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Razzismo in Italia? Quattro righe in cronaca.

da ilmessaggero.it

ROMA (21 febbraio) – Bottiglie incendiarie contro un negozio di prodotti alimentari gestito da romeni a Roma. È accaduto la scorsa notte nella periferia della capitale, a Tor Bella Monaca. Contro la serranda del negozio, che vende prodotti tipici romeni, un gruppo di giovani ha lanciato due bottiglie incendiarie che hanno annerito la saracinesca.

Ad avvisare la polizia è stato un abitante della zona che ha notato i giovani lanciare le bottiglie. Quando gli agenti sono arrivati hanno trovato la serranda annerita, i vetri delle bottiglie ed un forte odore di benzina.

Nel retrobottega dormiva il titolare del negozio, un romeno di 48 anni, che non si era accorto di nulla. Si occupano delle indagini il commissariato Casilino e la Digos della questura di Roma. (Beh, buona giornata).

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La mappa delle “ronde” in Italia.

da unita.it

Il ministro dell’Interno Roberto  Maroni lo ha detto a chiare lettere: le ronde già esistono. Non  da ieri, ma da almeno dieci anni, ci sono i City Angels,  esportati da Milano in tutto il centro-nord e decine di associazioni-costole leghiste che al motto “Tegn dur” imperversano nell’entroterra lombardo-veneto. E cominciano ad esserci, anche, timide iniziative che An  mette in campo per non perdere la “bandiera” della difesa della  sicurezza proprio con la Lega (a Torino come a Venezia), ronde  della “Destra” di Francesco Storace alla periferia di Roma  contro quello che definisce un «provvedimento da cartoon del  governo», nonchè operazioni più o meno utili da parte dei  sindaci – di destra e sinistra – costretti, tutti quanti, ad  inseguire le paure dei cittadini.

E purtroppo, nel panorama  italiano, non mancano semplici gruppi di cittadini  autocostituitisi in seguito a fatti di cronaca – l’ultimo dopo  lo stupro avvenuto nel parco della Caffarella a Roma – che  finiscono sempre, o quasi sempre, per picchiare il primo immigrato a portata di mano.  I primi, ormai storici, furono i City Angels, nati a Milano  nel febbraio del 1995 come «filiale» dei Guardian Angels di  New York. «Noi ci limitiamo a vigilare contro scippi e borseggi  avvertendo la polizia in caso di pericolo – va spiegando da anni  il fondatore Marco Furlan – ma diamo anche una mano a chi è in  difficoltà, distribuendo pasti a barboni o assistendo i tossici».

L’accoppiata rigore e solidarietà ha funzionato e  oggi gli Angeli sono presenti in diverse città italiane, da  Brescia a Padova, da Bologna a Pescara. Così come sono ormai  una realtà le ronde “made in Lega”.  Gli antesignani furono le “Ronde padane”, nate a Voghera nel 1997: «stavamo raccogliendo  le firme per chiedere una maggiore presenza della polizia nel  centro storico – raccontò allora uno dei fondatori, Gigi Fronti  – quando ci venne in mente che noi stessi potevamo fare la  nostra parte formando squadre che, disarmate, girassero per la  città». Numeri ufficiali su che consistenza abbiano le ronde  padane non ce ne sono mai stati, ma un leghista come  Mauro Borghezio, già dieci anni fa, parlava di circa 8mila  persone: «da Cuneo e Trieste sono una quarantina i comuni coinvolti, anche grandi come Modena, Torino e Monza».

E se al sud di ronde non c’è traccia – fallita dopo meno di  un mese l’esperienza barese delle ‘ronde antibullì – in quello  che fu il Veneto bianco e in Lombardia è un fiorire di  iniziative contro gli spacciatori, gli ambulanti, il degrado. A  Chiarano, ad esempio, entroterra trevigiano e soprattutto regno  dello sceriffo Gentilini, le ronde funzionano dal 2006. I  volontari si sono riuniti in una vera e propria associazione, “Veneto Sicuro”, e ora il prossimo passo è quello di arrivare  ad un coordinamento a livello provinciale. E anche in città  medio grandi come Brescia, già da qualche tempo, circolano  gruppi di cittadini che vigilano sul territorio. Anche con diversi intenti.

È il  caso di Firenze, dove dalla primavera scorsa su iniziativa  dell’assessore alla sicurezza Cioni, quello dell’ordinanza anti lavavetri, operano le “sentinelle anti degrado”: 600 tra  pensionati e commercianti, che aiutano i vigili urbani a  segnalare le situazioni di degrado. Ed è il caso di Genova,  dove il sindaco Marta Vincenzi ha istituto i “volontari per il  presidio civile”, ex appartenenti alle forze dell’ordine che si  occupano della vigilanza nei luoghi pubblici. Tipologie di i,pegno civile, ben diverse dai “rondisti” col patentino.  Cosa verrà ora che le ronde hanno ricevuto la patente di  legittimità non è dato sapere. È però evidente che dai nonni  vigili alle ronde leghiste il problema è sempre lo stesso: una  percezione di insicurezza che va ben al di là dei dati e delle  statistiche reali. (Beh, buona giornata).

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Le ronde: “Nuove milizie, nelle quali i volontari dei partiti di governo e gli uomini dello Stato si fondono e si confondono. Come avveniva nel regime fascista.”

di GAD LERNER da repubblica.it

 UN governo estremista e irresponsabile introduce d’urgenza nel nostro ordinamento le ronde dei cittadini, nonostante le perplessità manifestate dalle stesse forze di polizia, accampando la più ipocrita delle motivazioni: lo facciamo per contenere la furia del popolo. Spacciano le ronde come freno alla “giustizia fai-da-te”, cioè alle ormai frequenti aggressioni di malcapitati colpevoli di essere stranieri o senza fissa dimora.

Ma tale premura suona come una cinica beffa: la violenza, si sa, è stata fomentata anche dai messaggi xenofobi di sindaci e ministri. Il decreto governativo giunge come una benedizione delle camicie verdi padane e delle squadracce organizzate dalla destra romana. Propone agli italiani di militarizzarsi nell’ambito di un “Piano straordinario di controllo del territorio” fondato sul concetto di “sicurezza partecipata”. I benpensanti minimizzeranno, come già hanno fatto con le “classi ponte” per i bambini stranieri, i cancelli ai campi rom, l’incoraggiamento a denunciare i pazienti ospedalieri sprovvisti di documenti regolari. Cosa volete che sia? Norme analoghe sono in vigore altrove, si obietta. Mica vorremo passare per amici degli stupratori? Così, un passo dopo l’altro, in marcia dietro allo stendardo popolare della castrazione chimica, cresce l’assuefazione all’inciviltà. La promessa del grande repulisti darà luogo a sempre nuove misure che lo stesso Berlusconi fino a ieri dichiarava inammissibili.

Il presidente del Consiglio era dubbioso anche sulle ronde, ma si è lasciato trascinare dai leghisti per istinto: forza e marketing non sono forse le materie prime del suo potere suggestivo? Poco importa se ciò lo pone in (momentanea) rotta di collisione con il Vaticano, che denuncia “l’abdicazione dallo stato di diritto”. A lui la Chiesa interessa come potere, non come Vangelo: si adeguerà. Quanto al distinguo del presidente Napolitano, gli viene naturale calpestarlo: come prevede la forzatura berlusconiana della costituzione materiale del Paese.


Il capo del governo concede che gli stupri sono in calo del 10% nella penisola. Ma più della statistica vale per lui il “grande clamore suscitato da recenti episodi”. Per la verità nel novembre 2007, dopo l’omicidio con stupro della signora Reggiani a Tor di Quinto, fu posseduto dal medesimo impazzimento mediatico anche il centrosinistra, guidato all’epoca dal sindaco di Roma. Mal gliene incolse.

La destra populista invece trova nell’insicurezza il suo principale fattore di radicamento territoriale. Prospetta la riconquista dell’ambito esterno al domicilio privato, vissuto da tanti come ostile. Le parole “ronda”, “squadra”, “pattuglia”, “perlustrazione” – un incubo negli anni della violenza politica – vengono adesso sdoganate come potere calato dall’alto per guidare il popolo. Nuove milizie, nelle quali i volontari dei partiti di governo e gli uomini dello Stato si fondono e si confondono. Come avveniva nel regime fascista.

Lunedì scorso all'”Infedele” una giornalista rumena ha provocato un senatore leghista: “Noi le abbiamo conosciute già, le vostre ronde. Si chiamavano “Securitate””. Lungi dall’offendersi per tale paragone con le squadracce comuniste di Ceausescu, il senatore leghista le ha risposto: “All’epoca in Romania c’era molta meno delinquenza”.

Ora anche il governo minimizza. Le ronde saranno disarmate (a differenza di quanto previsto nella prima versione, bocciata al Senato). Mentre la Lega esulta, gli altri cercano di ridimensionarle a contentino simbolico, poco rilevante nella gestione dell’ordine pubblico. Fatto sta che è sempre l’estremismo a prevalere. Berlusconi si era opposto pubblicamente anche al rincaro della tassa sul permesso di soggiorno. Si sa com’è finita. La Gelmini aveva dichiarato che per i bambini stranieri prevede corsi di lingua pomeridiani anziché classi separate. Ma i leghisti stanno per riscuotere le classi separate. Tutte le peggiori previsioni si stanno avverando. La prossima tappa, c’è da scommetterci, saranno le normative differenziali sull’erogazione dei servizi sociali (agli italiani sì, agli stranieri no, e pazienza se pagano anche loro le tasse); seguirà il distinguo nei sussidi di disoccupazione (c’è la crisi, non possiamo mantenere gli stranieri, e pazienza se hanno versato i contributi). Fantascienza? Ha davvero esagerato “Famiglia Cristiana” denunciando il ritorno al tempo delle leggi razziali?

Le ronde dei volontari guidate dagli ex funzionari di polizia annunciano un clima di guerra interna che non si fermerà certo agli stupratori e agli altri delinquenti. Quale che sia la volontà del presidente del Consiglio, cui la situazione sta già sfuggendo di mano. (Beh, buona giornata).

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Le ronde e il Vaticano: qui lo dico, qui lo nego.

Detto:

“L’istituzione delle ronde rappresenta – per il segretario del pontificio consiglio dei Migranti, monsignor Agostino Marchetto – una abdicazione dello Stato di diritto. Non è la strada da percorrere”.

Contraddetto:

Quando la Santa Sede ”intende esprimersi autorevolmente”, lo fa usando ”mezzi propri e modi consoni”, come ”comunicati, note e dichiarazioni”; ”ogni altro pronunciamento non ha lo stesso valore”. Lo ricorda, con una dichiarazione, il direttore della Sala Stampa padre Federico Lombardi, per il quale ”non di rado i mezzi di informazione attribuiscono al ‘Vaticano’, intendendo con ciò la Santa Sede, commenti e punti di vista che non possono esserle automaticamente attribuita”.

Beh, buona giornata.

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La sicurezza: è aumentata la criminalità o è diminuita la legalità?

di LUCA RICOLFI da lastampa.it
Periodicamente l’opinione pubblica si allarma per il problema della criminalità e della violenza. I giornali soffiano sul fuoco. Il governo tenta di fare qualcosa (è di ieri l’approvazione in Consiglio dei ministri del decreto anti-stupri). Maggioranza e opposizione tirano acqua ai rispettivi mulini. Quando al governo c’è la sinistra e all’opposizione c’è la destra, il copione è già scritto: la sinistra minimizza e la destra drammatizza. Quando invece, come oggi, i ruoli di governo e opposizione sono invertiti, il copione va in crisi. La sinistra vorrebbe cavalcare la paura, ma non può farlo perché i suoi riflessi condizionati buonisti le suggeriscono di sdrammatizzare. La destra, per contro, vorrebbe tanto drammatizzare, ma deve trattenersi perché è al governo e teme di essere considerata responsabile di quel che succede. Dopo i recenti casi di stupro a danno di donne italiane e straniere siamo dunque tornati a farci le solite domande. La criminalità è in aumento? Gli stranieri delinquono di più degli italiani? I romeni hanno una speciale vocazione per i reati di violenza sessuale? O sono tutte «percezioni»? Sull’andamento della criminalità non si può dire molto. Con i dati finora disponibili (non definitivi e fermi al 1° semestre 2008) possiamo solo fissare qualche punto. La criminalità è aumentata molto subito dopo l’indulto: +15,1% in un anno, fra il primo semestre 2006 e il primo semestre 2007. Nel primo semestre del 2008 è diminuita rispetto al 2007, presumibilmente a causa dell’elevato numero di «indultati» recidivi, liberati e poi riacciuffati dalle forze dell’ordine. Ma la diminuzione non è stata sufficiente a compensare l’impennata del 2007, cosicché due anni dopo l’indulto il numero di delitti era un po’ maggiore di quello pre-indulto. Per esempio abbiamo più rapine (+4,9%), più omicidi volontari consumati (+7,7%), più truffe e frodi informatiche (+10,7%). In breve: le carceri sono strapiene, esattamente come lo erano prima dell’indulto (60 mila detenuti), e il numero di delitti è un po’ maggiore di allora. Sul tasso di criminalità dei cittadini stranieri è difficile lavorare con statistiche precise, perché si ignora il numero esatto degli irregolari, però la situazione è piuttosto chiara.

Il tasso di criminalità degli stranieri regolari è 3-4 volte quello degli italiani, il tasso di criminalità degli stranieri irregolari è circa 28 volte quello degli italiani (dati 2005-6). Fino a qualche anno fa la pericolosità degli stranieri, pur restando molto superiore a quella degli italiani, era in costante diminuzione, ma negli ultimi anni questa tendenza sembra essersi invertita: la pericolosità degli stranieri non solo resta molto superiore a quella degli italiani, ma il divario tende ad accentuarsi. Resta il problema della violenza sessuale e degli stupri. Qui la prima cosa da dire è che i mass media sono morbosamente attratti dalle violenze inter-etniche – lo straniero che stupra un’italiana, l’italiano che stupra una straniera – e riservano pochissima attenzione alle violenze intra-etniche, che a loro volta sono spesso intra-famigliari (donne violentate da padri, zii, suoceri, partner più o meno ufficiali). Ma i mass media, a loro volta, amplificano una distorsione che è già presente nelle denunce: l’assalto di un branco di adolescenti a una ragazzina all’uscita da scuola ha molte più probabilità di essere denunciato di quante ne abbiano le vessazioni di un padre-padrone, non importa qui se dentro un campo nomadi o in una linda villetta piccolo borghese. Basandosi esclusivamente sulle denunce, quel che si può dire è che la propensione allo stupro degli stranieri è 13-14 volte più alta di quella degli italiani (dato 2007), e che – anche qui – il divario si sta allargando: l’ultimo dato disponibile (2007) indicava un rischio relativo (stranieri rispetto a italiani) cresciuto di circa il 20% rispetto a tre anni prima (2004). Infine, i romeni. In base ai pochi dati fin qui resi pubblici, la loro propensione allo stupro risulta circa 17 volte più alta di quella degli italiani, e una volta e mezza quella degli altri stranieri presenti in Italia. Lo stupro non è però il reato in cui i romeni primeggiano rispetto agli altri stranieri. Nella rapina sono 2 volte più pericolosi degli altri stranieri (e 15 volte rispetto agli italiani), nel furto sono 3-4 volte più pericolosi degli altri stranieri (e 42 volte rispetto agli italiani). Nel tentato omicidio e nelle lesioni dolose, invece, sono leggermente meno pericolosi degli altri stranieri, ma comunque molto più pericolosi degli italiani (7 e 5 volte di più rispettivamente). Si può discettare all’infinito sul perché il tasso di criminalità degli stranieri, anche regolari, sia così più alto di quello degli italiani. Razzisti e xenofobi diranno che l’alta propensione al crimine di determinate etnie dipende dai loro usi e costumi, se non dal loro Dna.

Ma la spiegazione più solida, a mio parere, è tutta un’altra: se gli stranieri delinquono tanto più degli italiani non è perché noi siamo buoni e loro cattivi, ma perché i cittadini stranieri che arrivano in Italia non sono campioni rappresentativi dei popoli di provenienza. Con la sua giustizia lentissima, con le sue leggi farraginose, con le sue carceri al collasso, l’Italia è diventata la Mecca del crimine. Un luogo che, oltre a una maggioranza di stranieri per bene, attira ingenti minoranze criminali provenienti da un po’ tutti i Paesi, e così facendo crea l’illusione prospettica dello straniero delinquente. Perciò hanno perfettamente ragione gli italiani che hanno paura degli immigrati, ma hanno altrettanto ragione gli stranieri onesti che si sentono ingiustamente guardati con sospetto. I cittadini italiani privi di paraocchi ideologici non possono sorvolare sul fatto che uno straniero è dieci volte più pericoloso di un italiano. Ma farebbero ancor meglio a rendersi conto che ogni comunità straniera è costituita da due sottopopolazioni distinte: gli onesti attirati dalle opportunità di lavoro, e i criminali attirati dalla debolezza delle nostre istituzioni. Il problema è che le due sottopopolazioni non si possono distinguere a occhio nudo, e quindi – in mancanza di segnali che consentano di separarle – la diffidenza diventa l’unico atteggiamento razionale. Un atteggiamento che non si supera con lezioncine di democrazia, tolleranza e senso civico, ma solo rendendo l’Italia un paradiso per gli stranieri di buona volontà e un inferno per i criminali, stranieri o italiani che siano. (Beh, buona giornata).

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Attualità Leggi e diritto

Lo Stato e la Chiesa: “Quando comincia l’invasione delle truppe pontificie sul suolo italiano?”

di MICHELE AINIS da lastampa.it
Cadono gli anniversari: l’11 febbraio, 80 anni dal vecchio Concordato, siglato da Mussolini; il 18 febbraio, 25 anni dal nuovo Concordato, quello con la firma di Craxi. Ma cade inoltre, dalla memoria collettiva, il ricordo delle scelte che li accompagnarono, che li resero possibili. Cade la percezione d’un clima nei rapporti fra Italia e Vaticano che oggi non sapremmo neanche immaginare. Altri uomini, altre regole. Ecco perché il documento pubblicato lunedì su questo giornale è un bene prezioso: ci aiuta a ricordare, al contempo ci dimostra che c’è stata una Chiesa rispettosa delle nostre istituzioni. E se c’è stata, può esserci di nuovo. Dipende dalle autorità religiose, ma soprattutto dalle autorità politiche della Repubblica italiana. Quel documento è una nota riservata del vescovo Riva, indirizzata a Moro nel gennaio 1976. Quindi 8 anni prima degli accordi di Villa Madama, ma la nota già ne anticipa il contenuto più essenziale. A partire dall’affermazione secondo cui la Chiesa «si sottopone alle leggi dello Stato».

La stessa affermazione, tradotta in norma vincolante, che apre il nuovo Concordato, dove la Santa Sede s’impegna al «pieno rispetto» della sovranità statale. Ma in quella nota c’è di più: una doppia ammissione che a leggerla adesso ti fa saltare sulla sedia. Perché c’è scritto che le gerarchie ecclesiastiche non reclamano privilegi dallo Stato italiano. Perché vi si mette a nudo la ferita più bruciante, che all’epoca fu inflitta dalla legge sul divorzio. L’emissario di Paolo VI continua a dolersi per la legislazione divorzista; ma aggiunge che la Santa Sede «non si propone di insistere in una richiesta pregiudiziale del ristabilimento della situazione quo ante». Insomma pazienza per la sacralità della famiglia, quantomeno allora era più forte la sacralità dello Stato. Come ha potuto rovesciarsi questo atteggiamento? Quando comincia l’invasione delle truppe pontificie (titolo di Le Monde) sul suolo italiano? Da dove nasce l’intransigenza, e insieme la prepotenza sfoderata attorno al caso Englaro? Semplice: da un doppio referendum. Quello che nel 1974 la Chiesa ha perso sul divorzio; quello che nel 2005 ha vinto sulla procreazione assistita. Ma se è questa la lezione della storia, significa che lo spazio della Chiesa nella nostra vita pubblica dipende principalmente da noi stessi. È uno spazio politico, e la politica ha orrore del vuoto. Se il trono rimane vacante, al suo posto sorgerà un altare. Se gli elettori pensano che la laicità sia questione da filosofi, la filosofia imperante sarà quella religiosa. Se i politici italiani sono libertini in privato ma genuflessi in pubblico, perché la Chiesa dovrebbe fare un passo indietro? C’è almeno un tratto di continuità fra l’arrendevolezza vaticana sul divorzio e l’inflessibilità sul testamento biologico: il pragmatismo, virtù molto terrena che sa adattarsi ai tempi, cogliendo l’opportunità del giorno dopo. Tutto l’opposto del rigore dottrinale, della parola scolpita sulla Bibbia. Eppure non è che lo Stato italiano si sia del tutto arreso alle armate vaticane. O meglio si è arreso il governo, si è arreso il Parlamento. Tuttavia di tanto in tanto resiste qualche giudice.

La Cassazione ha riconosciuto il buon diritto di Beppino Englaro. Successivamente la Consulta ha riconosciuto il buon diritto della Cassazione. E sempre la Suprema Corte questa settimana ha assolto il magistrato Tosti, che rifiutò di tenere udienza davanti al crocefisso, in nome della laicità della Repubblica. Evidentemente ai nostri giudici difetta il pragmatismo. (Beh, buona giornata)

michele.ainis@uniroma3.it

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Fermiamo l’emendamento D’Alia.

da byoblu.com

L’Abruzzo è andato. La Sardegna… andata! La rete farà presto la stessa fine.

Quante volte da queste stesse pagine abbiamo ripetuto «La Cina è vicina». Forse solo una maniera di esorcizzare le nostre paure, ma non ci credevamo veramente. Se passa l’emendamento D’Alia alla Camera, invece, questa volta l’Art. 21 della Costituzione diventerà un cimelio da collezionisti, e l’Italia sarà il primo paese occidentale ad allinearsi alla Cina e alla Birmania in quanto a libertà di espressione. Dopo la censura dei siti di scommesse, dopo il caso ThePirateBay – rientrato temporaneamente solo per un vizio di forma – il Governo potrà oscurare su indicazione del Ministro degli Interni i blogger che non si allineano a Mediaset, alla Rai e ai maggiori quotidiani nazionali.

Farlo sarà di una banalità sconcertante: basterà incaricare servizi segreti, lobby, logge massoniche o semplici attivisti di nascondere tra le pagine di un blog commenti realizzati ad arte che possano ricadere in qualche modo nei casi previsti dall’Apologia di Reato. Lo si fa di notte. La mattina seguente si fa una segnalazione formale al Ministero degli Interni, e Maroni dirama agli internet provider il dictat: filtrare l’indirizzo IP e il nome di dominio del blog incriminato. Non importa se avete i server alla Casa Bianca, nell’ufficio di Obama, o in Bielorussia. Il filtraggio avviene in Italia, sui DNS – i domain name servers – del vostro fornitore di connettività. A meno che non sappiate impostarvi un proxy anonimo, o sappiate come puntare a domain name server alternativi, dite addio alle voci indipendenti della rete. Data la cultura digitale degli italiani, gli esiti sarebbero certi.

In Italia la guerra dell’informazione ha due soli schieramenti: il duopolio RaiSet, governato dal PDL-PDmenoElle voluto da Gelli nel suo Piano di Rinascita Democratica , e la Rete. Davide contro Golia. Chi ha provato a fare l’Obama de noi artri, a fare campagna elettorale su internet, ha perso. Ha perso Carlo Costantini in Abruzzo. Ha perso Renato Soru in Sardegna.
Il motivo è semplice. Negli USA l’80% della popolazione è online. Quasi la metà degli americani tra 12 e i 40 anni legge un blog, e in rete si informa perfino un quarto dei settantenni. Sto dicendo che un quarto dei nonni americani legge un blog! Mio padre non sa usare neppure il mouse…

In Italia, i navigatori sono poco meno di 28 milioni, ovvero il 58,5% della popolazione (dati audiweb). Solo il 12% legge un blog (fonte eurostat): parliamo del 7% degli italiani, 3.360.000 persone. Negli states invece l’informazione indipendente in rete viene letta da un americano su tre. Ecco perché Obama ha vinto.
Da noi c’è ancora troppo squilibrio. Nel solo mese di gennaio, la media degli ascolti in prima serata di tutte le reti Rai è stata di 11.505.638 telespettatori. Mediaset ha fatto meglio: 11.087.401. Più di 22 milioni di persone divise tra Vespa e Mentana (fonte Auditel), il quale si è licenziato perchè non trovava giusto non poter fare la maratona Englaro. Io, diversamente, me ne sarei invece andato perchè non si può parlare del conflitto di interessi o del Discepolo 1816, ma sono opinioni.
 
Se stai leggendo, sei uno di quei fortunati 3.360.000 italiani che si informano anche sui blog. Sei la nostra speranza. Puoi ancora raccontarlo agli altri. Se l’emendamento del Senatore D’Alia dovesse passare anche alla Camera, digitando www.byoblu.com potresti ritrovarti a leggere un messaggio del tuo provider, che ti informa che il sito è stato oscurato perchè non rispetta la normativa italiana in materia di libertà di espressione.

La strada della libertà è lunga, ma possibile. Dove possa condurre non è ancora così ovvio, tuttavia è chiaro da dove deve partire: dallo stralcio dell’Art.50 bis. Se passa, un giorno racconterete ai vostri figli cosa poteva essere internet, che non è mai diventato.

Questa è l’ultima frase della Dichiarazione di Indipendenza del Cyberspazio, di John Perry Barlow, che Leonardo Facco cita molto opportunamente nel suo contributo video di apertura del post. (Beh, buona giornata).

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Attualità Leggi e diritto Popoli e politiche Società e costume

“Vortica nell’aria nostra una sorta di peronismo alla amatriciana, occorre dunque vivisezionare quanto ci dicono i soliti apprendisti stregoni che invocano «legge e ordine».” Ovvero: un popolo spaventato si governa meglio.

di IGOR MAN da lastampa.it 

Un italiano su 4 non si sente sicuro quando esce di casa. Aumentano le rapine, dilaga il traffico di stupefacenti. Risulta dal Rapporto annuale sulla criminalità in Italia. È di 500 pagine e porta la data del 22 giugno 2007. L’allora ministro dell’Interno, Giuliano Amato, definì «impressionanti» i dati sui reati contro le donne. Il 31% delle italiane ha subìto almeno una violenza. Di più: il 62,4% di tutte le violenze sulle donne è stato commesso dal partner (amante o marito) e la percentuale sale al 68,3% per le violenze sessuali e al 69,7% per gli stupri. Con tanti saluti alla famiglia «fiore all’occhiello della società italiana». Oggi non sono disponibili dati «aggiornati» sull’ordine pubblico.

Ma chi di dovere può anticipare che se uscisse, in questo dannato momento, il Rapporto (aggiornato) sulla criminalità, ci sarebbe da preoccuparsi. E questo perché il Rapporto dice che la famiglia è in crisi. Non da oggi. Paradossalmente a mano a mano che il benessere s’allargava cresceva la domanda non già di rapporti intimi gratificati dallo scambio di «affettuosità», cresceva la domanda di beni. Beni banali utili per figurare diversi, cioè «più ricchi» e quindi «più importanti». Oltre il 74,7% degli italiani confonde il consumismo col successo, vede negli status symbol l’imprimatur della promozione sociale.

Negli anni (felici?) dell’immediato dopoguerra, trionfava la modestia, il risparmio (anche feroce) era costume di vita, garanzia di sicurezza. I valori erano valori, la famiglia faceva blocco, ci si aiutava tra parenti e anche amici. Non esisteva l’attuale filosofia perversa che papa Ratzinger denunziò, quand’era cardinale, vale a dire il Relativismo. Epperò, a dispetto delle apparenze, dati certi ancorché non ufficiali smentiscono il presunto crescendo della violenza: il delitto comune è in ribasso. Ma se la violenza reale in fatto è diminuita come si spiega che venga percepita in aumento, che un po’ tutti ci si senta immersi nel pericolo permanente: rapine, omicidi, stupri? La risposta l’affidiamo a un giornalista-umanista, Marco d’Eramo. Ci spiega che la percezione della violenza è aumentata anche con la diffusione di «fattacci» via radio e tv. È il prezzo che esige la democrazia nel rispetto della libertà d’espressione. Sulla spinta dei media, il fattaccio più remoto (un delitto in un borgo lucano ovvero la strage in un college americano) gonfia le agenzie di stampa, rapidamente veicolato nei giornali. Il delitto entra nelle case. Creando allarme, paura.

Qui il Vecchio Cronista vorrebbe fermarsi sulla demagogia di chi cerca, scientemente, di attizzare quella che d’Eramo definisce «l’ansia securitate». È importante rifarsi alla Storia. Che ci dice come l’arma di chi pratica e predica «sicurezza», consista nel sobillare le peggiori paure del (vulnerabile) uomo della strada. Vortica nell’aria nostra una sorta di peronismo alla amatriciana, occorre dunque vivisezionare quanto ci dicono i soliti apprendisti stregoni che invocano «legge e ordine». E c’è un modo egregio di farlo: leggere, ascoltare, riflettere. Sceverare il grano dal loglio. Vedere se le parole corrispondano ai fatti, oppure cerchino di contrabbandare leggi all’apparenza benefiche ma in fatto repressive, lucide anticamere dello Stato autoritario. (Beh, buona giornata).

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Attualità Leggi e diritto Media e tecnologia

“La Corte di Strasburgo ha già detto no alla carcerazione per intercettazioni.”

di Pino Cabras – Megachip

L’Europa dei diritti dell’Uomo dice no al carcere per i giornalisti. Il governo italiano vorrebbe punire con la detenzione i cronisti che pubblicano le intercettazioni soggette a segreto. Ma un simile provvedimento sfiderebbe una sentenza della Corte di Strasburgo che ha già condannato analoghe sanzioni. Ne parla l’associazione internazionale per la libertà di stampa, Information Safety and Freedom (Isf). «La sentenza emessa a carico della Francia dalla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo il 7 giugno del 2007 sul caso Dupuis – precisa Isf – ha già chiarito che la pubblicazione di intercettazioni e atti secretati non viola l’articolo 10 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali».

La vicenda richiamata è quella di due giornalisti francesi. Isf ricorda che nel loro paese furono condannati anche in secondo grado per aver divulgato in un libro alcune intercettazioni effettuate in modo illegale dal presidente François Mitterrand e soggette al segreto istruttorio.

«La Corte osserva che quel libro riguardava una questione di rilevante interesse politico per l’opinione pubblica e che si trattava di un affare di stato e osservava che l’articolo 10 della Convenzione “non lascia spazi a restrizioni della libertà di stampa nell’ambito di questioni politiche e di interesse generale”».

Le sentenze di questa Corte, pur non avendo lo stesso significato imperativo delle sentenze emesse dalla Corte di giustizia delle Comunità europee (quella di Lussemburgo), sono tuttavia il più autorevole presidio dei diritti umani in Europa. Uno dei 47 stati membri del Consiglio d’Europa – putacaso l’Italia – che dovesse fronteggiare una valanga di denunce a Strasburgo – per esempio di giornalisti ed editori – si troverebbe in una situazione politicamente e alla fine giuridicamente difficile da sostenere. È bene che le organizzazioni categoriali si attivino subito in sede di giudizio per prevenire le violazioni della legalità europea poste a tutela della libertà di espressione. (Beh, buona giornata)

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Il NYT:”L’Italia ritiene un avvocato colpevole di aver percepito tangenti per coprire il premier.”

«Un tribunale di Milano martedì ha emesso una sentenza che avrebbe fatto crollare il sistema politico di molti paesi. Ha giudicato l’avvocato britannico David Mills colpevole di avere intascato 600mila dollari in cambio della sua falsa testimonianza per proteggere il premier italiano Silvio Berlusconi. In Italia la sentenza non è stata neppure la prima notizia dei tg serali. Un onore che invece è toccato al principale avversario politico di Berlusconi, Walter Veltroni, che si è dimesso martedì dopo la sonora sconfitta alle elezioni amministrative in Sardegna, dove il Partito Democratico uscente ha perso contro il figlio del commercialista di Berlusconi. Così la notizia del giorno non è stata la corruzione di Berlusconi ma la sua esondante stretta di potere sull’Italia. Mills afferma di voler ricorrere in appello. “Sono innocente, ma questo è un caso eminentemente politico” ha affermato. Infatti Berlusconi era coimputato fino all’anno scorso, quando ha fatto spingere dal Parlamento una legge che garantisce ai vertici del Stato, ed in particolare a lui stesso, l’immunità dall’azione giudiziaria durante il loro mandato.

Tuttavia nella logica capovolta della politica italiana, la sentenza è sembrata più che una sconfitta per Mills, un’altra vittoria per Berlusconi, che nei 15 anni in cui ha dominato la vita politica italiana è riuscito a trasformare ogni grana giudiziaria capitalizzandola politicamente.

Miliardario e proprietario del più grande impero mediatico privato del paese, Berlusconi è stato ripetutamente condannato per corruzione, se solo si prendono in considerazione le accuse ribaltate in appello o decadute per sopraggiunti limiti di prescrizione. Si è sempre dichiarato innocente in tutti i casi. Più Berlusconi modella il sistema a suo vantaggio e più gli italiani sembrano ammirarlo.»(Beh, buona giornata).

Articolo di riferimento: Rachel Donadio, Italy Finds Lawyer Guilty of Taking a Bribe in Exchange for Protecting the Premier, «The New York Times», 17 febbraio 2009.
Link: http://www.nytimes.com/2009/02/18/world/europe/18italy.html?_r=1.
Traduzione a cura di Paolo Maccioni per Megachip.

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Processo Mills: “la sede di Milano della Rai non ha neppure mandato una troupe al tribunale per fare un servizio.”

di  ALEXANDER STILLE da repubblica.it

ALLORA, fammi capire – mi ha scritto un mio collega giornalista americano – viene condannato per corruzione il coimputato del primo ministro ma si dimette il capo dell’ opposizione. Che strano Paese, l’ Italia». Poi, mi chiama più tardi un’ altra collega americana che chiede, «ma è possibile che non avrà conseguenze gravi la condanna di David Mills?». «DOPO tutto – aggiunge – se Berlusconi non avesse fatto passare il Lodo Alfano sarebbe stato condannato anche lui? Come spieghi il fatto che cose di questa gravità passano come se nulla fosse?».

Prima, ricapitoliamo i fatti principali. Nel febbraio 2004, David Mills, l’ avvocato britannico di Berlusconi che si occupava dei conti “off-shore” della Mediaset, i conti cosidetti “very discreet,” per operazioni finanziarie segrete e forse illegali, mette penna su carta. Impaurito dalla possibilità di essere colto in fallo con un pagamento di 600.000 dollari non dichiarato al fisco inglese, decide di spiegarne l’ origine al suo fiscalista. Spiega che i soldi erano un regalo o un prestito a lungo termine per il silenzio nei vari processi di Berlusconi che chiama sempre B.o Mr. B. Il fiscalista, per non essere complice di un reato, passa la lettera alle autorità britanniche, le quali a loro volta, informano la magistratura italiana.

Quindi, il processo nasce non da una caccia alle streghe dei giudici italiani ma da una comunicazione di un reato denunciata nel Regno Unito alla quale la magistratura ha dovuto rispondere. Mills conferma ai magistrati italiani il contenuto della sua lettera. Solo in un momento successivo, quando si accorge forse di essere in guai ancora più gravi, ritratta le sue dichiarazioni e dice di aver avuto i soldi da un’ altra parte. Evidentemente il tribunale di Milano ha trovato più convincente la prima versione e l’ ha condannato.

Nel processo originario, Berlusconi era coimputato con Mills e con buona probabilità, dato l’ esito del processo, sarebbe stato condannato anche lui se il suo governo, con grande tempestività, non avesse varato il Lodo Alfano che protegge il primo ministro da qualsiasi processo penale durante il suo mandato.

Che un caso così grave (un primo ministro che rischia la condanna per aver corrotto un testimone al fine di evitare, forse, altre condanne – falsando completamente il sistema giudiziario – e poi si toglie dai guai usando il Parlamento per farsi leggi ad personam) passi quasi inosservato, desta stupore e incredulità nel pubblico americano. Dopotutto, quando il governatore democratico dell’ Illinois viene scoperto a promettere favori in cambio di denaro, viene espulso dall’ assemblea sia dai democratici che dai repubblicani.

Quando l’ uomo scelto da Barack Obama per riformare la sanità americana, Tom Daschle, viene scoperto nei guai con il fisco, il presidente è costretto ad allontanarlo.

Allora, come si spiega la mancanza di risposta in Italia? In parte, bisogna partire da lontano; con l’ unità d’ Italia, lo Stato visto come un’ imposizione; l’ abitudine di guardare la legge con sospetto come strumento di potere, evitata dai potenti, interpretata per gli amici e applicata ai nemici. Ma questo è solo lo sfondo, non spiega tutto.

Ricordiamoci, l’ opinione pubblica era massicciamente a favore della magistratura ai tempi dell’ inchiesta Mani Pulite quando Berlusconi è sceso in campo. Ma in un paese normale, non avrebbe mai potuto farlo essendo ancora proprietario di tre grandi reti televisive. Sarebbe stato messo fuori gioco dai soldi a Craxi, dalle tangenti alla Guardia di Finanza, anche se i processi non hanno portato a condanne. O dal caso Previti: per conto di chi l’ avvocato Previti ha corrotto il magistrato Renato Squillante? O dal caso Dell’ Utri: per chi ha lavorato Marcello Dell’ Utri in tutti gli anni in cui ha intrattenuto rapporti con esponenti importanti della mafia? Si potrebbe andare avanti per molti paragrafi. Ma ovviamente, la risposta è più complessa. Una delle più grandi prestazioni di Berlusconi (se le possiamo chiamare cosi) è di aver sistematicamente smantellato Mani Pulite.

Per ogni guaio giudiziario del Cavaliere e della Mediaset, partiva un attacco feroce contro i giudici. Venivano fatte sistematicamente delle accuse gravissime – che andavano dalla corruzione all’ assassinio, contro Di Pietro, Borrelli, Caselli, contro altri magistrati di punta come Piercamillo Davigo e Gherardo Colombo. E poi i vari casi Mitrokhin e Telekom con le accuse di megatangenti a Romano Prodi e Piero Fassino. Il fatto che queste accuse siano tutte crollate non importa. Creava l’ apparenza, falsa, di un’ equivalenza morale. Così fan tutti. La raffica di accuse e contro-accuse crea una tale confusione che l’ elettore medio ha deciso di non tenere conto delle questioni giudiziarie e morali.

La retorica antipolitica di Berlusconi ha aggravato il già diffuso cinismo degli italiani da cui trae beneficio politico. Con abilità brillante, riesce a governare il paese per anni in una fase di netto declino ma riesce a presentarsi come l’ uomo dell’ opposizione alla politica. Peggio va, meglio è per lui, un sistema perfetto – per ora. In tutto questo ha un ruolo estremamente pesante il mondo dell’ informazione. Appariva in prima pagina e all’ inizio dei telegiornali la conferenza stampa in cui Berlusconi ha dichiarato, cimice in mano, di essere stato spiato – il delitto politico più grave dopo il Watergate. Ma la notizia che era tutta una bufala è stata riportata come una notizietta.

Ho suggerito un piccolo esame alla mia collega americana che chiedeva perché il caso Mills non avrebbe inciso nel dibattito italiano: vediamo se il Tg1 o il Tg2 riportano o citano la lettera di David Mills, la pistola fumante del processo. Qualsiasi resoconto del processo avrebbe l’ obbligo di spiegare su quale base un tribunale della Repubblica ha condannato qualcuno di un reato molto grave. Se c’ è un’ informazione libera in Italia i tg menzioneranno almeno l’ esistenza della lettera. Ma i due grandi Tg della Rai hanno sepolto la notizia con dei brevi servizi in mezzo al programma e nessuno ha spiegato sulla base di quali prove è stato condannato l’ avvocato Mediaset.

Ho saputo che il servizio ha rischiato addirittura di non esserci. La sede di Milano della Rai non ha neppure mandato una troupe al tribunale per fare un servizio. Hanno spiegato i dirigenti che senza Berlusconi come imputato non aveva nessuna importanza nazionale, aggiungendo figuriamoci dopo i risultati in Sardegna. Solo dopo la protesta dei giornalisti e il loro sindacato – e per evitare uno scandalo – si è fatto qualcosa, ma a quell’ ora la Rai ha dovuto comprare il filmato da una troupe privata.

Ormai i giornalisti dei tg sono talmente condizionati che diventa prassi normale tacere su notizie imbarazzanti o sgradevoli. Berlusconi ha detto un giorno a Marcello Dell’ Utri: “Non capisci che se qualcosa non passa in televisione non esiste? E questo vale per i prodotti, i politici e le idee.” E’ anche per questo che in Italia il caso Mills non esiste o quasi. (Beh, buona giornata).

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Beppino Englaro aderisce alla manifestazione di sabato a Roma organizzata da Micromega.

“La legge sul testamento biologico che il Parlamento si appresta ad approvare è una vera e propria barbarie. Una legge assurda e incostituzionale contro la quale è assolutamente necessario che i cittadini facciano sentire la propria voce e scendano in piazza a manifestare”. Beppino Englaro dixit. Beh, buona giornata.

 

 

 

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Un appello.

di Lorenza CARLASSARE, Andrea CAMILLERI, Furio COLOMBO, Umberto ECO, Paolo FLORES D’ARCAIS, Margherita HACK, Pancho PARDI, Stefano RODOTA’:

“La vita di ciascuno non appartiene al governo e non appartiene alla Chiesa. La vita appartiene solo a chi la vive. Il decreto legge di Berlusconi, trasformato in disegno di legge dopo che il presidente Napolitano, da custode della Costituzione, ha rifiutato di firmarlo, vuole sottrarre al cittadino il diritto sulla propria vita e consegnarlo alla volontà totalitaria dello Stato e della Chiesa. Rendendo coatta l’alimentazione e l’idratazione anche contro la volontà del paziente, impone per legge la tortura ad ogni malato terminale.

Pur di imporre questa legge khomeinista, Berlusconi ha dichiarato che intende sovvertire la Costituzione repubblicana. E’ arrivato ad oltraggiare una delle costituzioni più democratiche del mondo, la nostra, definendola “filosovietica”, mentre non perde occasioni per elogiare il suo “amico Putin”, ex-dirigente del Kgb. Al governo Berlusconi che ha ormai dichiarato guerra alla Costituzione repubblicana, è dovere democratico di ogni cittadino opporre un fermo “ora basta!”.

Per dire sì alla vita e no alla tortura, per dire sì alla Costituzione e no al progetto di dittatura oscurantista, per dire sì al Presidente che sostiene la Costituzione contro chi la viola, la svilisce, la insulta, chiediamo a tutti i democratici di auto-organizzarsi per una grande e pacifica manifestazione, senza bandiere di partito, solo con la passione e l’impegno civile di liberi cittadini, a Roma, a piazza Farnese, sabato 21 febbraio alle ore 15.

Passa parola, la democrazia dipende anche da te“. (Beh, buona giornata).

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Presi i violentatori del parco della Caffarella. Decisiva per tutta l’operazione la collaborazione dei poliziotti romeni.

Sono stati arrestati i due cittadini romeni, responsabili della rapina e della violenza carnale nei confronti della fanciulla di quattordici anni il 15 febbraio scorso nel parco della Caffarella a Roma.

Alle indagini hanno partecipato agenti della polizia romena che nei giorni scorsi sono venuti a Roma. Nonostante i tagli alle forze dell’ordine, decisi per esigenze di bilancio dal governo, la polizia italiana dimostra di saper condurre indagini e assicurare i colpevoli alla giustizia. Nonostante la vandea anti-romena, decisa dalla propaganda della “rassicurazione”, che come dice Pier Camillo Davigo non ha niente a che vedere con la sicurezza, la collaborazione tra la polizia romena e quella italiana ha portato a buon fine il caso.

Non sono serviti, se non a creare ulteriori lacerazioni, inutili ai fini delle indagini, dannose ai fini delle convivenza civile, allarmi anti immigrati, squadracce fasciste e fascistoidi, ronde e blitz contro i campi nomadi. Né l’impiego dei militari per il controllo del territorio.

Investigazione e intelligence, collaborazione operativa tra le forze di polizia dei governi i cui cittadini, presenti nel nostro paese commettono reati sono la chiave di volta della sicurezza. Tutto il resto fa parte della sguaiata propaganda, che crea più danni che risultati. Il baccano può far comodo per avere qualche voto in più. Il lavoro silenzioso, professionale, meticoloso della polizia investigativa è efficace proprio perché non ha bisogno di riflettori.

Assicurati alla giustizia i responsabili, adesso la giovanissima vittima dello stupro può avviarsi verso l’elaborazione del danno che ha subito. E di questo può lei e dobbiamo noi esserne grati a chi ha svolto con perizia il lavoro investigativo: la polizia italiana, la polizia romena, i magistrati responsabili dell’inchiesta.

La sicurezza si fonda sulla fiducia che sia fatta giustizia, sulla certezza della pena che colpirà i rei di ogni delitto commesso. Frustrare la polizia tagliandogli i fondi, insultare i magistrati, scatenandogli addosso l’opinione pubblica crea insicurezza e sfiducia nella giustizia. I governanti che lo fanno, fanno male. A tutti. Soprattutto alle vittime. Beh, buona giornata.

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Antitrust, tariffe e pubblicità: Telecom dice “di aver agito nel pieno rispetto della normativa vigente”.

(fonte: AGI)

Telecom italia ricorrera’ al Tar del Lazio contro la multa da 500 mila euro comminata dall’Antitrust a Tim. L’annuncio e’ contenuto in una nota del gruppo che sottolinea di ritenere “di aver agito nel pieno rispetto della normativa vigente”. L’azienda , prosegue il comunicato, “ha dato ampia e dettagliata comunicazione alla propria clientela sulla manovra di rimodulazione tariffaria, in particolare riguardo alle modalita’ per l’esercizio del diritto di recesso i cui tempi sono stati addirittura estesi a beneficio dei consumatori. Questo e’ avvenuto attraverso una reiterata campagna informativa che ha utilizzato diversi mezzi di comunicazione quali sms, annunci stampa ed internet al fine di garantirne la massima diffusione, e che proprio per questo”, conclude la nota, “non puo’ essere considerata ambigua ed omissiva”.

Non ci resta che aspettare la sentenza del Tar del Lazio. Beh, buona giornata.

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Antitrust, tariffe e pubblicità: continuiamo a farci del male.

L’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato ha multato Tim e Vodafone con una sanzione da 500.000 euro ciascuno “per modifica unilaterale e sistematica dei piani tariffari senza fornire adeguate informative al consumatore”. Ne da notizia l’associazione Altroconsumo, che aveva denunciato in agosto all’Authority i due operatori per pratiche commerciali scorrette sui rincari delle tariffe di telefonia mobile.

Secondo i rilievi di Altroconsumo, accolti dall’Antitrust, “la mancanza di informazione e trasparenza ha impedito agli utenti di conoscere le caratteristiche delle nuove tariffe”, e le modalità di attuazione della portabilità e di rimborso del credito residuo.

Finora, tra il crollo generalizzato dei consumi degli italiani, le uniche voci che si salvavano era le spese per informatica e telefonia mobile. Così facendo, le compagnie telefoniche coinvolte dalle sanzioni dell’Antitrust danno un brutto colpo a questo settore dei consumi. Non solo. Tra il crollo generalizzato della pubblicità, con le conseguenti ripercussioni sui bilanci dei giornali italiani, tenevano i budget pubblicitari sulle offerte telefoniche.

Le campagne pubblicitarie di questi mesi sono state, evidentemente, lanciate all’insegna della “ mancanza di informazione e trasparenza”, come recita la decisione dell’Antitrust. Il che è un altro brutto colpo alla credibilità della pubblicità italiana.

Se alla crisi economica si aggiunge la crisi di fiducia nelle compagnie telefoniche e di conseguenza alla pubblicità promossa dai gestori, tutto questo fa malissimo alla ripresa dei consumi. Diventa inutile chiedere ai cittadini e ai consumatori di mantenere i nervi saldi di fronte alle difficoltà economiche del Paese, quando alcuni comportamenti mettono in discussione la trasparenza delle aziende e la veridicità delle informazioni.

Queste mille piccole bolle speculative, che si scoprono di frequente sono  forse un danno calcolato, tanto da far venire il sospetto che le eventuali sanzioni comminate dall’Antitrust vengano messe in conto e portate comunque a profitto nei conti economici calcolati sugli aumenti tariffari poco trasparenti. Il che, sia detto con tutto il rispetto,  rischia anche di vanificare l’operato stesso dell’Authority , minarne l’efficacia, screditarne le funzioni agli occhi dei consumatori, diffondere un pericoloso senso di impotenza da parte di milioni di clienti.

Recentemente negli Usa una commissione parlamentare ha chiesto conto ai top manager delle banche dei loro comportamenti. Una cosa simile è successa in Gran Bretagna. E’ ora che anche in Italia si cominci seriamente a pensare come fermare e sanzionare pratiche commerciali scorrette.

La violazione delle norme antitrust non è solo un dolo, sanabile per via amministrativa. E’ un danno continuo e continuato, oltre che alla correttezza verso i consumatori, anche alla credibilità dei soggetti del mercato: in definitiva, al libero mercato stesso.

La cosa non è risolvibile  solo con l’introduzione della “class action”, cioè la possibilità di intentare cause civili collettive da parte dei cittadini lesi nei loro diritti, che pure il governo italiano ha prorogato di due anni, come stabilito nel decreto “mille proroghe”(!). 

Il punto è che non si tratta più  solo di introdurre deterrenti ai cattivi comportamenti. Si tratta di intervenire con tempestività e decisione, perché in Italia cambi profondamente il rapporto tra grandi compagnie e i loro clienti. Non lo imporrebbero semplicemente astratti principi di etica dell’impresa. E’ la crisi dei consumi che lo chiede: senza correttezza e trasparenza non c’è fiducia, senza fiducia non c’è nessuna luce possibile, in fondo al tunnel della peggiore congiuntura economica mai vissuta dai mercati globali. Beh, buona giornata.

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Violenza sulle donne: le leggi in Italia e in Europa.

La legislazione in Italia. La legge del 15 febbraio 1996 n.66 “persegue l’obiettivo di tutelare l’integrità non solo fisica ma anche psichica dei soggetti più esposti alle aggressioni e alle violenze sessuali e ha uno scopo preventivo e punitivo”. Solo nel 1996 quindi è stata introdotta la definizione di un’unica ipotesi di reato di violenza sessuale, includendo così anche quei casi in cui non vi è stato un contatto fisico tra vittima e aggressore. In pratica per violenza sessuale vengono considerate le situazioni in cui la donna è costretta a fare o a subire contro la propria volontà atti sessuali di diverso tipo: stupro, tentato stupro, molestia fisica sessuale, rapporti sessuali con terzi o non desiderati subiti per paura delle conseguenze e attività sessuali degradanti e umilianti. Anche i ‘toccamenti’ e i ‘palpeggiamenti’, seppur fugaci (la cosiddetta ‘mano morta’), costituiscono ‘atti sessuali’ punibili, in quanto la disciplina introdotta dalla legge n.66 del 1996, a proposito della ‘violenza sessuale’, mira a sanzionare tutti gli atti che, indirizzati verso ‘zone erogene’ (anche diverse, quindi, dagli organi genitali), compromettano la libertà sessuale dell’individuo. Quest’ultimo principio è stato sancito dalla Corte di Cassazione nel 2000.

Con la Legge 66 si è voluto eliminare la necessità di indagini, umilianti per la vittima, volte ad identificare nel caso concreto la specifica condotta compiuta dal colpevole. La precedente normativa prevedeva (che risale al Codice Rocco), infatti, sia l’ipotesi di violenza carnale, sia l’ipotesi di atti di libidine con applicazione di pene differenti. Oggi la violenza sessuale ha pene molto più severe per il colpevole: se è minorenne è prevista la pena della reclusione da cinque a dieci anni; la corruzione di minorenne prevede la reclusione da sei a tre anni; la violenza sessuale di gruppo che stabilisce la reclusione da sei a dodici anni.

Il disegno di legge antistalking. Lo scorso 29 gennaio, a larghissima maggioranza, l’Aula della Camera ha detto sì al disegno di legge contro lo ‘stalking’, ovvero quegli atteggiamenti tenuti da chi affligge un’altra persona, spesso di sesso opposto, perseguitandola e ingenerando stati di ansia e paura, che possono arrivare a comprometterne il normale svolgimento della quotidianità. Chiunque minacci o compia atti persecutori nei confronti di qualcuno rischia il carcere fino a 4 anni. Se poi a molestare è il coniuge (anche se separato o divorziato), il convivente o il fidanzato e se la molestia è rivolta a una donna incinta, la detenzione può durare fino a 6 anni. Adesso il provvedimento deve passare al Senato.(di Adele Sarno da kataweb.it)

Lo stupro è punito in Francia con pene fino a 15 anni di carcere. Diverse leggi, provocate anche dall’emozione suscitata da alcuni casi in cui lo stupratore era già stato condannato per crimini simili, hanno reso più severe le pene in caso di circostanze aggravanti. La recidiva può portare la reclusione fino a trent’anni, mentre se la violenza avviene con la tortura o atti di barbarie è punita con l’ergastolo. Aggravante è anche considerata la violenza sessuale «coniugale». Di recente, il presidente Nicolas Sarkozy ha chiesto nuove leggi ancora più severe per i criminali sessuali giudicati «pericolosi». In particolare, aprirà entro la fine dell’anno a Lione il primo «ospedale prigione», un istituto sanitario cui saranno inviate persone che hanno finito di scontare la loro pena per reati sessuali, ma che sono considerate ancora a rischio di recidiva.

Spagna. Proprio ieri la Spagna, commossa e indignata, scopriva che una diciassettenne scomparsa da oltre un mese, Marta del Castillo, è stata uccisa dal suo amichetto e gettata nelle acque sivigliane del Guadalquivir dove si cerca il corpo. I reati contro la donna, le violenze e gli stupri, sono trattati in Spagna con grande attenzione e durezza a causa di una forte sensibilità sociale, dovuta soprattutto alle numerose donne uccise dai mariti o compagni, spesso durante o dopo una tormentata separazione. Lo stupro, senza aggravanti, è punito con pene tra sei e dodici anni. Dal 2006, invece, con la cosiddetta “Legge sulla violenza di genere”, qualsiasi atto di violenza, anche uno schiaffo, se commesso contro una donna porta con sé una discriminazione positiva. La pena lievita perché si passa al reato immediatamente superiore.

Gran Gretagna. Recentemente il ministero della Giustizia inglese ha sollecitato la certezza della pena per chi viene accusato di stupro. Infatti solo il 6% delle violenze denunciate sfocia in una condanna al carcere. L’anno scorso la Corte d’Appello ha fatto giurisprudenza con una sentenza cruciale: può esserci stupro anche se la vittima, ubriaca o sotto effetto di stupefacenti, acconsente al rapporto. Inoltre le pene sono più rigide in base all’età della vittima. Se è maggiore di 16 anni la pena minima è di 5 anni di carcere. Se l’età è tra i 13 e 16 anni la pena sale a 8 anni; 10 se la vittima è minore di 10 anni. Aggravanti come rapimento, stupro di gruppo o lesioni pesanti possono aumentare la pena di base di 8, 10 o 13 anni (rispettivamente nei tre gruppi di età della vittima). Il codice prevede però, come condanna massima, l’ergastolo. Tuttavia l’attuale lunghezza media di una pena per stupro è di 7 anni e mezzo.

Germania. La legge tedesca prevede la reclusione da un minimo di un anno a un massimo di quindici per i reati di violenza carnale. Se la vittima è minorenne si passa da sei anni al carcere a vita. Nel 2007 sono stati denunciati 8.181 casi di violenza carnale. Ma anche in Germania la maggior parte delle violenze non viene denunciata. Tanto che di recente è stato approvato un provvedimento legislativo che nei casi di violenza carnale in famiglia il reato può essere perseguito anche senza la denuncia da parte della donna. Il fatto penalmente rilevante può essere denunciato anche da un estraneo al nucleo familiare. Può rivolgersi all’autorità giudiziaria chi è stato testimone della violenza, anche se è stata consumata all’interno della cerchia familiare. (fonte: ilmessaggero.it) Beh, buona giornata.

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Sulla sicurezza il Sindaco di Roma ha le idee confuse.

“Mai alla violenza né alle ronde che si fanno giustizia da sole”, ha detto il Sindaco di Roma dopo i raid razzisti di ieri nella Capitale. Il fatto è che non è vero che gli squadristi che hanno aggredito alcuni cittadini stranieri si volevano fare giustizia da soli.  Essi hanno messo in atto una gesto politico, perfettamente compatibile con le dottrine xenofobe, troppo spesso tollerate, per non dire cavalcate anche all’interno della coalizione che ha vinto le scorse elezioni, compresa quello che lo ha portato al Campidoglio. Quelli sono militanti dell’ultra-destra, non cittadini che hanno cercato di farsi giustizia da soli.

Farsi giustizia da soli è il gesto disperato di chi crede di sostituirsi alla Legge per colpire i colpevoli, di chi scambia la vendetta personale con l’esercizio della giustizia. E’ un sentimento umano, ancorché aberrante, tuttavia prevedibile,  che, se spinto dall’emozione del momento può cogliere le vittime di una violenza e i loro parenti.

Però qui i colpevoli non sono ancora stati individuati, né dalla polizia né dalla magistratura. Qui i colpevoli sono indicati genericamente in tutti quelli che avrebbero il passaporto degli eventuali connazionali dei presunti colpevoli, che al momento dei raid non si erano ancora individuati. Prendere le distanze da un gesto odioso, confondendo i fatti con il significato dei fatti crea confusione: invece che una condanna, suona come una qualche attenuante.

La destra italiana ha creato un clima di tensione per giustificare una campagna elettorale all’insegna della sicurezza, con lo slogan “tolleranza zero”. Una volta andata al governo, la destra è rimasta prigioniera del clima che ha emozionato ansie e paure.  Tanto che il Sindaco s’impappina: confonde il farsi giustizia con le proprie mani con l’andare in giro in squadracce con i manganelli. Il dottor Freud avrebbe qualcosa da dire in proposito.

La quattordicenne che è stata aggredita ha di fronte a se un lungo periodo per tentare di superare un’esperienza terribile: la violenza sulle donne.  Bisognerebbe crearle attorno un clima di solidarietà e comprensione, non di odio e vendetta. Le serve giustizia, non rappresaglie.

Senza contare che qui manca anche un gesto di solidarietà nei confronti di chi è stato aggredito a freddo, colpevole di essere cittadino romeno, mentre mangiava un kebab, in un negozio andato distrutto dalla furia razzista di una squadraccia, nelle strade di Roma, capitale d’Italia e metropoli europea.

Fosse solo per l’immagine internazionale di questa città, il suo sindaco dovrebbe pesare di più le parole. Beh, buona giornata.

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Perché è sbagliato il disegno di legge sul fine vita presentato dal governo.

I professori di diritto civile contestano punto per punto le aberrazioni della proposta di legge governativa. Da Micromega.

1. Nelle ultime concitate settimane si sono verificate attorno al caso Englaro forzature istituzionali molto preoccupanti in sé e per sé, ma assolutamente inaccettabili quando si controverte di valori fondamentali della persona come il significato del diritto alla vita, la dignità dell’uomo, l’habeas corpus, il diritto all’autodeterminazione: temi che per rispetto delle radici stesse della convivenza civile in una società pluralistica richiedono di essere affrontati, in sede normativa, sulla base di approfondite e documentate conoscenze, di mediazione ed ascolto delle diverse posizioni etiche, e con procedure adatte a consentire la discussione, il confronto, la ricerca di un attento bilanciamento.

2. Ora il Parlamento sta per approvare in tempi stretti una legge in materia di direttive anticipate (c.d. testamento biologico). A quanto è dato di conoscere, la maggioranza pare intenzionata ad una discussione rapida di un testo fortemente limitativo del fondamentale diritto all’intangibilità del corpo. Verso questo obiettivo si procede a passi spediti, senza tener conto dei principi costituzionali di diritto interno e sovranazionale ed ignorando l’esigenza di rispetto di posizioni morali diverse.

3. Sembra quindi necessario richiamare alcuni capisaldi giuridici in materia:

a) La Convenzione di Oviedo, che l’Italia ha sottoscritto e di cui è stata approvata la legge di ratifica, dispone all’art 5, che “Un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e informato. Questa persona riceve innanzitutto una informazione adeguata sullo scopo e sulla natura dell’intervento e sulle sue conseguenze e i suoi rischi. La persona interessata può, in qualsiasi momento, liberamente ritirare il proprio consenso”. La previsione non riguarda solo le terapie in senso stretto, ma ogni “intervento nel campo della salute”, espressione più ampia che può corrispondere a quella di “atto medico”, vale a dire qualsiasi atto che, anche a fine non terapeutico, determini un’invasione della sfera corporea.
All’art 9 si prevede che “I desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione”, ove se da un lato non si qualificano i “desideri” come vincolanti, dall’altro è evidente che il rispetto va dato non soltanto alle “dichiarazioni di volontà” (men che meno alle sole dichiarazioni solenni come l’atto pubblico) ma ad ogni espressione di preferenze comunque manifestata.

b) La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea protegge il diritto alla vita (art.2) e il diritto all’integrità della persona (art.3) nel titolo dedicato alla Dignità, che è anche il primo, fondamentale diritto della persona (art.1). All’integrità della persona, in ragione della dignità, è consustanziale il principio di autodeterminazione stabilito nel secondo comma dell’art. 2, secondo il quale “Nell’ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati: il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge, ecc.” Ancora una volta il principio non è limitato ai trattamenti terapeutici, ma riguarda la libera determinazione nel campo medico-biologico.

c) La Costituzione italiana, che tutela l’autodeterminazione all’art. 13, configura all’art. 32 il principio del consenso come elemento coessenziale al diritto alla salute, e prevede che anche nei casi in cui il legislatore si avvalga del potere di imporre un trattamento sanitario, “in nessun caso possa violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Tale dignità non può essere intesa solo in un senso affidato a criteri oggettivi, ma implica il rispetto dell’identità senza la quale cade la ragion d’essere della dignità dell’uomo.

d) Il principio che consente il rifiuto di atti medici anche benefici è un’acquisizione consolidata della giurisprudenza europea, a valle di una evoluzione che risale alla fine dell’800; e più volte si è confermato che anche di fronte allo stato di necessità il libero, consapevole, lucido dissenso dev’essere rispettato. Un tale diritto di rifiutare le terapie, anche di sostegno vitale, non ha nulla a che fare con l’eutanasia, che consiste invece in una condotta direttamente intesa a procurare la morte.

e) Egualmente estraneo all’eutanasia è il principio condiviso in bioetica e in biodiritto per cui l’interruzione delle cure, anche senza volontà espressa del paziente divenuto incapace, debba essere praticata non solo quando le cure sono sproporzionate (c.d. accanimento terapeutico) ma anche quando esse siano inutili o abbiano il solo effetto del mantenimento in vita artificiale (cfr. l’art. L 1110-5, 2° comma, del Code de la santé publique, modificato dalla L. n. 2005-370 del 22 aprile 2005 “Relativa ai diritti del malato ed alla fine della vita”, e l’art. R 4127-37 del Code de la santé publique, modificato dal decreto n. 2006-120 del 6 febbraio 2006).

Confidiamo che il legislatore italiano saprà e vorrà tenere in conto questi principi e adeguare ad essi la disciplina delle direttive anticipate, evitando di espropriare la persona del diritto elementare di accettare la morte che la malattia ha reso inevitabile, di combattere il male secondo le proprie misure e – se ritiene – praticando soltanto il lenimento della sofferenza, senza rimanere prigioniera, per volontà di legge, di meccanismi artificiali di prolungamento della vita biologica.

Il documento è sottoscritto dai seguenti Professori di diritto civile:
(in ordine alfabetico)

Guido Alpa – Università di Roma La Sapienza
Giuseppe Amadio – Università di Padova
Tommaso Auletta – Università di Catania
Angelo Barba –  Università di Siena
Massimo Basile – Università di Messina
Alessandra Bellelli – Università di Perugia
Andrea Belvedere –  Università di Pavia
Alberto Maria Benedetti – Università di Genova
Umberto Breccia –  Università di Pisa
Paolo Cendon –  Università di Trieste
Donato Carusi –  Università di Genova
Maria Carla Cherubini – Università di Pisa
Maria Vita De Giorgi –  Università di Ferrara
Valeria De Lorenzi –  Università di Torino
Raffaella De Matteis – Università di Genova
Gilda Ferrando – Università di Genova
Massimo Franzoni – Università di Bologna
Paolo Gaggero – Università di Milano Bicocca
Aurelio Gentili –  Università di Roma Tre
Francesca Giardina – Università di Pisa
Biagio Grasso –  Università di Napoli Federico II
Gianni Iudica – Università Bocconi Milano
Gregorio Gitti – Università di Milano Statale
Leonardo Lenti – Università di Torino
Francesco Macario – Università di Roma Tre
Manuela Mantovani – Università di Padova
Marisaria Maugeri –  Università di Catania
Cosimo Marco Mazzoni – Università di Siena
Marisa Meli – Università di Catania
Salvatore Monticelli – Università di Foggia
Giovanni Passagnoli – Università di Firenze
Salvatore Patti – Università di Roma La Sapienza
Paolo Pollice – Università di Napoli
Roberto Pucella – Università di Bergamo
Enzo Roppo – Università di Genova
Carlo Rossello – Università di Genova
Liliana Rossi Carleo – Università di Napoli
Giovanna Savorani – Università di Genova
Claudio Scognamiglio – Università di Roma “Tor Vergata”
Chiara Tenella Sillani – Università di Milano Statale
Giuseppe Vettori – Università di Firenze
Alessio Zaccaria -Università di Verona
Mario Zana – Università di Pisa
Paolo Zatti – Università di Padova

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Attualità Leggi e diritto Società e costume

Sulla sicurezza il governo di destra mostra i muscoli, ma non sa che in Italia le vittime del partner per abusi psicologici, fisici e sessuali sono oltre 6 milioni.

 Il fatto che non riconosca la specificità della violenza sulle donne significa che la sicurezza in Italia è passata da farsa elettorale a tragica conseguenza di politiche sbagliate.

Secondo recenti dati forniti dall’Istat, il 6,6% delle donne con età fra 16-70 anni) hanno subito una violenza fisica e sessuale prima dei 16 anni. I parenti (zii, padri, nonni) sono responsabili nel 23,8% mentre gli sconosciuti del 24,8%. Le vittime del partner per abusi psicologici, fisici e sessuali ammontano ad oltre 6 milioni.

«Non siamo in grado di conoscere se gli stupri siano realmente aumentati, come appare dalle notizie di cronaca. Va infatti ricordato che solo una piccola parte delle violenze è denunciata», rileva il sociologo, Marzio Barbagli, dell’università di Bologna, in una pubblicazione uscita alla fine del 2008, “Immigrazione e sicurezza in Italia “(ed. Il Mulino), in cui sono stati elaborati dati del ministero dell’interno. Secondo questi dati il 60% dei casi di stupro sono perpetrati da cittadini italiani.

La quota degli stranieri sul totale delle persone denunciate per stupro sono passate, negli ultimi 20 anni, dal 9 al 40%. In testa alla “classifica” degli stupratori stranieri, i romeni (più che raddoppiati in tre anni), seguono i marocchini e gli albanesi. Rispetto alla nazionalità degli autori di violenze sessuali (dal 2004 al 2007) spicca l’avanzamento significativo dei cittadini romeni (da 170 a 447). La classifica segue con i marocchini (243-296), gli albanesi (127-153), i tunisini (80-121), peruviani (22-40), equadoregni ( 30-35), indiani (25-42), algerini (23-19).

Per quanto riguarda le vittime, Barbagli sottolinea che nella maggior parte dei casi, le violenze sessuali avvengono all’ interno della stessa nazionalità. Ad esempio, dal 2004 al 2006, delle violenze commesse da romeni, il 35,4% ha interessato italiane ma nel 46,6% le stesse romene. Di quelle, invece, commesse da italiani, l’84,2% è stato commesso su connazionali, il 4% su romene, il 3,4% su cittadine di altri paesi europei, il 2,1% su sudamericane e l’1,5% su africane.

Le denunce delle donne immigrate,  dice Barbagli, soprattutto se irregolari, sono ancora minori rispetto a quelle delle italiane perché le donne immigrate temono conseguenze. Di fatto poi «la violenza su italiane – commenta Barbagli – trova più spazio sulla stampa, fa più clamore e gli italiani, siano padri o mariti, si identificano di più con i padri e i mariti colpiti. Un clamore che invece non c’è ancora sulla violenza domestica che non riesce ad arrivare alla cronaca e che invece è in aumento spaventoso».  

Il che significa molto semplicemente che le attuali politiche governative in materia di sicurezza, di prevenzione e repressione della violenza sulle donne sono completamente fuori binario, rispetto alla realtà. Al contrario, sembra proprio che il problema non esista, e che si lasci solo spazio a campagne persecutorie contro gli stranieri.  Ma il problema della violenza sulle donne urla soluzioni, si aggrava con la negazione del problema stesso.

Anche se fosse solo un fatto di ordine pubblico non è certo tagliando risorse alle forze dell’ordine, né aumentando le sentinelle militari, né autorizzando le ronde di quartiere che è possibile immaginare un qualche successo.  Ammesso che risultati si cerchino e non invece, come sembra sempre più chiaro, non si persegua l’obiettivo politico-propagandistico di militarizzare le città, per far vedere che la destra c’ha i muscoli. E intanto le violenze contro le donne continuano, soprattutto tra le mura domestiche. Beh, buona giornata.

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