è. O, più precisamente, il fine c’è ma coincide con i mezzi: è proteggere e potenziare i mezzi. Una constatazione davvero sbalorditiva: un’aberrazione contro-natura, una volta che la politica sia intesa come rapporto tra mezzi e fini, rapporto necessario affinché il governo delle società sia dotato di senso e il potere e la sua pretesa d’essere riconosciuto come legittimo possano giustificarsi su qualcosa di diverso dallo stesso puro potere.

A parte forse l’autore della massima “il potere logora chi non ce l’ha”, nessuno, nemmeno il Principe machiavelliano, ha mai attribuito al potere un valore in sé e per sé stesso. “Il fine giustifica i mezzi” è uno dei motti del machiavellismo politico; ma che succede se “i mezzi giustificano i mezzi”? È la crisi della ragion politica, o della politica tout court. È il trionfo della “ragione strumentale” nella politica.

Siamo di fronte a qualcosa di incomprensibile, inafferrabile, incontrollabile, qualcosa all’occorrenza capace di tutto, come in effetti vediamo accadere sotto i nostri occhi: un giorno dialogo, un altro scomuniche; un giorno benevolenza, un altro minacce; un giorno legalità, un altro illegalità; ciò che è detto un giorno è contraddetto il giorno dopo. La coerenza non riguarda i fini ma i mezzi, cioè i mezzi come fini: si tratta di operare, non importa come e con quale coerenza, allo scopo di incrementare risorse, influenza, consenso.

Il politico adatto a questa corruzione della vita pubblica è l’uomo senza passato e senza radici, che sa spiegare le vele al vento del momento; oppure l’uomo che crede di avere un passato da dimenticare, anzi da rinnegare, per presentarsi anch’egli come uomo nuovo. È colui che proclama la fine delle distinzioni che obbligherebbero a stare o di qua o di là.

Così, si può fingere di essere contemporaneamente di destra e di sinistra o di stare in un “centro” senza contorni; si può avere un’idea, ma anche un’altra contraria; ci si può presentare come imprenditori e operai; si può essere atei o agnostici ma dire che, comunque, “si è alla ricerca”; si può dare esempio pubblico della più ampia libertà nei rapporti sessuali e farsi paladini della famiglia fondata sul santo matrimonio; si può essere amico del nemico del proprio amico, eccetera, eccetera. Insomma: il “politico” di successo, in questo regime, è il profittatore, è l’uomo “di circostanza” in ogni senso dell’espressione, è colui che “crede” in tutto e nel suo contrario.

Questo tipo di politico conosce un solo criterio di legittimità del suo potere, lo stare a galla ed espandere la sua influenza. Il suo fallimento non sta nella mancata realizzazione di un qualche progetto politico. Se egli vive di potere che cresce, anche una piccola battuta d’arresto può essere l’inizio della sua fine. Non sarà più creduto. Per questo ogni indecisione, obbiettivo mancato o fallimento deve essere nascosto o mascherato e propagandato come un successo.

La corruzione e la mistificazione della dura realtà dei fatti e della loro verità è nell’essenza di questo regime. Il rapporto col mondo esterno corre il rischio di essere “disturbato”. L’uomo di potere, di questo tipo di potere, non vede di fronte a sé alcuna natura esterna, poiché diventa ai suoi occhi egli stesso natura (naturalmente, lo si sarà compreso, si sta parlando di “tipo ideale”, cioè di un modello che, nella sua perfezione, esiste solo in teoria).

Abbiamo iniziato queste considerazioni col proposito di cercare una definizione che, in una parola, condensi tutto questo. L’abbiamo trovata? Forse sì. Non ci voleva tanto: nichilismo, inteso come trasformazione dei fatti e delle idee in nulla, scetticismo circa tutto ciò che supera l’ambito (sia esso pure un ambito smisurato) del proprio interesse. Chi conosce la storia di questo concetto sa di quale veleno, potenzialmente totalitario, esso abbia mostrato d’essere intriso. Ciò che, invece, si fa fatica a comprendere è come chi tuona tutti i giorni contro il famigerato “relativismo” non abbia nessun ritegno, addirittura, a tendergli la mano. (Beh, buona giornata).

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Attualità Leggi e diritto

Prove tecniche di Terza repubblica: le pie illusioni de Il Corriere della Sera.

Berlusconi e la sfida sulla Costituzione

Oltre la misura

di (apparso su Il Corriere della Sera di ieri, non firmato, attribuibile al direttore) da corriere.it

 

Dopo la giornata nera di uno dei più duri scontri istituzionali del dopoguerra repubblicano, avremmo auspicato il momento della ricucitura. Purtroppo il presidente del Consiglio ha scelto la strada opposta, e ha finito per parlare della nostra Costituzione come di un documento in parte ispirato da chi aveva l’Unione Sovietica come «modello». Un giudizio oltre ogni misura.

Le circostanze storiche che hanno dato vita alla Costituzione repubblicana sono note. E la nostra Carta costituzionale è ovviamente emendabile nelle sue parti che più sono esposte all’usura del tempo (come il Corriere ha sempre sostenuto). Ma non si può sottacere l’apprezzamento che le è riconosciuto in modo pressoché unanime. La speranza è che l’enormità imprudentemente formulata dal nostro premier non comprometta il tentativo di ricreare un clima meno tempestoso nei rapporti tra Palazzo Chigi e il Quirinale. Questi sono i giorni in cui ci si deve responsabilmente adoperare per sanare una grave frattura tra le istituzioni. Strapazzare la memoria della Costituzione otterrebbe il risultato contrario. (Beh, buona giornata).

08 febbraio 2009

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Attualità Leggi e diritto

Caso Englaro: “Il dibattito in Parlamento sarà stato soffocato utilizzando, con una certa violenza, gli strumenti previsti dai regolamenti parlamentari.”

 
Dalla parte delle regole

di CARLO FEDERICO GROSSO da lastampa.it

Ciò che sta accadendo attorno alla vicenda Englaro suscita perplessità e tormenti. Non intendo affrontare il problema etico. Non sarei titolato a farlo. Soprattutto, sono convinto che sui temi dell’inizio e della fine della vita ciascuno deve fare, in silenzio, soltanto i conti con la propria coscienza e non imporre agli altri le proprie eventuali certezze. Intendo invece porre alcuni interrogativi concernenti le questioni di diritto.

La prima questione suscitata dalle più recenti iniziative del governo riguarda la legittimità del decreto legge approvato venerdì mattina. Su questo punto non sono possibili discussioni. Come ha valutato il Presidente della Repubblica, il decreto era costituzionalmente illegittimo per mancanza del requisito della necessità e urgenza. Allo scopo di non violare il principio secondo cui la legge è, necessariamente, generale e astratta, il governo aveva proposto un testo destinato a regolare «tutti i casi» in cui si fosse posto un problema di alimentazione e idratazione artificiale. Ma, con riferimento alla regola generale enunciata, non vi era nessuna ragione di urgenza.

Tanto è vero che il Parlamento, nonostante giacessero da tempo davanti alle sue commissioni disegni di legge che ipotizzavano lo stesso principio, aveva discusso per mesi senza giungere ad alcuna decisione. Nessun dubbio, per altro verso, che al Capo dello Stato competa una valutazione di merito in ordine alla sussistenza dei requisiti che legittimano l’adozione della decretazione d’urgenza e non una semplice funzione di avallo notarile delle valutazioni del governo. Napolitano aveva d’altronde, in passato, più volte richiamato l’attenzione sulla necessità di utilizzare con attenzione lo strumento del decreto legge. Il caso di cui si discute si è inserito, pertanto, in questa prospettiva di rigoroso rispetto presidenziale della legalità costituzionale, ampiamente rilevato da questo giornale.

Di tutt’altro segno sono le questioni giuridiche che solleva il disegno di legge, di uguale contenuto, approvato dal governo venerdì sera, e che si vorrebbe votato dal Parlamento nel giro di pochi giorni. Nei suoi confronti cadono, ovviamente, le menzionate ragioni d’illegittimità. Cionondimeno, non credo che ogni motivo di perplessità venga meno.

Per ragioni di brevità, mi limiterò ad accennare a tre profili che mi sembrano meritevoli di particolare attenzione. Il primo riguarda i tempi preventivati per l’approvazione del disegno di legge: oggi o domani al Senato, fra domani e dopodomani alla Camera. Non si è mai assistito a una simile sequenza temporale su di un tema di tanto rilievo. Se davvero il programma sarà rispettato, significherà che il dibattito in Parlamento sarà stato soffocato utilizzando, con una certa violenza, gli strumenti previsti dai regolamenti parlamentari. Gli eventuali oppositori non avranno, di fatto, avuto diritto di parola. Mi domando: è consentita, in uno Stato di diritto, una prevaricazione tanto profonda della dialettica parlamentare?

Il secondo concerne il contenuto del disegno di legge. Esso stabilisce che, in attesa dell’approvazione di una disciplina legislativa organica, «l’alimentazione e l’idratazione non possono, in alcun caso, essere sospese da chi assiste soggetti non in grado di provvedere a se stessi». E se la persona interessata, quando era ancora consapevole, avesse manifestato la sua contrarietà a trattamenti medici diretti a mantenerla artificialmente in vita? Costituisce principio di diritto pacifico, riconosciuto da numerose sentenze della Cassazione, che nessuno può essere sottoposto a trattamenti sanitari contro la sua volontà: lo stabilisce, ancora una volta, la Costituzione. Ma, allora, lo stesso contenuto del disegno di legge è fortemente sospetto d’illegittimità, poiché imporrebbe un trattamento di mantenimento artificiale in vita anche a chi ha dichiarato di rifiutarlo.

C’è d’altronde un terzo profilo sul quale, ritengo, occorre ragionare. La Cassazione, come è noto, ha «definitivamente» riconosciuto a Eluana Englaro, o a chi per lei, il diritto di staccare il sondino nasogastrico attraverso il quale si realizza il suo mantenimento artificiale in vita. Ebbene, di fronte a un diritto ormai definitivamente riconosciuto dall’autorità giudiziaria, davvero si può ritenere che una legge successiva sia, di per sé, in grado di cancellare il giudicato?

Si badi che, curiosamente, lo stesso governo, sul punto, deve avere avuto i suoi dubbi. Infatti nella relazione di accompagnamento al decreto ha scritto che è vero che, nel caso di specie, c’è stata una sentenza della Cassazione, ma essa, data la particolare natura del provvedimento assunto (di mera «volontaria giurisdizione»), non avrebbe dato vita ad alcun «accertamento di un diritto». Così facendo, lo stesso governo ha ammesso che se, invece, fosse stato riconosciuto un diritto, esso sarebbe ormai intangibile anche di fronte alla legge. Ebbene, poiché, a differenza di quanto sostenuto dal governo, la Cassazione ha, in realtà, riconosciuto un vero e proprio diritto individuale a non essere più medicalmente assistiti contro la propria volontà comunque manifestata, è lecito dubitare che il legislatore possa davvero, ormai, interferire, con una legge, su tale situazione giuridica costituita.

A maggior ragione, non potrebbero, d’altronde, essere considerati legittimi ulteriori interventi a livello amministrativo diretti a ostacolare, o eventualmente impedire, l’esercizio del diritto ormai definitivamente riconosciuto. Lo impone, ancora una volta, la salvaguardia del principio costituzionale della divisione dei poteri. Un’ultima riflessione. Il presidente del Consiglio, nella concitazione degli ultimi giorni, ha dichiarato che la Costituzione verrà presto cambiata. Trascurando le sue considerazioni, storicamente errate, sull’asserita matrice di parte dei principi costituzionali fondamentali, è comunque utile ricordare che, fino al momento di una eventuale loro modifica, le regole attualmente scritte non dovranno essere, in ogni caso, infrante. (Beh, buona giornata).

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Attualità Leggi e diritto Popoli e politiche

La guerra-lampo di Berlusconi in Parlamento, con l’appoggio aereo del Vaticano: prima il caso Englaro, poi attacco all’aborto.

(fonte: ilmessaggero.it)

Giovedì 12 febbraio è una delle date possibili per l’approvazione definitiva, da parte delle Camere, del disegno di legge predisposto dal governo sul caso di Eluana Englaro, in base all’iter parlamentare che si sta prefigurando. Il ddl, ricevuta sabato sera l’autorizzazione del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, per la presentazione alle Camere, è stato immediatamente trasmesso a Palazzo Madama. Il presidente del Senato, per accorciare i tempi, lo ha subito assegnato alla commissione Sanità in sede referente, dove si voterà il testo lunedì 9 per poi essere discusso dall’Assemblea, presumibilmente, la sera stessa. Renato Schifani, infatti, ha convocato per le ore 12 di lunedì 9 febbraio la Conferenza dei capigruppo, con l’intento di proporre l’immediato esame del provvedimento da parte dell’Aula del Senato, la cui convocazione è stata anticipata alle ore 19 dello stesso giorno.

Probabilmente la maggioranza, per snellire la procedura, respingerà o accorperà gli eventuali emendamenti per procedere subito al voto, che potrebbe tenersi entro martedì 10 febbraio, senza escludere il ricorso alla fiducia.

Ottenuto il via libera da parte del Senato, il ddl passerà all’esame della Camera. Il presidente, Gianfranco Fini, convocherà la Conferenza dei capigruppo tra la sera di lunedì 9 e la mattina di martedì 10. Il testo dovrebbe quindi essere inviato alla commissione Affari sociali. Il ddl potrebbe arrivare in aula mercoledì sera o la mattina di giovedì 12 febbraio, dove l’annunciata, forte opposizione dei Radicali e di parte del Pd lascia presupporre la presentazione di un cospicuo numero di emendamenti che ne potrebbe rallentare l’approvazione finale. Ma, così come per Palazzo Madama, l’esecutivo potrebbe porre la fiducia appena il testo andrà in aula, dando una forte accelerazione all’iter fino al voto finale.

Dopo la legge su Eluana «toccherà all’aborto, con Berlusconi e Sacconi pronti a compiacere le tesi di Eugenia Roccella e delle organizzazioni cattoliche». Lo afferma Silvio Viale, il medico torinese che ha promosso la sperimentazione della pillola RU486.

«Il blocco ad oltranza all’Aifa della RU486 – sostiene Viale – è solo l’inizio di uno scontro annunciato, con prevedibili scrupoli di coscienza del premier e del neo-credente Sacconi. Gli ingredienti sono gli stessi. In primo luogo un premier distratto e strabico, con un occhio rivolto al governo ombra del Vaticano e con una coscienza usa e getta. In secondo luogo, un gruppo agguerrito di manipolatori, capitanato da Eugenia Roccella, che si occupa di diffondere false notizie scientifiche all’insegna del dubbio metafisico, ma con molta documentata convinzione, assunta dai siti pro-life. In terzo luogo un fronte “pro-choice” timido e rinunciatario, scarsamente informato, che si fa condizionare persino nel linguaggio dai pro-life e da tempo ha perso ogni spinta propulsiva in difesa della pluralità delle scelte. In quarto luogo, come per Eluana, conquistato il premier, scatta un richiamo all’appartenenza politica che tende a recuperare una parte dell’opinione pubblica contraria». Beh, buona giornata.

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Attualità Leggi e diritto Popoli e politiche Società e costume

Prove tecniche di Terza repubblica: “Il caso Englaro è stato derubricato l’altro ieri da simbolo di umana sofferenza e affettuosa pietà ad occasione politica utilizzabile e utilizzata da Silvio Berlusconi e dal governo da lui presieduto per raggiungere altri obiettivi che nulla hanno a che vedere con la pietà e con la sofferenza.”

Non poteva esserci scempio più atroce

di EUGENIO SCALFARI da repubblica.it
Il caso Englaro appassiona molto la gente poiché pone a ciascuno di noi i problemi della vita e della morte in un modo nuovo, connesso all’evolversi delle tecnologie. Interpella la libertà di scelta di ogni persona e i modi di renderla esplicita ed esecutiva. Coinvolge i comportamenti privati e le strutture pubbliche in una società sempre più multiculturale. Quindi impone una normativa per quanto riguarda il futuro che garantisca la certezza di quella scelta e ne rispetti l’attuazione.

Ma il caso Englaro è stato derubricato l’altro ieri da simbolo di umana sofferenza e affettuosa pietà ad occasione politica utilizzabile e utilizzata da Silvio Berlusconi e dal governo da lui presieduto per raggiungere altri obiettivi che nulla hanno a che vedere con la pietà e con la sofferenza. Non ci poteva essere operazione più spregiudicata e più lucidamente perseguita.

Condotta in pubblico davanti alle televisioni in una conferenza stampa del premier circondato dai suoi ministri sotto gli occhi di milioni di spettatori.
Non stiamo ricostruendo una verità nascosta, un retroscena nebuloso, una opinabile interpretazione. Il capo del governo è stato chiarissimo e le sue parole non lasciano adito a dubbi. Ha detto che “al di là dell’obbligo morale di salvare una vita” egli sente “il dovere di governare con la stessa incisività e rapidità che è assicurata ai governanti degli altri paesi”.

Gli strumenti necessari per realizzare quest’obiettivo indispensabile sono “la decretazione d’urgenza e il voto di fiducia”; ma poiché l’attuale Costituzione semina di ostacoli l’uso sistematico di tali strumenti, lui “chiederà al popolo di cambiare la Costituzione”.

La crisi economica rende ancor più indispensabile questo cambiamento che dovrà avvenire quanto prima.
Non ci poteva essere una spiegazione più chiara di questa. Del resto non è la prima volta che Berlusconi manifesta la sua concezione della politica e indica le prossime tappe del suo personale percorso; finora si trattava però di ipotesi vagheggiate ma consegnate ad un futuro senza precise scadenze. Il caso Englaro gli ha offerto l’occasione che cercava.

Un’occasione perfetta per una politica che poggia sul populismo, sul carisma, sull’appello alle pulsioni elementari e all’emotività plebiscitaria.

Qui c’è la difesa di una vita, la commozione, il pianto delle suore, l’anatema dei vescovi e dei cardinali, i disabili portati in processione, le grida delle madri. Da una parte. E dall’altra i “volontari della morte”, i medici disumani che staccano il sondino, gli atei che applaudono, i giudici che si trincerano dietro gli articoli del codice e il presidente della Repubblica che rifiuta la propria firma per difendere quel pezzo di carta che si chiama Costituzione.

Quale migliore occasione di questa per dare la spallata all’odiato Stato di diritto e alla divisione dei poteri così inutilmente ingombrante? Non ha esitato davanti a nulla e non ha lesinato le parole il primo attore di questa messa in scena. Ha detto che Eluana era ancora talmente vitale che avrebbe potuto financo partorire se fosse stata inseminata. Ha detto che la famiglia potrebbe restituirla alle suore di Lecco se non vuole sottoporsi alle spese necessarie per tenerla in vita.

Ha detto che i suoi sentimenti di padre venivano prima degli articoli della Costituzione. E infine la frase più oscena: se Napolitano avesse rifiutato la firma al decreto Eluana sarebbe morta.

Eluana scelta dunque come grimaldello per scardinare le garanzie democratiche e radunare in una sola mano il potere esecutivo e quello legislativo mentre con l’altra si mette la museruola alla magistratura inquirente e a quella giudicante.

Questo è lo spettacolo andato in scena venerdì. Uno spettacolo che è soltanto il principio e che ci riporta ad antichi fantasmi che speravamo di non incontrare mai più sulla nostra strada.

Ci sono altri due obiettivi che l’uso spregiudicato del caso Englaro ha consentito a Berlusconi di realizzare.
Il primo consiste nella saldatura politica con la gerarchia vaticana; il secondo è d’aver relegato in secondo piano, almeno per qualche giorno, la crisi economica che si aggrava ogni giorno di più e alla quale il governo non è in grado di opporre alcuna valida strategia di contrasto.

Dopo tanto parlare di provvedimenti efficaci, il governo ha mobilitato 2 miliardi da aggiungere ai 5 di qualche settimana fa. In tutto mezzo punto di Pil, una cifra ridicola di fronte ad una recessione che sta falciando le imprese, l’occupazione, il reddito, mentre aumentano la pressione fiscale, il deficit e il debito pubblico. Di fronte ad un’economia sempre più ansimante, oscurare mediaticamente per qualche giorno l’attenzione del pubblico depistandola verso quanto accade dietro il portone della clinica “La Quiete” dà un po’ di respiro ad un governo che naviga a vista.

Quando crisi ingovernabili si verificano, i governi cercano di scaricare le tensioni sociali su nemici immaginari. In questo caso ce ne sono due: la Costituzione da abbattere, gli immigrati da colpire “con cattiveria”.

Il Vaticano si oppone a quella “cattiveria” ma ciò che realmente gli sta a cuore è mantenere ed estendere il suo controllo sui temi della vita e della morte riaffermando la superiorità della legge naturale e divina sulle leggi dello Stato con tutto ciò che ne consegue. Le parole della gerarchia, che non ha lesinato i complimenti al governo ed ha platealmente manifestato delusione e disapprovazione nei confronti del capo dello Stato ricordano più i rapporti di protettorato che quelli tra due entità sovrane e indipendenti nelle proprie sfere di competenza. Anche su questo terreno è in atto una controriforma che ci porterà lontani dall’Occidente multiculturale e democratico.

Nel suo articolo di ieri, che condivido fin nelle virgole, Ezio Mauro ravvisa tonalità bonapartiste nella visione politica del berlusconismo. Ha ragione, quelle somiglianze ci sono per quanto riguarda la pulsione dittatoriale, con le debite differenze tra i personaggi e il loro spessore storico.

Ci sono altre somiglianze più nostrane che saltano agli occhi. Mi viene in mente il discorso alla Camera di Benito Mussolini del 3 gennaio 1925, cui seguirono a breve distanza lo scioglimento dei partiti, l’instaurazione del partito unico, la sua identificazione con il governo e con lo Stato, il controllo diretto sulla stampa. Quel discorso segnò la fine della democrazia parlamentare, già molto deperita, la fine del liberalismo, la fine dello Stato di diritto e della separazione dei poteri costituzionali.

Nei primi due anni dopo la marcia su Roma, Mussolini aveva conservato una democrazia allo stato larvale. Nel novembre del ’22, nel suo primo discorso da presidente del Consiglio, aveva esordito con la frase entrata poi nella storia parlamentare: “Avrei potuto fare di quest’aula sorda e grigia un bivacco di manipoli”.

Passarono due anni e non ci fu neppure bisogno del bivacco di manipoli: la Camera fu abolita e ritornò vent’anni dopo sulle rovine del fascismo e della guerra.
In quel passaggio del 3 gennaio ’25 dalla democrazia agonizzante alla dittatura mussoliniana, gli intellettuali ebbero una funzione importante.
Alcuni (pochi) resistettero con intransigenza; altri (molti) si misero a disposizione.

Dapprima si attestarono su un attendismo apparentemente neutrale, ma nel breve volgere di qualche mese si intrupparono senza riserve.
Vedo preoccupanti analogie. E vedo titubanze e cautele a riconoscere le cose per quello che sono nella realtà. A me pare che sperare nel “rinsavimento” sia ormai un vano esercizio ed una svanita illusione. Sui problemi della sicurezza e della giustizia la divaricazione tra la maggioranza e le opposizioni è ormai incolmabile. Sulla riforma della Costituzione il territorio è stato bruciato l’altro ieri.

E tutto è sciaguratamente avvenuto sul “corpo ideologico” di Eluana Englaro. Non ci poteva essere uno scempio più atroce. (Beh, buona giornata).

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