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Titoli di studio, titoli di pagamento, titoli dei giornali.

Francesco Belsito, ex tesoriere della Lega Nord.
Le lauree in canottiera, di Francesco Merlo-la Repubblica

Sono il rogo dei libri nelle valli dei dané. E certo si capisce che ora circolino le battute sulla Lega che «chiude per rutto». E si sprecano le volgarità su Rosy Mauro, la nera che «sta rovinando il capo», «la dottoressa ‘Mamma Ebe’» che ha laureato in Svizzera anche il suo giovane compagno, poliziotto ed artista che cantando «ci hanno ridotto a culi nudi» un po’ si presta alla ferocia della satira sboccata. Perciò Mamma Ebe promette di riempire l’Italia di sganassoni con le sue grandi mani di fatica, rosse e nodose, il cerchio all’anulare, mani laureate in Svizzera che è un dettaglio gradasso di Bossi, una pernacchia in più all’Italia dei saperi: «non solo regalo la laurea alla mia badante, ma la compro addirittura in Svizzera», insomma meglio di quella di Mario Monti, meglio di quella della Fornero.

Come si vede, dunque, la degradazione del titolo di studio in patacca da rigattiere nella zona più ricca d’Italia non è il dettaglio pittoresco di una ben più seria sconfitta politica. Al contrario, nel Trota che manda in pensione l’asino e, dopo tre bocciature, il partito gli compra l’agognato e immeritato diploma al mercato nero di chissà dove, c’è già la secessione in atto.

Sulle spalle di questo povero figlio, che dal 2010 frequenta a Londra una misteriosa università («in economia» disse a Vanity Fair) pagata dagli italiani sotto forma di rimborsi elettorali, non c’è solo l’ennesimo aggiornamento del ‘tengo famiglia’ e della logica del cognome che pure spiegano la sua carriera politica.

Ma c’è l’aggressione a quel primato dell’ingegno che ancora ci identifica in tutto il mondo, all’Italia che ora cammina sulle gambe di Riccardo Muti e di Renzo Piano, di Umberto Eco e di Carlo Rubbia, a quella che sarà pure diventata una retorica già gravemente minacciata di decadenza, ma che solo la faccia del trota economista a Londra riesce profondamente a umiliare.

Papà Bossi, che lo voleva come delfino ed erede politico, gli ha negato un’individualità, lo ha azzerato e senza offrirgli via di scampo lo ha modellato come pataccaro leghista, ancora più pataccaro e leghista di sé, ha marchiato la sua giovane coscienza con il dio Po e con tutte le altre corbellerie padane sino a fargli presentare, agli esami di maturità, delle tesi su quel Cattaneo che solo papà ha ridotto a piazzista politico e a imbroglione, ma che in realtà è un autore difficile anche per i professori. Il risultato ovvio non è solo la bocciatura, ma anche quella sua faccia apatica su cui si sarebbero esercitati Piero Camporesi e Arnold Gehelen, la faccia come modello d’inconsistenza che sognavano d’incontrare Walter Chiari, Cochi e Renato e i cabarettisti del Derby, la faccia su cui ora si sta crudelmente divertendo l’Italia.

Ebbene, quella faccia andrebbe presa drammaticamente sul serio perché esprime benissimo l’aggressione dell’incultura leghista all’identità nazionale, è la faccia-bandiera della competenza degradata ad incompetenza nella provincia nordista degli Aiazzone dove i libri sono da sempre arredamento.

Ecco perché il cerchio magico che si compra le lauree non è l’evoluzione nordista della vecchia e gloriosa truffa all’italiana. Qui non ci sono Totò e Peppino a Gemonio. E nella signora Bossi, premiata con una scuola privata, la Bosina, per la quale il marito chiede al partito un milione e mezzo di euro, non c’è solo il Pokies paese delle mogli, il trionfo della solita economia domestica che è l’unica scienza finanziaria nazionale, né c’è solo il tributo del celodurista spelacchiato all’Italia del matriarcato dove, nonostante la biologia, è sempre la moglie che ingravida il marito.

Certo, la signora Manuela, governando il marito ha governato l’intero governo italiano che della Lega è stato lungamente ostaggio, ma in quella scuola privata c’è qualcosa di più e di peggio, qualcosa forse di irreparabile nel mondo del mito sciaguratamente brianzolizzato del self made man che ora ricicla danaro illecito, nella fuga dalla condizione operaia verso quella dei piccoli padroni che evadono il fisco, nella corruzione politica da record che devasta la Lombardia… La scuola della Bossi è il dileggio finalmente realizzato della cultura che in quel mondo ha una sola funzione: essere dileggiata dall’asino, e dunque comprata ed esibita.

È la scuola in canottiera, l’antiscuola, non un nuovo modello Montessori ma il raglio al posto delle grammatiche.
Non sarà facile liberare dall’anticultura e svelenire quella parte dell’Italia del Nord che con Bossi ha ancora un rapporto di identità corporale, non sarà semplice restaurare nei villaggi della val Brembana l’anima italiana, l’identità nazionale fondata sulle eccellenze dei saperi coltivati e depositati. Non c’è infatti nessuna simpatia canagliesca, non c’è nessuna allegria manigolda nelle due lauree — due — che il tesoriere Francesco Belsito, ex autista ed ex venditore di focacce, ‘indossa’ sul corpaccione da buttafuori, il tesoriere più pazzo del mondo, il gorilla leghista dottore in Scienza della comunicazione (università di Malta, scrisse nel sito del governo quando era sottosegretario) e dottore in Scienze politiche a Londra, dove, non avendo valore legale, si vendono lauree ai cialtroni di tutto il mondo, italiani, libanesi, ucraini…

Attenzione, dunque: questo Bossi non è il terrone padano, il solito terrone capovolto. Qui c’è infatti l’attacco alla scuola che non ha solo alfabetizzato l’Italia ma l’ha unita nell’orgoglio rinascimentale, nell’amore per le eccellenze, da Dante sino a Rita Levi Montalcini. Bossi nella sua vita di pataccaro si è finto medico, ha festeggiato per tre volte la laurea mai conseguita e non dimenticheremo mai che la Gelmini, ministro della Pubblica istruzione, convocò il senato accademico dell’Università di Varese pretendendo di dare il tocco e la toga alla volgarità del linguaggio politico, di maritare il Sapere con l’indecenza grammaticale, di adottare l’insulto come forma di comunicazione colta: «Voglio proprio vedere chi avrà il coraggio di mettere in dubbio il buon diritto di Umberto Bossi, che è parte della storia di questo Paese, a ricevere una laurea honoris causa».

Battistrada della via culturale alla secessione la Gelmini, appoggiata da un gruppetto di intellettuali disorientati e rampanti, diffondeva — ricordate? — tutta quella paccottiglia contro i professori meridionali, voleva gli esami in dialetto, fece guerra alla lingua del Manzoni in nome di una improbabile matematica, i numeri contro le lettere, roba che solo adesso, dinanzi al mercato della lauree, assume il suo vero volto di pernacchia.

Il cerchio magico acquista solo lauree vere, non cerca la falsa laurea dei vecchi magliari del sud che, sia pure delittuosamente, esprimevano rispetto e soggezione per i professori che imitavano. Non viola in segreto la legge, ma la raggira alla luce del sole: non il delitto che collide con la norma, ma la patacca che collude con la norma; non il delitto che è grandezza e castigo, ma il valore comprato ed esibito, che è scherno e disprezzo. È l’unico vero sputo con cui la Lega ha davvero sporcato l’Italia.(Beh, buona giornata).

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Attualità Scuola

3DNews/Scuola, una “ Chance” per il dopo Gelmini

di Riccardo Palmieri

E ora ? Il nuovo sottosegretario all’Istruzione è un bel problema per il movimento. Si chiama Marco Rossi Doria, ideatore insieme a Cesare Moreno del progetto Chance, più conosciuto come quello de “ i maestri di strada “. Insegnanti che si vanno a recuperare tra vicoli e portici i ragazzi a rischio che hanno abbandonato la scuola. E che cercano di portarli almeno alla licenza media, in concorrenza con pushers e parenti carcerati, e insieme lottando contro boicottaggi ministeriali e mentalità del “ ma chi te lo fa fare ? “.

In completa controtendenza, all’epoca, Rossi Doria si candidò a sindaco di Napoli contro il “ bassolinismo” , sfidando la Iervolino dopo il suo primo mandato. Poi la Gelmini gli ha tagliato i finanziamenti per i suoi “ maestri di strada”, che ora devono ricorrere al volontariato per tenere in piedi un minimo di attività .

A uno così, certo non puoi dire che è espressione dei “ poteri forti “. E d’altra parte, più “tecnici” di lui, per conoscenza e competenza, non ce ne sono molti . Per cui la singolarità del “ governo di nessuno “ continua con questa nomina a sorpresa.

Che porta con sè un ulteriore paradosso . Nemmeno dieci giorni fa, il 20 novembre, l’allora ignaro maestro aveva scritto una lettera al governo Monti, pubblicata da La Stampa. Non sapendo che oggi quella missiva – che pubblichiamo di seguito- ha assunto la veste di una richiesta a se stesso, come membro di quel governo di cui ora fa parte. Gli strani giorni di questa crisi non finiscono mai di stupire.

LA LETTERA AL GOVERNO

Il 20 novembre ricorre l’anniversario della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Che stabilisce che ogni persona che nasce deve avere uguali possibilità di riuscita nella vita. In queste giornate il Presidente del Consiglio, Mario Monti, ha più volte rivolto al Parlamento della Repubblica l’impegno di combattere iniquità e privilegi e di dedicare forti energie alle giovani generazioni del nostro Paese, a partire da chi sta peggio.

Milioni di persone – nella scuola, nelle famiglie, nel privato sociale – si occupano del benessere di bambini e adolescenti. Abbiamo posizioni politiche spesso divergenti. Ma condividiamo le stesse crescenti preoccupazioni. Innanzitutto per la piaga della povertà minorile in un grande paese qual è l’Italia.

Infatti l’Istat conta 2 milioni e 734 mila famiglie povere, l’11%, di cui, però, 1 milione e 829 mila nel Sud, il 23% delle famiglie meridionali. E se le persone povere sono 8 milioni e 272, pari al 13,8% della popolazione, i minori poveri sono 1 milione 876 mila, il 18,2% di tutti i minori! E, secondo i parametri dell’UE, i nostri bambini e ragazzi a rischio di povertà sono il 24,4% del totale, il tasso più elevato della UE. Tanto è vero che, in Italia, più fai figli e più questi rischiano la povertà: il 30,5% delle famiglie con tre o più figli è povera. E – anche qui – il 70 % dei bambini e adolescenti poveri vive nel Mezzogiorno: 1 milione 266 mila persone in crescita, un terzo dei minori di anni 18 che vivono nel nostro Sud. Sono cifre terribili.
I bambini e ragazzi poveri sono la parte più debole, meno protetta della popolazione; e non votano. Ogni bolletta e ogni piccola spesa imprevista che capita nelle loro case sono un dramma, l’affitto o il mutuo sono spesso a rischio, insieme al lavoro dei genitori, quasi sempre precario. E sono a rischio le ormai brevissime vacanze estive, i vocabolari per la scuola, le rate del computer, l’invito agli amichetti per il compleanno. Lo racconta sempre l’Istat. E i quartieri dove vivono hanno meno verde, palestre, piscine, tempo pieno a scuola, asili nido.

L’Italia ha, al contempo, una grande risorsa: le persone che si occupano di infanzia e adolescenza in difficoltà sono molto esperte, le meno inclini a buttarla in protesta e le meno litigiose. Perché devono poter aiutare. Perché sono il front office di chi se la passa male, conoscono le persone, sanno trovare soluzioni perché tante volte si sono cimentate in questa opera. E oggi sono anche disposte ad abbandonare posizioni rigide e modelli vecchi pur di riequilibrare le cose a favore di chi parte con meno nella vita.

Perciò – per la giornata del 20 novembre – verrebbe da fare un appello semplice al Presidente Monti, al ministro dell’istruzione, a quello del welfare, al ministro della coesione territoriale. Si crei subito una camera di regia a Palazzo Chigi. Come quella che oltre dieci anni fa fu costituita a Downing street. Si metta su una squadra di persone che pensi – sulla base sì dei conti pubblici ma anche dell’urgenza del riequilibrio e sulla scorta dell’esperienza vasta che l’Italia possiede in questo campo – al come costruire un nuovo grande sforzo a favore dei bambini e ragazzi poveri.

Uno sforzo insieme pubblico e privato. Da metter in campo entro due mesi. Per ridare sostegno all’auto-impresa dei giovani, agli asili nido e alle mense, alle famiglie e alle donne sole e alle scuole, innanzitutto quelle di base, nelle aree dove si concentra la povertà minorile. Programmi snelli, rigorose procedure di controllo. Cose realistiche affidate a chi sa fare, secondo i modelli che hanno funzionato meglio in questi anni. D’accordo con la Conferenza stato-regioni, per concentrare bene tutte le risorse. Un segnale forte dal nuovo governo. Subito.

CHI E’ ROSSI DORIA
Da venti anni formatore di docenti sulle didattiche laboratoriali e le metodologie di contrasto della dispersione scolastica, del disagio e dell’esclusione precoce. Fondatore del progetto Chance, dal 1994 al 2006 è stato maestro di strada nei Quartieri Spagnoli di Napoli. Durante il governo di centro-sinistra è stato comandato presso il Ministro della Pubblica Istruzione dove è stato membro della commissione per le indicazioni nazionali della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola media e ha lavorato alle linee guida del nuovo obbligo di istruzione per tutti, fino a 16 anni. E’ membro della Commissione nazionale di indagine sull’esclusione sociale. Lavora per la Provincia autonoma di Trento per progetti a favore dei ragazzi in difficoltà e l’innovazione della formazione professionale. Collabora a numerosi giornali e riviste.

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Profumo di Gelmini.

Le Rsu del Politecnico di Torino su Francesco Profumo, Ministro dell’Istruzione.

Francesco Profumo è Rettore del Politecnico di Torino dall’ottobre 2005 (ora in aspettativa per l’incarico governativo); Dal 2007 ad oggi è membro del Consiglio di Amministrazione di FIDIA S.p.A.; dal 2007 al 2009 è stato membro del Consiglio di Amministrazione del Sole 24 Ore;dal 2008 al 2010 è stato membro del Consiglio di Amministrazione di Unicredit Private Bank; Dal Febbraio 2011 è membro del Comitato Consultivo Divisionale Private Banking di UniCredit Banca; è membro dell’Advisory Board del Fondo Innogest e di Reply S.p.A; Consigliere di Amministrazione di Pirelli & C. S.p.A. dal 21 aprile 2011; Consigliere di Amministrazione di Telecom Italia dal 12 aprile 2011.

Dopo anni di governo dell’Ateneo, aprendone le porte a FIAT, MOTOROLA, GENERAL MOTOR , PIRELLI e promuovendo un incubatore d’impresa all’avanguardia a livello nazionale, nel 2010 ha tenuto sulle spine tutti prospettando la sua disponibilità alla candidatura a Sindaco del Comune di Torino nelle liste del PD. Candidatura che, pur avendo l’appoggio trasversale di Centro-sinistra, dei vertici imprenditoriali, nonché di ampi settori della CGIL cittadina, ha ritirato a causa della sua indisponibilità ad affrontare le elezioni primarie.

Chiuso il capitolo delle elezioni comunali, è stato poi nell’agosto 2011 nominato dal MIUR alla Presidenza del CNR. Il rapporto privilegiato di Profumo con la Gelmini è testimoniato dal fatto che il Politecnico, durante il mandato dell’allora Direttore Amministrativo Dott. M. Tomasi, si è classificato ai vertici della graduatoria degli Atenei italiani, diventando miracolosamente primo nel 2010, quando Tomasi è entrato ufficialmente nell’entourage della Gelmini, andando a ricoprire l’incarico di Direttore Generale del ministero di Viale Trastevere.

Affermare che Profumo ha avuto un ruolo determinante nella stesura della riforma Gelmini viene spontaneo, se si esamina il piano strategico del Politecnico che già nel 2007 impegnava l’Ateneo ad investire nella ricerca applicata, attirando finanziamenti privati che attualmente superano per entità quelli pubblici. Sempre in tale direzione l’Ateneo ha iniziato, prima ancora dell’approvazione della legge 240, una riorganizzazione che ha comportato la chiusura di sedi decentrate, l’adozione del sistema contabile economico-patrimoniale e di un regime aziendalistico propri della Legge Gelmini.

Tale percorso è stato attuato ignorando il malessere di Studenti, Ricercatori e Personale Tecnico-Amministrativo, disattendendo accordi integrativi di Ateneo e ignorando scioperi e manifestazioni. L’attuale bozza di statuto del Politecnico, ha vissuto un travagliato iter ed è stata di fatto respinta nel referendum dall’80% del personale tecnico-amministrativo, passando per un “pelo” solo grazie al peso dei voti (erano necessari 7 voti del personale tecnico ed amministrativo per fare un voto di un docente).

Dulcis in fùndo informiamo che il giorno prima (15 novembre 2011) della cessazione del mandato della Gelmini, il MIUR ha inviato al Politecnico il suo parere sulla bozza di statuto, offrendo così al Magnifico Prof. Profumo, la possibilità di approvare, nella sua nuova veste di Ministro, la versione finale dello statuto del Politecnico di Torino. In conclusione, non possiamo condividere l’ottimismo di certi gruppi politici e sindacali che si aspettano dal nuovo Ministro dell’Istruzione del Governo Monti segnali di discontinuità nel processo oramai ventennale di dismissione dell’Università pubblica a spese di studenti, precari e personale tecnico-amministrativo.

E’ necessario, viceversa, alzare la guardia, mobilitare i lavoratori, i precari, gli studenti, poiché Profumo non sarà meglio di Gelmini. La deriva aziendalistica e privatistica della scuola e dell’università, perseguita da tutti i governi negli ultimi 20 anni, con il Prof. Francesco Profumo ministro, uomo delle banche e di confindustria, rischia una brusca accelerazione e di giungere a compimento.

Le RSU del Politecnico di Torino, in lotta contro le politiche del rettore Profumo, contro i tagli al salario accessorio, contro la riorganizzazione unilaterale dell’organizzazione del lavoro, per il rispetto degli accordi sindacali e contro il licenziamento dei precari, hanno indetto lo stato di agitazione e nei prossimi giorni saranno programmate in tutte le sedi del Politecnico una serie di assemblee e di incisive azioni di lotta, che assumono oggi una valenza più generale. (Beh, buona giornata).

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Comincia la deberlusconizzazione: il discorso intergale di Monti al Senato.

Mario Monti al Senato della Repubblica, 17.11.11:

Signor Presidente, onorevoli senatrici, onorevoli senatori, è con grande emozione che mi rivolgo a voi come primo atto del percorso rivolto ad ottenere la fiducia del Parlamento al Governo ieri costituito.

L’emozione è accresciuta dal fatto che prendo oggi la parola per la prima volta in questa Aula nella quale mi avete riservato qualche giorno fa un’accoglienza che mi ha commosso. Sono onorato di entrare a far parte del Senato della Repubblica. Desidero rivolgere un saluto deferente al Capo dello Stato, presidente Napolitano che con grande saggezza, perizia e senso dello Stato ha saputo risolvere una situazione difficile in tempi ristrettissimi nell’interesse del Paese e di tutti i cittadini.

APPLAUSI

Vorrei anche rinnovargli la mia gratitudine per la fiducia accordata alla mia persona, per il sostegno e la partecipazione che mi ha costantemente assicurato nei miei sforzi per comporre un Governo che potesse soddisfare le richieste delle forze politiche e, al contempo, dare risposte efficaci alle gravi sfide che il nostro Paese ha di fronte a sé.

Rivolgo il mio saluto ai Presidenti emeriti della Repubblica, ai senatori a vita e a tutti i senatori. Mi auguro di poter stabilire con ciascuno di voi anche un rapporto personale come vostro collega, sia pure l’ultimo arrivato.

APPLAUSI

Il Parlamento è il cuore pulsante di ogni politica di Governo, lo snodo decisivo per il rilancio e il riscatto della vita democratica. Al Parlamento vanno riconosciute e rafforzate attraverso l’azione quotidiana di ciascuno di noi dignità, credibilità e autorevolezza.
Da parte mia, da parte nostra, vi sarà sempre una chiara difesa del ruolo di entrambe le Camere quali protagoniste del pubblico dibattito.
Un ringraziamento specifico e molto sentito desidero, infine, esprimere al vostro, al nostro, Presidente. Il presidente Schifani (APPLAUSI)

ha voluto accogliermi, fin dal primo istante di questa mia missione – come potete immaginare, non semplicissima – svoltasi, in gran parte, a Palazzo Giustiniani, con una generosità e una cordialità che non potrò dimenticare.

APPLAUSI

Rivolgo, infine, un pensiero rispettoso e cordiale al presidente, onorevole dottor Silvio Berlusconi (APPLAUSI) mio predecessore, del quale mi fa piacere riconoscere l’impegno nel facilitare in questi giorni la mia successione nell’incarico.

Il Governo riconosce di essere nato per affrontare in spirito costruttivo e unitario una situazione di seria emergenza. Vorrei usare questa espressione: Governo di impegno nazionale. Governo di impegno nazionale significa assumere su di sé il compito di rinsaldare le relazioni civili e istituzionali, fondandole sul senso dello Stato. È il senso dello Stato, è la forza delle istituzioni, che evitano la degenerazione del senso di famiglia in familismo, dell’appartenenza alla comunità di origine in localismo, del senso del partito in settarismo. Ed io ho inteso fin dal primo momento il mio servizio allo Stato non certo con la supponenza di chi, considerato tecnico, venga per dimostrare un’asserita superiorità della tecnica rispetto alla politica. Al contrario, spero che il mio Governo ed io potremo, nel periodo che ci è messo a disposizione, contribuire in modo rispettoso e con umiltà a riconciliare maggiormente – permettetemi di usare questa espressione – i cittadini e le istituzioni, i cittadini alla politica.

APPLAUSI

Io vorrei, noi vorremmo, aiutarvi tutti a superare una fase di dibattito, che fa parte naturalmente della vita democratica, molto, molto, accesa, e consentirci di prendere insieme, senza alcuna confusione delle responsabilità, provvedimenti all’altezza della situazione difficile che il Paese attraversa, ma con la fiducia che la politica che voi rappresentate sia sempre più riconosciuta, e di nuovo riconosciuta, come il motore del progresso del Paese.

Le difficoltà del momento attuale. L’Europa sta vivendo i giorni più difficili dagli anni del secondo dopoguerra. Il progetto che dobbiamo alla lungimiranza di grandi uomini politici, quali furono Konrad Adenauer, Jean Monnet, Robert Schuman e – sottolineo in modo particolare – Alcide De Gasperi (APPLAUSI) e che per sessant’anni abbiamo perseguito, passo dopo passo, dal Trattato di Roma – non a caso di Roma – all’atto unico, ai Trattati di Maastricht e di Lisbona, è sottoposto alla prova più grave dalla sua fondazione.

Un fallimento non sarebbe solo deleterio per noi europei. Farebbe venire meno la prospettiva di un mondo più equilibrato in cui l’Europa possa meglio trasmettere i suoi valori ed esercitare il ruolo che ad essa compete, in un mondo sempre più bisognoso di una governance multilaterale efficace.

Non illudiamoci, onorevoli senatori, che il progetto europeo possa sopravvivere se dovesse fallire l’Unione Monetaria. La fine dell’euro disgregherebbe il mercato unico, le sue regole, le sue istituzioni. Ci riporterebbe là dove l’Europa era negli anni cinquanta.

La gestione della crisi ha risentito di un difetto di governance e, in prospettiva, dovrà essere superata con azioni a livello europeo. Ma solo se riusciremo ad evitare che qualcuno, con maggiore o minore fondamento, ci consideri l’anello debole dell’Europa, potremo ricominciare a contribuire a pieno titolo all’elaborazione di queste riforme europee. Altrimenti ci ritroveremo soci di un progetto che non avremo contribuito ad elaborare, ideato da Paesi che, pur avendo a cuore il futuro dell’Europa, hanno a cuore anche i lori interessi nazionali, tra i quali non c’è necessariamente una Italia forte.

Il futuro dell’euro dipende anche da ciò che farà l’Italia nelle prossime settimane, anche e non solo, ma anche. Gli investitori internazionali detengono quasi metà del nostro debito pubblico. Dobbiamo convincerli che abbiamo imboccato la strada di una riduzione graduale ma durevole del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo. Quel rapporto è oggi al medesimo livello al quale era vent’anni fa ed è il terzo più elevato tra i Paesi dell’OCSE. Per raggiungere questo obiettivo intendiamo far leva su tre pilastri: rigore di bilancio, crescita ed equità.

Nel ventennio trascorso l’Italia ha fatto molto per riportare in equilibrio i conti pubblici, sebbene alzando l’imposizione fiscale su lavoratori dipendenti e imprese, più che riducendo in modo permanente la spesa pubblica corrente. Tuttavia, quegli sforzi sono stati frustrati dalla mancanza di crescita. L’assenza di crescita ha annullato i sacrifici fatti. Dobbiamo porci obiettivi ambiziosi sul pareggio di bilancio, sulla discesa del rapporto tra debito e PIL. Ma non saremo credibili, neppure nel perseguimento e nel mantenimento di questi obiettivi, se non ricominceremo a crescere.

Ciò che occorre fare per ricominciare a crescere è noto da tempo. Gli studi dei migliori centri di ricerca italiani avevano individuato le misure necessarie molto prima che esse venissero recepite nei documenti che in questi mesi abbiamo ricevuto dalle istituzioni europee. Non c’è nessuna originalità europea nell’aver individuato ciò che l’Italia deve fare per crescere di più. È un problema del sistema italiano riuscire a decidere e poi ad attuare quanto noi italiani sapevamo bene fosse necessario per la nostra crescita.

Non vediamo i vincoli europei come imposizioni. Anzitutto permettetemi di dire, e me lo sentirete affermare spesso, che non c’è un loro e un noi. L’Europa siamo noi.

APPLAUSI

Quelli che poi ci vengono in un turbinio di messaggi, di lettere e di deliberazioni dalle istituzioni europee sono per lo più provvedimenti rivolti a rendere meno ingessata l’economia, a facilitare la nascita di nuove imprese e poi indurne la crescita, migliorare l’efficienza dei servizi offerti dalle amministrazioni pubbliche, favorire l’ingresso nel mondo del lavoro dei giovani e delle donne, le due grandi risorse sprecate del nostro Paese.

APPLAUSI

L’obiezione che spesso si oppone a queste misure è che esse servono, certo, ma nel breve periodo fanno poco per la crescita. È un’obiezione dietro la quale spesso si maschera – riconosciamolo – chi queste misure non vuole, non tanto perché non hanno effetti sulla crescita nel breve periodo (che è vero che non hanno), ma perché si teme che queste misure ledano gli interessi di qualcuno. Ma, evidentemente, più tardi si comincia, più tardi arriveranno i benefìci delle riforme. Ma, soprattutto, le scelte degli investitori che acquistano i nostri titoli pubblici sono guidate sì da convenienze finanziarie immediate, ma – mettiamocelo in testa – sono guidate anche dalle loro aspettative su come sarà l’Italia fra dieci o vent’anni, quando scadranno i titoli che acquistano oggi.

Quindi, non c’è iato la tra le cose che dobbiamo o fare oggi o avviare oggi, anche se avranno effetti lontani, perché anche gli investitori, che ci premiano o ci puniscono, agiscono oggi, ma guardano anche agli effetti lontani.

Riforme che hanno effetti anche graduali sulla crescita, influendo sulle aspettative degli investitori, possono riflettersi in una riduzione immediata dei tassi di interesse, con conseguenze positive sulla crescita stessa. I sacrifici necessari per ridurre il debito e per far ripartire la crescita dovranno essere equi. Maggiore sarà l’equità, più accettabili saranno quei provvedimenti e più ampia – mi auguro – sarà la maggioranza che in Parlamento riterrà di poterli sostenere. Equità significa chiedersi quale sia l’effetto delle riforme non solo sulle componenti relativamente forti della società, quelle che hanno la forza di associarsi, ma anche sui giovani e sulle donne. Dobbiamo renderci conto che, se falliremo e se non troveremo la necessaria unità di intenti, la spontanea evoluzione della crisi finanziaria ci sottoporrà tutti, ma soprattutto le fasce più deboli della popolazione, a condizioni ben più dure.

La crisi che stiamo vivendo è internazionale; questo è ovvio, ma conviene ripeterlo ogni volta, anche ad evitare demonizzazioni. È internazionale, lo sto dicendo a tutti. Ma l’Italia ne ha risentito in maniera particolare. Secondo la Commissione europea, al termine del prossimo anno il prodotto interno lordo dell’Italia sarebbe ancora quattro punti e mezzo al di sotto del livello raggiunto prima della crisi. Per la stessa data, l’area dell’euro nel suo complesso avrebbe invece recuperato la perdita di prodotto dovuta alla crisi. Francia e Germania raggiungerebbero il traguardo di riportarsi al livello precrisi nell’anno in corso. La relativa debolezza della nostra economia precede l’avvio della crisi.

Tra il 2001 e il 2007 il prodotto italiano è cresciuto di 6,7 punti percentuali, contro i 12 della media dell’area dell’euro, i 10,8 della Francia e gli 8,3 della Germania. I risultati sono deludenti al Nord come al Sud. E non vi propongo un paragone con la Cina o con altri Paesi emergenti, ma con i nostri colleghi ed amici stretti della zona euro. La crisi ha colpito più duramente i giovani. Ad esempio, nei 15 Paesi che componevano l’Unione europea fino al 2004, tra il 2007 e il 2010 il tasso di disoccupazione nella classe di età 15-24 anni è aumentato di cinque punti percentuali, in Italia di 7,6 punti percentuali.

Il nostro Paese rimane caratterizzato da profonde disparità territoriali. Il lungo periodo di bassa crescita e la crisi le hanno accentuate. Esiste una questione meridionale: infrastrutture, disoccupazione, innovazione, rispetto della legalità.

APPLAUSI

I problemi nel Mezzogiorno vanno affrontati non nella logica del chiedere di più, ma di una razionale modulazione delle risorse.

Esiste anche una questione settentrionale: costo della vita, delocalizzazione, nuove povertà, bassa natalità.

Il riequilibrio di bilancio, le riforme strutturali e la coesione territoriale richiedono piena e leale collaborazione tra i diversi livelli istituzionali.

Occorre riconoscere il valore costituzionale delle autonomie speciali, nel duplice binario della responsabilità e della reciprocità.

In quest’ottica, per rispondere alla richiesta formulata dalle istituzioni territoriali che, devo dire, ho ascoltato con molta attenzione…

Se dovete fare una scelta – mi permetto di rivolgermi a tutti – ascoltate, non applaudite!

APPLAUSI

Non ripeterò l’importanza del valore costituzionale delle autonomie speciali, perché altrimenti arrivano di nuovo applausi; l’ho già detto e lo avete ascoltato.

In quest’ottica – come stavo dicendo – perrispondere alla richiesta formulata dalle istituzioni territoriali nel corso delle consultazioni, ho deciso di assumere direttamente in questa prima fase le competenze relative agli affari regionali. Spero in questo modo di manifestare una consapevolezza condivisa circa il fatto che il lavoro comune con le autonomie territoriali debba proseguire e rafforzarsi, nonostante le difficoltà dell’agenda economica. In tale prospettiva si dovrà operare senza indugio per un uso efficace dei fondi strutturali dell’Unione europea.
Sono consapevole che sarebbe un’ambizione eccessiva da parte mia e da parte nostra pretendere di risolvere in un arco di tempo limitato, qual è quello che ci separa dalla fine di questa legislatura, problemi che hanno origini profonde e che sono radicati in consuetudini e comportamenti consolidati. Ciò che si prefiggiamo di fare è impostare il lavoro, mettere a punto gli strumenti che permettano ai Governi che ci succederanno di proseguire un processo di cambiamento duraturo.

Per questo il programma che vi sottopongo oggi si compone di due parti, che hanno obiettivi ed orizzonti temporali diversi. Da un lato, vi è una serie di provvedimenti per affrontare l’emergenza, assicurare la sostenibilità della finanza pubblica, restituire fiducia nelle capacità del nostro Paese di reagire e sostenere una crescita duratura ed equilibrata. Dall’altro lato, si tratta di delineare con iniziative concrete un progetto per modernizzare le strutture economiche e sociali, in modo da ampliare le opportunità per le imprese, i giovani, le donne e tutti i cittadini, in un quadro di ritrovata coesione sociale e territoriale.

In considerazione dell’urgenza con la quale abbiamo dovuto operare per la formazione di questo Governo – ed in questo senso voglio ringraziare le diverse forze politiche che, nei miei confronti, figura estranea al vostro mondo, si sono gentilmente e con sollecitudine apprestate all’ascolto e all’offerta di contributi dei quali ho cercato di tenere conto – quello che intendo fare oggi è semplicemente presentarvi gli aspetti essenziali dell’azione che intendiamo svolgere. Se otterremo la fiducia del Parlamento, ciascun Ministro esporrà alle Commissioni parlamentari competenti le politiche attraverso le quali, nei singoli settori, queste azioni verranno avviate.

È in discussione in Parlamento una proposta di legge costituzionale per introdurre un vincolo di bilancio in pareggio per le amministrazioni pubbliche, in coerenza con gli impegni presi nell’ambito dell’Eurogruppo.
L’adozione di una regola di questo tipo può contribuire a mantenere nel tempo il pareggio di bilancio programmato per il 2013, evitando che i risultati conseguiti con intense azioni di risanamento vengano erosi negli anni successivi, come è accaduto in passato. Affinché il vincolo sia efficace, dovranno essere chiarite le responsabilità dei singoli livelli di Governo.

A questo proposito ed anche in considerazione della complessità della regola, ad esempio l’aggiustamento per il ciclo, sarà opportuno studiare l’esperienza di alcuni Paesi europei che hanno affidato ad autorità indipendenti la valutazione del rispetto sostanziale della regola, dato che in questa materia la credibilità nei confronti di noi stessi e del mondo è un requisito essenziale. Sarà anche necessario attuare rapidamente l’armonizzazione dei bilanci delle amministrazioni pubbliche. Opportunamente la proposta di legge in discussione in Parlamento già prevede l’assegnazione allo Stato della potestà legislativa esclusiva in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici. Nell’immediato daremo piena attuazione alle manovre varate nel corso dell’estate, completandole attraverso interventi in linea con la lettera di intenti inviata alle autorità europee.

Nel corso delle prossime settimane valuteremo la necessità di ulteriori correttivi. Una parte significativa della correzione dei saldi programmata durante l’estate è attesa dall’attuazione della riforma dei sistemi fiscale ed assistenziale. Dovremmo pervenire al più presto ad una definizione di tale riforma e ad una valutazione prudenziale dei suoi effetti. Dovranno inoltre essere identificati gli interventi, volti a colmare l’eventuale divario rispetto a quelli indicati nella manovra di bilancio.

Di fronte ai sacrifici che sono stati e che dovranno essere richiesti ai cittadini sono ineludibili interventi volti a contenere i costi di funzionamento degli organi elettivi. I soggetti che ricoprono cariche elettive, i dirigenti designati politicamente nelle società di diritto privato, finanziate con risorse pubbliche, più in generale quanti rappresentano le istituzioni ad ogni livello politico ed amministrativo, dovranno agire con sobrietà ed attenzione al contenimento dei costi, dando un segnale concreto ed immediato. Si dovranno rafforzare gli interventi effettuati con le ultime manovre di finanza pubblica, con l’obiettivo di allinearci rapidamente alle best practices europee.

Per quanto di mia diretta competenza, avvierò immediatamente una spending review del Fondo unico della Presidenza del Consiglio. Ritengo inoltre necessario ridurre le sovrapposizioni tra i livelli decisionali e favorire la gestione integrata dei servizi per gli Enti locali di minori dimensioni. Il riordino delle competenze delle Province può essere disposto con legge ordinaria. La prevista specifica modifica della Costituzione potrà completare il processo, consentendone la completa eliminazione, così come prevedono gli impegni presi con l’Europa.

APPLAUSI

Per garantire la natura strutturale della riduzione delle spese dei Ministeri, decisa con la legge di stabilità, andrà definito rapidamente il programma per la riorganizzazione della spesa, previsto dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, in particolare per quanto riguarda l’integrazione operativa delle agenzie fiscali, la razionalizzazione di tutte le strutture periferiche dell’amministrazione dello Stato, il coordinamento delle attività delle forze dell’ordine, l’accorpamento degli enti della previdenza pubblica, la razionalizzazione dell’organizzazione giudiziaria.

Gli interventi saranno coordinati con la spending review in corso, che intendo rafforzare e rendere particolarmente incisiva con la precisa individuazione di tempi e responsabilità. Negli scorsi anni la normativa previdenziale è stata oggetto di ripetuti interventi, che hanno reso a regime il sistema pensionistico italiano tra i più sostenibili in Europa e tra i più capaci di assorbire eventuali shock negativi. Già adesso l’età di pensionamento, nel caso di vecchiaia, tenendo conto delle cosiddette finestre, è superiore a quella dei lavoratori tedeschi e francesi.

Il nostro sistema pensionistico rimane però caratterizzato da ampie disparità di trattamento tra diverse generazioni e categorie di lavoratori, nonché da aree ingiustificate di privilegio.

Il rispetto delle regole e delle istituzioni e la lotta all’illegalità riceveranno attenzione prioritaria da questo Governo. Per riacquistare fiducia nel futuro dobbiamo avere fiducia nelle istituzioni che caratterizzano uno Stato di diritto, quindi si procederà alla lotta all’evasione fiscale e all’illegalità, non solo per aumentare il gettito (il che non guasta), ma anche per abbattere le aliquote: questo può essere fatto con efficacia prestando particolare attenzione al monitoraggio della ricchezza accumulata (ho detto monitoraggio della ricchezza accumulata) e non solo ai redditi prodotti.

L’evasione fiscale continua a essere un fenomeno rilevante: il valore aggiunto sommerso è quantificato nelle statistiche ufficiali in quasi un quinto del prodotto. Interventi incisivi in questo campo possono ridurre il peso dell’aggiustamento sui contribuenti che rispettano le norme. Occorre ulteriormente abbassare la soglia per l’uso del contante, favorire un maggior uso della moneta elettronica, accelerare la condivisione delle informazioni tra le diverse amministrazioni, potenziare e rendere operativi gli strumenti di misurazione induttiva del reddito e migliorare la qualità degli accertamenti.

Il decreto legislativo n. 23 del 14 marzo 2011 prevede per il 2014 l’entrata in vigore dell’imposta municipale che assorbirà l’attuale ICI, escludendo tuttavia la prima casa e l’IRPEF sui redditi fondiari da immobili non locati, comprese le relative addizionali. In questa cornice intendiamo riesaminare il peso del prelievo sulla ricchezza immobiliare: tra i principali Paesi europei, l’Italia è caratterizzata da un’imposizione sulla proprietà immobiliare che risulta al confronto particolarmente bassa. L’esenzione dall’ICI delle abitazioni principali costituisce, sempre nel confronto internazionale, una peculiarità – se non vogliamo chiamarla anomalia – del nostro ordinamento tributario.

Il primo elenco di cespiti immobiliari da avviare a dismissione sarà definito nei tempi previsti dalla legge di stabilità, cioè entro il 30 aprile 2012. La lettera d’intenti inviata alla Commissione europea prevede proventi di almeno 5 miliardi all’anno nel prossimo triennio. A tale scopo verrà definito un calendario puntuale per i successivi passi del piano di dismissioni e di valorizzazione del patrimonio pubblico. Tuttavia, è necessario volgere tutte le politiche pubbliche, a livello macroeconomico e microeconomico, a sostegno della crescita, sia pure nei limiti determinati dal vincolo di bilancio.

La pressione fiscale in Italia è elevata nel confronto storico e in quello internazionale (nel testo scritto che avrete a disposizione si danno ulteriori elementi). Nel tempo e via via che si manifesteranno gli effetti della spending review sarà possibile programmare una graduale riduzione della pressione fiscale; tuttavia anche prima, a parità di gettito, la composizione del prelievo fiscale può essere modificata in modo da renderla più favorevole alla crescita. Coerentemente con il disegno della delega fiscale e della clausola di salvaguardia che la accompagna, una riduzione del peso delle imposte e dei contributi che gravano sul lavoro e sull’attività produttiva, finanziata da un aumento del prelievo sui consumi e sulla proprietà, sosterrebbe la crescita senza incidere sul bilancio pubblico.

APPLAUSI

Dal lato della spesa, un impulso all’attività economica potrà derivare da un aumento del coinvolgimento dei capitali privati nella realizzazione di infrastrutture. Gli incentivi fiscali stabiliti con legge di stabilità sono un primo passo, ma è anche necessario intervenire sulla regolamentazione del project financing, in modo da ridurre il rischio associato alle procedure amministrative. Occorre inoltre operare per raggiungere gli obiettivi fissati in sede europea con l’agenda digitale. Ho quasi concluso.

Con il consenso delle parti sociali dovranno essere riformate le istituzioni del mercato del lavoro, per allontanarci da un mercato duale dove alcuni sono fin troppo tutelati mentre altri sono totalmente privi di tutele e assicurazioni in caso di disoccupazione.

APPLAUSI

Le riforme in questo campo dovranno avere il duplice scopo di rendere più equo il nostro sistema di tutela del lavoro e di sicurezza sociale e anche di facilitare la crescita della produttività, tenendo conto dell’eterogeneità che contraddistingue in particolare l’economia italiana. In ogni caso, il nuovo ordinamento che andrà disegnato verrà applicato ai nuovi rapporti di lavoro per offrire loro una disciplina veramente universale, mentre non verranno modificati i rapporti di lavori regolari e stabili in essere.

APPLAUSI

Intendiamo perseguire lo spostamento del baricentro della contrattazione collettiva verso i luoghi di lavoro, come ci viene chiesto dalle autorità europee e come già le parti sociali hanno iniziato a fare, che va accompagnato da una disciplina coerente del sostegno alle persone senza impiego volta a facilitare la mobilità e il reinserimento nel mercato del lavoro, superando l’attuale segmentazione. Più mobilità tra impresa e settori è condizione essenziale per assecondare la trasformazione dell’economia italiana e sospingerne la crescita.

È necessario colmare il fossato che si è creato tra le garanzie e i vantaggi offerti dal ricorso ai contratti a termine e ai contratti a tempo indeterminato, superando i rischi e le incertezze che scoraggiano le imprese a ricorrere a questi ultimi. Tenendo conto dei vincoli di bilancio occorre avviare una riforma sistematica degli ammortizzatori sociali, volta a garantire a ogni lavoratore che non sarà privo di copertura rispetto ai rischi di perdita temporanea del posto di lavoro. Abbiamo da affrontare una crisi, abbiamo da affrontare delle trasformazioni strutturali, ma è nostro dovere cercare di evitare le angosce che accompagnano questi processi.

APPLAUSI

È necessario, infine, mantenere una pressione costante nell’azione di contrasto e di prevenzione del lavoro sommerso. Uno dei fattori che distinguono l’Italia nel contesto europeo è la maggiore difficoltà di inserimento o di permanenza in condizioni di occupazione delle donne. Assicurare la piena inclusione delle donne in ogni ambito della vita lavorativa ma anche sociale e civile del Paese è una questione indifferibile.

È necessario affrontare le questioni che riguardano la conciliazione della vita familiare con il lavoro, la promozione della natalità e la condivisione delle responsabilità legate alla maternità da parte di entrambi i genitori, nonché studiare l’opportunità di una tassazione preferenziale per le donne.

C’è poi un problema legato all’invecchiamento della popolazione che si traduce in oneri crescenti per le famiglie; andrà quindi prestata attenzioni ai servizi di cura agli anziani, oggi una preoccupazione sempre più urgente nelle famiglie in un momento in cui affrontano difficoltà crescenti.

APPLAUSI

Infine un’attenzione particolare andrà assicurata alle prospettive per i giovani; dico “infine” nel senso di finalità di tutta la nostra azione. Questa sarà una delle priorità di azione di questo Governo, nella convinzione che ciò che restringe le opportunità per i giovani si traduce poi in minori opportunità di crescita e di mobilità sociale per l’intero Paese. Dobbiamo porci l’obiettivo di eliminare tutti quei vincoli che oggi impediscono ai giovani di strutturare le proprie potenzialità in base al merito individuale indipendentemente dalla situazione sociale di partenza. Per questo ritengo importante inserire nell’azione di Governo misure che valorizzino le capacità individuali e eliminino ogni forma di cooptazione. L’Italia ha bisogno di investire sui suoi talenti; deve essere lei orgogliosa dei suoi talenti e non trasformarsi in un’entità di cui i suoi talenti non sempre sono orgogliosi. Per questo la mobilità è la nostra migliore alleata, mobilità sociale ma anche geografica, non solo all’interno del nostro Paese ma anche e soprattutto nel più ampio orizzonte del mercato del lavoro europeo e globale.

L’ultimo punto che desidero brevemente presentarvi – ed è una caratteristica spero distintiva del nostro Esecutivo, se consentirete al nostro, o vostro, Governo di nascere, è quella delle politiche micro-economiche per la crescita.

Un ritorno credibile a più alti tassi di crescita deve basarsi su misure volte a innalzare il capitale umano e fisico e la produttività dei fattori. La valorizzazione del capitale umano deve essere un aspetto centrale: sarà necessario mirare all’accrescimento dei livelli d’istruzione della forza lavoro, che sono ancora oggi nettamente inferiori alla media europea, anche tra i più giovani. Vi contribuiranno interventi mirati sulle scuole e sulle aree in ritardo, identificando i fabbisogni, anche mediante i test elaborati dall’INVALSI, e la revisione del sistema di selezione, allocazione e valorizzazione degli insegnanti. Nell’università, varati i decreti attuativi della legge di riforma approvata lo scorso anno, è ora necessario dare rapida e rigorosa attuazione ai meccanismi d’incentivazione basati sulla valutazione, previsti dalla riforma. Gli investimenti in infrastrutture, di cui tante volte e giustamente abbiamo parlato e si è parlato negli corso degli anni, sono fattori rilevanti per accrescere la produttività totale dell’economia.

A questo scopo, abbiamo per la prima volta valorizzato in modo organico nella struttura del Governo la politica, anzi, le politiche di sviluppo dell’economia reale, con l’attribuzione ad un unico Ministro delle competenze sullo sviluppo economico e sulle infrastrutture ed i trasporti. Questo vuole indicare quasi visivamente e in termini di organigramma del Governo che pari attenzione e centralità vanno attribuite a ciò che mantiene il Paese stabile, la disciplina finanziaria, e a ciò che ad esso consente di crescere e, quindi, di restare stabile a lungo termine, cioè appunto la crescita.

Occorre anche rimuovere gli ostacoli strutturali alla crescita, affrontando resistenze e chiusure corporative. In tal senso, è necessario un disegno organico, volto a ridurre gli oneri ed il rischio associato alle procedure amministrative, nonché a stimolare la concorrenza, con particolare riferimento al riordino della disciplina delle professioni regolamentate, anche dando attuazione a quanto previsto nella legge di stabilità in materia di tariffe minime.

Intendiamo anche rafforzare gli strumenti d’intervento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato in caso di disposizioni legislative o amministrative, statali o locali, che abbiano effetti distorsivi della concorrenza, accrescere la qualità dei servizi pubblici, nel quadro di un’azione volta a ridurre il deficit di concorrenza a livello locale, ridurre i tempi della giustizia civile, in modo tale da colmare il divario con gli altri Paesi, anche attraverso la riduzione delle sedi giudiziarie, e rimuovere gli ostacoli alla crescita delle dimensioni delle imprese, anche attraverso la delega fiscale.

Un innalzamento significativo del tasso di crescita è condizione essenziale non solo del riequilibrio finanziario, ma anche del progresso civile e sociale. In tal senso, una strategia di rilancio della crescita non può prescindere da un’azione determinata ed efficace di contrasto alla criminalità organizzata e a tutte le mafie, che vada a colpire gli interessi economici delle organizzazioni e le loro infiltrazioni nell’economia legale.

APPLAUSI

Il risanamento della finanza pubblica ed il rilancio della crescita contribuiranno a rafforzare la posizione dell’Italia in Europa e, più in generale, la nostra politica estera: vocazione europeistica, solidarietà atlantica, rapporti con i nostri partners strategici, apertura dei mercati, sicurezza nazionale ed internazionale rimarranno i cardini di tale politica. Voglio qui ricordare i nostri militari impegnati in missioni all’estero, le Forze Armate ed i rappresentanti delle forze dell’ordine, che sono in prima linea nella difesa dei nostri valori e della democrazia.

APPLAUSI

L’Italia ha bisogno di una politica estera coerente con i nostri impegni e di una ripresa d’iniziativa nelle aree dove vi siano significativi interessi nazionali.

Dimenticavo di dirvi, a proposito di militari impegnati in missioni all’estero, che se non vedete ancora in questi banchi il nostro collega Ministro della difesa, è perché l’altra sera l’ho svegliato alle tre di notte in Afghanistan, pensando che fosse a Bruxelles dove si trova la sua sede ordinaria di lavoro. Ho notato prima una certa esitazione e poi grande entusiasmo nell’accettazione della proposta. (Applausi dai Gruppi PdL e PD). Ecco un esempio di militare impegnato all’estero che sta facendo i salti mortali per arrivare a giurare nelle mani del Capo dello Stato nelle prossime ore. Scusate quindi la sua assenza.

La gravità della situazione attuale richiede una risposta pronta e decisa nella creazione di condizioni favorevoli alla crescita nel perseguimento del pareggio di bilancio, con interventi strutturali e con un’equa distribuzione dei sacrifici.

Il tentativo che ci proponiamo di compiere, onorevoli senatori, e che vi chiedo di sostenere è difficilissimo; altrimenti ho il sospetto che non mi troverei qui oggi. I margini di successo sono tanto più ridotti, come ha rilevato il Presidente della Repubblica, dopo anni di contrapposizione e di scontri nella politica nazionale. Se sapremo cogliere insieme questa opportunità per avviare un confronto costruttivo su scelte e obiettivi di fondo avremo occasione di riscattare il Paese e potremo ristabilire la fiducia nelle sue istituzioni. Vi ringrazio.

APPLAUSI

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Siamo insegnanti o caporali? Come ti reprimo la protesta studentesca.

(Fonte: la Stampa)

Il liceo “Phoenix” di Manchester potrebbe essere la prima scuola pubblica dove tutti gli insegnanti provengono dalle fila dell’esercito. L’obiettivo? Coniugare il raggiungimento di ambiziosi obiettivi accademici con la dimostrazione sul campo (e nelle aule) dei «valori marziali». L’idea – racconta il quotidiano britannico Guardian- è stata lanciata dal ministro dell’Educazione: secondo Michael Gove, infatti, bisogna aumentare il numero di insegnanti uomini perchè gli studenti possano avere davanti un modello di autorità che incarni «sia la forza sia la sensibilità». Anche sulla scia dei disordini che hanno sconvolto la Gran Bretagna, il ministro di Cameron ha proposto un programma per «ristabilire l’autorità degli adulti»: l’idea è proprio quella di incoraggiare ex membri delle forze armate ad abbracciare l’insegnamento nelle scuole pubbliche.

Detto fatto: a Manchester non se lo sono fatti ripetere due volte. Il Centro studi per la politica del partito conservatore ha proposto che nella scuola “Phoenix” tutti gli insegnanti abbiano militato nei ranghi militari, per insegnare agli studenti «anche i valori su cui si regge l’esercito moderno: l’autodisciplina, il rispetto e la capacità di ascoltare». Dunque niente sergenti maggiori collerici che urlano a ragazzi terrorizzati per aver dimenticato di fare i compiti. Anche se Gove ha anche affermato che in alcuni casi può essere necessario ristabilire la forza fisica: «Permettetemi di essere molto sincero- ha detto il ministro-. Se ogni genitore sente una scuola dire “Scusi, non possiamo toccare gli studenti”, ebbene quella scuola sbaglia». Il Governo spera così di scongiurare nuovi disordini ed incendi impiegando l’esercito, più che nei quartieri, nelle scuole. Ma se il modello risultasse vincente sarebbe applicato a centinaia di altri istituti. (Beh, buona giornata).

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Appello di Giorgio Cremaschi e altri: 5 proposte per un fronte comune contro il governo unico delle banche.

Dobbiamo fermarli
5 proposte per un fronte comune contro il governo unico delle banche.
Ci incontriamo il 1° ottobre a Roma

E’ da più di un anno che in Italia cresce un movimento di lotta diffuso. Dagli operai di Pomigliano e Mirafiori agli studenti, ai precari della conoscenza, a coloro che lottano per la casa, alla mobilitazione delle donne, al popolo dell’acqua bene comune, ai movimenti civili e democratici contro la corruzione e il berlusconismo, una vasta e convinta mobilitazione ha cominciato a cambiare le cose. E’ andato in crisi totalmente il blocco sociale e politico e l’egemonia culturale che ha sostenuto i governi di destra e di Berlusconi. La schiacciante vittoria del sì ai referendum è stata la sanzione di questo processo e ha mostrato che la domanda di cambiamento sociale, democrazia e di un nuovo modello di sviluppo economico, ha raggiunto la maggioranza del Paese.

A questo punto la risposta del palazzo è stata di chiusura totale. Mentre si aggrava e si attorciglia su se stessa la crisi della destra e del suo governo, il centrosinistra non propone reali alternative e così le risposte date ai movimenti sono tutte di segno negativo e restauratore. In Val Susa un’occupazione militare senza precedenti, sostenuta da gran parte del centrodestra come del centrosinistra, ha risposto alle legittime rivendicazioni democratiche delle popolazioni. Le principali confederazioni sindacali e la Confindustria hanno sottoscritto un accordo che riduce drasticamente i diritti e le libertà dei lavoratori, colpisce il contratto nazionale, rappresenta un’esplicita sconfessione delle lotte di questi mesi e in particolare di quelle della Fiom e dei sindacati di base. Infine le cosiddette “parti sociali” chiedono un patto per la crescita, che riproponga la stangata del 1992. Si riducono sempre di più gli spazi democratici e così la devastante manovra economica decisa dal governo sull’onda della speculazione internazionale, è stata imposta e votata come uno stato di necessità.

Siamo quindi di fronte a un passaggio drammatico della vita sociale e politica del nostro Paese. Le grandi domande e le grandi speranze delle lotte e dei movimenti di questi ultimi tempi rischiano di infrangersi non solo per il permanere del governo della destra, ma anche di fronte al muro del potere economico e finanziario che, magari cambiando cavallo e affidando al centrosinistra la difesa dei suoi interessi, intende far pagare a noi tutti i costi della crisi.
Nell’Unione europea la costruzione dell’euro e i patti di stabilità ad esso collegati, hanno prodotto una dittatura di banche e finanza che sta distruggendo ogni diritto sociale e civile.

La democrazia viene cancellata da questa dittatura perché tutti i governi, quale che sia la loro collocazione politica, devono obbedire ai suoi dettati. La punizione dei popoli e dei lavoratori europei si è scatenata in Grecia e poi sta dilagando ovunque. La più importante conquista del continente, frutto della sconfitta del fascismo e della dura lotta per la democrazia e i diritti sociali del lavoro, lo stato sociale, oggi viene venduta all’incanto per pagare gli interessi del debito pubblico che, a loro volta, servono a pagare i profitti delle banche. Di quelle banche che hanno ricevuto aiuti e finanziamenti pubblici dieci volte superiori a quelli che oggi si discutono per la Grecia.

Questo massacro viene condotto in nome di una crescita e di una ripresa che non ci sono e non ci saranno. Intanto si proclamano come vangelo assurdità mostruose: si impone la pensione a 70 anni, quando a 50 si viene cacciati dalle aziende, mentre i giovani diventano sempre più precari. Chi lavora deve lavorare per due e chi non ha il lavoro deve sottomettersi alle più offensive e umilianti aggressioni alla propria dignità. Le donne pagano un prezzo doppio alla crisi, sommando il persistere delle discriminazioni patriarcali con le aggressioni delle ristrutturazioni e del mercato. Tutto il mondo del lavoro, pubblico e privato, è sottoposto a una brutale aggressione che mette in discussione contratti a partire da quello nazionale, diritti e libertà, mentre ovunque si diffondono autoritarismo padronale e manageriale.

L’ambiente, la natura, la salute sono sacrificate sull’altare della competitività e della produttività, ogni paese si pone l’obiettivo di importare di meno ed esportare di più, in un gioco stupido che alla fine sta lasciando come vittime intere popolazioni, interi stati.

L’Europa reagisce alla crisi anche costruendo un apartheid per i migranti e alimentando razzismo e xenofobia tra i poveri, avendo dimenticato la vergogna di essere stato il continente in cui si è affermato il nazifascismo, che oggi si ripresenta nella forma terribile della strage norvegese.

Il ceto politico, quello italiano in particolare coperto di piccoli e grandi privilegi di casta, pensa di proteggere se stesso facendosi legittimare dai poteri del mercato. Per questo parla di rigore e sacrifici mentre pensa solo a salvare se stesso. Centrodestra e centrosinistra appaiono in radicale conflitto fra loro, ma condividono le scelte di fondo, dalla guerra, alla politica economica liberista, alla flessibilità del lavoro, alle grandi opere.

La coesione nazionale voluta dal Presidente della Repubblica è per noi inaccettabile, non siamo nella stessa barca, c’è chi guadagna ancora oggi dalla crisi e chi viene condannato a una drammatica povertà ed emarginazione sociale.

Per questo è decisivo un autunno di lotte e mobilitazioni. Per il mondo del lavoro questo significa in primo luogo mettere in discussione la politica di patto sociale, nelle sue versioni del 28 giugno e del patto per la crescita. Vanno sostenute tutte le piattaforme e le vertenze incompatibili con quella politica, a partire da quelle per contratti nazionali degni di questo nome e inderogabili, nel privato come nel pubblico.

Tutte e tutti coloro che in questi mesi hanno lottato per un cambiamento sociale, civile e democratico, per difendere l’ambiente e la salute devono trovare la forza di unirsi per costruire un’alternativa fondata sull’indipendenza politica e su un programma chiaramente alternativo a quanto sostenuto oggi sia dal centrodestra, sia dal centrosinistra. Le giornate del decennale del G8 a Genova, hanno di nuovo mostrato che esistono domande e disponibilità per un movimento di lotta unificato.

Per questo vogliamo unirci a tutte e a tutti coloro che oggi, in Italia e in Europa, dicono no al governo unico delle banche e della finanza, alle sue scelte politiche, al massacro sociale e alla devastazione ambientale.

Per questo proponiamo 5 punti prioritari, partendo dai quali costruire l’alternativa e le lotte necessarie a sostenerla:
1. Non pagare il debito. Bisogna colpire a fondo la speculazione finanziaria e il potere bancario. Occorre fermare la voragine degli interessi sul debito con una vera e propria moratoria. Vanno nazionalizzate le principali banche, senza costi per i cittadini, vanno imposte tassazioni sui grandi patrimoni e sulle transazioni finanziarie. La società va liberata dalla dittatura del mercato finanziario e delle sue leggi, per questo il patto di stabilità e l’accordo di Maastricht vanno messi in discussione ora. Bisogna lottare a fondo contro l’evasione fiscale, colpendo ogni tabù, a partire dall’eliminazione dei paradisi fiscali, da Montecarlo a San Marino. Rigorosi vincoli pubblici devono essere posti alle scelte e alle strategie delle multinazionali.
2. Drastico taglio alle spese militari e cessazione di ogni missione di guerra. Dalla Libia all’Afghanistan. Tutta la spesa pubblica risparmiata nelle spese militari va rivolta a finanziare l’istruzione pubblica ai vari livelli. Politica di pace e di accoglienza, apertura a tutti i paesi del Mediterraneo, sostegno politico ed economico alle rivoluzioni del Nord Africa e alla lotta del popolo palestinese per l’indipendenza, contro l’occupazione. Una nuova politica estera che favorisca democrazia e sviluppo civile e sociale.
3. Giustizia e diritti per tutto il mondo del lavoro. Abolizione di tutte le leggi sul precariato, riaffermazione al contratto a tempo indeterminato e della tutela universale garantita da un contratto nazionale inderogabile. Parità di diritti completa per il lavoro migrante, che dovrà ottenere il diritto di voto e alla cittadinanza. Blocco delle delocalizzazioni e dei licenziamenti, intervento pubblico nelle aziende in crisi, anche per favorire esperienze di autogestione dei lavoratori. Eguaglianza retributiva, diamo un drastico taglio ai superstipendi e ai bonus milionari dei manager, alle pensioni d’oro. I compensi dei manager non potranno essere più di dieci volte la retribuzione minima. Indicizzazione dei salari. Riduzione generalizzata dell’orario di lavoro, istituzione di un reddito sociale finanziato con una quota della tassa patrimoniale e con la lotta all’evasione fiscale. Ricostruzione di un sistema pensionistico pubblico che copra tutto il mondo del lavoro con pensioni adeguate.
4. I beni comuni per un nuovo modello di sviluppo. Occorre partire dai beni comuni per costruire un diverso modello di sviluppo, ecologicamente compatibile. Occorre un piano per il lavoro basato su migliaia di piccole opere, in alternativa alle grandi opere, che dovranno essere, dalla Val di Susa al ponte sullo Stretto, cancellate. Le principali infrastrutture e i principali beni dovranno essere sottratti al mercato e tornare in mano pubblica. Non solo l’acqua, dunque, ma anche l’energia, la rete, i servizi e i beni essenziali. Piano straordinario di finanziamenti per lo stato sociale, per garantire a tutti i cittadini la casa, la sanità, la pensione, l’istruzione.
5. Una rivoluzione per la democrazia. Bisogna partire dalla lotta a fondo alla corruzione e a tutti i privilegi di casta, per riconquistare il diritto a decidere e a partecipare affermando ed estendendo i diritti garantiti dalla Costituzione. Tutti i beni provenienti dalla corruzione e dalla malavita dovranno essere incamerati dallo Stato e gestiti socialmente. Dovranno essere abbattuti drasticamente i costi del sistema politico: dal finanziamento ai partiti, al funzionariato diffuso, agli stipendi dei parlamentari e degli alti burocrati. Tutti i soldi risparmiati dovranno essere devoluti al finanziamento della pubblica istruzione e della ricerca. Si dovrà tornare a un sistema democratico proporzionale per l’elezione delle rappresentanze con la riduzione del numero dei parlamentari. E’ indispensabile una legge sulla democrazia sindacale, in alternativa al modello prefigurato dall’accordo del 28 giugno, che garantisca ai lavoratori il diritto a una libera rappresentanza nei luoghi di lavoro e al voto sui contratti e sugli accordi. Sviluppo dell’autorganizzazione democratica e popolare in ogni ambito della vita pubblica.

Questi 5 punti non sono per noi conclusivi od esclusivi, ma sono discriminanti. Altri se ne possono aggiungere, ma riteniamo che questi debbano costituire la base per una piattaforma alternativa ai governi liberali e liberisti, di destra e di sinistra, che finora si sono succeduti in Italia e in Europa variando di pochissimo le scelte di fondo.

Vogliamo trasformare la nostra indignazione, la nostra rabbia, la nostra mobilitazione, in un progetto sociale e politico che colpisca il potere, gli faccia paura, modifichi i rapporti di forza per strappare risultati e conquiste e costruire una reale alternativa.
Aderiamo sin d’ora, su queste concrete basi programmatiche, alla mobilitazione europea lanciata per il 15 ottobre dal movimento degli “indignados” in Spagna. La solidarietà con quel movimento si esercita lottando qui e ora, da noi, contro il comune avversario.

Per queste ragioni proponiamo a tutte e a tutti coloro che vogliono lottare per cambiare davvero, di incontrarci. Non intendiamo mettere in discussione appartenenze di movimento, di organizzazione, di militanza sociale, civile o politica. Riteniamo però che occorra a tutti noi fare uno sforzo per mettere assieme le nostre forze e per costruire un fronte comune, sociale e politico che sia alternativo al governo unico delle banche.

Per questo proponiamo di incontrarci il 1° ottobre, a Roma, per un primo appuntamento che dia il via alla discussione, al confronto e alla mobilitazione, per rendere permanente e organizzato questo nostro punto di vista.

Vincenzo Achille (studente AteneinRivolta Bari)
Claudio Amato (segr. Gen. Fiom Roma Nord)
Adriano Alessandria (rsu Fiom Lear Grugliasco)
Fausto Angelini (lavoratore Comune di Torino)
Davide Banti (Cobas lavoro privato settore igiene urbana)
Imma Barbarossa (femminista, docente di liceo in pensione)
Giovanni Barozzino (rsu Fiom licenziato Fiat Sata di Melfi)
Giovanna Bastione (disoccupata)
Alessandro Bernardi (comitato acqua, Bologna)
Sergio Bellavita (segr. naz. Fiom)
Sandro Bianchi (ex dirigente Fiom)
Ugo Bolognesi (Fiom Torino)
Salvatore Bonavoglia (Rsu Cobas scuola normale superiore Pisa)
Laura Bottai (impiegata, Filt-Cgil Arezzo)
Massimo Braschi (rsu Filctem TERNA)
Paolo Brini (Comitato Centrale Fiom)
Stefano Brunelli (rsu IRIDE Servizi)
Fabrizio Burattini (direttivo naz. Cgil)
Sergio Cararo (direttore rivista Contropiano)
Carlo Carelli (rsu Unilever, direttivo naz. Filctem Cgil)
Massimo Cappellini (Rsu Fiom Piaggio)
Francesco Carbonara (Rsu Fiom Om Bari)
Paola Cassino (Intesa Sanpaolo, segr. naz. Cub Sallca)
Stefano Castigliego (Rsu Fiom Fincantieri Marghera – Venezia)
Francesco Chiuchiolo (rsa ARES)
Eliana Como (Fiom Bergamo)
Danilo Corradi (dottorando Università “Sapienza” – Roma)
Gigliola Corradi (Fisac Verona)
Giuseppe Corrado (Direttivo Fiom Toscana)
Giorgio Cremaschi (pres. Comitato centrale Fiom)
Dante De Angelis (ferroviere Orsa)
Riccardo De Angelis (rsu Telecom Italia coord. lav. autoconvocati Roma)
Paolo De Luca (FP Cgil Comune di Torino)
Daniele Debetto (Pirelli Settimo Torinese)
Emanuele De Nicola (segr. Gen. Fiom Basilicata)
Paolo Di Vetta (Blocchi Precari Metropolitani)
Francesco Doro (Rsu OM Carraro Padova, CC Fiom)
Valerio Evangelisti (scrittore)
Marco Filippetti (Comitato Romano Acqua Pubblica)
Andrea Fioretti (rsa Flmu Cub Sirti coord. lav. autoconvocati Roma)
Roberto Firenze (rsu Usb Comune di Milano)
Eleonora Forenza (ricercatrice universitaria)
Delia Fratucelli (direttivo naz. Slc Cgil)
Ezio Gallori (macchinista in pensione, fondatore del Comu)
Evrin Galesso (studente AteneinRivolta Padova)
Giuliano Garavini (ricercatore universitario)
Michele Giacché (Fincantieri, Comitato Centrale Fiom)
Walter Giordano (rsu Filctem AEM distribuzione Torino)
Federico Giusti (Rsu Cobas comune di Pisa)
Paolo Grassi (Nidil)
Simone Grisa (segr. Fiom Bergamo)
Franco Grisolia (CdGN Cgil),
Mario Iavazzi (direttivo nazionale Funzione Pubblica Cgil)
Tony Inserra (Rsu Iveco, Comitato Centrale Fiom)
Antonio La Morte (rsu Fiom licenziato Fiat Sata di Melfi)
Massimo Lettieri (segr. Flmu Cub Milano)
Francesco Locantore (direttivo Flc Cgil Roma e Lazio)
Domenico Loffredo (delegato Fiom Pomigliano)
Pasquale Loiacono (rsu Fiom Fiat Mirafiori)
Francesco Lovascio (sindacalista Usb Livorno)
Mario Maddaloni (rsu Napoletanagas, direttivo naz. Filctem Cgil)
Eva Mamini (direttivo naz. Cgil)
Anton Giulio Mannoni (segr. Camera del lavoro di Genova)
Maurizio Marcelli (Fiom nazionale)
Gianfranco Mascia (giornalista)
Armando Morgia (Roma Bene Comune)
Antonio Moscato (storico)
Massimiliano Murgo (Flmu Cub Marcegaglia Buildtech, coord. lav. uniti contro la crisi Milano)
Alessandro Mustillo (studente universitario, Roma)
Stefano Napoletano (rsu Fiom Powertrain Torino)
Antonio Paderno (rsu Fiom Same Bergamo)
Alfonsina Palumbo (dir. Fisac Campania)
Alberto Pantaloni (rsu Slc Cgil Comdata, assemblea lav. autoconvocati Torino)
Marcello Pantani (Cobas lavoro privato Pisa)
Massimo Paparella (segreteria Fiom Bari)
Emidia Papi (esecutivo naz. Usb)
Pietro Passarino (segr. Cgil Piemonte)
Matteo Parlati (Rsu Fiom Cgil Ferrari)
Angelo Pedrini (sindacalista Usb Milano)
Licia Pera (sindacalista Usb Sanità)
Alessandro Perrone (Fiom-Cgil, coord. cassintegrati Eaton Monfalcone)
Marco Pignatelli (lavoratore Fiom licenziato Fiat Sata Melfi)
Antonio Piro (rsu Cobas Provincia di Pisa)
Ciro Pisacane (ambientalista)
Rossella Porticati (Rsu Fiom Piaggio)
Pierpaolo Pullini (Rsu Fiom Fincantieri Ancona)
Mariano Pusceddu (rsu Alenia Caselle-Torino, direttivo Fiom Piemonte)
Stefano Quitadamo (Flmu Cub Coordinamento cassintegrati Maflow di Trezzano S/N – Milano)
Margherita Recaldini (rsu Usb Comune di Brescia)
Giuliana Righi (segr. Fiom Emilia Romagna)
Bruno Rossi (portuale, in pensione, Spi-Cgil)
Franco Russo (forum “diritti e lavoro”)
Michele Salvi (rsu Usb Regione Lombardia)
Antonio Saulle (segreteria Camera del Lavoro Trieste)
Marco Santopadre (Radio Città Aperta)
Antonio Santorelli (Fiom Napoli)
Luca Scacchi (ricercatore università, segreteria FLC Valle d’Aosta, direttivo reg. Cgil VdA)
Massimo Schincaglia (Intesa Sanpaolo, segr. naz. Cub Sallca)
Yari Selvatella (giornalista)
Giorgio Sestili (studente AteneinRivolta Roma)
Giuseppe Severgnini (Fiom Bergamo)
Nando Simeone (coord. lav. autoconvocati, direttivo Filcams Cgil Lazio)
Luigi Sorge (Usb Fiat Cassino)
Francesco Staccioli (cassintegrato Alitalia, esecutivo Usb Lazio)
Enrico Stagni (direttivo Cgil Friuli Venezia Giulia)
Antonio Stefanini (direttivo FP Cgil Livorno)
Alessia Stelitano (studente AteneinRivolta Reggio Calabria)
Alioscia Stramazzo (rsa Azienda Gruppo Generali)
Antonello Tiddia (minatore Sulcis Filctem-Cgil)
Fabrizio Tomaselli (esecutivo naz. Usb)
Luca Tomassini (ricercatore precario Cpu Roma)
Laura Tonoli (segreteria Filctem-Cgil Brescia)
Cleofe Tolotta (Rsa Usb Alitalia)
Franca Treccarichi (direttivo FP Cgil Piemonte)
Arianna Ussi (coordinamento precari scuola Napoli)
Luciano Vasapollo (docente università La Sapienza)
Paolo Ventrice (rsu IRIDE Servizi)
Antonella Visintin (ambientalista)
Emiliano Viti (attivista Coord. No Inceneritore Albano – RM)
Antonella Clare Vitiello (studente Ateneinrivolta Roma)
Nico Vox (Rsu Fp-Cgil Don Gnocchi, Milano)
Pasquale Voza (docente Università di Bari)
Anna Maria Zavaglia (insegnante, direttivo nazionale Cgil)
Riccardo Zolia (Rsu Fiom Fincantieri Trieste)
Massimo Zucchetti (professore Politecnico Torino)

Per adesioni mail a:
– g.cremaschi@fiom.cgil.it
– burattini@lazio.cgil.it
– marco.santopadre1@tim.it

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Finanza - Economia - Lavoro Scuola

Gelmini e Tremonti, i due veri somari.

Nella scuola pubblica si impara di più-L’Italia in basso per colpa delle private-La lettura approfondita dei dati resi noti qualche giorno fa dimostra che senza le paritarie il nostro Paese scalerebbe le tre classifiche (Lettura, Matematica e Scienze) anche di dieci posizioni
di SALVO INTRAVAIA-repubblica.it

Nella scuola pubblica si impara di più L’Italia in basso per colpa delle private
La scuola pubblica italiana sta meglio di quello che sembra, basta leggere correttamente i dati. Sono le private la vera zavorra del sistema. Almeno stando agli ultimi dati dell’indagine Ocse-Pisa 1 sulle competenze in Lettura, Matematica e Scienze dei quindicenni di mezzo mondo. Insomma: a fare precipitare gli studenti italiani in fondo alle classifiche internazionali sono proprio gli istituti non statali. Senza il loro “contributo”, la scuola italiana scalerebbe le tre classifiche Ocse anche di dieci posizioni. La notizia arriva nel bel mezzo del dibattito sui tagli all’istruzione pubblica e sui finanziamenti alle paritarie, mantenuti anche dall’ultima legge di stabilità, che hanno fatto esplodere la protesta studentesca.

“Nonostante i 44 miliardi spesi ogni anno per la scuola statale i risultati sono scadenti. Meglio quindi tagliare ed eliminare gli sprechi”, è stato il leitmotiv del governo sull’istruzione negli ultimi due anni. E giù con 133 mila posti e otto miliardi di tagli in tre anni. Mentre alle paritarie i finanziamenti statali sono rimasti intonsi. Ed è proprio questo il punto: le scuole private italiane che ricevono copiosi finanziamenti da parte dello Stato fanno registrare performance addirittura da terzo mondo. I dati Ocse non lasciano spazio a dubbi. Numeri che calano come una mazzata sulle richieste avanzate negli ultimi mesi dalle associazioni di scuole non statali e da una certa parte politica. Questi ultimi rivendicano
la possibilità di una scelta realmente paritaria tra pubblico e privato nel Belpaese. In altri termini: più soldi alle paritarie.

Un mese fa, nel corso della presentazione del XII rapporto sulla scuola cattolica, la Conferenza episcopale italiana ha detto a chiare lettere che in Italia manca una “cultura della parità intesa come possibilità di offrire alla famiglia un’effettiva scelta tra scuole di diversa impostazione ideale”. Il segretario generale della Cei, monsignor Mariano Crociata, ha anche sottolineato come, da un punto di vista economico, “la presenza delle scuole paritarie faccia risparmiare allo Stato italiano ogni anno cinque miliardi e mezzo di euro, a fronte di un contributo dell’amministrazione pubblica di poco più di 500 milioni di euro” e ricorda che “in Europa la libertà effettiva di educazione costituisce sostanzialmente la regola”. Sì, ma con quali risultati?

Il quadro delineato dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico attraverso l’indagine Pisa (Programme for International Student Assessment) è impietoso. Il punteggio medio conseguito dai quindicenni italiani delle scuole pubbliche in Lettura e comprensione dei testi scritti è pari alla media Ocse: 489 punti, che piazzano la scuola pubblica italiana al 23° posto. Con le scuole private scivoliamo al 30° posto. Discorso analogo per Matematica e Scienze, dove il gap con la media dei paesi Ocse è di appena 5 punti: 492 per le statali italiane, che ci farebbero risalire fino al 25° posto, e 497 per i paesi Ocse. Mescolando i dati con quelli degli studenti che siedono tra i banchi delle private siamo costretti ad accontentarci in Scienze di un assai meno lusinghiero 35° posto.

Ma c’è di più: la scuola pubblica italiana, rispetto al ranking 2006, recupera 20 punti in Lettura, 16 in Scienze e addirittura 24 in Matematica. Le private, nonostante i finanziamenti, invece crollano. L’Ocse, tra gli istituti privati, distingue quelli che “ricevono meno del 50 per cento del loro finanziamento di base (quelli che supportano i servizi d’istruzione di base dell’istituto) dalle agenzie governative” e quelli che ricevono più del 50 per cento. E sono proprio i quindicenni di questi ultimi istituti che fanno registrare performance imbarazzanti: 403 punti in Lettura, contro una media Ocse di 493 punti, che li colloca tra i coetanei montenegrini e quelli tunisini. (Beh, buona giornata).

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democrazia Scuola

Studenti, ricercatori e universitari contro la Gelmini. Forte giornata di protesta in tutta Italia. Il Parlamento costretto a slittare la data di approvazione al 30.

(fonte:repubblica.it)

Ricercatori su terrazzo Politecnico di Milano –
Un gruppo di ricercatori universitari che stamani manifestavano a Milano in piazza Leonardo da Vinci, durante una pausa del corteo studentesco cominciato alcune ore prima da largo Cairoli, sono saliti su una terrazza del complesso universitario. Secondo le prime informazioni si tratta di 30-40 persone con uno striscione che intenderebbero presidiare la terrazza, posta sul piano più elevato di un edificio del Politecnico

Studenti: “Martedì presidio a Montecitorio” –
Gli studenti universitari dell’Udu hanno annunciato che martedi’ 30 novembre saranno con un presidio a piazza Montecitorio in occasione del voto alla Camera sul ddl Università. Lo hanno deciso non appena è giunta la decisione di far slittare il voto.

Venezia, protesta studenti a Ca’ Foscari –
Alcune decine di aderenti al coordinamento universitario di Venezia hanno dato vita a iniziative di protesta contro la riforma Gelmini a Cà Foscari e all’Istituto Universitario di Architettura. Gli studenti hanno esposto striscioni per dire no alla riforma e per chiedere la liberazione dei due studenti fermati ieri a Roma, rimessi poi in libertà dopo la convalida

Trieste, manifestanti “abbracciano” ateneo –
Un “abbraccio” di gruppo di studenti, ricercatori e docenti ha circondato oggi l’edificio centrale dell’Università di Trieste, in segno di protesta contro la riforma Gelmini. Circa 150 persone – secondo quanto riferito dagli organizzatori – si sono strette simbolicamente attorno all’Università, per contestare la riforma del governo. La notizia del rinvio a martedì del voto sul disegno di legge è stata accolta con soddisfazione, e come una dimostrazione dell’importanza della mobilitazione di questi giorni. Nel pomeriggio, a Trieste, gli studenti universitari hanno in programma un sit in davanti alla prefettura

Milano, due contusi in tafferugli–
Continua la tensione in viale Abruzzi, dove si sono registrati tafferugli tra forze dell’ordine e studenti, che durante il corteo hanno provato a correre verso la metropolitana di Loreto. Le cariche con l’uso di manganelli sono scattate sulla scala della stazione e lungo i binari del tram. Due giovani sono rimasti contusi. Gli studenti sono ora seduti a terra all’incrocio e bloccano il traffico

Torino concluso presidio Regione, corteo in città –
Si è concluso senza incidenti e altri momenti di tensione il presidio degli studenti davanti alla sede della Regione Piemonte, a Toirno. Al termine del presidio, durante il quale sono stati lanciati fumogeni e uova e altri oggetti contro le forze dell’ordine e le finestre del palazzo della regione, gli studenti si sono radunati in piazza Castello, da dove partirà un corteo che sfilerà per le vie della città

Milano, cariche polizia a metro Loreto –
Cariche all’entrata della metropolitana di Loreto all’angolo tra viale Gran Sasso e viale Abruzzi al corteo degli studenti contro la riforma Gelmini. Due i fermati dalla polizia e caricati in macchina

Perugia, manifestazione studenti davanti mensa–
Affollata manifestazione di studenti stamani davanti alla mensa dell’Università di Perugia contro la riforma Gelmini. All’interno dei locali è in corso un’assemblea per illustrare le ragioni della mobilitazione. Le iniziative si stanno comunque svolgendo in un clima di tranquillità. All’esterno della struttura sono stati esposti striscioni con scritto “Senza sapere non c’ è futuro” e “O la borsa o la vita”

Siena, bloccata azione studenti su Torre Mangia–
Un gruppo di studenti universitari ha provato questa mattina a salire sulla Torre del Mangia, in piazza del Campo a Siena, per srotolare uno striscione con la scritta ‘Resistere’, come forma di protesta contro la riforma Gelmini. L’intervento di agenti della Digos ha bloccato l’azione. I ragazzi, una quindicina circa appartenenti al gruppo Dimensione autonoma studentesca, si erano presentati alle 10 all’apertura della Torre: avevano già cominciato a salire le scale, con lo striscione, lungo 14 metri, nascosto addosso a uno di loro. Ma sono stati appunto fermati e fatti uscire. Gli studenti hanno poi chiesto di parlare al consiglio comunale, che era in corso di svolgimento. L’assemblea è stata interrotta e una rappresentanza dei capigruppo ha ricevuto una delegazione composta da cinque studenti, che hanno chiesto la convocazione prima del 9 dicembre di una seduta straordinaria sull’Università

Palermo, studenti occupano tetto Scienze politiche–
Una delegazione degli studenti dell’Unione degli Universitari (Udu) di Palermo ha occupato nella tarda mattinata il tetto della facoltà di Scienze politiche durante la votazione del ddl Gelmini in aula della Camera

Scontri a Firenze, alcuni studenti e un agente contusi –
Sono 5 o 6 gli studenti rimasti contusi questa mattina durante gli scontri all’Università di Firenze dove era in corso un dibattito con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Daniela Santanché. Il numero lo hanno dato gli organizzatori della manifestazione. Solo uno di loro, però, che sarebbe stato colpito al volto, si è recato al pronto soccorso dell’ospedale di Careggi. Un contuso lieve anche tra gli agenti durante il lancio di uova fatto dai manifestanti contro il cordone di forze dell’ordine che impediva l’accesso al padiglione dove si svolgeva il dibattito. In questo momento gli studenti, in tutto circa 150, stanno tenendo un’assemblea in uno dei piazzali del Polo universitario

Roma, dal corteo applausi a ricercatori su tetto Architettura –
Traffico bloccato su Lungotevere per il corteo degli studenti fermo all’altezza di Lungotevere Marzio. Al passaggio del corteo a piazza del Porto di Ripetta dal tetto della facoltà di Architettura i ricercatori hanno urlato cori come “L’università non si tocca”. Saluti e applausi sono stati indirizzati ai ricercatori e agli studenti che protestano sul tetto. Nota di colore da un gruppo di ricercatori dell’università di Vienna che con tamburi, fischietti e parrucche fucsia, sta accompagnando la protesta degli studenti italiani

Presidio a Genova: “Diritto allo studio appeso a un filo”–
“Il diritto allo studio è appeso a un filo” e “Riforma Gelmini: la candeggina delle idee” sono alcuni dei cartelli appesi durante l’iniziativa messa in atto da docenti e studenti a Genova

Milano, tensione tra studenti e polizia –
Tensione in piazza Leonardo Da Vinci a Milano. Carica di alleggerimento della polizia su un gruppo di manifestanti intenzionati a ripartire in corteo. Il gruppo ha fatto ingresso dentro un’ala dell’università, sorprendendo le forze dell’ordine. Gli studenti, ai quali si sono aggiunti anche universitari del Politecnico, sono entrati nel cortile della facoltà e stanno incitando gli universitari a scendere in piazza e ad unirsi a loro

Roma, corteo non autorizzato su Lungotevere. Attimi di tensione –
Il corteo non autorizzato degli studenti universitari, ripartito da Montecitorio, è arrivato su Lungotevere, all’altezza di ponte Umberto I, dove uno schieramento di forze dell’ordine li ha fatti deviare in direzione San Pietro. Momenti di tensione quando gli studenti hanno iniziato a correre. Grandi problemi per il traffico.

Pisa, studenti occupano Torre Pendente –
Alcune decine di studenti universitari si sono staccati da un corteo di circa 2.000 persone e di corsa sono entrati all’interno della Torre Pendente in piazza dei Miracoli. All’esterno centinaia di loro hanno formato un cordone umano per impedire l’accesso ai turisti. Gli studenti hanno già raggiunto l’ultimo anello e si stanno affacciando dalla balaustra. Nella piazza centinaia di turisti, molti dei quali stranieri, stanno seguendo la protesta immortalando la manifestazione con macchine fotografiche e telefonini.

Scritta a Montecitorio: “Ridateci il nostro futuro” –
“Ridateci il nostro futuro”. Lo hanno scritto con vernice spray, color rosso, gli studenti che hanno lasciato piazza Montecitorio. Sui sanpietrini, davanti all’obelisco, resta questa scritta che riassume la protesta degli studenti e dei giovani universitari.

Palermo, studenti lasciano la stazione –
Gli studenti che stanno manifestando a Palermo contro la riforma Gelmini hanno abbandonato i binari all’interno della stazione centrale, consentendo la ripresa del traffico ferroviario, e si stanno muovendo in direzione di Palazzo D’Orleans, sede della Presidenza della Regione. Secondo gli organizzatori sarebbero complessivamente diecimila gli studenti che stanno sfilando per le vie del centro cittadino, paralizzando il traffico.

Il corteo lascia piazza Montecitorio –
Gli studenti stanno lasciando piazza Montecitorio in corteo. I manifestanti si trovano ora su via della Colonnelle nei pressi del Pantheon.

Studenti: “Avanti con protesta fino a ritiro ddl” –
La protesta contro la riforma dell’Università proseguirà fino a quando il ddl non sarà ritirato. Lo dicono i coordinatori degli studenti della Sapienza

Rinviata cerimonia inaugurazione anno accademico La Sapienza –
La cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico 2010-2011 dell’Università La Sapienza, prevista per domani, è rinviata a data da destinarsi per disposizione del Rettore Luigi Frati. Il Prefetto di Roma ha inviato una nota nella quale si evidenzia che ”lo stato di tensione che attraversa il mondo studentesco in tutta Italia, in relazione alle manifestazioni svoltesi, anche nella Capitale, nella giornata di ieri” e si sottolinea che ”altra data meglio garantirebbe la solennità e serenità” dell’evento.

Milano, corteo arriva al Politecnico –
Hanno appena raggiunto la sede del Politecnico, in zona Piola, gli studenti milanesi in corteo. Partiti da largo Cairoli i manifestanti, circa 400, hanno attraversato via Monte di Pietà, piazza Cavour, fino a via Manin dove si trovano gli uffici dell’Agenzia delle Entrate e dell’Agenzia del Territorio, sede che fa angolo con via Tarchetti, dove si trova uno studio del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti

Firenze, terminato il blocco del traffico –
Gli studenti universitari hanno posto fine al blocco di viale Guidoni e via Forlanini, a Firenze. Il corteo è tornato all’interno della cittadella universitaria di Novoli.

Studenti e docenti manifestano a Sassari –
Uno striscione con la scritta ”Università appesa a un filo” srotolato su un palazzo di fronte all’università centrale di Sassari da due ricercatori, calati dal tetto con un’imbragatura. Così si è conclusa la manifestazione di studenti e assegnisti di ricerca dell’ateneo sassarese contro il disegno di legge sulla riforma universitaria. Sulla facciata dello storico edificio che ospita il rettorato sono stati invece appesi due manifesti: uno con la scritta ”Occupata” sul balcone centrale, l’altro, davanti al portone d’ingresso, con due croci nere e la dicitura ”25-11-2010 Università pubblica”, a mo’ di necrologio.

Firenze, traffico in tilt –
Un corteo di circa 200 studenti universitari ha occupato viale Guidoni e via Forlanini, due dei principali snodi della viabilità a Firenze mandando il traffico in tilt. Gli studenti hanno rovesciato un cassonetto e dei segnali stradali in viale Guidoni e hanno occupato la sede stradale paralizzando il traffico.

Napoli, occupato Rettorato Federico II –
A Napoli una cinquantina di ricercatori dell’ateneo Federico II ha occupato il rettorato dell’università in maniera pacifica.

Roma, corteo arriva a Montecitorio. Fumogeni –
Il corteo degli studenti partito dal Colosseo è arrivato a Montecitorio dove si è ricongiunto con gli altri manifestanti. All’arrivo sono stati accesi alcuni fumogeni. Gli studenti riempiono la piazza e urlano “Bloccheremo questa riforma”.

Tensione a Palermo, bloccati porto e stazione –
Tensione stamane a Palermo durante la mobilitazione degli studenti in corso in più punti della città.Intorno, alle 10.30, all’altezza di Palazzo Comitini in via Maqueda, un gruppo indicato come appartenente ai Collettivi, legati ai centri sociali, ha tentato di attaccare uno dei cortei promossi dal Coordinamento “Studenti In Movimento”. Ci sono state urla e spintoni fino a quando è intervenuta la polizia che ha diviso le due parti. Gruppi di studenti hanno bloccato l’ingresso del porto e i binari della stazione centrale

Roma, su uno striscione: “Dritti a Grazioli” –
Al passaggio del corteo in via delle Botteghe Oscure dal palazzo della residenza dell’ambasciatore brasiliano in Italia è stato srotolato da due donne uno striscione con su scritto “Dritti a Grazioli”. A quanto riferito dal portiere dello stabile si tratterebbe di due restauratrici. Lo striscione è stato accolto da un lungo applauso. Il corteo si trova ora in via di Torre Argentina

Firenze, traffico bloccato in zona ateneo –
Gli studenti dei collettivi di sinistra che presidiavano il padiglione dove sta parlando il sottosegretario Daniela Santanchè sono usciti dal Polo universitario e stanno bloccando il traffico in viale Guidoni, adiacente all’ingresso dell’Università. Le forze dell’ordine continuano a presidiare anche il padiglione D15

Torino, da studenti lancio di uova contro palazzo Regione –
Momenti di tensione davanti al palazzo della Giunta regionale del Piemonte dove è giunto il corteo degli studenti partito poco fa da Palazzo Nuovo. Un gruppo di manifestanti, dopo aver tentato di entrare nel palazzo che è presidiato dalle forze dell’ordine, ed essere stato respinto, ha cominciato a tirare uova e qualche fumogeno contro il palazzo. Tra i lanci è volata anche qualche bottiglietta d’acqua. Negli scontri tra manifestanti e polizia, tre studenti sono rimasti feriti.

Roma, blindata via del Plebiscito davanti a Palazzo Grazioli–
Via del Plebiscito, dove si trova Palazzo Grazioli, sede privata del premier Silvio Berlusconi, è stata di fatto ‘blindata’ per il passaggio del corteo degli studenti universitari de La Sapienza. Una cintura di sicurezza formata da blindati delle forze dell’ordine e agenti in tenuta antisommossa stanno bloccando tutti gli accessi sia a via del Corso che, appunto, a via del Plebiscito. Gli studenti si dovrebberro ora dirigere per vie laterali, verso Montecitorio, mentre altri studenti, anche delle scuole medie superiori, si stanno man mano aggiungendo al corteo degli universitari.

Firenze, studenti: “Dopo carica polizia, diversi manifestanti feriti” –
Su Atenei in rivolta.org gli studenti denunciano le cariche di polizia a Firenze: diversi giovani sono stati feriti – affermano – durante l’irruzione degli agenti nella sede di Scienze sociali occupata dagli studenti che protestano contro il ddl Gelmini.

Milano, lancio di vernice contro sede scuola privata –
Lancio di vernice azzurra anche sulla porta d’ingresso della scuola privata europea di viale Majno. Dall’altra parte della stessa strada le forze dell’ordine hanno bloccato l’accesso alla redazione di Libero in assetto antisommossa.

In duemila in corteo lungo via del Corso a Roma –
Sono circa duemila gli studenti universitari che sono in corteo in via del Corso, e stanno per raggiungere piazza di Montecitorio dove si sono dati appuntament per protestare contro la riforma Gelmini. Slogan e cori contro i tagli scandiscono il corteo. Intanto davanti alla Camera si sono già radunate altre duecento persone tra studenti e alcuni militanti dell’Unione sindacale di base: campeggia uno striscione viola con la scritta “Prove tecniche di distruzione”, dei ricercatori ingegneria la Sapienza

Napoli, occupata l’Orientale –
In segno di protesta contro la riforma dell’Università del ministro Gelmini, da stamattina gli studenti dell’Orientale di Napoli hanno occupato Palazzo Giusso, sede dell’Ateneo. Sul portone d’ingresso è stato affisso uno striscione: “Chiuso per lutto”

Tornano liberi studenti fermati a Roma –
Tornano in libertà Mario Caracciolo e Daniele D’Antuomo, i due studenti universitari arrestati ieri a Roma dopo gli scontri avvenuti nella zona di Palazzo Madama. Questa mattina il giudice monocratico del tribunale capitolino ha convalidato gli arresti, rimettendo in libertà i due. I reati ipotizzati nei loro confronti sono di violenza, resistenza e lesioni a pubblico ufficiale. Il processo per i due ragazzi, difesi dagli avvocati Serena Ricci e Simonetta Crisci, è stato fissato per il 16 dicembre

Bologna, studenti tentano di entrare in stazione. Tafferugli –
Qualche momento di tafferuglio stamane attorno alle 10.45 in stazione a Bologna tra forze dell’ ordine e un corteo di studenti superiori che, deviando dal percorso, ha cercato di entrare in stazione sfondando il cordone di polizia.

Roma, mille studenti dalla Sapienza verso Montecitorio –
Sono circa un migliaio gli studenti partiti con autobus e metropolitana dall’Università romana della Sapienza, per raggiungere Piazza Venezia e, da qui, sfilare probabilmente in corteo fino a Piazza Montecitorio. Davanti alla sede della Camera dei Deputati, si uniranno al presidio già in atto.

Roma, centro storico blindato –
Centro storico blindato in vista della manifestazione della scuola all’indomani dei disordini di ieri. Le stradine di accesso ai palazzi delle istituzioni e palazzo Grazioli sono presidiati con mezzi blindati e agenti. Un elicottero sta sorvolando piazza Venezia.

Scontri di ieri a Roma, oggi il processo ai due studenti fermati –
Sono accusati di violenza, lesioni e resistenza a pubblico ufficiale, i due studenti arrestati ieri a seguito dei disordini avvenuti durante la manifestazione a Roma contro i tagli all’Istruzione. I due giovani, hanno fatto sapere alcuni studenti, saranno processati oggi per direttissima e, secondo quanto si apprende, sono incensurati. Davanti a piazzale Clodio un gruppo di amici e universitari aspettano l’esito del processo. ”Siamo in contatto con i nostri legali per avere notizie sull’esito dell’udienza”, hanno spiegato alcuni studenti.

Sul tetto di Architettura a Roma anche Vendola e Venditti –
Anche Nichi Vendola stamane è salito sul tetto della facoltà di Architettura a piazza Fontanella Borghese a Roma, occupata da due giorni da studenti e ricercatori. “Li ho trovati bene, qui c’è aria pulita, giù è troppo inquinato”, ha commentato ironicamente il governatore della Puglia al microfono di Radio Città Futura. “Questa battaglia viene rappresentata come l’espressione di una volontà rivoltosa di una minoranza faziosa e ideologizzata che sarebbe al servizio dei “baroni” dell’università – ha proseguito Vendola – ma è una rappresentazione paradossale: la riforma Gelmini è una riforma reazionaria che colpisce al cuore il sistema pubblico dell’alta formazione e toglie all’università l’ossigeno fondamentale per vivere. Bisognerebbe decuplicare gli investimenti in ricerca e formazione e invece si taglia completamente il rapporto col futuro”, ha concluso il leader di Sinistra e Libertà. Sul tetto della facoltà anche il cantautore Antonello Venditti: “mi sento parte in causa – ha spiegato a Radio Città Futura – la lotta della cultura è una lotta per la dignità ed è una lotta globale, di tutti. Democrazia vuol dire partecipazione – ha concluso Venditti – il governo vuole dividere, mettere del cemento tra le varie proteste di ricercatori, artisti, operai, mentre dobbiamo unirci, ragionare insieme, darci un modello”.

Pisa, ricercatori sul tetto –
Un gruppo di ricercatori e dottorandi precari dell’Università di Pisa è salito sul tetto dell’ Osservatorio astronomico dell’Ateneo dove ha esposto lo striscione con la scritta “Ritiratelo. No al ddl, sì alla ricerca”, con riferimento alla riforma Gelmini in discussione in Parlamento.

Palermo, studenti verso la stazione. Città paralizzata –
Gli studenti che stanno manifestando a Palermo hanno abbandonato il Provveditorato e palazzo Jung, una delle sedi della Provincia regionale, per dirigersi verso la stazione. Il corteo ha bloccato il traffico in via Libertà e adesso è giunto a piazza Castelnuovo dove si unirà con quello di altri alunni delle scuole superiori che non fanno parte del coordinamento Studenti in movimento e che si erano allontanati dal Provveditorato dopo il lancio di petardi.

Milano, finito il blitz all’ufficio dell’Agenzia delle Entrate –
È durato una decina di minuti il blitz dei giovani dei Collettivi studenteschi che poco dopo le 10.30 si sono improvvisamente staccati dal corteo in corso nelle vie del centro a Milano e si sono introdotti all’interno del palazzo governativo dell’Agenzia delle Entrate. I giovani sulla balconata sono stati raggiunti dalla polizia, costretti ad abbandonare lo striscione e fatti uscire dal palazzo, e si sono riuniti ai loro compagni tra urla di gioia.

Bologna, scontri tra studenti e polizia –
Il corteo degli studenti che sta sfilando per le strade di Bologna ha tentato pochi minuti fa di irrompere all’interno della stazione ferroviaria, presidiata da cordoni di polizia e carabinieri in tenuta antisommossa. Quando manifestanti e forze dell’ordine sono arrivati a contatto, gli agenti hanno risposto manganellando gli studenti delle prime file (quasi tutti a volto scoperto e senza protezioni). Dopo alcuni minuti di fronteggiamento è partita una seconda piccola carica di alleggerimento. Dai manifestanti lanci di bottiglie di plastica e uova. Il corteo si sta riformando imboccando di nuovo i viali di Circonvallazione.

Firenze, ragazzo ferito dopo carica polizia –
Una nuova carica di alleggerimento della polizia davanti al padiglione D15 dell’Università di Firenze dove tra poco dovrebbe iniziare il dibattito con il sottosegretario Daniela Santanché ha causato un ferito tra gli studenti che ora stanno urlando ”Vergogna, vergogna” verso la polizia. Il giovane perde sangue dalla fronte, ma non sembra in gravi condizioni.

Aosta, veglia per la scuola pubblica –
Sfidando le rigide temperature di questi giorni, gli studenti valdostani si danno appuntamento dalle 15 in piazza Chanoux, ad Aosta, con una ‘Veglia per la scuola pubblica’. Il programma della manifestazione di protesta, indetta dal Collettivo studentesco valdostano Rete con testa, prevede fino alle 16.30 un dibattito su vari temi di attualità, mentre dalle 17.30 alle 19 si terrà un momento di ‘autoinformazione’ sulla riforma Gelmini.

Milano, studenti fanno irruzione in ufficio Agenzia delle Entrate –
Gli studenti in corteo contro il ddl Gelmini hanno invaso gli uffici dell’Agenzia delle Entrate in via Manin. In una trentina hanno fatto irruzione e sono saliti al primo piano, dove dal balcone hanno calato lo striscione “Più soldi alla scuola zero alla guerra”. La facciata è stata bersagliata dalle uova.

Anche a Cagliari universitari sui tetti –
Si è estesa anche a Cagliari la protesta sui tetti di ricercatori e studenti. Ieri sera in una sessantina sono saliti sul tetto del palazzo delle Scienze, in via Ospedale, e vi hanno trascorso la notte, dopo aver steso uno striscione su un cornicione. Stamani il presidio si è ridotto ad una decina di persone che, per proteggersi dal freddo reso più acuto dal maestrale, hanno innalzato una piccola tenda. La protesta andrà avanti ad oltranza, hanno detto i manifestanti, fino a quando non sarà scongiurato il pericolo che gli Atenei di Cagliari e Sassari possano addirittura scomparire per effetto dei tagli previsti dal disegno di legge del governo che penalizza soprattutto le Università più piccole.

Palermo, studenti lanciano petardi e fumogeni –
Petardi e fumogeni sono stati lanciati dagli studenti davanti al Provveditorato di Palermo. Le forze di polizia, che presidiano la zona in assetto anti sommossa, stano controllando la manifestazione senza intervenire.

Firenze, sconti tra collettivi studenteschi e polizia –
Scontri tra studenti e polizia all’università di Firenze. Alcuni studenti hanno tentato di entrare in un’aula del Polo delle scienze sociali, dove è in programma una tavola rotonda sull’immigrazione con il sottosegretario Daniela Santanché, ma sono stati respinti con due diverse cariche dalla polizia in tenuta antisommossa. Contro la polizia, schierata a protezione dell’edificio con caschi e scudi, sono stati lanciati alcuni fumogeni. In tutto i manifestanti sono circa 500

Torino, picchetti anche a Fisica e Chimica –
Picchetti questa mattina a Torino anche davanti alle facoltà di Fisica e Chimica dell’Università di Torino, dopo quelli di ieri che hanno impedito lo svolgersi delle lezioni a Palazzo Nuovo, sede delle Facoltà umanistiche, occupato da martedì. Anche gli studenti medi hanno indetto una mobilitazione per oggi. I contestatori, stanno raggiungendo Palazzo Nuovo dove, verso le 11, è prevista la partenza di un nuovo corteo.

Milano, studenti in corteo –
Studenti milanesi di nuovo in piazza per protestare contro il ddl Gelmini. In circa 400 sono partiti da largo Cairoli con destinazione finale piazza Oberdan.

Ancona, studenti sul tetto di Ingegneria –
Un gruppo di studenti ha occupato il tetto della facoltà di Ingegneria dell’Università Politecnica delle Marche ad Ancona. Alla mobilitazione, promossa dalla lista Gulliver-Udu, partecipano anche alcuni ricercatori, per il momento un ventina di persone

Riparte la protesta anche a Bologna –
È ripresa anche a Bologna, con un raduno di studenti in Piazza Maggiore, la protesta del mondo della scuola e dell’Università contro le riforme. Un corteo di qualche centinaio di studenti con qualche striscione contro il governo ha cominciato a muoversi verso via Indipendenza creando difficoltà al traffico degli autobus in centro.

Oma, al via presidio davanti a Montecitorio –
Stanno arrivando in piazza Montecitorio i primi studenti che parteciperanno al sit-in annunciato per oggi davanti al Parlamento, per protestare contro i tagli all’istruzione e il ddl Gelmini. “Decideremo volta per volta – hanno spiegato i ragazzi – quali saranno le nostre azioni di protesta”. Molti studenti stanno arrivando a piedi, con autobus, tram e metropolitane

Torino, studenti in corteo verso Palazzo Nuovo –
“Contro la Gelmini bloccheremo la città”. È lo slogan dello striscione dietro il quale una cinquantina di studenti medi stanno sfilando in corteo per le vie del centro di Torino. Partiti da piazza Arbarello gli studenti hanno sfilato in via Po, piazza Castello ed ora stanno dirigendosi a Palazzo Nuovo sede delle facoltà umanistiche dove confluiranno in un corteo che partirà intorno alle 11 per ricongiungersi in centro città con gli studenti che stanno sfilando dal Politecnico.

Bari, occupata la facoltà di Ingegneria –
Una ventina di studenti ha occupatoacoltà di Ingegneria all’interno del Politecnico di Bari per protestare contro i tagli all’università e la riforma Gelmini. A causa dell’occupazione gran parte delle lezioni potrebbe saltare. Davanti all’ateneo, è previsto un presidio di docenti, ricercatori e studenti che incontreranno amministratori locali, esponenti politici e del sindacato. Tutti insieme daranno vita ad un abbraccio simbolico con il quale ‘circonderannò il palazzo dell’ateneo

A Montecitorio rafforzati presidi forze dell’ordine –
In attesa degli studenti a Montecitorio sono già stati rinforzati i presidi delle forze dell’ordine. Dopo che ieri sono stati fermati due studenti, stamattina davanti alla Sapienza di Roma è comparso uno striscione: “Libertà per gli studenti arrestati”. Mentre dalle finestre di una facoltà ne pende un altro “Daniele e Mario liberi subito”.

Cortei a Palermo –
Migliaia di studenti, provenienti da quasi tutte le scuole di Palermo, stanno attraversando in corteo le strade della citta’. Diversi cortei spontanei, organizzati dal Coordinamento “Studenti In Movimento”, stanno raggiungendo le sedi dell’Ufficio Scolastico Provinciale di via Praga e della Provincia in via Lincoln. Gia’ centinaia di studenti assediano pacificamente i due edifici

(Beh, buona giornata)

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Quelli che non faranno i provini per il Grande Fratello.

Prosegue la protesta di studenti e insegnanti contro la riforma dell’Università. Alcuni studenti, a Roma, hanno superato le consuete barriere di sicurezza nel tentativo di entrare a Palazzo Madama, sede del Senato, ma sono stati allontanati dalle forze dell’ordine, che hanno chiuso il portone. Durante l’invasione dell’atrio, una persona ha accusato un malore e i ragazzi sono stati trascinati e respinti all’esterno. Fuori da Palazzo Madama c’è stato lancio di fumogeni e uova contro il portone al gido “Dimissioni, dimissiono”. Le forze dell’ordine si sono schierate davanti all’ingresso del Senato in tenuta antisommossa. Due studenti sono stati fermati.

Studenti: “Contusi alcuni manifestanti”. ”Alcuni manifestanti, forse più di una decina, sono rimasti contusidurante gli scontri con le forze dell’ordine in via di San Marcello”, riferiscono alcuni ragazzi che hanno partecipato al corteo a Roma. Durante i momenti di tensione un blindato dei carabinieri ha cercato di sbarrare l’uscita della strada per bloccare il corteo.

Scontri in centro. Gli studenti che si sono mossi verso Montecitorio, hanno tentato di forzare un cordone delle forze dell’ordine e sono stati respinti con i manganelli. I manifestanti hanno lanciato anche un petardo. Intanto nell’Aula della Camera prosegue l’esame della riforma dell’Università, che domani dovrebbe avere il via libera. Si riprende dagli emendamenti all’articolo 2 del testo, già approvato dal Senato. Il leader del Partito democratico, Pier Luigi Bersani ha parlato con i ricercatori e gli studenti che da ieri sono sul tetto della facoltà di Architettura in piazza Borghese a Roma: ”Il ddl Gelmini è un disastro omeopatico, smantella l’università pezzo a pezzo”, ha detto, dopo essere salito sul tetto.

Il sit-in a Montecitorio. Un sit-in di protesta si è svolto davanti a Montecitorio contro il ddl Gelmini. Slogan contro il governo e striscioni con scritto ‘Ridateci il nostro futuro’, ‘No ai tagli’, ‘Qui riposa in pace la scuola pubblica’. Ci sono bandiere e palloncini colorati della Flc Cgil. Una protesta che si accompagna a quella di questi giorni in molte città d’Italia con studenti e ricercatori che sono saliti sui tetti e hanno occupato scuole e facoltà. Tutto questo, spiega la Rete degli studenti, per ”gridare il nostro dissenso nei confronti di un ddl che distrugge l’università e la ricerca, che non pensa al futuro di noi studenti e del Paese”. ”Da Torino a Palermo passando per Milano, Firenze, Roma, Napoli e Catania – prosegue la Rete degli studenti – gli studenti occupano e autogestiscono scuole e facoltà. Il ddl Gelmini è una pietra tombale sull’università italiana che si inserisce in un’ottica generale di riforma della scuola e dell’università basata su tagli e privatizzazioni. Noi studenti non possiamo permettere che si giochi sul nostro futuro”.

Protesta a oltranza. Le mobilitazioni continueranno anche nei prossimi giorni e sabato 27 novembre, in occasione della manifestazione nazionale della Cgil, gli studenti scenderanno di nuovo in piazza.

Flash mob a Firenze. Una lunga catena umana per circondare, in un simbolico abbraccio, il rettorato
dell’Università di Firenze. Questo il ‘flash mob’ organizzato dal coordinamento dei ricercatori dell’ateneo fiorentino contro il disegno di legge Gelmini. Circa 100 i partecipanti che dopo aver anche attraversato,
formando una catena umana, piazza San Marco, sono stati ricevuti dal rettore, professor Alberto Tesi. ”Vi sono vicino – ha detto il rettore Tesi – e anche voi dovete essere vicini all’universita’. È un momento difficile,
ognuno deve fare la propria parte”. Ieri il rettore aveva sottolineato la preoccupazione ”per le risorse promesse e poi accantonate negli ultimi passaggi parlamentari” nel testo del ddl e aveva convocato per oggi un Senato accademico straordinario.

A Torino, Perugia e Salerno ricercatori sui tetti. Anche a Torino prosegue la protesta. Gli studenti continuano ad occupare Palazzo Nuovo, sede delle Facoltà umanistiche. Da questa mattina alle 8 ci sono picchetti davanti agli ingressi che bloccano le entrate, mentre le lauree che si dovevano discutere sono state spostate in altre sedi universitarie. La notte scorsa è stato bloccato con catene ad opera del ‘Fantasma dell’onda’ l’ingresso della palazzina Einaudi, sede di Giurisprudenza e Scienze politiche. Infine, restano sul tetto di Palazzo Nuovo i ricercatori saliti nel pomeriggio di ieri e che hanno trascorso la notte attrezzati con coperte e sacchi a pelo. La protesta fanno sapere andrà avanti ad oltranza. A Perugia alcuni ricercatori sono saliti sul tetto della mensa dell’Università, in via Pascoli. Ed è ripresa stamani, anche sui tetti degli edifici dell’Università di Salerno, la protesta di professori, ricercatori e studenti. Circa una cinquantina di persone, sui tetti dell’edificio del campus di Fisciano, sta sfidando la pioggia e il freddo, “per opporsi in maniera visibile – dice Diego Barletta, uno dei ricercatori in protesta – all’approvazione di una riforma che non investe sull’università pubblica, non garantisce il diritto allo studio per tutti, concentra il potere decisionale delle università nelle mani di pochi e non offre giuste prospettive di carriera ai giovani studiosi”.

Pisa, ponti bloccati, città in tilt. Un migliaio di studenti universitari ha occupato stamani i cinque principali ponti sull’Arno, situati nei pressi del centro storico di Pisa, paralizzando il traffico in tutta la città. L’azione rientra nella mobilitazione contro il ddl Gelmini ed è stata attuata da studenti di sette facoltà occupate (scienze, scienze politiche, lingue, lettere, giurisprudenza, ingegneria ed economia) e di altre facoltà dove sono in corso assemblee.

Siena: occupati binari della stazione. Circa 100 studenti hanno occupato i binari della stazione di Siena. Gli studenti hanno esposto uno striscione con scritto “Basta tagli all’università”. Il transito dei treni è bloccato su tutti i binari. Sul posto la polizia ferroviaria e le volanti.

Palermo, occupate 16 scuole. Sedici istituti superiori in ‘stato d’agitazione’ e la Facoltà di lettere e filosofia occupata dagli studenti a Palermo. Proseguono la protesta e l’ininterrotto volantinaggio degli studenti. Per domani indetta un’assemblea d’ateneo. (Beh, buona giornata).

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Ma che cosa sta diventando la scuola pubblica in Italia?

La scuola in Italia è un peso per i conti pubblici: docenti, non docenti, studenti sono tutti un esubero. E come tutti gli esuberi, vanno allontanati, quei costi vanno tagliati. Mi dispiace, dice Gelmini, l’avatar ventriloqua del ministro dell’Economia, ci vuole meritocrazia, non so che vuol dire, perché a me non è mai successo, però mi hanno detto di dire così. Mi dispiace, dice il ministro dell’Economia in persona: certi diritti sarebbero pure giusti, però non ce li possiamo più permettere.

Così è e così è stato nelle scuole italiane di ogni ordine e grado. Ma, direte voi, allora vorrebbero un popolo ignorante? Sì. No. Cioè. Vogliono un popolo forgiato al comando del telecomando, quello strumento di “democrazia diretta” che permette di cambiare i programmi televisivi.

Il principio è semplice, basico, è imperativo, anzi è un imperativo categorico: nella scuola italiana si insegna che quello che dovete sapere lo sappiamo noi. Infatti, tanto per fare un esempio, l’avatar Gelmini e il ministro della Difesa La Russa hanno varato in una scuola di Adro, in provincia di Brescia (quella famosa per i simboli legisti) il programma “Allenati per la vita”: lezioni di uso delle armi, dal tiro con l’arco, all’uso della pistola (ad aria compressa). Alla Gelmini non sarebbe mai venuto in mente. A lei non viene mai in mente niente. Ma a La Russa è venuta in mente una innovazione pazzesca: “libro e moschetto, balilla perfetto”.

Tutto il resto è strumentalizzazione politica, come ha detto l’avatar Gelmini quando si è rifiutata anche solo di incontrare una delegazione in rappresentanza dei 219.000 (duecentodiciannovemila!) insegnati precari espulsi in un colpo solo dalla scuola italiana: record di licenziamenti che a pieno titolo potrebbe essere iscritti nel Guinness dei primati.

La verità è che i nemici dell’istruzione pubblica sono entrati (tanto per usare un termine militaresco), sono entrati nel perimetro del diritto all’istruzione, bene comune di una società democratica. E hanno reintrodotto gli assiomi della divisione di classe: ai ricchi scuole private, in Italia o all’estero, ai poveri una sempre più povera scuola pubblica. Basta con la storia che anche l’operaio vuole il figlio dottore. Non c’è più mobilità sociale da rendere disponibile al progresso individuale attraverso la scuola.

Però se c’è meno qualità dell’istruzione, almeno c’è più quantità di prodotti da consumare. Nei centri commerciali, negli outlet c’è tanto consumo da offrirgli. E allora, ragazzi, ma che ci andate a fare a scuola: non vi basta chattare in rete con quella roba tanto carina piena di faccette? Non vi basta partecipare al televoto, sublimazione della democrazia televisiva, che vi fa scegliere il vostro personaggio televisivo preferito? Cosa ne volete sapere voi di cultura, di sapere, di diritti e democrazia, che vi fanno venire strane idee in testa, vi rendono pensierosi, addirittura riflessivi, che poi uno diventa triste e cupo, come certi strani personaggi che hanno fatto la storia, la letteratura, la filosofia, la scienza, e che poi a uno magari gli viene voglia di cambiare le cose che non vanno.

E no, eh?! Mica ricominciamo con le rivolte studentesche, con l’idea di voler conquistare un mondo migliore. Ma non vi rendete conto di quanto siete fortunati. Qui c’è un governo del fare e una ministra avatar che sa lei quello che dovete sapere voi: glielo ha detto un giorno, a tu per tu, ad Arcore Berlusconi in persona.

E non vi azzardate neanche a immaginare di poter essere un domani i protagonisti di un ricambio generazionale dell’attuale classe dirigente. Al massimo vi si concede un provino per il Grande Fratello. Beh, buona giornata.

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L’Italia è diventata un Paese di venditori. (Tanto non lo legge nessuno.)

L’Italia è diventato un Paese di venditori. Si vende il proprio sesso per avere un posto in parlamento, un ministero. Si vende il sesso degli altri, meglio sarebbe dire delle altre, per avere un appalto, una commessa per la fornitura di apparecchiature mediche. Si vende la propria professione per avere un posto da direttore di telegiornale. Si vende la propria faccia sui manifesti elettorali per un posticino in un consiglio regionale. Non produciamo più idee, prodotti innovativi, personalità istituzionali, intuizioni creative.

Non siamo più il Paese che si risollevò dalla tragedia della Seconda Guerra Mondiale, per diventare uno dei paesi più industrializzati del Mondo, un Paese che si rimboccò le maniche e ricostruì case, ponti, strade, fabbriche, ma anche diritti, competenze, convivenza civile, scuole per alunni, ma anche scuole di pensiero.

No, ormai vendiamo il vendibile. Così non è per nulla strano che si vendano onorificenze ai pompieri, quelli che si ammazzano di fatica, e spesso ci lasciano la pelle per salvare altre pelli, per toglierci dai guai. I guai, quelli che inavvertitamente facciamo contro di noi. I guai, quelli di cui siamo vittime, per colpa di “inavvertiti” politici e amministratori della cosa pubblica: che sono quelli che chiamano i pompieri quando frana un collina, sulla quale si sono date allegramente licenze edilizie; quando esonda un fiume, attorno al quale si è lottizzato senza pensare alle conseguenze; quando vengono giù le case, costruite con l’ingordigia dell’affarismo, invece che col cemento armato.

Quando è stato intervistato il responsabile amministrativo della Protezione Civile, a proposito della vendita delle onorificenze, egli mostrava orgoglioso il campionario: una medaglia e un paio di fregi alla comoda cifra di 130 euro. Un affare, no!? Ma certo che è un affare.

Il nostro Paese non è forse una grande, smisurata televendita? Alcune centinaia di migliaia di persone parteciperanno a una minifestazionde pubblica in piaza San Giovanni in Laterano. Compreranno la tesi del Governo.

Le posizioni politiche non si confrontano, si vendono nei talk show. Il talento non si esercita, si vende nei talent show. La politica non progetta, vende candidati.

La giustizia non sanziona comportamenti criminali, no, la giustizia vende l’ingiustizia del complotto contro gli eletti dal popolo. E gli imputati vendono la loro impunità.

L’informazione non vende giornali, no, vende “fango” contro quelli che presi con le mani nel sacco, vendono in saldi la loro sfacciata impunità.

Fin tanto che ci sarà qualcuno disposto a comprare la merce (della politica, dell’informazione, dell’intrattenimento, addirittura dell’architettura istituzionale), beh, che volete? È la legge della domanda e dell’offerta.

Ci stanno pignorando beni comuni, libertà collettive, diritti condivisi, l’idea della democrazia, la visione stessa del futuro dei nostri figli. Berlusconi, ogni giorno batte l’asta.

Un piccolo, forse prezioso “consiglio per l’acquisto”: cerchiamo, almeno di non comprare prodotti scaduti (così in basso). È un consiglio gratis.
Beh, buona giornata.

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Italia d’Autunno: “Figlio mio, lascia questo Paese”.

di PIER LUIGI CELLI (*)-da repubblica.it

Figlio mio, stai per finire la tua Università; sei stato bravo. Non ho rimproveri da farti. Finisci in tempo e bene: molto più di quello che tua madre e io ci aspettassimo. È per questo che ti parlo con amarezza, pensando a quello che ora ti aspetta. Questo Paese, il tuo Paese, non è più un posto in cui sia possibile stare con orgoglio.

Puoi solo immaginare la sofferenza con cui ti dico queste cose e la preoccupazione per un futuro che finirà con lo spezzare le dolci consuetudini del nostro vivere uniti, come è avvenuto per tutti questi lunghi anni. Ma non posso, onestamente, nascondere quello che ho lungamente meditato. Ti conosco abbastanza per sapere quanto sia forte il tuo senso di giustizia, la voglia di arrivare ai risultati, il sentimento degli amici da tenere insieme, buoni e meno buoni che siano. E, ancora, l’idea che lo studio duro sia la sola strada per renderti credibile e affidabile nel lavoro che incontrerai.

Ecco, guardati attorno. Quello che puoi vedere è che tutto questo ha sempre meno valore in una Società divisa, rissosa, fortemente individualista, pronta a svendere i minimi valori di solidarietà e di onestà, in cambio di un riconoscimento degli interessi personali, di prebende discutibili; di carriere feroci fatte su meriti inesistenti. A meno che non sia un merito l’affiliazione, politica, di clan, familistica: poco fa la differenza.

Questo è un Paese in cui, se ti va bene, comincerai guadagnando un decimo di un portaborse qualunque; un centesimo di una velina o di un tronista; forse poco più di un millesimo di un grande manager che ha all’attivo disavventure e fallimenti che non pagherà mai. E’ anche un Paese in cui, per viaggiare, devi augurarti che l’Alitalia non si metta in testa di fare l’azienda seria chiedendo ai suoi dipendenti il rispetto dell’orario, perché allora ti potrebbe capitare di vederti annullare ogni volo per giorni interi, passando il tuo tempo in attesa di una informazione (o di una scusa) che non arriverà. E d’altra parte, come potrebbe essere diversamente, se questo è l’unico Paese in cui una compagnia aerea di Stato, tecnicamente fallita per non aver saputo stare sul mercato, è stata privatizzata regalandole il Monopolio, e così costringendo i suoi vertici alla paralisi di fronte a dipendenti che non crederanno mai più di essere a rischio.

Credimi, se ti guardi intorno e se giri un po’, non troverai molte ragioni per rincuorarti. Incapperai nei destini gloriosi di chi, avendo fatto magari il taxista, si vede premiato – per ragioni intuibili – con un Consiglio di Amministrazione, o non sapendo nulla di elettricità, gas ed energie varie, accede imperterrito al vertice di una Multiutility. Non varrà nulla avere la fedina immacolata, se ci sono ragioni sufficienti che lavorano su altri terreni, in grado di spingerti a incarichi delicati, magari critici per i destini industriali del Paese. Questo è un Paese in cui nessuno sembra destinato a pagare per gli errori fatti; figurarsi se si vorrà tirare indietro pensando che non gli tocchi un posto superiore, una volta officiato, per raccomandazione, a qualsiasi incarico. Potrei continuare all’infinito, annoiandoti e deprimendomi.

Per questo, col cuore che soffre più che mai, il mio consiglio è che tu, finiti i tuoi studi, prenda la strada dell’estero. Scegli di andare dove ha ancora un valore la lealtà, il rispetto, il riconoscimento del merito e dei risultati. Probabilmente non sarà tutto oro, questo no. Capiterà anche che, spesso, ti prenderà la nostalgia del tuo Paese e, mi auguro, anche dei tuoi vecchi. E tu cercherai di venirci a patti, per fare quello per cui ti sei preparato per anni.

Dammi retta, questo è un Paese che non ti merita. Avremmo voluto che fosse diverso e abbiamo fallito. Anche noi. Tu hai diritto di vivere diversamente, senza chiederti, ad esempio, se quello che dici o scrivi può disturbare qualcuno di questi mediocri che contano, col rischio di essere messo nel mirino, magari subdolamente, e trovarti emarginato senza capire perché.

Adesso che ti ho detto quanto avrei voluto evitare con tutte le mie forze, io lo so, lo prevedo, quello che vorresti rispondermi. Ti conosco e ti voglio bene anche per questo. Mi dirai che è tutto vero, che le cose stanno proprio così, che anche a te fanno schifo, ma che tu, proprio per questo, non gliela darai vinta. Tutto qui. E non so, credimi, se preoccuparmi di più per questa tua ostinazione, o rallegrarmi per aver trovato il modo di non deludermi, assecondando le mie amarezze.

Preparati comunque a soffrire.

Con affetto,
tuo padre

(*) L’autore è stato direttore generale della Rai. Attualmente è direttore generale della Libera Università internazionale degli studi sociali, Luiss Guido Carli.
(30 novembre 2009)
Beh, buona giornata,

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Lascia la scuola per aiutare la famiglia. Complimenti al ministro dell’Istruzione e al ministro dell’Economia: sta riuscendo il progetto di una scuola di classe?

(da repubblica.it)
Era uno studente modello, ma le circostanze lo hanno costretto a lasciare la scuola: il padre ha perso il lavoro e in famiglia servono soldi. Succede a Rovereto, in Trentino, dove la preside dell’istituto superiore frequentato dal ragazzo ha deciso di rendere nota la storia. A 17 anni, il diritto allo studio ai tempi della crisi deve i fare i conti con la dura realtà dei grandi.

Flavia Andreatta, preside del Fontana, ha raccontato al quotidiano locale “Trentino” di come sia stata colpita dalle parole dell’adolescente. Un giorno il ragazzo è andato da lei, dicendole: “Devo cercare qualcosa per sostenere la mia famiglia. Non ci sono alternative”. Categorico, con la maturità di chi si sente già responsabile per sè e per gli altri.

La dirigente scolastica ha poi spiegato di aver tentato, insieme ai genitori del ragazzo, di convincerlo a restare tra i banchi, ma invano. “La mamma ha ancora un impiego e avrebbero fatto dei sacrifici, pur di vederlo studiare, però il ragazzo si è sentito un po’ l’uomo di famiglia, con la responsabilità di contribuire al bilancio”, ha spiegato la preside. “Un vero peccato – ha aggiunto – perchè era bravo, con la media del 7. So che adesso ha trovato dei lavori interinali”.

Le difficoltà, a sentire la dirigente scolastica, non sono un caso isolato. Riguardano molte famiglie, “sia di extracomunitari che di italiani – ha proseguito – soprattutto se ci sono più figli e tra i genitori qualcuno è in cassa integrazione o ha perso il lavoro”. Per non parlare, poi, dei viaggi d’istruzione e delle attività extra, che ormai sono spesso considerate un lusso. “C’è chi arriva a fare un mutuo per pagare un viaggio d’istruzione, che magari costa qualche centinaio di euro. Per questo noi stiamo molto attenti a proporre iniziative, perché devono essere alla portata di tutti”.

La storia dell’ex-studente di Rovereto ha già attirato l’attenzione dell’assessore all’Istruzione della Provincia autonoma di Trento, Marta Dalmaso. “Un fatto di questo tipo è molto grave, inaccettabile”. Secondo l’assessore, non sono stati segnalati altri casi analoghi, anche se l’abbandono del percorso di studi per sostenere l’economia familiare è sicuramente un problema attuale. “Mi occuperò personalmente di approfondire la vicenda – ha proseguito Dalmaso, che ha poi lodato il 17enne per la “sensibilità verso i genitori e il sacrificio personale”.
(Beh, buona giornata)

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Libera Chiesa in libero Stato (in libera scuola).

Ci siamo tolti anche questa croce di GIORGIA SPINA.

Una mattina l’Italia si sveglia e vede smontato un altro mito.
Dopo i giorni dei Lodi di un premier che si è guadagnato, da solo, anche tante infamie e delle sentenze che dichiarano che i “Primi super pares” vengano lasciati nei libri di latino, finalmente questo Paese mette una croce sopra un altro dei grandi dilemmi degli ultimi tempi.

Con buona pace della Santa Sede, l’oggetto simbolo del culto cristiano, da questa mattina, non assisterà più alle lezioni nelle scuole italiane.

Impossibile pensare che la sentenza della Corte dei Diritti dell’Uomo non scatenasse il putiferio. Beh, cosa ci aspettavamo? Gli ultimi eventi ci avevano fatto credere in segnali di miglioramento, ma mica a un miracolo?
Il Dizionario della Lingua Italiana Garzanti, alla voce “croce” , scrive, in prima definizione quanto segue: “antico strumento di supplizio fatto con due pali di legno incrociati. […]”. Beh, che si trattasse di una rogna lo avevamo capito, visto tutto il polverone sollevato dal caso.

In seconda definizione, sempre il Garzanti, continua: “ riproduzione della croce di Cristo, assurto a simbolo della religione cristiana”. Ecco, leggiamo bene: simbolo della religione cristiana.
Ora, in un libretto che molti hanno cercato di interpretare a proprio favore e piacimento, dal titolo di Costituzione, all’articolo 7 si legge: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. […]”.

A questo punto, la domanda nasce spontanea (come diceva qualcuno in un vecchio programma tv): c’è ancora qualcuno che sa dell’esistenza di una Costituzione e di un Dizionario della Lingua Italiana come testi realmente esistenti e non come il fantasma del Bau bau? Perché prima di fare tanto chiasso da pollaio, non lasciamo il libro di Moccia sul comodino e ci avviciniamo a qualcosa che potrebbe ben indirizzare le nostre opinioni e le nostre eventuali proteste?

Se non fosse ancora del tutto chiaro il concetto, la presenza di un simbolo di culto religioso all’interno di un’istituzione laica, in quanto statale (chiamasi proprietà transitiva. In matematica la si studiava suppergiù in terza elementare.), come la scuola, non è giustificata.
Per essere esaurienti e corretti fino in fondo: l’articolo 7 sopra citato recita, inoltre, che i rapporti tra lo Stato e la Chiesa sono regolati dai Patti Lateranensi. Tali Patti trattano anche dell’istruzione, nella Scuola Italiana, alla religione cattolica.

La religione è quindi, da considerarsi, una materia di insegnamento all’interno dell’istituzione scolastica. Liscio come l’olio.

Ma nelle aule compaiono forse poster di Manzoni e Leopardi? Foto di Pitagora? Quadri delle battaglie e dei personaggi che hanno fatto la Storia? Dipinti di Monet, Caravaggio e Warhol? Piuttosto che classi sembrerebbero bazar! Eppure anche la Letteratura, la Matematica, la Storia e l’Arte sono materie d’insegnamento della nostra Scuola Italiana. Se poi ci dice sfiga e la Scuola è un Liceo, come la mettiamo con tutti i filosofi?

E ancora: se consideriamo che molte religioni sono da considerarsi, per i non praticanti, delle filosofie, Maometto, Buddah e il dio Piripicchio, o chi per lui, li mettiamo in girotondo accanto alla croce, o sotto braccetto a Hegel?
Qui non si discutono credenze personali, non si vuole rinnegare o disprezzare alcun culto, ma semplicemente sottolineare, se ancora ce ne fosse bisogno, che a Scuola si impara, non si prega. Per quello hanno costruito le chiese.

A oggi quel che conta è che hanno tolto i crocifissi dalla Scuola. Andate in pace. (Beh, buona giornata)

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Cosa succederà dopo che Berlusconi e la Chiesa avranno fatto la pace.

(da blitzquotidiano.it)
……”Pochi forse si porranno la domanda più fastidiosa: quanto costerà all’Italia, in denaro e in libertà, la pace con il Vaticano? Mentre infatti appare difficile che la Chiesa scarichi Berlusconi in mancanza di alternative valide dal suo punto di vista, è verosimile che cerchi di trarre il massimo vantaggio dalla situazione di debolezza del primo ministro per le polemiche sulla sua vita sessuale che hanno dominato l’estate: saranno concessioni di tipo fiscale o a favore della scuola religiosa o degli insegnanti di religione; saranno concessioni in materia di libertà individuali, come la pillola Ru486.

Fronti aperti ce ne sono tanti, incluso l’atteggiamento del Governo, cui la Lega di Umberto Bossi fa da pilota, in materia di clandestini. Nei paesi di loro provenienza la Chiesa è molto impegnata nella sua opera di missione e ottenere qualcosa in questo campo sarebbe un gran colpo d’immagine.” ……(Beh, buona giornata).

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I ventuno arresti degli studenti dell’Onda: il vecchio trucco di costruire il nemico interno per nascondere le difficoltà esterne.

Scontri G8 università Torino: 21 arresti. Da Milano a Palermo studenti occupano-ilmessaggero.it

Università occupate in tutta Italia dopo che 21 persone sono state raggiunte da misure cautelari (16 in carcere e cinque ai domiciliari) per gli incidenti avvenuti lo scorso 18 maggio a Torino in occasione del G8 dell’Università. Il Gip motiva le ordinanze con il rischio di reiterazione dei reati al summit dell’Aquila, ossia pericolo che gli indagati ripetano quelle azione al vertice. Il procuratore capo di Torino, Giancarlo Caselli ha parlato di manifestanti «organizzati in modo paramilitare». Negli arresti colpiti in particolare due centri sociali “storici”: il Pedro di Padova e l’Insurgencia di Napoli.

Gip: rischio reiterazione reati all’Aquila. GLi arresti vengono motivati dal giudice per le indagini preliminari con il pericolo di reiterazione dei reati, anche «in vista dell’imminente apertura dei lavori del G8» dell’Aquila. Gli arrestati, si legge infatti nell’ordinanza, «appartengono a un comune ambiente, riconducibile al movimento antagonista non solo torinese, in grado di elaborare un disegno criminale collettivo ben organizzato, preparato in anticipo, suscettibile di porre in serio pericolo l’incolumità personale delle forze dell’ordine e di turbare gravemente l’ordine pubblico». Ciò «rende evidente l’estrema concretezza e gravità del rischio di reiterazione di analoghe condotte criminose». Tanto più, conclude il giudice, «in vista dell’imminente apertura dei lavori del G8».

Sul web messaggio e foto di una bomba carta. Sulla pagina lombarda del sito web Indymedia, uno dei portali di riferimento della galassia antagonista, è apparso un post intitolato «E allora ‘l’onda si fece bomba», accompagnato dalla foto di una bomba carta. Il messaggio è rimasto visibile per circa mezz’ora, poi è stato cancellato. Nell’immagine, a sinistra ci sono una miccia, quella che sembra polvere da sparo, un foglio di carta e un piccolo cilindro. A destra l’ordigno pronto. Sotto, la scritta: «Pensate che gli arresti ci spaventano? Pensate di impedirci di manifestare? Pensate che gabbie e manganelli salveranno la vostra società di sfruttamento? Pensate male». Il post anonimo, inserito alle 16.26, è stato immediatamente più volte commentato prima di essere rimosso.

Le occupazioni. Prima l’occupazione del rettorato dell’ateneo di Torino, poi quella di tante altre università da parte degli studenti dell’Onda che chiedono ai rettori di prendere posizioni contro gli arresti. Occupati l’ufficio del pro-rettore de La Sapienza (gli studenti hanno deciso che resteranno anche stanotte) la facoltà di Architettura di Roma Tre, il Rettorato di Bologna, della Federico II a Napoli, di Pisa, Venezia, e La Statale di Milano dove la situazione è tornata alla normalità dopo che gli studenti hanno incontrato il preside della facoltà di Lettere e Filosofia. Gli universitari si sono uniti a un presidio già previsto davanti alla Prefettura contro la nuova normativa in tema di sicurezza. A Venezia il Rettore Carlo Magnani ha preso posizione contraria agli arresti. Protesta anche a Genova con gli studenti dell’Onda che sono entrati con striscioni alla conferenza strategica sul futuro della città. Il rettore dell’ateneo genovese, Giacomo Deferrari, ha risposto esprimendo solidarietà. Solidarietà anche da parte del sindaco di Genova Marta Vincenzi. Si mobilitano anche gli studenti di Cagliari che entrano in assemblea permanente nella facoltà di Scienze della Formazione. Protesta anche a Palermo con l’occupazione delle facoltà di Lettere e
Filosofia e di Scienze politiche.

Cortei, striscioni e proteste. Sarebbero un centinaio a Napoli dove domani si prevede una mobilitazione, una ventina quelli del movimento pisano dell’Onda a Pisa, a Bologna gli studenti hanno improvvisato un corteo, alla Sapienza i ragazzi hanno invaso l’ufficio del pro-rettore Avallone, a Roma Tre una cinquantina di aderenti della Rete V Strategy che fa parte del cartello anti G8 hanno occupato Architettura. Alla Statale di Milano esposti striscioni dal rettorato con la scritta “Liberi tutti, liberi subito”.

Agnoletto: si alimenta la tensione verso il summit dell’Aquila. Gli arresti «a due giorni dal G8 dell’Aquila è un chiaro messaggio da parte del Governo, che così facendo alimenta ed esaspera il clima di tensione verso l’evento (come aveva fatto a Genova, otto anni fa)». Vittorio Agnoletto, portavoce del Genoa Social Forum ai tempi del G8 di Genova parla di «strategia finalizzata a spostare l’attenzione dei media e dei cittadini dalle due vere notizie: il fallimento annunciato di quest’ennesimo vertice e l’evidente perdita di credibilità di Berlusconi agli occhi dell’opinione pubblica mondiale»

Luca Casarini, il leader dei disobbedienti, ha sottolineato che si tratta di «arresti preventivi di stampo fascista, un’operazione politica fatta prima del G8 e dopo il vertice si smonterà». Per Luca Casarini «dietro» quanto accaduto «c’è la mano dei servizi segreti italiani: non siamo disposti ad accettare questo tipo di imposizioni e di vergogne nazionali». «Chiunque ci sia dietro – spiega – pagherà molto caro quello che sta succedendo».

Onda: Maroni il mandante. E’ Roberto Maroni sottolinea l’Onda Anomala di Torino, «il mandante di questa operazione che, oltre a reprimere il dissenso, compie una azione preventiva in vista dell’imminente G8 dell’Aquila». Di «arresti ad orologeria» parla anche Lele Rizzo, leader del network antagonista torinese: «Potevano fare tutto dieci giorni fa», afferma Rizzo, che scagiona i suoi compagni arrestati: «Al corteo – dice – di paramilitare c’era ben poco».

Gli arresti. Dodici persone sono state arrestate a Torino, mentre le altre a Padova, Bologna, Napoli e L’Aquila. A Padova ordine di arresto per il leader del centro sociale padovano Pedro Max Gallob e un esponente dell’ala universitaria della disobbedienza padovana, attualmente in Iran, suo paese di origine. Un altro attivista è stato sottoposto a perquisizione domiciliare. All’Aquila arrestato Egidio Giordano, napoletano di 25 anni, uno dei leader del centro sociale Insurgencia di Napoli che ha partecipato alla fiaccolata di ieri dei cittadini aquilani. Alcuni degli arrestati, ha inoltre reso noto la procura di Torino, hanno partecipato agli scontri di Vincenza, sabato scorso in occasione della manifestazione No Dal Molin.

Legale leader centro sociale Padova: strana l’ordinanza dopo tanto tempo. È «particolare» che le ordinanze di custodia per i tafferugli di Torino del maggio scorso «vengano emesse, per un episodio di scontri di piazza, a distanza di più di un mese dall’accaduto». La riflessione è dell’avvocato Aurora D’Agostino, legale che assiste Max Gallob, e che ha annunciato il ricorso al tribunale del riesame. Il legale ha anche detto che l’ordinanza del gip è datata 3 luglio, ma non si sa quando la procura ha chiesto le misure cautelari. L’avvocato D’Agostino ha anche detto che la procura aveva chiesto i domiciliari per tre persone, mentre il gip ha ritenuto di applicare tale misura a cinque giovani, mentre per gli altri 16 ha firmato l’ordinanza di custodia in carcere. Dopo aver ricordato che nell’ordinanza si contesta ai giovani l’uso di bastoni ed estintori ed il lancio di pietre e fumogeni, il legale ha sottolineato che le lesioni riportate dagli uomini delle forze dell’ordine, reato indicato tra le accuse, vanno da prognosi di tre o quattro giorni alla più grave di 15 giorni.

Tra gli indagati anche uno studente di Gemonio, 25 anni, denunciato per violenza privata in concorso. Nella sua abitazione la Digos ha trovato fogli e volantini che dimostrerebbero, secondo gli investigatori, che lo studente è vicino all’area del centro sociale Askatasuna. Avrebbe partecipato a una delle manifestazioni in cui erano state chiuse con delle catene le entrate di una banca nel capoluogo piemontese.

Nelle scorse settimane erano già state arrestate due persone. Domenico Sisi, parente del sindacalista Vincenzo Sisi processato a Milano con l’accusa di far parte di un’organizzazione terroristica, e Alessandro Arrigoni, dipendente della prefettura di Milano. Entrambi avevano poi avuto l’obbligo di dimora.(Beh, buona giornata).

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I soldi finti del governo: la scuola.

di SALVO INTRAVAIA-repubblica.it

Per salvare la scuola pubblica dalla bancarotta i genitori devono mettere mano al portafogli. Più di 250 dirigenti scolastici dell’Asal (l’Associazione scuole autonome del Lazio) hanno consegnato ai genitori una lettera sulla “grave situazione finanziaria”. Faremo “di tutto per garantire il diritto allo studio e, nello stesso tempo, il contenimento della spesa – scrivono – Ma nelle attuali condizioni le due cose non sono più conciliabili e diventa indispensabile il versamento del contributo deliberato dal Consiglio d’istituto per contribuire alla sopravvivenza”. Insomma: senza l’intervento dei genitori la scuola pubblica si ferma. “Non è una situazione nuova – spiega Paolo Mazzoli, presidente dell’Asal – ma ora è diventata grave e, per il prossimo anno, è giusto che l’opinione pubblica conosca la realtà”.

La situazione è critica ovunque. Le scuole italiane, in questi cinque mesi del 2009, non hanno ricevuto neppure un centesimo per le cosiddette spese di Funzionamento didattico-amministrativo (toner, fotocopie, cancelleria, detersivi), i fondi per le supplenze sono stati ridotti del 40 per cento e per le visite fiscali, obbligatorie col decreto Brunetta anche per un giorno d’assenza, non ci sono fondi. Mancano, inoltre, i soldi per i corsi di recupero estivi nella scuola superiore che coinvolgeranno mezzo milione di studenti. Finora, gli istituti hanno tamponato con i cosiddetti residui di bilancio che sono presto svaniti. “Le scuole – segnala Francesco Scrima, leader della Cisl scuola – vantano un credito nei confronti dello Stato per un miliardo di euro”. Dal 2007 il budget per le supplenze è stato ridotto di 250 milioni. E da ottobre le scuole sono costrette ad richiedere, e pagare, alle Asl le visite fiscali anche per un solo giorno di malattia.

“Abbiamo calcolato – spiega Mazzoli – che la spesa complessiva nazionale per pagare i medici di controllo si aggira attorno ai 100 milioni”. Ma non è dato sapere se il calo delle assenze di questi mesi compensa questa spesa aggiuntiva. Così le scuole sono costrette a richiedere “contributi volontari” alle famiglie che oscillano tra i 20 ai 120 euro l’anno. Il ministero sa perfettamente che la scuola sta per crollare sotto il peso dei debiti. Basta vedere le tante interpellanze presentate in aula e in commissione. Le ultime sono del 21 e del 12 maggio, dell’8 aprile e del 5 marzo. Il grido d’allarme arriva dalle scuole di Parma, Piacenza, Settimo milanese, Crema, Bologna, Firenze, Palermo. E qualche settimana prima da Lecco, Ancona, Bergamo e dalla Sardegna. “Istituti costretti ad elemosinare la carta igienica, alunni che restano senza docente per molte ore, forte riduzione del recupero scolastico, annullamento dell’ora alternativa alla Religione, aule chiuse perché inagibili e aumento del rischio”. “Le misure di contenimento della spesa – ha risposto due giorni fa il sottosegretario all’Istruzione, Giuseppe Pizza – hanno comportato, come in altri settori pubblici, una riduzione delle risorse finanziarie determinando le note difficoltà”. (Beh, buona giornata).

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Torino: il G8 si scontra con gli studenti.

G8 Università, scontri e tensione al corteo degli studenti dell’Onda di di OTTAVIA GIUSTETTI-repubblica.it

TORINO – Scene di guerriglia urbana questa mattina a Torino per il corteo del contro G8 dell’Università con migliaia di ragazzi da diverse città italiane, quasi tutti dei centri sociali, che hanno “assaltato” il Castello del Valentino dove nel frattempo si stava chiudendo il summit dei rettori dei paesi del G8. Lacrimogeni, bombe carta, pietre e manganelli hanno chiuso la manifestazione che però, dalle prime informazioni, si è conclusa senza gravi feriti. Secondo i dati forniti dalla questura di Torino diciannove agenti sono rimasti contusi o lievemente feriti negli scontri, mentre sembra che non ci siano feriti tra i ragazzi che hanno partecipato agli scontri. Due invece gli anti-G8 fermati, probabilmente del gruppo dei milanesi.

Solo tanta tensione, dunque, e uno “spettacolo” che si è rivelato assolutamente fedele alle aspettative. Con centinaia di agenti a blindare la città, elicotteri, e i contestatori che per l’appuntamento con la polizia hanno coperto i volti e hanno indossato caschi e bastoni schierandosi in file compatte dietro a uno scudo lungo oltre dieci metri camuffato da striscione.

Il corteo, formato da qualche migliaia di giovani, è partito intorno alle 11 dalla palazzina Aldo Moro, a fianco dell’Università, ribattezzata palazzina Block G8 per l’occasione, al seguito del camioncino di tutti i cortei dell’Askatasuna il noto centro sociale degli autonomi torinesi. Due blocchi di agenti in tenuta antisommossa aprivano e chiudevano il corteo che a passo svelto percorreva via Po, piazza Castello, via Pietro Micca, piazza Solferino, corso Re Umberto, corso Vittorio Emanuele, via Madama Cristina e corso Marconi per chiudere davanti al Castello. Lungo il tragitto qualche isolato contestatore ha lasciato scritte lungo i muri, a gruppetti hanno acceso fumogeni davanti all’ingresso delle banche, mentre i negozianti chiudevano le saracinesche lungo il loro passaggio.

Gli uomini della Digos, guidati da Giuseppe Petronzi, hanno accompagnato il corteo, in borghese, lasciando che gli abitanti rimanessero in strada a seguire la manifestazione. Non raccogliendo né lanciando alcuna provocazione hanno lasciato che si arrivasse al Castello senza incidenti. E lì si è messa in scena la guerriglia annunciata. I ragazzi hanno indossato la loro “armatura” e gli agenti pure. I primi schierati su un fronte del corso, gli altri sull’altro. La tensione saliva mentre i ragazzi dell’Askatasuna dalla camionetta incitavano con il microfono allo scontro. Dopo una ventina di minuti gli anti-G8, caschi in testa e volti coperti, hanno serrato le fila e hanno cominciato ad avanzare verso la polizia. Dietro allo scudo avevano estintori. Hanno lanciato bottiglie, pietre e bombe carta. I poliziotti hanno indossato le maschere e sparato i lacrimogeni costringendo i manifestanti alla ritirata. La carica vera e propria è durata pochi minuti. Al termine dei quali gli anti-G8 hanno riformato il corteo e sono tornati a Palazzo Nuovo.

Dal Castello del Valentino i rettori hanno risposto: “Non ci siamo barricati, siamo sempre stati e rimaniamo aperti al dialogo con gli studenti. In quello che è successo ieri e oggi c’è stato un difetto di comunicazione”. Il rettore del Politecnico di Torino, Francesco Profumo, del presidente della Crui Enrico Decleva e di Giovanni Puglisi, il rappresentante della Commissione Italiana per l’Unesco, a conclusione dei lavori del summit hanno firmato il documento che sarà inviato al vero G8 di luglio a l’Aquila. (Beh, buona giornata).

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“Prevedere quando finirà la crisi mi sembra certo importante ma è molto più utile prepararci a costruire il futuro.”

di ROMANO PRODI -Il Messaggero

DA QUALCHE settimana non si fa altro che dibattere su quando usciremo dalla crisi economica. Si discute su quale Paese uscirà per primo, se si uscirà attraverso l’aggravarsi della disoccupazione e se si dovrà passare attraverso un altrettanto penoso processo di inflazione.

Tutti questi sono esercizi utili ed importanti. Credo però che da ora in poi dovremo soprattutto impegnarci a trovare le idee e gli strumenti per uscire più presto e meglio dalla crisi, preparando una struttura produttiva capace di rispondere alle nuove necessità e alle nuove domande di un mondo in profondo cambiamento.

Un Paese ad elevato livello di sviluppo e ad alti elevati costi del lavoro come l’Italia deve già da ora dedicarsi a costruire le fondamenta su cui costruire la nostra ripresa ed il nostro futuro. Due sono le direzioni verso cui indirizzare con assoluta priorità i nostri sforzi e le risorse finanziarie a nostra disposizione. Questi settori sono le scienze della vita (dai nuovi farmaci agli strumenti medicali alle biotecnologie) e il grande campo dell’energia e dell’ambiente.

Oggi voglio limitarmi (si fa per dire) a riflettere su quest’ultimo aspetto, anche perché negli Stati Uniti si sta già profilando un progetto che assumerà dimensioni e importanza non certo inferiori al progetto Apollo, progetto che non solo ha guidato alla conquista dello spazio ma che ha dato origine a molti dei più importanti progressi industriali della passata generazione.

Obama sta dedicando ad energia e ambiente risorse immense, allo scopo di costruire un primato americano dove si concentrerà lo sviluppo futuro. Essere verdi e intelligenti non significa solo “pulire” ma divenire leader in un enorme numero di nuove tecnologie senza aspettare gli altri.

Come si legge in un comprensibilissimo rapporto sull’incontro fra Obama e la Presidente del famoso Mit di Boston (riportato in Italia nel numero di maggio di Technology Review l’ondata delle innovazioni procederà in tre direzioni.

1. produzione di energia (solare, producendo energia persino dalle finestre, eolico, biomasse e trattamento dei rifiuti).
2. Accumulo di energia (nuove batterie molto più capaci e assai più facilmente ricaricabili di quelle di oggi).
3. Uso finale dell’energia (auto, motori elettrici e lampade che consumano infinitamente meno e una rivoluzione completa nell’edilizia).

Gli Stati Uniti hanno risorse materiali e umane per potere primeggiare in tutte queste direzioni. Questo non è certo il caso dell’Italia. È però possibile e doveroso per l’Italia scegliere alcune nicchie nelle quali concentrare uno sforzo innovativo che è certamente alla nostra portata.

Non si deve però trattare di semplici innovazioni di processo o di design ma di vere innovazioni di prodotto, di cui le imprese italiane dovranno rimanere proprietarie anche in futuro. In taluni casi potremo operare da soli, in altri la strategia migliore sarà quella di cooperare con imprese e laboratori di ricerca di altri Paesi, ma non vi è tempo da perdere per individuare le nicchie nelle quali o da soli o congiuntamente saremo in grado di sviluppare tecnologie proprietarie, cioè tecnologie che potremo far progredire anche nel lontano futuro.

Una coraggiosa politica ambientalistica, da Kyoto in poi, non può essere vista come un freno alle nostre imprese, ma come uno stimolo per cogliere le grandi opportunità del futuro.
Dobbiamo correre in fretta anche perché questo è il solo modo per rianimare la nostra ricerca, oggi tanto depressa.

Riguardo allo stato della nostra ricerca abbiamo in questi mesi assistito alle giuste preoccupazioni e alle giuste proteste sul fatto che non si fanno concorsi e che i giovani sono costretti ad emigrare.
Io credo che, oltre al doveroso compito di riportare la nostra ricerca verso dimensioni quantitative degne di un Paese della nostra importanza e del nostro livello di reddito, dobbiamo preoccuparci del fatto che, non entrando come protagonisti in questi nuovi campi, perderemo definitivamente il treno della storia. Anche da questo senso di impotenza deriva infatti la frustrazione dei nostri giovani ricercatori.

Mi aspetto perciò e faccio appello ad un grande sforzo congiunto da parte delle strutture pubbliche e delle imprese per mobilitare tutte le forze disponibili per inseguire questo importante capitolo del futuro che ci sta sfuggendo. Dobbiamo farlo oggi perché un grande progetto di questo tipo ha bisogno di tempo. Non basta infatti reperire risorse finanziarie aggiuntive ma bisogna obbligare Stato, Regioni e imprese a camminare in un’unica direzione.

Prevedere quando finirà la crisi mi sembra certo importante ma è molto più utile prepararci a costruire il futuro. (Beh, buona giornata).

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Lavoro Leggi e diritto Scuola Società e costume

L’Italia non è un paese per giovani.

di ROSARIA AMATO da repubblica.it

L’età giusta per un ingresso adeguato nel mondo del lavoro? Trentacinque-quarant’anni. E per una stabile affermazione professionale? Dai 50 ai 60. Non si tratta di una boutade, ma dei risultati del rapporto del Forum Nazionale dei Giovani e del Cnel, in collaborazione con Unicredit Group, dal titolo ” Urge ricambio generazionale – Primo rapporto su quanto e come il nostro Paese si rinnova”.

Già i titoli dei vari capitoli del rapporto la dicono lunga sulle conclusioni dei ricercatori: “Non è un Paese per giovani: l’emarginazione politica di una generazione”. Oppure “In paziente attesa del proprio turno. Diventare medico in Italia”. O ancora: “L’odissea dei giovani avvocati tra la libera professione e la trappola del precariato”. I vari percorsi professionali analizzati nel corso dell’indagine differiscono tra loro per le caratteristiche, ma non per le enormi difficoltà incontrate in misura sempre maggiore dai giovani, soprattutto negli ultimi anni.

“Il quadro che emerge non è incoraggiante – osservano gli autori del rapporto – e lo spaccato della gioventù italiana è permeato da una forte sicurezza individuale e sociale: i giovani italiani, seppur capaci e meritevoli, a fatica riescono ad affermarsi professionalmente e ad emanciparsi dalla propria famiglia prima dei quarant’anni. Non a caso si è andata affermando una nuova categoria sociale: quella dei giovani-adulti. Né tanto meno i giovani italiani sono nelle condizioni di poter incidere sulle scelte politiche, economiche e sociali della nazione, essendo esclusi da tutti i cosiddetti “circuiti” del potere”.

Under-35: precario uno su due. Prima ancora che dalla politica, tuttavia, l’emarginazione dei giovani italiani nasce nel mondo del lavoro. “Incertezza, disoccupazione, bassi salari sono tre dei principali fattori di disagio con cui i giovani guardano al problema del lavoro”, dice il presidente del Cnel Antonio Marzano. I dati: oltre un collaboratore su due ha meno di 35 anni. Ma non si tratta di contratti d’ingresso: secondo l’Istat, il 73,1% dei giovani che alla fine del 2006 erano assunti con un contratto di collaborazione, a distanza di un anno erano ancora nella stessa posizione. Naturalmente chi lavora per 10 anni a progetto, come collaboratore, o a tempo determinato “ogni volta è costretto a ricominciare dalla base della piramide, rimanendo di fatto escluso dalle posizioni di vertice”.

Per i giovani retribuzioni più basse. Lavori meno importanti, retribuzioni più basse. “Se nel 2003 il guadagno medio lordo di un giovane d’età compresa tra i 24 e i 30 anni – si legge nel rapporto – era di 20.252 euro, rispetto ai 25.032 euro percepiti dagli over50, nel 2007 il divario si è significativamente ampliato: a fronte dei 22.121 euro corrisposti agli under30, i 51-60enni hanno percepito una retribuzione media lorda di 29.976 euro”.

E i disoccupati sono in forte aumento. Ma tra gli under-35 non ci sono solo i precari malpagati, ci sono anche i disoccupati, e ce ne sono molti di più che nelle altre fasce di età. “Tra il 2006 e il 2007 crescono di circa 200.000 i giovani inattivi, cioè ragazzi che non lavorano e non cercano lavoro. Questi giovani hanno avuto un brusco cambiamento di status: nel 2006 erano formalmente inseriti nelle forze di lavoro (come occupati o persone in cerca), mentre nel 2007 hanno deciso di non provare nemmeno a cercare un lavoro”. A questi si aggiungono 430.000 giovani che nel 2006 erano in cerca di prima occupazione, e l’anno successivo sono risultati inattivi.

Classi dirigenti sempre più vecchie. Visto che i giovani sono tenuti fuori dal mondo del lavoro, o al più lavorano in posizione marginali, guadagnando poco, le classi dirigenti negli ultimi anni sono invecchiate inesorabilmente. Da un’analisi condotta sulla banca dati del Who’s who (il database dei top manager pubblici e privati) risulta “un sensibile aumento dell’età delle classi dirigenti italiane: si è passata da una media di 56,8 anni a una di quasi 61 (60,8 anni). Un sistema di potere che invecchia di anno in anno, quello italiano, in tutti gli ambiti: anche i neoparlamentari hanno un’età media di 51 anni. Dal 1992 a oggi i deputati under35 non hanno mai raggiunto la soglia del 10% degli eletti alla Camera, fatta eccezione per la XII Legislatura (nella quale costituivano il 12,4%). Infatti negli anni ’90 sembrava essersi instaurata, almeno nel Parlamento, una dinamica favorevole ai giovani, ma nell’attuale decennio si è decisamente interrotta. E quindi i giovani dai 25 ai 25 anni, che costituiscono il 18,7% della popolazione maggiorenne, hanno una rappresentanza pari solo a un terzo dell’incidenza effettiva sugli elettori.

La Lega Nord il partito più “giovane”. La rappresentanza giovanile è scarsa in tutti i partiti, con l’unica eccezione della Lega Nord, che presenta nell’ultima legislatura un 20,1% di eletti tra gli over35 contro l’11,4% tra i 25-35enni; per gli altri partiti la percentuale di eletti in età matura è quasi il triplo (47,4%). Anche nelle amministrazioni comunali, sostengono gli autori del rapporto, “nell’ultimo decennio gli under35 hanno perso terreno: finanche a livello locale le oligarchie di partito tendono ad estromettere le nuove generazioni dal governo del territorio”.

L’Università: nessun ricambio generazionale. Il rapporto analizza poi alcune professioni in particolare. Si comincia dal mondo accademico, sclerotizzato in misura inimmaginabile: tra i professori ordinari l’età media è di 59 anni. “Nel dettaglio, la metà dei professori di prima fascia ha superato i 60 anni e circa 8 docenti su 100 (7,6%) hanno compiuto i 70 anni”. Non va meglio per le fasce più basse: l’età media dei professori associati è di 52 anni, e quella dei ricercatori è di 45. Solo il 3,4% di chi ottiene un dottorato di ricerca, infine, ha meno di 28 anni.

Ma va male anche nelle libere professioni. Non va meglio nelle libere professioni. Il giornalismo, la medicina, l’avvocatura e il notariato hanno tempi di accesso lunghissimi: “Per i più stage, tirocini gratuiti e condizioni di estremo precariato o sotto-occupazione di susseguono senza soluzione di continuità fino a oltre 40 anni. Qualche esempio: l’età media dei praticanti giornalisti è di 36 anni. I medici con non più di 35 anni sono poco meno del 12%, mentre i 35-39enni, rispetto a 11 anni fa, sono diminuiti del 13,8%. Mentre gli avvocati, pur iscritti all’albo, sono costretti per anni e anni a un ruolo umiliante di garzoni di bottega, e tra i notai due su dieci sono figli d’arte.

I padri tolgono in pubblico e restituiscono in privato. In questo scenario desolante il ruolo delle famiglie è ambiguo. Infatti in Italia ci sarebbero tutte le condizioni perché esploda un feroce conflitto generazionale tra i padri che mantengono il potere fino alla tomba e i figli esclusi, ma non esplode un bel niente perché, rilevano gli autori dell’indagine, “i genitori italiani sono tra i più generosi d’Europa quando è necessario dare un aiuto ai propri figli”, mentre “nel momento in cui sono chiamati a pensare ai giovani in quanto tali (e quindi ai figli degli altri) diventano molto egoisti”. In pratica, conclude il rapporto, “ci troviamo di fronte a una vera e propria legge del contrappasso: ciò che i genitori tolgono ai propri figli nella vita pubblica, è restituito (e con interessi molto alti) all’interno dei nuclei familiari”. Ma le conseguenze non sono positive: “Il rischio è che i giovani, rassegnati a questo immobilismo sociale, continuino ad accettare la propria condizione di emarginati in una società organizzata per caste e al cui vertice si trova una gerontocrazia inamovibile”.

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