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“Lo scandalo del capitalismo contemporaneo sta nella mondializzazione della povertà, perfino nei Paesi più ricchi.”.

di JEAN-PAUL FITOUSSI da lastampa.it

Viviamo un’epoca nella quale l’etica sembra aver invaso tutto. La finanza è etica, le imprese adottano codici etici, il commercio è etico. Eppure il capitalismo sembra finito nel pallone. Mai «l’amore per il denaro», come avrebbe detto Keynes, lo avrebbe condotto agli eccessi che conosciamo: retribuzioni stravaganti, rendimenti da sogno, esplosione dell’ineguaglianza e della miseria, degrado dell’ambiente. L’emergenza etica, forse, è una reazione allo spettacolo desolante delle conseguenze di un’economia che non si è mai preoccupata dell’etica. Non si può rifiutare con leggerezza l’ipotesi che l’abbandono della morale abbia portato il sistema alla crisi.

«I vizi specifici dell’economia che viviamo – scriveva Keynes – sono due: il lavoro non è assicurato a tutti e i profitti sono divisi in modo arbitrario e iniquo». L’economia, come la scienza, non è un ambito per eccellenza disgiunto dalla morale? Certo lo scivolamento irrefrenabile dell’economia-politica verso l’economia-scienza si è cristallizzato nel concetto di «economia di mercato», sciolto da preoccupazioni storiche o istituzionali. Eppure il capitalismo è una forma di organizzazione storica, un modo di produzione, diceva Marx, nato con sulle macerie dell’Ancien regime. Dunque il suo destino non è scritto nel marmo.

È l’interdipendenza tra stato di diritto e attività economica che dà al capitalismo la sua unità. L’autonomia dell’economia è un’illusione, come la sua capacità di autoregolarsi. E se siamo arrivati al disastro di oggi è proprio perché la bilancia pendeva un po’ troppo verso questa illusione. Questo sbilanciamento corrisponde a un capovolgimento di valori. Si fa un servizio migliore all’etica – si pensava – regolando di più gli Stati e di meno il mercato. L’ingegnosità dei mercati finanziari ha fatto il resto. Lo scandalo del capitalismo contemporaneo sta nella mondializzazione della povertà, perfino nei Paesi più ricchi. E ancora di più sta nell’aver accettato un circolo di illegalità insostenibile nei Paesi democratici. Perché il sistema vive nella tensione tra due principi: quello del mercato e dell’ineguaglianza da una parte (un euro, una voce) e quello della democrazia e dell’uguaglianza dall’altra (una persona, una voce), obbligati alla ricerca permanente di un compromesso.

Questa tensione permette al sistema di adattarsi e di non rompersi come succede ai sistemi basati su un principio solo, com’è accaduto a quello sovietico. La tesi secondo cui il capitalismo avrebbe vinto come organizzazione economica grazie alla democrazia, piuttosto che a suo scapito, sembrava la più convincente. Oggi ne abbiamo una rappresentazione efficace. Lo spettacolo dei soldi facili cancella gli orizzonti temporali. Rendimenti finanziari troppo alti contribuiscono al disprezzo del futuro, a impazienza nel presente, al disincanto sul lavoro. Non è più necessario citare l’Antico Testamento per capire che a questo punto il rapporto tra denaro ed etica va in crisi. Anche Adam Smith ne aveva parlato nella sua Ricerca sulla natura e le cause della ricchezza dei Paesi (Gallimard, 1796). Il disprezzo del futuro va in contrasto con l’orizzonte di lungo periodo necessario alla democrazia. Una delle chiavi del compromesso tra il benessere delle generazioni presenti e quelle future è l’arco temporale determinato dal dibattito politico. Un orizzonte limitato, come l’ assenza di giustizia sociale, aggrava il conflitto.

Quando le diseguaglianze sono forti una parte importante della società non può proiettarsi nel futuro nero che l’aspetta. E se si formula l’ipotesi che l’altruismo tra una generazione e l’altra è una forma di sentimento morale spontaneo, come sembrerebbe dire l’attenzione che tutti hanno per il destino dei bambini, si capisce bene che una maggiore equità sociale potrebbe riconciliare il capitalismo con il lungo termine. Per restituire etica al capitalismo, bisogna rompere con la dottrina del passato che ci ha portato alle turbolenze finanziarie di questi mesi. Bisognerebbe «deregolamentare le democrazie», fare più posto alla volontà politica, e regolare meglio i mercati. Bisognerebbe prendere più sul serio le decisioni sulle regole della giustizia e rendere oggetto di una deliberazione dei Parlamenti annuale un calo accettabile della diseguaglianza. La pubblicità di queste discussioni permetterebbe di rompere con la concorrenza sociale e fiscale che spinge le persone verso il basso, dando la speranza di una concorrenza che spinga verso l’alto. (Beh, buona giornata).

Copyright «Le Monde»

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Crisi globale: sta arrivando la resa dei conti?

di Richard C. Cook (*) – «Global Research» da megachip.info

Il presidente Barack Obama ha mostrato un sacco di audacia nell’affrontare il Congresso la notte scorsa al momento di pronunciare il suo primo discorso alle camere riunite. Tutti i fronzoli del potere erano in mostra quando i membri della Camera e del Senato, della Corte suprema, i capi di stato maggiore riuniti, il gabinetto, e gli ospiti VIP si abbracciavano e si stringevano le mani, raggianti nei loro abiti su misura, appena due notti dopo che le star di Hollywood avevano allestito il loro show nella notte degli Oscar.

Peccato che né il presidente né il vicepresidente Joe Biden e la Speaker della Camera Nancy Pelosi che applaudivano sul podio dietro di lui, né i festanti democratici con la loro solida maggioranza, né gli scontrosi repubblicani che ciondolavano in minoranza lungo il corridoio, sappiano che cosa stiano facendo ora che l’estinzione economica fissa da vicino il volto degli Stati Uniti d’America.

Sì, va proprio così male. Il giorno dopo il discorso il Dow-Jones è sceso a 7.271, quasi il 50 per cento rispetto al picco di ottobre 2007, senza che il fondo sia in vista. Secondo il «Washington Post», le tre grandi case automobilistiche stanno ora per affrontare un crollo dal basso verso l’alto delle loro di linee di fornitura di componenti se la loro vasta rete di fornitori non riceverà nuovi prestiti federali entro una settimana. Anche nel mondo la situazione è altrettanto grave. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro dell’ONU comunica:

«Quella che all’inizio era una crisi dei mercati finanziari è rapidamente diventata una crisi occupazionale globale. La disoccupazione è in aumento. Il numero di lavoratori poveri è in aumento. Le aziende stanno andando sotto.»

Il discorso del Presidente Obama è stato lungo quanto a determinazione, ma breve quanto a sostanza. Ha promesso alla nazione:
«Ricostruiremo, risaneremo, e gli Stati Uniti d’America riemergeranno più forti di prima.»
Ma giungere a un tale risultato dipende interamente da una cosa: una più elevata spesa federale in deficit da far funzionare come il motore economico di un’economia in cui i prestiti bancari si sono prosciugati perché le imprese ei consumatori non possono più rimborsare i loro prestiti.

Purtroppo, il disavanzo si sta avvicinando al punto di rottura.
Durante l’anno fiscale 2009 il Tesoro USA è sulla via di pagare più di 500 miliardi di dollari solo nel remunerare gli interessi per finanziare il debito già esistente. Il nuovo debito quest’anno probabilmente supererà il trilione di dollari. Il carico totale degli oneri del debito per l’economia nel suo complesso potrebbe arrivare a 70 trilioni di dollari entro il 2010, con un livello di pagamenti di interessi annuali per i singoli individui, le famiglie, le imprese, e tutti i livelli di governo che raggiungerebbe verosimilmente 3 trilioni di dollari su un PIL da 14 trilioni ora in brusco calo.

Il finanziamento del deficit continua a dipendere dal fatto che la Cina acquisti ancora le obbligazioni del Tesoro. Questo è il motivo per cui il Segretario di Stato di Hillary Clinton ha detto in tutta franchezza, durante l’ultima il viaggio della scorsa settimana in Cina: «Noi contiamo sul fatto che il governo cinese continui ad acquistare il nostro debito».
Ma almeno il presidente Obama ci sta provando. Sa che l’economia può recuperare solo se la crescita viene ravvivata. Pertanto si concentra su una creazione di posti di lavoro che si traduca in autentici redditi da lavoro. Ma può invertire una generazione di outsourcing del lavoro e di stagnazione dei redditi? Non conosco nessuno che ritenga che ce la possa fare. Potrebbe farcela la panacea repubblicana dei tagli delle imposte e della spesa? Non scherziamo. Non quando la disoccupazione si sta avvicinando ai livelli della Grande Depressione.

Ma né il Presidente Obama, né i suoi sostenitori democratici né gli antagonisti repubblicani, dovrebbero dispiacersi di ciò che sta accadendo. Questo è dovuto al fatto che il sistema che è stato loro fornito e attraverso cui operare è stato progettato per fallire. Agli Stati Uniti è stata molto tempo fa caricata la soma di un sistema monetario basato sul debito, in virtù del quale l’unico modo in cui il denaro può essere messo in circolazione è attraverso i prestiti bancari. È stato il sistema istituito nel 1913, quando il Congresso ha abdicato al suo potere costituzionale sulla creazione di moneta a favore dell’industria bancaria privata con l’approvazione del Federal Reserve Act.

Fu allora che la catastrofe cui ora ci troviamo di fronte divenne inevitabile. Ci è voluto quasi un secolo per arrivare fin qui, ma alla fine è accaduta. Avremmo dovuto saperlo che stava per arrivare quando le bolle coniate dalla Federal Reserve hanno sostituito la crescita economica della nostra scomparente industria pesante, a partire dalla recessione del 1979-83. Avremmo potuto vederla arrivare al momento in cui scoppiava la bolla della New Economy nel 2000-2001, e il presidente della Federal Reserve Alan Greenspan lavorava con l’amministrazione di George W. Bush per sostituire la bolla immobiliare a un reale risanamento.
È arrivata la resa dei conti. Quindi non si preoccupi, signor presidente. Non è colpa sua. Quando il crollo ha luogo i banchieri internazionali, che prenderanno il sopravvento potrebbero perfino lasciarle mantenere il suo lavoro. (Beh, buona giornata).

(*)Richard C. Cook è un ex analista del governo federale USA. Il suo libro sulla riforma monetaria, We Hold These Truths: The Hope of Monetary Reform (Noi ci teniamo queste verità: La speranza della riforma monetaria), è ora disponibile su www.amazon.com. È anche l’autore di Challenger Revealed: An Insider’s Account of How the Reagan Administration Caused the Greatest Tragedy of the Space Age. Può essere contattato attraverso il suo sito web all’indirizzo www.richardccook.com.

Articolo originale: The U.S. Economy: Designed to Fail.
Traduzione di Pino Cabras per Megachip

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Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

Il ministro che si è accorto che l’Italia è nel pieno della crisi economica.

“Il 2009 sarà un anno ancora più difficile del 2008. Il che è tutto dire. E’ necessario uno sforzo collettivo Governo, imprese, parti sociali, istituzioni bancarie e finanziarie devono agire per ridurre, per quanto possibile, l’impatto della crisi. Gli obiettivi fondamentali sono due: coesione, nella società e conservazione della base industriale”.E’ assolutamente strategico contrastare il ‘rischio dei rischi’, la stretta creditizia in cui si avvitano prima le imprese, poi i lavoratori e infine le stesse banche”. Parola di Giulio Tremonti, ministro dell’economia in Italia, il paese che stava meglio degli altri, secondo Silvio Berlusconi. Beh, buona giornata.

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Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

Berlusconi aveva detto che in Italia la crisi era meno preoccupante degli altri paesi europei.

Inps dice che la cassa integrazione è cresciuta del 553%. Beh, buona giornata.

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Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

Correva l’anno -2,6 per cento.

Bankitalia prevede nel 2009 il Pil a -2,6%. Beh, buona giornata.

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro

Il risultato di politiche sociali sbagliate: i consumi crollano ancora.

Deciso calo dei consumi a gennaio, con forti contrazioni nel settore della mobilita’, un declino del comparto abbigliamento che non e’ stato invertito dai saldi e le telecomunicazioni che continuano a tenere.

L’Indicatore dei Consumi Confcommercio (Icc) segnala a gennaio 2009 una riduzione tendenziale del 4,6% in quantita’, il terzo peggior risultato da un anno a questa parte nonche’ dodicesima variazione negativa da gennaio 2008; un dato – secondo l’analisi dell’ICC – decisamente piu’ negativo rispetto a quanto registrato in dicembre che conferma come i consumi non solo siano ancora in una fase critica ma, per il momento, non traggano nemmeno benefici dal rallentamento dell’inflazione.

Il dato dell’ultimo mese risulta peraltro significativamente peggiore rispetto a quanto registrato nello stesso periodo del 2008 (-1,1%). Il dato e’ sintesi di una flessione particolarmente accentuata della domanda relativa ai beni (-6,4%), a cui si e’ associata, per il terzo mese consecutivo, una riduzione della domanda per i servizi (-0,3%). In termini reali, il dato riflette essenzialmente il peggioramento della domanda relativa al settore della mobilita’ a cui si sono associate evoluzioni negative per quasi tutte le componenti considerate, ad esclusione delle comunicazioni che evidenziano peraltro un rallentamento nel trend di sviluppo. Dopo il -3,7% registrato nel mese di dicembre, la domanda per beni e servizi ricreativi ha quindi egistrato a gennaio 2009 una diminuzione dell’1,7%.

Particolarmente negativa e’ risultata appunto la dinamica della domanda relativa ai beni e servizi per la mobilita’ (-24,8% rispetto all’analogo mese dello scorso anno). Questo andamento e’ derivato da una serie di fattori che hanno inciso sulle diverse voci che compongono l’aggregato. Per gli acquisti di autovetture e motocicli da parte delle persone fisiche l’andamento ha riflesso, oltre alle difficolta’ che da tempo interessano il settore a livello mondiale, anche le attese di incentivi da parte del Governo che dovrebbero cominciare a produrre effetti positivi solo nei prossimi mesi.

Relativamente al calo della domanda per i trasporti aerei la forte riduzione deriva anche dalla concorrenza esercitata negli ultimi mesi, sulla tratta Roma-Milano, dal trasporto ferroviario che, con l’avvio dell’alta velocita’, ha registrato un sensibile incremento di passeggeri (del quale l’Icc non tiene conto per mancanza di dati sul traffico ferroviario di passeggeri). (Beh, buona giornata).

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Crisi globale: “Le frettolose dichiarazioni di Berlusconi alimentano il sospetto che anche gli 8 miliardi annunciati trionfalmente a metà febbraio siano soldi finti.”

di TITO BOERI da La Repubblica

AL TERMINE dell’ ennesimo deludente vertice della Ue, Berlusconi ha trovato modo di chiudere ogni spiraglio all’ ipotesi di un accordo con l’ opposizione per varare la riforma degli ammortizzatori sociali. M ENTRE così l’ inconcludenza dei leader europei aggrava la crisi, il nostro Presidente del Consiglio sceglie di farne pagare il conto ai disoccupati che sono oggi privi di alcuna tutela.

“La riforma costa circa un punto e mezzo di pil, è finanziariamente insostenibile”: questo il giudizio lapidario di Berlusconi, che ha voluto così reagire alla disponibilità offerta dal neo-segretario del Pd, Dario Franceschini, a sostenere in Aula una riforma organica degli ammortizzatori sociali. Il fatto che il premier si sia sentito in dovere di intervenire da Bruxelles, ai margini di una riunione che aveva ben diverso ordine del giorno, dimostra che, per la prima volta in questa legislatura, è stata l’ opposizione a dettare l’ agenda dell’ esecutivo.

Il messaggio recapitato da Bruxelles era probabilmente diretto a quanti nell’ esecutivo, come il ministro Brunetta, avevano chiesto al Pd di mettere le carte sul tavolo, formulando proposte più concrete di quelle avanzate da Franceschini sabato a Bari, che aveva genericamente parlato di un “assegno ai disoccupati”. In verità una riforma che estenda ai lavoratori del parasubordinato (oggi privi di qualsiasi protezione) la copertura dei sussidi ordinari di disoccupazione e che ne allunghi la durata per i lavoratori dipendenti delle piccole e medie imprese (oggi esclusi dall’ accesso alle ben più generose Cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria, indennità di mobilità e, infine, mobilità lunga) costerebbe anche meno di quegli 8 miliardi che il governo ha più volte dichiarato di aver già messo a disposizione di un allargamento della platea dei beneficiari degli ammortizzatori sociali.

A differenza degli interventi in deroga che il governo intende finanziare con questi 8 miliardi, la riforma avrebbe solo un costo una tantum. Dal secondo anno in poi, infatti, l’ erogazione dei sussidi verrebbe finanziata dai contributi di lavoratori e datori di lavoro a favore del fondo che eroga i sussidi. Anche questo costo iniziale per le casse dello Stato, inevitabile nella fase di messa a regime di una nuova assicurazione, è limitato.

Ci sono tante diverse ipotesi allo studio, ma alcune di queste, quelle che prevedono interventi sui soli parasubordinati (identificati come lavoratori con un unico committente) costano attorno ai 4-5 miliardi di euro, la metà delle risorse che il Governo sostiene di avere già in mano.

L’ allungamento della duratae irrobustimento dei sussidi ordinari di disoccupazione (oggi durano mediamente cinque mesi e pagano 23 euro al giorno) costerebbe altri quattro miliardi. Quindi i soldi per la riforma ci sarebbero già tutti o quasi.

Le frettolose dichiarazioni di Berlusconi alimentano perciò il sospetto che anche gli 8 miliardi annunciati trionfalmente a metà febbraio siano, come tanti altri soldi messi virtualmente sul piatto dal governo dall’ inizio della crisi (a partire dai 120 miliardi elargiti sulla carta da Tremonti a Washington nell’ ottobre scorso), dei soldi finti.

Si tratterebbe, in altre parole, di una generica disponibilità delle Regioni a mettere a disposizione questi fondi solo per misure di estensione della Cassa integrazione sul loro territorio, come avvenuto sin qui. In effetti, se si dovessero davvero utilizzare le risorse oggi attribuite dal Fondo sociale europeo alle Regioni per finanziare sussidi ai disoccupati, si dovrebbe attuare un massiccio trasferimento di risorse (stimato da Paolo Manasse su lavoce. info in circa un miliardo di euro) dal Mezzogiorno alle Regioni del Nord, dove la maggioranza dei disoccupati è concentrata.

Importante notare che le risorse per i fondi in deroga sono state utilizzate sin qui, con il concorso delle Regioni, quasi solo in proroga, vale a dire estendendo la durata (soprattutto della Cassa integrazione ordinaria) a chi già vi accedeva e non offrendo assistenza a chi non aveva niente. La ragione è semplice: quando è la politica a decidere a chi dare e a chi no, i beneficiari sono sempre i lavoratori delle grande aziende, la cui ristrutturazione o chiusura fa notizia, al contrario di quanto accada per i milioni di microimprese che alimentano la nostra struttura produttiva. Il 14 febbraio scorso, il ministro del Lavoro Sacconi, dopo aver raggiunto l’ accordo con le Regioni, aveva annunciato: «Non è la riforma degli ammortizzatori sociali, ma forse qualcosa di più».

Con le parole di ieri di Berlusconi sappiamo che questo “qualcosa di più” non sarà certo riservato né ai lavoratori delle piccole imprese, né ai quattro e più milioni di lavoratori temporanei oggi presenti in Italia. (Beh, buona giornata).

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Crisi globale: “Una sinistra all’altezza dei problemi dovrebbe saper indicare una serie di scelte che hanno il pregio dell’efficacia sistemica.”

di TOMMASO DE BERLANGA – Il Manifesto

Il vertice straordinario dei capi di governo Ue si è concluso con un terribile nulla di fatto. Bocciato il piano di aiuti all’Est, i 27 premier si sono limitati a promettere interventi “caso per caso”. Una non-scelta che avvicina a grandi passi la bancarotta per diversi paesi di quell’area.
Stessa, assoluta, mancanza di idee per quanto riguarda gli asset tossici presenti nei bilanci bancari e che bloccano il rifornimento di liquidità all’economia reale: ogni paese se la vedrà da solo, ma in modo (forse) “coordinato”.

C’è un problema di interessi nazionali divergenti, ma soprattutto di cultura economica. I 27 leader sono cresciuti a champagne e neoliberismo, scolaretti modello di un “pensiero unico” che perseguiva l’integrazione incrementando la concorrenza e la libertà assoluta dell’impresa. Un programma strutturalmente contraddittorio che ha potuto ottenere risultati, a fronte di costi sociali incalcolabili, solo in presenza di una lunga fase di crescita economica. Ma che si rivela dannosa – e irrealizzabile – in una fase di profonda depressione.

Questa “politica” si è infatti fondata su una “deflazione salariale” ultraventennale, che ha congelato i salari occidentali delocalizzando parti consistenti della manifattura. Ancora oggi, con milioni di posti di lavoro un fumo e il moltiplicarsi del ricorso ai “contratti di solidarietà” (una socializzazione della riduzione di reddito), dalla Ue e dalla Bce arriva una sola raccomandazione: inchiodare a zero qualsiasi rivendicazione salariale. Peggio ancora Berlusconi, che rifiuta persino di introdurre i sussidi di disoccupazione.

La destra razzista e xenofoba cavalca la crisi indicando nemici di comodo (zingari, migranti, stranieri), nella speranza che intanto il vecchio meccanismo si rimetta in moto. La sinistra si lecca le ferite proponendo, nel migliore dei casi, ragionamenti non sempre lineari. Un tragico divario di efficacia comunicativa.

Il cuore del problema è la tenuta del sistema del credito. La politica dei “salvataggi” è stata fin qui costosissima e inutile, vista la sproporzione quantitativa tra voragini nei conti e disponibilità in mano ai singoli governi. Una sinistra all’altezza dei problemi dovrebbe saper indicare una serie di scelte che hanno al tempo stesso il pregio dell’efficacia sistemica e dell’individuazione dei responsabili più indifendibili del tracollo in corso: banchieri, piazze finanziarie, “gestori di patrimoni”, ecc.

Jacques Attali, un mese fa, si è lasciato sfuggire un “bisognerebbe europeizzare le banche in crisi, non nazionalizzarle” o lasciarle in mano a quegli irresponsabili. “Europeizzare” significa trasformare le banche in un “servizio pubblico” sotto il controllo di un’istituzione europea di alto profilo. Ma una simile scelta porta con sé necessariamente tre iniziative per dare all’integrazione europea un volto diverso da quello fin qui dominante.

– Una politica fiscale continentale (armonizzare i vari sistemi nazionali per contrastare le delocalizzazioni incentivate da sconti fiscali locali);

– un’unica politica salariale per armonizzare i differenziali retributivi e di potere d’acquisto (e contrastare il dumping sociale);

– una politica industriale continentale che, riconvertendo gli attuali “fondi europei” (Fas, Fse, ecc), definisca “cosa vogliamo produrre, in che quantità, dove, in che modo”.

In una parola, un ripensamento globale dell’Europa che salvaguardi il “lato buono” della globalizzazione (il superamento dei conflitti commerciali) e ne elimini quelli negativi e impoverenti.

L’orizzonte prossimo più realistico non vede profilarsi la possibilità di una “ripresa” del vecchio meccanismo, ma pone la centralità della tenuta sociale. Il rischio principale è ancora quello della guerra di tutti contro tutti. Ovvero una Weimar al cubo. (Beh, buona giornata).

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Disoccupaaati? Tiè!

«L’assegno di disoccupazione proposto dal Pd? Non è sostenibile». Berlusconi dixit. Beh, buona giornata.

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Finanza - Economia - Lavoro Lavoro Leggi e diritto

“L’attacco al diritto di sciopero è un attacco alla democrazia.”

ricevo e pubblico (Beh, buona giornata):

Con le nuove norme previste dal Governo sul diritto di sciopero si sta andando rapidamente verso un nuovo
e pericolosissimo capitolo del più vasto tema della limitazione delle libertà sindacali e costituzionali, della
democrazia nel mondo del lavoro e nella società.
Dietro un linguaggio formalmente tecnicistico, presentato come un intervento per il solo settore trasporti, il
governo predispone la legislazione per gestire la fase attuale e futura di grave crisi economica e le
conseguenti risposte dei lavoratori al tentativo di farne pagare a loro il costo. Ciò è confermato dal fatto che
il governo ha annunciato norme che dovrebbero impedire di bloccare strade, aeroporti e ferrovie, forme di
lotta utilizzate da tutti i lavoratori in casi particolarmente drammatici.
L’attacco al contratto nazionale, le nuove norme che si intendono introdurre sulla rappresentatività
sindacale, la nuova concertazione tra governo, confindustria e sindacati confederali che si è trasformata in
una vera e propria alleanza neocorporativa, sono elementi finalizzati ad impedire le rivendicazioni e la difesa
dei diritti dei lavoratori. Ciò avviene proprio quando più grave è la crisi economica, più pesanti le
conseguenze per i lavoratori e maggiore la necessità di risposte determinate.
Lo scopo del governo è quello di imporre per legge la pace sociale, vietando e criminalizzando il diritto
di sciopero. Di ridurre al silenzio i lavoratori mentre si celebrano i misfatti nel settore dei trasporti –
Fs , Tirrenia, Alitalia – con migliaia di esuberi, di messa in mobilità, di licenziamenti e il relativo
aggravio sulla qualità del servizio e dei costi
UN COLPO DI MANO CHE VA SVENTATO SUL NASCERE , INSIEME A TUTTI I TENTATIVI PROTESI A
METTERE AL BANDO LA COSTITUZIONE E I DIRITTI FONDAMENTALI.
Illegittima e autoritaria l’ipotesi di consegnare lo sciopero, che è un diritto individuale sancito dalla
Costituzione, alla disponibilità gestionale di sindacati che rappresentino il 50% dei lavoratori; assurdo
perché in molte aziende la sindacalizzazione non arriva neanche al 50%. Nonché il referendum preventivo
che tende a dilazionare e snaturare l’azione di sciopero, già oggi estremamente contrastata dalle limitazioni
della Commissione di Garanzia e dai ripetuti divieti del governo. Altrettanto improponibile è l’adesione
preventiva allo sciopero, un non senso giuridico che prevederebbe l’impossibilità del singolo di poter mutare
il proprio atteggiamento rispetto ad un’azione sindacale indetta. Inaccettabile infine la forma di lotta virtuale
che di fatto elimina il diritto di sciopero ed assegna alle parti la capacità/volontà di individuare la “penale”
per l’azienda in caso di “sciopero lavorato”, mentre ai lavoratori si ritira l’intera giornata di lavoro: quindi la
perdita secca della giornata per il lavoratore ed una impercettibile riduzione dei profitti per l’azienda.
Contro questo ennesimo tentativo di eliminare il diritto di sciopero rispondiamo con la mobilitazione
immediata contro governo e padroni, cisl, uil e ugl e finalizzando a questo obbiettivo gli scioperi già
programmati a partire da quello per il trasporto aereo del 4 marzo.
Il sindacalismo di base ha indetto una manifestazione nazionale a Roma il 28 marzo e uno
sciopero generale per il 23 aprile anche per difendere il diritto di sciopero e la democrazia
sindacale
Cub – Confederazione Cobas – SdL intercategoriale
26 febbraio 2009

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Finanza - Economia - Lavoro Lavoro Popoli e politiche

Crisi economica globale: catastrofi e catastrofisti.

di Steve Watson – Infowars.net

Il crollo delle banche è già avvenuto. La crisi è la peggiore di sempre. Il sistema finanziario si è effettivamente disintegrato. Un’insurrezione sociale di massa è probabile.

Un’ondata di economisti, investitori e altri esperti finanziari durante il fine settimana ha pronunciato una serie di terribili ammonimenti riguardanti la crisi finanziaria globale, nei quali hanno dichiarato che una nuova era di caos ha preso piede in tutto il globo.
Alcuni hanno affermato che un collasso bancario totale sia già avvenuto, mentre altri hanno dichiarato che la recessione sia ormai la peggiore mai registrata, superando di gran lunga la grande depressione.

Il gestore di hedge fund e miliardario filantropo George Soros ha detto che il sistema finanziario si è effettivamente disintegrato, con turbolenze più gravi che durante la grande depressione e con un declino paragonabile alla caduta dell’Unione Sovietica.

L’ex presidente della Federal Reserve Paul Volcker ha detto di non poter ricordare nessun momento, neppure nella grande depressione, in cui le cose siano andate giù in modo così veloce e altrettanto uniforme in tutto il mondo.

L’analista dei mercati finanziari Martin D. Weiss ha dichiarato che il crollo bancario si è già verificato e un grave tracollo di Wall Street è ormai imminente.

Un soggetto leader nelle previsioni, la National Association for Business Economics, ha messo in guardia sul fatto che la recessione è destinata a peggiorare e il tasso di disoccupazione potrebbe raggiungere il 9% quest’anno, il 10% l’anno prossimo e continuerà a crescere nel 2011. Nel 2008, il tasso di disoccupazione era in media del 5,8%, il più alto dal 2003.

Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, professori di finanza rispettivamente dell’Università del Maryland e dell’Università di Harvard, hanno detto che la crisi «non avrebbe potuto essere più grave», mentre avvertivano che, se mantenute le medie delle precedenti crisi, gli americani possono attendersi che la disoccupazione raggiunga l’11 o il 12 per cento, che i prezzi delle case calino a livello nazionale del 36%, le scorte  perdano più della metà del loro valore, e la produzione reale pro capite precipiti del 9,3%.

L’economista Nouriel Roubini della New York University ha previsto un decennio perduto di stagnazione in stile giapponese (una micidiale combinazione di stagnazione, recessione e deflazione), ma su base mondiale.
«L’economia mondiale è ormai letteralmente in caduta libera, poiché la contrazione dei consumi, della spesa in conto capitale, degli investimenti immobiliari, della produzione, dell’occupazione, delle esportazioni e importazioni, si sta accelerando anziché rallentare», ha scritto Roubini.

Sebbene l’amministrazione Obama abbia negato che stia pianificando di nazionalizzare gruppi di banche statunitensi, gli speculatori hanno affermato che ciò sta già avvenendo e continuerà se Obama converte le azioni privilegiate del governo in Citigroup Inc. in più comuni azioni ordinarie al fine di aiutare l’impresa a sopportare le perdite. Il Tesoro ha anche annunciato che è pronto a gettare via ancora più soldi nelle banche, in aggiunta ai trilioni di dollari dei contribuenti dileguatisi finora.

Mentre alcuni economisti si sono rassegnati ad accettare questa come “l’unica via d’uscita”, Jim Cramer della CNBC ha ammonito che la nazionalizzazione schiaccerebbe l’America e farebbe sprofondare il sistema finanziario in «un mondo di caos», che nel corso della storia ha portato a «gravissime rivolte e disordini sociali».

Analoghi reportage e analisi hanno recentemente previsto che il mondo sia alla vigilia di gravi disordini sociali a causa della crisi finanziaria. Il fine settimana ha visto le proteste raggiungere il punto di ebollizione in Irlanda, i governi in Islanda e Lettonia sono già stati rovesciati, mentre la polizia del Regno Unito si sta preparando per una “estate di scontento” e proteste di massa contro la cattiva gestione della crisi economica da parte del governo.

Un aumento delle esercitazioni addestrative sulla guerra urbana lungo tutti gli Stati Uniti non è di buon auspicio, alla luce di tali resoconti, dato in particolare che Northcom ha sottolineato che la partecipazione attiva di truppe all’interno degli USA sarà designata ad affrontare «disordini civili e di controllo della folla».

Naturalmente, da questo caos, come abbiamo sempre avvertito per oltre un decennio, si sta presentando un nuovo ordine. Oggi il primo ministro britannico Gordon Brown ha fatto appello a un “New Deal globale”, che contemplerebbe misure restrittive” del governo su tutti i mercati finanziari, compresi gli hedge fund.

In sostanza, questo sarebbe l’ultimo chiodo nella bara del libero mercato, e inaugurerebbe un nuovo periodo di governo regolato globale del sistema finanziario. (Beh, buona giornata).

Articolo originale: Steve Watson, Analysts: New Era Of Chaos Has Taken Hold, Infowars.net
Traduzione di Pino Cabras per Megachip.

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Agcom li multa, loro continuano. E’ una nuova strategia di marketing?

Negli ultimi mesi una serie di procedimenti diretti a verificare la corretta osservanza – da parte di alcuni operatori telefonici – delle norme in tema di portabilità del numero, servizi non richiesti, indici di qualità, applicando sanzioni per complessivi 2.804.000 euro, hanno portato, come annuncia la stessa Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) a multare i cinque principali operatori nel mercato italiano: Vodafone è stata multata con 1.680.000 euro; Telecom Italia con 536mila euro; Opitel, che è l’azienda che gestisce Tele 2 Italia con 348mila euro; Bt Italia ed Eutelia con 120mila euro ciascuna.

Le sanzioni inflitte a Vodafone, per un totale di 1.680.000 euro, riguardano innanzi tutto la violazione delle norme relative alla mobile number portability e in particolare: 1.440.000 euro per aver illegittimamente ostacolato le richieste di trasferimento di utenti verso operatori concorrenti; 240.000 euro per aver utilizzato in modo improprio i dati dei clienti che avevano chiesto la portabilità del numero verso un altro operatore.

Telecom Italia viene invece multata per diverse violazioni della normativa a tutela dei consumatori: 240.000 euro per aver utilizzato in modo improprio i dati dei clienti che avevano chiesto la portabilità del numero verso un altro operatore; 180.000 euro per aver addebitato servizi a sovrapprezzo non richiesti; 116.000 euro per il mancato raggiungimento degli obiettivi di qualità stabiliti per l’anno 2007, sia per quanto riguarda il tasso di malfunzionamento delle linee di accesso più alto del dovuto, sia per i tempi di riparazione dei guasti superiori a quelli previsti.

Opitel (Tele2 Italia) viene punita per aver attivato servizi non richiesti ad utenti che si ritrovavano, senza saperlo, ad essere clienti della società; in questo caso l’Autorità non ha ritenuto sufficiente la proposta di impegni presentata dall’operatore, «in quanto non conteneva alcuna modifica migliorativa rispetto agli obblighi già imposti dalla normativa di settore a tutti i gestori».
Infine 240.000 euro complessivi (120.000 ciascuno) è la multa per Bt Italia ed Eutelia, per la violazione della normativa sui servizi a sovrapprezzo.
Quello che colpisce è la reiterazione delle infrazioni e il fatto che sia un costume generalizzato a tutti gli operatori. Tanto da far pensare che abbiano fatto “cartello”, cioè che si siano accordate sulla violazione della normativa. Dal che deriverebbe il fondato sospetto che venga calcolato il rischio delle eventuali sanzioni pecuniarie, a priori nei piani tariffari, tanto più che le somme dovute dalle sanzioni sono un costo accettabile, visti i fatturati delle compagnie telefoniche.
Il che configurerebbe una strategia di marketing, poco ortodossa, ma tutto sommato conveniente: forzo le norme, incamero i proventi, pago le sanzione e alla fine faccio comunque profitti. Non è etico? Tanto i clienti si incazzano, ma poi gli passa, anche perché, in barba alla concorrenza, non è che cambiando gestore cambia la situazione: lo fanno tutti! E possono continuare a farlo, perché la “class action”, cioè la possibilità di intentare cause civili collettive contro i cattivi comportamenti delle grandi compagnie è stata rinviata di due anni, dal decreto “milleproroghe” varato dal governo.
Due anni coincidono con la presunta durata dell’attuale crisi economica, che colpisce tutti i consumi, con il conseguente calo dei fatturati delle aziende. Però, la telefonia tiene, sia dal punto di vista dei consumi che dei fatturati. Forse adesso è chiaro perché. Beh, buona giornata.

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro Natura Salute e benessere

Energia nucleare? No, grazie.

“Dovremo affrontare la costruzione e la realizzazione di centrali nucleari in Italia”. Berlusconi dixit. Beh, buona giornata.

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro

La crisi economica che in Italia non c’é.

«Vorrei qui sottolineare che il mio Paese si trova in una situazione relativamente migliore rispetto a quello che i miei colleghi hanno riferito dei loro Paesi», ha sottolineato Berlusconi nel corso di una conferenza stampa congiunta con gli altri leader.

L’Italia è in una situazione migliore, ha sottolineato Berlusconi, «perché ha un sistema bancario solido, le banche italiane non sono state coinvolte dai titoli tossici, le famiglie italiane sono delle famiglie risparmiatrici e ogni italiano che perde il lavoro ha una totale assistenza sanitaria e percepisce il 70% di quella che è la sua principale retribuzione». Beh, buona giornata.

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Finanza - Economia - Lavoro Natura Popoli e politiche

Greenpeace al vertice di Berlino: “Se il mondo fosse una banca, lo avreste già salvato”.

(fonte:ilmmessaggero.it)

Durante il vertice di Berlino trenta attivisti di Greenpeace hanno accompagnato i leader europei mostrando uno striscione su scritto “Se il mondo fosse una banca, lo avreste già salvato”.

Greenpeace – informa una nota – chiede a Berlusconi e gli altri leader europei riuniti oggi a Berlino per i preparativi del prossimo G20, che facciano il massimo per sostenere con urgenza un “New Deal” verde per risolvere sia la crisi economica che la crisi climatica che minacciano il Pianeta. «Nel tentativo di salvare l’economia, i nostri leader hanno l’opportunità di sviluppare un piano di stimolo per creare centinaia di migliaia di posti di lavoro verdi per fronteggiare i cambiamenti climatici. Se invece l’Europa sceglierà un futuro energetico sporco e pericoloso, puntando su carbone e nucleare, gli impatti del riscaldamento globale faranno sembrare le difficoltà economiche di oggi insignificanti», afferma Karsten Smid, della campagna sul clima di Greenpeace.

La prossima Conferenza ONU sui cambiamenti climatici di Copenhagen – a dicembre – sarà un appuntamento storico che non deve essere disatteso. Greenpeace chiede al l’Unione europea di prepararsi a questo appuntamento investendo in una ripresa verde dell’economia, e impegnando circa 35 miliardi di euro all’anno per aiutare le economie in via di sviluppo a ridurre le proprie emissioni di gas serra, proteggere le foreste tropicali e mettere in atto misure di adattamento. Questa cifra rappresenta la quota europea di un fondo mondiale di 110 miliardi di euro all’anno, da oggi al 2020, che tutti i Paesi industrializzati dovrebbero contribuire a creare per trovare un accordo a Copenhagen. (Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

Tra i due litiganti, il terzo perde il posto.

Il Governatore della Banca d’Italia:

Le ripercussioni sull’occupazione non si sono ancora pienamente manifestate; gli indicatori disponibili per i mesi più recenti prefigureranno un netto deterioramento”. “La caduta della domanda può colpire con particolare intensità le fasce deboli e meno protette, i lavoratori precari, i giovani, le famiglie a basso reddito”.

Il Ministro dell’Economia:

Sull’allarme del numero uno di Bankitalia arriva a distanza la replica di Tremonti. Che in una conferenza all’Aspen dice che “il governo ha da tempo gestito nei termini che poteva e doveva problema: pochi giorni fa abbiamo siglato con le Regioni un importante accordo sugli ammortizzatori sociali, siamo convinti di aver visto per tempo i fenomeni e di averli gestiti nel modo migliore”.

Beh, buona giornata.

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Finanza - Economia - Lavoro

“La prossima settimana il mondo potrebbe avvitarsi in una depressione, ma se accadrà sarà solo responsabilità nostra, cioè dei nostri governanti.”

di Francesco Giavazzi da corriere.it

 Ci siamo infilati in una situazione assurda. I prezzi delle attività finanziarie, e quindi la ricchezza delle famiglie, sono precipitati, quasi che le economie del mondo fossero state tutte rase al suolo da un bombardamento globale, come la Germania nel 1945. In pochi mesi nel mondo è stata bruciata ricchezza per un valore di circa 40 mila miliardi di dollari. In una settimana Wall Street ha perso il 13 per cento; in poco più di un anno il valore delle azioni americane si è dimezzato. Ma non c’è stato alcun bombardamento: le aziende sono ancora tutte lì, anche le case, anche le nostre risorse naturali e i lavoratori hanno la medesima esperienza oggi che avevano ieri. È la sfiducia che ha trascinato il mondo in questa situazione assurda ed è da lì che occorre partire. La prossima sarà una settimana cruciale.

Se la caduta di Wall Street non si arresta, il vortice rischia di accelerare: un’ulteriore caduta della ricchezza delle famiglie americane rallenterebbe ancor più i consumi e cancellerebbe gli effetti dello straordinario piano fiscale approvato la scorsa settimana dal Congresso. Che fare? Innanzitutto non dimenticare che (grazie alla globalizzazione) mai il mondo era cresciuto tanto rapidamente quanto nel decennio precedente la crisi. E non solo i Paesi ricchi: per la prima volta anche l’Africa sub-sahariana aveva cominciato a crescere. Certo, c’erano molte debolezze: il prezzo delle abitazioni in qualche Paese era salito troppo; negli Stati Uniti ad alcuni immigrati recenti erano stati concessi mutui che non potevano permettersi; le banche si erano illuse di aver diversificato il rischio e invece spesso non lo avevano fatto; la regolamentazione faceva acqua; il Congresso aveva consentito che Fannie Mae e Freddie Mac, istituzioni che avrebbero dovuto essere dei semplici fondi di garanzia, si trasformassero in speculatori aggressivi, trasferendo il rischio su contribuenti ignari.

Ma tutto questo non giustifica l’abisso in cui siamo caduti. I mutui negli Stati Uniti oggi non valgono praticamente più nulla e tuttavia il prezzo delle case è sceso del 20-30%, non si è azzerato. Nelle città americane le abitazioni non sono scomparse, sono ancora tutte lì: varranno meno di due anni fa, ma dubito che non valgano più nulla. Come riportare il mondo alla ragionevolezza, come arrestare questa spirale perversa? È possibile e potrebbe non costare nulla. Il vortice in cui sono entrate le Borse dipende dalle banche: in una settimana Citigroup ha perso metà del suo valore e un’azione oggi vale meno di due dollari (ne valeva 50 un anno e mezzo fa). Ma la banca non è fallita: lo sarebbe se davvero pensassimo che le case e le aziende americane non valgono più nulla, ma così non è. Per far uscire i mercati dal vortice della sfiducia il governo americano dovrebbe garantire tutte le attività finanziarie collegate al mercato immobiliare, cioè impegnarsi ad acquistarle a un prezzo prefissato, superiore all’attuale prezzo di mercato.

Una simile garanzia rialzerebbe immediatamente i prezzi e con essi la ricchezza delle famiglie. Risolverebbe anche i problemi delle banche. Come per Citigroup, se le banche americane siano, o meno, fallite, dipende dai prezzi delle attività che hanno in bilancio: se il prezzo di questi titoli è zero sono tutte fallite; se il prezzo è ragionevole non lo è nessuna (ieri il governatore Draghi ha proposto garanzie pubbliche non sullo stock di attività oggi detenute dalle banche, ma sui nuovi prestiti, un intervento che va nella medesima direzione e aiuterebbe a far ripartire il credito alle nostre aziende). A quale prezzo dovrebbero essere offerte queste garanzie? Certo non ai prezzi precedenti la crisi, ma nemmeno ai prezzi di oggi, che per molti titoli sono prossimi a zero. Una possibilità è usare i prezzi precedenti il fallimento di Lehman, cioè quando i mercati già scontavano la crisi, ma prima del crollo.

E quanto costerebbero le garanzie ai governi? È probabile che su alcuni titoli il governo perda, cioè che i prezzi di realizzo siano inferiori al valore della garanzia. Ma per la maggior parte — quando il mondo tornerà alla ragionevolezza — il prezzo salirà ben oltre il valore della garanzia: in questi casi si potrebbe tassare la plusvalenza. Non solo le garanzie potrebbero non costare nulla: per i contribuenti potrebbero rivelarsi un grande affare. In questo fine settimana a Washington si è fatta strada anche un’altra idea: essa pure potrebbe spegnere il vortice senza costare nulla. Sul Washington Post Ricardo Caballero, economista del Mit, ha proposto che il governo si impegni ad acquistare fra due anni il doppio delle azioni delle quattro maggiori banche al doppio del prezzo di oggi. Il primo effetto sarebbe quello di raddoppiare il capitale delle banche tramite fondi privati.

Nello stesso tempo il prezzo delle azioni salirebbe immediatamente vicino al livello della garanzia pubblica, sollevando tutto il mercato. Anche questo provvedimento non costerebbe nulla ai contribuenti, a meno che davvero pensiamo che l’economia americana sia come la Germania del ’45. Il vantaggio rispetto alle garanzie sull’attivo delle banche è che in questo caso basta un annuncio: potrebbe accadere già domani. Delle garanzie sull’attivo delle banche ci sarà comunque bisogno, ma per quelle c’è un po’ più di tempo (qualche giorno, non qualche mese). Ciò che invece accelera il vortice è parlare di nazionalizzazioni. Nazionalizzare una banca significa azzerare (o almeno diluire) il capitale degli azionisti: non c’è da sorprendersi se questo rischio fa crollare le Borse. Fortunatamente ieri l’amministrazione Obama ha preso le distanze da chi chiede nazionalizzazioni. Nella scena più famosa di Mary Poppins, Mr Dawes, l’anziano impiegato di banca, spaventa il piccolo Michael tentando di sottrargli un penny. La gente non capisce, si impaurisce e travolge la banca. È per evitare questi panici che sono nate le garanzie pubbliche sui depositi bancari. La prossima settimana il mondo potrebbe avvitarsi in una depressione, ma se accadrà sarà solo responsabilità nostra, cioè dei nostri governanti. Il mondo non è radicalmente diverso oggi da quanto fosse un anno fa, tranne che si è persa la fiducia. È da questa osservazione che deve partire l’opera di ricostruzione. (Beh, buona giornata)

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro

La crisi pensa più velocemente di tutti quelli che vorrebbero spiegarcela.

Ancora un dato pesantissimo per l’industria italiana. L’Istat ha reso noto che a dicembre il fatturato è diminuito del 3,8% congiunturale e del 10,3% su base annua mentre gli ordinativi sono calati del 2% rispetto al mese precedente e del 15,4% rispetto a un anno prima. Dall’analisi dei settori di produzione emerge una situazione di generale crollo, con l’unica eccezione dei beni di primissima necessità: segno più, infatti, e a due cifre, per le industrie alimentari, delle bevande e del tabacco.

Nell’intero 2008 il fatturato dell’industria italiana ha registrato una lieve flessione dello 0,3%, mentre gli ordinativi sono diminuiti del 3,2%. Ma a incidere sulla flessione è stato soprattutto l’ultimo trimestre dell’anno: negli ultimi tre mesi 2008 il fatturato è infatti diminuito dell’8,3% e gli ordinativi del 18%.

Tra i vari settori, va particolarmente male quello automobilistico. Infatti a dicembre il fatturato del settore autoveicoli è crollato del 29,6% rispetto a dicembre 2007 e gli ordinativi sono andati a picco del 33,3%. Se si considera la media del 2008, gli autoveicoli hanno registrato un calo del 7,6%, la diminuzione maggiore dal ’93. Gli ordinativi sono diminuiti nel corso dell’anno dell’11,4%, la contrazione più significativa dal ’92.

A dicembre è in maggiore sofferenza il fatturato nazionale (-11,4%), mentre quello estero cala del 7,6%. Nella media 2008 il fatturato nazionale cala dello 0,5% e quello estero dello 0,1%. Al contrario, gli ordinativi registrano un calo maggiore in ambito estero (-19,7% a dicembre e -6,6% nella media 2008), mentre in ambito nazionale la riduzione è più contenuta (-13,1% a dicembre gli ordinativi nazionali, -1,3% la media 2008; -19,7% il calo sugli ordinativi esteri a dicembre, -6,6% la media 2008).

Guardando invece ai settori, i beni di consumo a dicembre hanno registrato un significativo aumento per quanto riguarda il fatturato ( 3,2%, distinto in -11,4% per i beni durevoli, e -6,5% per i beni non durevoli), mentre scendono i beni strumentali (-10,2%), i beni intermedi (-16,3%) e l’energia (-28,8%). Speculare l’andamento della media 2008: -0,1% beni di consumo, -2,5% beni strumentali, -1,7% beni intermedi e però 13,5% energia.

Più in dettaglio, nella tabella dei settori di produzione ci sono pochissimi segni più. Riguardano, per il solo mese di dicembre, le industrie alimentari, delle bevande e del tabacco ( 11,4%, 6% per la media 2008) e l’industria della carta, stampa ed editoria ( 1,2%, ma -0,9% sull’anno). Per il resto a dicembre ci sono una serie di cali a due cifre: estrazione di minerali (-26,5%), raffinerie di petrolio (-28,2%), produzione di metallo e produzione di mezzi di trasporto (-17% in entrambi i casi), fabbricazione di prodotti chimici e fibre sintetiche (-18,1%). Cali più contenuti per le industrie tessili e dell’abbigliamento (-1,3%) e delle pelli e calzature (-8,5%). (Beh, buona giornata).

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro

In tempi di crisi siamo tutti sulla stessa barca. Anche se è uno yacht.

 La crisi colpisce anche il mercato del superlusso: il leader mondiale degli yacht di lusso, Rodriguez, ha subito un pauroso crollo nelle vendite che nel primo trimestre dell’esercizio 2008-2009, da ottobre a dicembre scorso, si sono praticamente dimezzate: da 84,6 milioni di euro l’anno prima, a 41,7 milioni. Ma il futuro si preannuncia altrettanto oscuro: tra febbraio 2008 e 2009 gli ordini sono scesi del 41%, il titolo in Borsa ha perso nel 2008 oltre il 90% del suo valore, dai 50 euro nel 2006 il titolo è oggi a tre euro. Rodriguez, che ha perso 47 milioni di euro nel 2007-2008, ha annunciato in dicembre che non rispetterà più gli impegni con le banche, con le quali discute da due mesi per ristrutturare il suo debito di 150 milioni di euro. Beh, buona giornata.

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

Chi paga la crisi economica.

Nel 2009 ci sono circa 3,5 milioni di posti di lavoro a rischio in Europa. Sono le ultime previsioni della Commissione Ue, in base alle quali è attesa quest’anno una contrazione complessiva dell’occupazione pari all’1,6%. «L’ulteriore deterioramento della situazione del mercato del lavoro prevista nei prossimi mesi riflette il forte crollo della fiducia di consumatori e imprese registrato in dicembre e confermato nel mese di gennaio». Tra i settori più colpiti quello dell’auto, quello dei servizi finanziari, quello meccanico e quello dei trasporti, con una annunciata perdita netta di oltre 100.000 posti di lavoro da ottobre 2008 a gennaio 2009. Beh, buona giornata.

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