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La quarta crisi.

E’ un fatto che l’intrattenimento condizioni l’informazione, che la stessa sia “condizionata” dagli introiti pubblicitari, senza i quali le testate giornalistiche rischiano la chiusura. E’ un fatto che la crisi dei consumi riguardi anche il “consumo” di informazioni. E’ un fatto che la comunicazione abbia assunto un ruolo determinante nella politica dei governi, spesso come grande diversivo, per orientare le opinioni pubbliche a favore di scelte e a detrimento di altre, non solo durante le campagne elettorali, ma anche durante l’azione di governo. La crisi che sta attraversando il mondo dei media rischia di mettere in secondo piano la difesa del diritto a una informazione corretta, il diritto a una comunicazione libera. La crisi degli investimenti pubblicitari spinge sempre più a “catturare” l’attenzione verso le marche globali, invece che a “liberare” l’attenzione di molti verso la democrazia della comunicazione, verso la democrazia nella comunicazione.

La realtà ci dice ¬- ci direbbe – che per esempio la crisi ambientale, cui il “20-20-20” dovrebbe porre rimedio è strettamente connessa ad altre due crisi, con un tempismo storico inedito nella storia politica, economica e sociale recente. Questo fenomeno, che qualcuno ha definito “tempesta perfetta” vede la concomitante esplosione di contraddizioni, derivate dalla crisi ambientale, dalla crisi energetica e dalla crisi finanziaria globale, che ha presto violentemente impattato contro l’economia globale, fin dentro le economie nazionali.

Poiché è noto che la crisi ambientale ha implicazioni dirette e fortemente connesse con la crisi energetica e con quella economica e finanziaria, teoricamente una vasta e articolata azione di comunicazione e informazione sulle tematiche ambientali sembrerebbe essere la chiave di volta per approcciare l’opinione pubblica in modo efficace, tanto da poter provocare un vasto consenso attorno a un deciso cambio di passo nel nostro modello di sviluppo e dunque negli stili di vita, come sarebbe, per esempio, aderire con entusiasmo al “20-20-20”: la riconversione industriale migliorerebbe i prodotti, dunque i consumi; lo sviluppo di energie alternative favorirebbe la nascita di centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro; le due cose insieme garantirebbero una migliore qualità della vita, più compatibile con la biodiversità, la salvaguardia del patrimonio ambientale che, soprattutto in un paese come l’Italia, potrebbe dare l’abbrivio a ulteriori opportunità di crescita economica e occupazionale. Teoricamente, è bene ribadirlo.
Favorito dai media dominanti, si sta verificando un atteggiamento conservativo e refrattario alle novità, a qualsiasi cambiamento.

“Il mondo è cambiato e noi dobbiamo cambiare assieme al mondo”, ha detto Barack Obama. Il fascino che è venuto creandosi attorno alla sua ascesa alla Casa Bianca ha lasciato intendere che la voglia di essere immersi in un panorama di innovazioni avrebbe potuto trasformare, non solo la politica ma la vita quotidiana di milioni di americani, delusi, frustrati e spaventati dalla crisi economica, che ha impoverito la middle class, oltre che la maggioranza dei cittadini.
Tuttavia, le resistenze ai cambiamenti sono forti. Essi sono incardinate nelle politiche “neo-liberiste” che negli ultimi vent’anni hanno caratterizzato i governi occidentali, tra cui l’Italia.

Dice Naomi Klein in “Shock economy” (Rizzoli, 2007), libro che sembra essere stato premonitore della crisi attuale: “E’ assolutamente possibile, certo, avere un’economia di mercato che non richieda una simile brutalità e non necessiti di tale purezza ideologica. Un mercato libero dei prodotti di consumo può coesistere con una sanità pubblica, con scuole pubbliche, con un ampio segmento dell’economia, come una compagnia petrolifera pubblica, saldamente in mano statale. E’ parimenti possibile richiedere che le grandi aziende paghino salari decenti e rispettino il diritto dei lavoratori di costituirsi in sindacati; e che i governi tassino e ridistribuiscano la ricchezza, cosi che le aspre diseguaglianze che affliggono lo Stato corporativo siano ridotte. Non è obbligatorio che i mercati siano fondamentalisti.”

Il fatto è che le classi dirigenti attualmente in carica nei governi europei sono tutte provenienti da ceti politici e sociali che hanno profondamente creduto al neoliberismo, per quelle politiche hanno vinto le elezioni, per l’attuazione di quei programmi elettorali siedono in maggioranza nei Parlamenti e nei governi. Questo stato mentale dei governanti europei è stata ben sintetizzato dallo slogan di Green Peace, durante il vertice economico di Berlino: “Se il mondo fosse una banca, lo avreste già salvato”.
Zigmunt Bauman ha detto: “La reazione (dei governi, ndr) finora per quanto possa apparire imponente e addirittura rivoluzionaria, per come emerge dai titoli dei media e dalle dichiarazioni dei politici, è stata la solita: il tentativo di ricapitalizzare i prestatori di denaro e di rendere i loro debitori nuovamente in grado di ricevere credito, così il business di prestare e prendere in prestito, di indebitarsi e mantenersi indebitato potrebbe tornare alla “normalità”. Il “welfare state” per i ricchi (che a differenza del suo omonimo per i poveri non è mai stato messo fuori servizio) è stato riportato in vetrina, dopo essere stato temporaneamente relegato nel retrobottega, per evitare invidiosi paragoni.”

Se i governi appaiono frastornati, a maggior ragione disorientate sono le opinioni pubbliche. Alla crisi ambientale, alla crisi energetica e alla crisi economica, si è aggiunta una quarta crisi: è la crisi dell’informazione. Il mondo dei mass media è in crisi in tutto il mondo. E con i mass media è di conseguenza andata in crisi la pubblicità.
Sir Martin Sorrell fondatore e Ceo di Wpp, colosso britannico della pubblicità mondiale sostiene che “nel giro di un paio d’anni assisteremo a un radicale cambiamento rispetto agli attuali equilibri. Sempre meno giornali, sempre più internet e broadcaster televisivi “tradizionali” che cederanno via via terreno nei confronti di nuovi modelli d’ intrattenimento e informazione audiovisiva”.

Le previsioni che riguardano i grandi giornali americano sono brutte. Il New York Times per ripianare i bilanci in rosso ha dovuto vendere il grattacielo disegnato da Renzo Piano, che ospita la redazione a New York; il Wall Street Journal, divenuto di proprietà di Rupert Murdoch, ha annunciato tagli e licenziamenti pari al 50 per cento degli addetti. Se questi eventi fanno pensare a una discesa più ampia della stampa americana, anche dall’Europa non giungono buone notizie. In particolare in Spagna, dove alcuni editori di giornali e tv italiani hanno forti interessi, la crisi ha colpito duramente: il crollo della raccolta pubblicitaria rasenta il 30 per cento, mentre cinquecento giornalisti spagnoli sono stati allontanati dal lavoro e le previsioni parlerebbero di circa tremila licenziamenti entro la fine del 2009. In Italia c’è stata la messa in stato di crisi nel gruppo Rcs. Il Gruppo Espresso registra cali di diffusione pari al 9,6 per La Repubblica, del 6 per L’espresso (dati ADS relativi al 2008)

E’ fosco lo scenario futuro del rapporto tra pubblicità e media. Nei paesi sviluppati la tv rimarrà ancora dominante, ma dall’attuale quota di mercato attorno al 30-35% scenderà al 20-25%. Internet, oggi attorno al 12% salirà anch’essa al 20-25%. E quanto alla carta stampata, vede anche qui una riduzione al 20-25%. Giornali e riviste sono i più esposti alla concorrenza dei media via internet.
Secondo l’ultima rilevazione di Nielsen, azienda americana specializzata nelle ricerche di mercato, lo scenario italiano sembrerebbe in linea con le previsioni di decrescita mondiale: il confronto fra dicembre 2008 e dicembre 2007 registra un calo del -10,0% della pubblicità italiana. Nel confronto mensile il calo interessa tutti i mezzi tranne Internet che cresce dello 0,9% sul dicembre 2007. L’analisi per mezzo vede nell’anno un calo dell’1,2% della Televisione e del 7,1% della Stampa.

Certo è, comunque che dovremo prepararci a significativi cambiamenti, spinti dalla crisi globale che ha impattato su un sistema dei media e della pubblicità già in evoluzione, ben prima che la crisi economica si facesse sentire, con tutta la sua potenza. Una volta la pubblicità era “ospite gradito” dei giornali, poi della radio, poi della tv e poi di internet. Ma la forza economica conquistata dalle grandi holding finanziarie, quotate in Borsa ha capovolto i rapporti di forza economici, a tutto vantaggio delle comunicazione commerciale.

Oggi sembrerebbe quasi che tv, stampa e internet siano diventati loro gli “ospiti fissi” della pubblicità, ospiti che devono piegarsi, nel bene e nel male, alle esigenze del padrone di casa e degli inserzionisti globali e locali. La cosa è molto evidente su scala globale, anche se ha delle serie ripercussioni su un mercato “locale” come quello italiano.
Secondo Nielsen Media Research, in Italia gli investimenti pubblicitari nel totale anno 2008 ammontano a 8.587 milioni. La variazione dicembre 2008 su dicembre 2007 è del -10,0%. Nel confronto mensile il calo interessa tutti i mezzi tranne Internet che cresce dello 0,9% sul dicembre 2007. L’analisi per mezzo vede nell’anno un calo dell’1,2% della Televisione e del 7,1% della Stampa, mentre la Radio segna +2,3% superando i 487 milioni di raccolta.

Giovanni Valentini, ex direttore de L’Espresso ha detto: ”giornali e i giornalisti sono chiamati a fare la loro parte in questa congiuntura, se vogliono contribuire a salvaguardare i bilanci delle aziende editoriali e insieme la propria professionalità. Con nuovi inserti e supplementi, nuove formule e formati pubblicitari, più in sintonia con le esigenze degli inserzionisti, per attrarre maggiori investimenti: oltre alla vendita di uno spazio, insomma, bisogna incrementare l’offerta di un servizio.”

“Tutto questo non basta” dice Hans-Rudolf Suter, il capo di STZ in Altavia, agenzia di pubblicità fondata in Italia negli anni Settanta da due svizzeri, Suter, appunto e Fritz Tschirren. Dice Suter: “la faccio breve: in ottobre il New York Times ha avuto 20 milioni di visitatori unici sul sito e venduto un milione di copie al giorno, 1,4 la domenica. Ma la tiratura – continua Suter – è in calo e i soldi in cassa basteranno fino a maggio. Poi qualcosa dovrà succedere: o vendita di giornali come Boston Globe (ma chi compra oggi un giornale?) o chiudere l’Herald Tribune, vendere gli immobili (come è stato fatto), naturalmente sono tutte soluzioni che non cambiano la realtà: lettori in calo, pubblicità in calo, economia in calo.” E conclude: “Potrebbero chiudere il giornale stampato, e andare completamente sul web, ma il sito (del resto uno dei migliori al mondo) riuscirebbe a pagare solo il 20% dei giornalisti attuali.” Un alto dirigente di un gruppo editoriale italiano sostiene che per ogni euro di pubblicità che il suo giornale perde, forse riesce a recuperare venti centesimi sul web. Evidentemente queste risorse sono insufficienti alla vita del giornale.

I giornali sono il luogo dell’informazione per eccellenza, tuttavia perdono lettori, diffusione, raccolta pubblicitaria. Si parla di messa in stato di crisi di più di un gruppo editoriale. La nascita e lo sviluppo logaritmico della tv commerciale in Italia ha dato il via a un pregiudizio che si è presto trasformato in un preconcetto contro i giornali: l’intrattenimento attira pubblicità più dell’informazione.
E’ stato un modo di pensare, da parte del mondo della pubblicità italiana, che ha penalizzato la carta stampata, che non ha permesso finora un vero sviluppo del web, ma che ha rimpinzato, fino a quasi farla scoppiare la tv di pubblicità.
Secondo Emanuele Pirella, decano dei copy writer italiani “i giornali territoriali posseggono autorevolezza e la capacità di essere sulle notizie locali di rilievo per i lettori e di trasformarsi in abili strumenti per la comprensione del mondo. Credo che i quotidiani dovrebbero scimmiottare meno i linguaggi e i modi del web e tornare alla notizia pura, approfondita e autorevole”.

“La televisione emoziona, la stampa approfondisce, il web è una opportunità per tutti”, ha scritto Lorenzo Sassoli de Bianchi di Upa, l’associazione degli inserzionisti pubblicitari italiani. Dal quale ci si può permettere di dissentire, non tanto per amor di polemica, quanto per il semplice fatto che è arbitrario attribuire cifre stilistiche ai media. “E’ un fatto assodato che la gente non legge (o guarda, ndr) la pubblicità, la gente legge (e guarda, ndr) solo quello che le interessa. Qualche volta si tratta di un annuncio pubblicitario”, ha detto una volta Howard Luck Gossage, grande copy writer americano.

Il punto della questione è: come si fa concretamente a ristabilire un equilibrio tra informazione e pubblicità? Siccome la crisi impone scelte decise, ecco la headline: depotenziare la tv, riqualificare la stampa, sviluppare il web. Infatti, se in Italia gli investimenti pubblicitari nella tv rientrassero nei parametri di spesa europei, ecco che si libererebbero risorse che andrebbero a tutto vantaggio dell’intera filiera della comunicazione commerciale: dalla stampa al web, fino al publishing, passando per tutti i veicoli sopra, sotto, accanto e oltre la linea della comunicazione commerciale.

Con il vantaggio che le idee farebbero la differenza, che la strategia di comunicazione farebbe la differenza, che la qualità e la creatività del messaggio, e non tanto la quantità dei “passaggi tv” farebbero la differenza. Aggiungerei che facendo la differenza si abbasserebbe di molto il tasso di diffidenza nei media, nelle marche, nei consumi, nella pubblicità. E se ne avvantaggerebbe anche la tv.
Un esempio? In Gran Bretagna, Bbc e Itv hanno sofferto la concorrenza di BSkyB. Però Bbc ha saputo reagire, creando quel che, è forse oggi il miglior “marchio” di servizi online al mondo.

La visione globale del panorama dei media e del loro rapporto con la pubblicità aiuta certo a comprendere i cambiamenti in atto. Ma non si devono confondere le politiche delle grandi marche globali con le dinamiche delle marche locali. Essi occupano differenti pesi specifici sui mercati e dunque possono avere un rapporto diverso con la pubblicità e differente con i media. Il tessuto connettivo dell’economia italiana è fatto di una miriade di piccole e medie imprese, alle quali bisognerebbe favorire l’accesso alla pubblicità nei media, senza che si sentano schiacciate dalle politiche dei grandi numeri che le marche globali importano e inevitabilmente impongono nel nostro paese, condizionando la vita dei media italiani, tra cui spiccano i giornali nazionali e locali.

Bisognerebbe avere il coraggio di investire in tecnologie (gli editori), in professionalità (i giornalisti). La qual cosa imporrebbe una maggiore e migliore flessibilità da parte dei pubblicitari. E attirerebbe gli inserzionisti, sempre pronti a dirottare i budget pubblicitari verso il media più promettente.
Se il ruolo e il valore economico della pubblicità sono diventati ormai imprescindibili per la sopravvivenza dell’informazione italiana (e non solo italiana) è giusto, forse a maggior ragione, pretendere che i contenuti della pubblicità siano quantomeno corretti, belli, sani e divertenti. Mai invasivi delle prerogative del diritto a una informazione democratica. (Beh, buona giornata)

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Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

Crisi, l’Ue lancia l’allarme ai governi di centro-destra.

“Le propettive dell’economia sono eccezionalmente cattive e la crisi del lavoro è a questo punto drammatica, la disoccupazione è all’8,2% pari a 13 milioni di uomini e donne disoccupati”. Il presidente dell’Eurogruppo Jean-Claude Juncke dixit. Beh, buona giornata.

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

La rabbia contro la crisi è un Caterpillar

Il direttore del personale e altri quattro manager della Caterpillar sono tenuti sotto chiave dagli operai nella sede dell’azienda a Grenoble. I lavoratori impediscono loro di uscire dall’ufficio e chiedono di riaprire le trattative arenatesi sulla decisione dell’azienda di licenziare 733 delle 2.500 persone che lavorano in Francia per la multinazionale statunitense leader nella costruzione di macchinari per il movimento terra. “Una scelta – sostengono i dirigenti – dettata dal calo delle vendite del 55%”.

“Libertà in cambio di trattativa”. “Li tratteniamo per discutere con loro”, ha detto Benoit Nicolas, delegato del sindacato Cgt. “Chiediamo che fissino una riunione coi rappresentanti del personale per sbloccare i negoziati. Loro sostengono che non ci sono margini di trattativa perché non hanno tutti i poteri – ha aggiunto il sindacalista – ma penso che si possa arrivare a qualcosa”. Caute le dichiarazioni fatte filtrare oltre la cortina di operai dal direttore “sequestrato” della sede di Grenoble, Nicolas Polutnick: “Un piano di ristrutturazione è un procedimento complesso. Senza la libertà di movimento sarà difficile poter arrivare ad un negoziato”.

Caccia al manager. Non è la prima volta che succede. Qualche settimana fa, sempre in Francia, nella caccia al manager sono incappati l’amministratore delegato della Sony France, tenuto in ostaggio una notte, e il direttore della filiale 3M, liberato solo dopo la firma di un protocollo d’accordo e l’apertura dei negoziati sul taglio di 110 posti di lavoro su 235.

Assalto alla casa del banchiere. E la Francia non è l’unico Paese europeo in cui la crisi economica provoca episodi del genere. A Edimburgo pochi giorni fa è stata assaltata la villa di sir Fred Goodwin, ex amministratore delegato della Royal Bank of Scotland, ridotta al fallimento dal management. La responsabilità dell’azione è stata rivendicata dal gruppo “Bank bosses are criminals” (“I dirigenti di banca sono criminali”). (Beh, buona giornata).

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro

Come spiegare in parole semplici la sbornia finanziaria che ha messo in crisi il mondo globalizzato.

di Debora Billi – da crisis.blogosfere.it (fonte: megachip.info)

Gira in Rete questa divertente storiella che spiega in parole povere cosa sta accadendo nel mondo della finanza. Ve la traduco.

Heidi è la proprietaria di un bar a Berlino. Per incrementare le vendite, decide di offrire ai clienti -per la maggior parte ubriaconi perdigiorno- la possibilità di bere pagando in seguito. Tiene i conti su un taccuino, concedendo in pratica agli avventori un mutuo subprime.
Quando la voce si sparge, i clienti affollano il bar di Heidi. Le vendite esplodono. Approfittando della libertà dei clienti di pagare con comodo, Heidi aumenta il prezzo per vino e birra, le bevande più richieste. I suoi profitti crescono.

Un giovane e dinamico consulente della banca locale si accorge che i debiti degli avventori sono una garanzia per il futuro, e così aumenta il credito di Heidi presso la banca. Non ha ragioni per preoccuparsi, dato che vede i debiti degli alcolisti come garanzia collaterale.

Nella direzione generale della banca, esperti di finanza trasformano gli asset del cliente in Bevibonds, Alcoolbonds e Vomitbonds. I bonds sono poi piazzati sul mercato globale. Nessuno capisce cosa significhino i nomi, o come i bonds siano garantiti. In ogni caso, il prezzo continua a a salire e si vendono alla grande.

Un bel giorno, malgrado il prezzo sia ancora in salita, un manager del rischio alla banca (che viene poi licenziato perché pessimista) decide che è ora di richiedere il pagamento dei debiti contratti dai beoni al bar di Heidi.

Ma loro non possono.

Heidi non riesce a ripagare il suo debito bancario e fa bancarotta. I Bevibonds e gli Alcoolbonds crollano del 95%. I Vomitbonds hanno una migliore performance, e si stabilizzano dopo una perdita dell’80%.

I fornitori di Heidi, che le avevano garantito pagamenti posticipati, e avevano investito nei bonds, si trovano davanti ad un disastro. Il fornitore di vino fallisce, e quello della birra viene acquistato da un concorrente.

La banca, invece, viene salvata dal governo dopo frenetiche consultazioni dei leader dei vari partiti, e i fondi necessari per l’operazione di salvataggio reperiti grazie ad una nuova tassa pagata dagli astemi. (Beh, buona giornata).

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro

Crisi economica: Berlusconi non vuol dire fiducia.

Calo record nel mese di marzo per gli indici della Commissione Ue (Esi e Bci) che misurano la fiducia e il clima imprenditoriale europei, precipitati al livello più basso dal gennaio 1985. L’esecutivo dell’Unione europea ha reso noto che l’Economic Sentiment Indicator (Esi) è calato nell’eurozona di 0,7 punti a quota 64,6 mentre nella Ue a 27 è sceso di 0,6 punti a 60,3. Il Business climate indicator (Bci) nella zona dell’euro è a quota -3,58 contro il -3,40 di febbraio e il -2,92 di gennaio.

L’Italia è maglia nera tra i grandi paesi: -4,5 punti a quota 67,1 dal 71,6 di febbraio. (Beh, buona giornata).

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

Di che cosa parliamo quando parliamo di crisi/2.

da ilmessaggero.it

Almeno 35 mila i partecipanti alla manifestazione anti-crisi e anti-globalizzazione in corso a Londra dalle 12 locali di oggi (le 13 in Italia), primo appuntamento in vista del G20 della settimana prossima. Il corteo si è svolto all’insegna dello slogan Lavoro, Giustizia, Clima. Proteste anche in Germania e in Belgio. Il G20 riunisce i 19 paesi più industrializzati (quelli del G8 in primis) con l’Unione europea. E un forum creato per favorire l’internazionalità economica e la concertazione tenendo conto delle nuove economie in sviluppo.

La protesta a Londra. Dal Victoria Embankement, lungo il Tamigi, il corteo è transitato dalla piazza del parlamento di Westminster, con alcuni gruppi che si sono staccati per fare una puntata davanti al numero 10 di Downing Street, la residenza del premier Gordon Brown attualmente in Sudamerica. Il raduno, battezzato ‘Put People First’ (La gente prima di tutto), è stato preparato da una coalizione di oltre 100 gruppi che vanno dalla Tuc, la confederazione dei sindacati britannici, agli ambientalisti, ai pacifisti e agli anarchici. Tra gli slogan più gettonati, quello coniato da Barack Obama durante la sua corsa verso la Casa Bianca: ‘Yes, we can’.

Germania. Proteste controil vertcie anche a Berlino e Francoforte. Secondo la polizia in piazza almeno 10 mila persone. Gli organizzatori parlano di 25 mila partecipanti nelle due città.

A Bruxelles una cinquantina di manifestanti hanno indossato maschere raffiguranti i venti leader mondiali del G20. (Beh, buona giornata).

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Di che cosa parliamo quando parliamo di crisi.

da repubblica.it
Onda, cobas e centri sociali contro il G8

Diretta a cura di Katia Ancona, Laura Mari e Valeria Pini

18.30 – Piazza Navona
Dopo essere entrati in piazza Navona, con caschi in testa e passamontagna sul volto, il gruppetto di manifestanti, una ventina di ragazzi in tutto, si è avvicinato ad una delle vie che porta al Senato, presieduta da un cordone di forze dell’ordine in tenuta anti-sommossa. Hanno atteso qualche minuto al centro piazza, poi si sono slacciati i caschi e sono andati via. Intanto la piazza si sta svuotando.

18.05 – Ancora una Banca
Ancora una banca nel mirino dei manifestanti. Questa volta, a finire sotto “i colpi” dei partecipanti al corteo contro il G8 del welfare, è stata la filiale della Intesa-San Paolo di corso Vittorio Emanuele. Contro la banca, ricoperta di vernice e circondata dalla nube dei fumogeni, anche lancio di bottiglie di birra.

17.56 – Brunetta
Centinaia di scarpe, qualcuna ha anche raggiunto il balcone del primo piano, sono lanciate dallo spezzone degli studenti e dei precari in marcia contro il portone del ministero della funzione pubblica in corso Vittorio.Acceso anche qualche fumogeno depositato davanti al portone. Il corteo ha ripreso la marcia.

17.50 – Caschi e passamontagna
Lancio di fumogeni dai manifestanti del corteo contro il G8 anche contro la banca San Paolo di Corso Vittorio Emanuele. Intanto una ventina di manifestanti sta entrando a piazza Navona con caschi in testa e passamontagna.

17.20 – Autorizzati
Sono tutti autorizzati i cortei che sfilano oggi a Roma per protestare contro il vertice dei ministri del Lavoro del G8 che si terrà nella capitale da domani fino al 31 marzo.
I percorsi sono stati tutti segnalati per tempo dagli organizzatori e non violano in nessun modo il protocollo che regola lo svolgimento dei cortei nella Capitale.

17.10- All’Altare della patria
Alcuni manifestanti hanno lanciato due fumogeni all’interno dell’Altare della Patria.

17.05 – La sfida
“Siamo in seimila da tutta Italia”. Gli organizzatori del corteo partito da piazza Esedra, nella capitale, per protestare contro il vertice dei ministri del Lavoro del G8 che si terrà nella capitale da domani fino al 31, stimano questa cifra sui partecipanti alla manifestazione che raggruppa vari cortei partiti da diversi punti della capitale. Dal megafono, uno degli organizzatori spiega le ragioni del corteo: “sfidiamo le nuove leggi liberticide sugli scioperi”.

16.58 – Tocca alla Carim
Lancio di vernice rossa e petardi anche contro la banca Carim di via Cavour, al passaggio del corteo contro il G8. “Vernice rosse contro tutte le banche – urla al megafono un manifestante – Adesso dovete darci il denaro, vogliamo reddito, case”.

16.50 – “Casa per tutti”
Le vetrine di un’agenzia immobiliare della Pirelli Re, in via Cavour, sono state completamente ricoperte di vernice bianca da alcuni dei partecipanti al corteo contro il G8 sociale. Accanto, con lo spray rosso, le scritte ‘casa per tutti’ e ‘soldi nostri’

16.45 – Paolo Ferrero
“Ottima manifestazione, che tiene assieme tutti gli strati sociali colpiti dalla crisi: lavoratori ex garantiti, precari, disoccupati, studenti. Quindi molto utile e importante”. Lo ha detto il segretario nazionale del Prc Paolo Ferrero che sta partecipando alla manifestazione organizzata da Cub, Cobas e Sdl che sta sfilando per le strade del centro di Roma. Una manifestazione – ha aggiunto Ferrero – che chiede al governo di cambiare politica visto che sino ad ora ha fatto solo gli interessi di chi la crisi l’ha provocata e non dei lavoratori che la stanno pagando”.

16.40 – Contatto
Il gruppo di manifestanti ha tentato di uscire dal corteo a piazza di Esquilino per dirigersi dove c’è la sede dell’assicurazione legata alla vendita delle case a via Pincherle. C’è stato un contatto con le forze dell’ordine e poi il gruppetto con il volto coperto da passamontagna è stato richiamato dagli altri manifestanti a rientrare nel corteo.

16.35 – “Palestina Libera”
Al grido di “Palestina libera” è stata esposta da San Pietro in Vincoli una bandiera Palestinese grande diversi metri. Sotto, uno striscione con la scritta “Boicottiamo Israele”. A farlo, durante il corteo dei sindacati, il Comitato che sta avviando una campagna di boicottaggio dei prodotti israeliani a seguito dell'”Aggressione alla Striscia di Gaza”.Il comitato spiega che la campagna nasce in seguito della “Aggressione alla Striscia di Gaza e il sostegno del dramma dei palestinesi”.

16.25-Momenti di tensione
In piazza dell’Esquilino un gruppo di manifestanti ha lanciato oggetti e qualche petardo in direzione della polizia schierata nei pressi del Viminale. Sono risuonate un paio di forti esplosioni. Il corteo ora sta comunque procedendo sul suo percorso e, dopo alcuni momenti di tensione, sembra senza conseguenze, tutti i manifestanti stanno riprendendo a marciare.

16.10 – Contro la Unipol
Lanci di vernice e petardi contro la Unipol di via Cavour

16.05 – A via Cavour
Il corteo con in testa le organizzazioni sindacali sta percorrendo via Cavour all’altezza della stazione della metropolitana. Il corteo è scortato da agenti delle forze dell’ordine in divisa. Sventolano bandiere di Rdb-Cub e Cobas. Tra gli esponenti politici presenti Giovanni Russo Spena (Prc), il consigliere provinciale di Sa Gianluca Peciola e il capogruppo di Sa in Campidoglio Andrea Alzetta.

16.03 – Gli striscioni
Tra gli striscioni, quello dei precari della scuola e della Cri.Tre manifestanti si sono vestiti da fantasmi: sono gli infermieri precari dell’Asl di Chieti che chiedono la stabilizzazione. “Siamo uniti tutti noi lavoratori perché questa crisi noi non la pagheremo”, scandiscono i manifestanti ai megafoni

16 -Roma blindata
In una Roma blindata il corteo, capitanato dai Cobas, vede il dispiegamento di oltre mille uomini delle forze dell’ordine per presidiare le sedi istituzionali e eventuali obiettivi sensibili ma ancora i manifestanti sono poco più che un centinaio. Muniti di bandiere di Rifondazione, anche gli studenti per esprimere “il diritto allo studio, al lavoro e al dissenso perchè -come recita uno striscone- la crisi la paghiamo noi”.

15.50 – Partiti
Al motto ‘Contro il fascismo e la repressione’ è partito a Roma il corteo organizzato dai sindacati di base, dai centri sociali e dagli studenti per protestare contro il vertice dei ministri del Lavoro del G8 che si terrà nella capitale da domani al prossimo 31 marzo.

15.40- Gli ex
Gli studenti che hanno abbandonato l’Onda si sono schierati dietro gli striscioni di Sinistra Critica

15.35 – Cobas e studenti
I cortei di Cobas e studenti si sono riuniti in piazza dei Cinquecento

15.30-Brunetta
“Se eravamo gueriglieri Brunetta tu non c’eri”. Così gli studenti dell’Onda di Napoli.

15.20 – Nessuna divisa
Ancora non è visibile nessuna divisa di polizia nè carabinieri. Ai vigili urbani il compito di chiudere il traffico al passaggio del corteo.

15.10 – Spena e Alzetta
“Stiamo riconquistando ciò che pensavano di toglierci con i manganelli”, gridano gli studenti con il megafono. Tra gli esponenti politici, presenti Giovanni Russo Spena (prc), il consiglere provinciale Gianluca Peciola e il suo omologo in campidoglio Andrea Alzetta.

15.05 – Fumogeni e petardi
Agli studenti dell’onda, ormai circa 1000, si sono uniti i migranti di action, e i rappresentanti dei centri sociali provenienti dalla stazione tiburtina. In apertura del corteo, tra fumogeni, petardi e slogan contro il protocollo sui cortei firmato da prefettura e comune di Roma.

15 – Slogan
“L’Onda è tronata ed è ancora più incazzata”, “Il corteo batte il protocollo e nessuno ci fermerà”

14.45 – Partono gli studenti
E’ partito da piazzale Aldo Moro il corteo degli studenti diretti a piazza della Repubblica. Ai manifestanti si sono uniti i rappresentanti di Action e dei blocchi precari. Secondo gli organizzatori in piazza ci sono circa 2mila persone. In testa al corteo lo striscione “Guerriglieri anomali contro il G14 per un nuovo welfare”, firmato da “Sapienza in Onda”.

14.30 – Arrivano i precari metropolitani
Con in testa un grosso striscione con su scritto “Hate G8 out of controllo” e cantando in coro “Noi la crisi non la vogliamo”, un centinaio di aderenti ai blocchi precari metropolitani (rete che include centri sociali, movimenti per la casa, studenti e Asia-Rdb) sono partiti in corteo, non autorizzato, dalla stazione Tiburtina diretti alla Sapienza, contro il vertice G8 dei ministri del Lavoro.

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Finanza - Economia - Lavoro Natura

Berlusconi disse sì senza neanche sapere che significa sì.

da repubblica.it

Gli Stati Uniti di Barack Obama intendono assumere la guida della lotta ai cambiamenti climatici. Per questo il presidente americano ha invitato i leader dei 16 Paesi più ricchi a un forum-vertice in programma a Washington il 27 e il 28 aprile, che trarrà le conclusioni al G8 della Maddalena in Italia dall’8 al 10 luglio. Lo ha reso noto la Casa Bianca. L’obiettivo finale è giungere a un nuovo accordo sui cambiamenti climatici all’Onu.

Per riattivare il “Major economies Forum sull’energia ed i cambiamenti climatici”, Obama ha scritto una lettera a Silvio Berlusconi, in cui si chiede l’aiuto dell’Italia. Berlusconi, si apprende da fonti governative, ha dato il suo via libera affinchè la riunione si tenga a margine del G8 della Maddalena.

I Paesi invitati a Washington sono Australia, Brasile, Canada, Cina, Corea del Sud, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, India, Indonesia, Italia, Messico, Russia, Sud Africa. La Danimarca parteciperà come presidente della Conferenza del dicembre 2009 in vista di una convenzione Onu sul clima. Sono state invitate al dialogo anche le Nazioni Unite.

Il presidente sta lanciando il forum su energia e clima per facilitare il raggiungimento di un accordo sul riscaldamento globale alle Nazioni Unite, ha spiegato la Casa Bianca. Al summit di Washington i leader delle principali potenze economiche “contribuiranno a generare la necessaria leadership politica” per raggiungere, più avanti durante l’anno, un patto internazionale per tagliare le emissioni di gas serra, si legge in una nota diffusa dalla Casa Bianca. (Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

Nasce il Pdl, muore l’economia italiana.

(Fonte: repubblica.it)

Ennesima frenata dell’economia. Sulla scia della recessione globale, crollano ordinativi e fatturato dell’industria italiana a gennaio. In base ai dati resi noti dall’Istat, il calo del volume d’affari è stato del 31,3% su base annua, il più basso dal gennaio 1991. Segno meno anche del fatturato che ha registrato in gennaio una diminuzione tendenziale del 19,9%. Ancora una volta i dati Istat rilevano una situazione grave dell’economia già denunciata in termini simili nel novembre scorso quando la comparazione annuale tra fatturato e ordinativi segnavano dati peggiori dal gennaio ’91.

La crisi settore per settore. I cali più significativi su base annua, sempre considerando la correzione per giorni lavorativi (a gennaio i giorni lavorativi sono stati 20 contro i 22 del gennaio 2008), si sono avuti nei settori della fabbricazione dei mezzi di trasporto (-37,1%), della metallurgia e fabbricazione di prodotti in metallo (33,3%) e della fabbricazione di prodotti chimici (-29,2%).

Per l’auto profondo rosso. Crolla pesantemente il settore auto. A gennaio il fatturato ha segnato un meno 47,4% (26,3% a dicembre). Sul mercato interno, il calo è del 42,8%, e su quello estero del 52,3% (a dicembre erano stati rispettivamente del 29,3% e del 21,3%). Si tratta di dati grezzi. Male anche gli ordinativi. (Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

La crisi economica mette in luce la lotta di classe al contrario.

da ilmessaggero.it

Gli stipendi sono fermi mentre il fisco sembra inarrestabile. In 15 anni, ogni lavoratore ha perduto 6.738 euro come minore capacità di acquisto. Lo sostiene il quarto rapporto dell’Ires-Cgil presentato oggi alla stampa, su salari, produttività e distribuzione dei redditi. Insieme alla perdita di potere d’acquisto, nel rapporto si legge, che nello stesso pericodo esaminato (1993-2008) lo Stato ha beneficiato di 112 miliardi di euro tra maggiore pressione fiscale e fiscal drag. Dall’analisi dei dati Istat – sempre secondo la Cgil – emerge come le retribuzioni di fatto dal 2002 al 2008 abbiamo accumulato una perdita del potere di acquisto pari a 2.467 euro, di cui circa 1.182 di mancata restituzione del drenaggio fiscale.

Proposta Cgil: 100 euro al mese sullo stipendio. La proposta del sindacato guidato da Guglielmo Epifani rivolta al governo, è che vengano erogati 100 euro medi di aumento mensile in busta paga, aumentando le detrazioni fiscali per lavoratori dipendenti, pensionati e collaboratori.

Più profitti per le imprese. Sempre secondo i dati diffusi dall’istituto di ricerca della Cgil, dal 1995 al 2006 i profitti netti delle maggiori imprese industriali sono cresciuti di circa il 75% a fronte di un aumento delle retribuzioni di solo il 5%.

Il reddito degli italiani. E ancora: in base alle dichiarazioni dei redditi presso i Caf Cgil, si ha che circa 13,6 milioni di lavoratori guadagnano meno di 1.300 euro netti al mese. Circa 6,9 milioni meno di 1.000, di cui oltre il 60% sono donne. Oltre 7,5 milioni dei pensionati prende meno di 1.000 euro netti mensili. Il reddito disponibile famigliare fra il 2000-2008 registra una perdita di circa 1.599 euro nelle famiglie di operai e 1.681 euro nelle famiglie con “capo famiglia” impiegato a fronte di un guadagno di 9.143 euro per professionisti e imprenditori.

Cig: penalizzate le donne. Riguardo alla cassa integrazione, un lavoratore a “zero ore” per un mese vede il suo stipendio abbassarsi dai 1.320 euro netti in busta paga ad appena 762 euro. Una lavoratrice in Cig, sempre a zero ore, con uno stipendio mensile di 1.100 euro netti passa a 634 euro netti. (Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia - Lavoro

La Cina è vicina (alla ripresa economica)?

Pechino, segnali di ripresa
e riparte l’export dei vicini

di Federico Rampini da repubblica.it

A Pechino già si intravvede la luce in fondo al tunnel della crisi. Questo almeno è il messaggio reiterato in questi giorni dai più importanti esponenti della Repubblica Popolare. Il governatore della banca centrale Zhou Xiaochuan (lo stesso che ha fatto notizia all’inizio della settimana con la proposta di una “valuta globale” per sostituire il dollaro) annuncia che vi sono già chiari segnali di una ripresa economica. “Gli indicatori più importanti – sostiene Zhou in un articolo pubblicato oggi sul sito online della banca centrale – concordano nell’annunciare una ripresa della crescita”.

Per la prima volta in modo così diretto, la tenuta dell’economia cinese viene usata per dimostrare la superiorità del sistema politico autoritario e dirigista. Il banchiere centrale infatti attribuisce esplicitamente la ripresa economica alla “azione decisiva del governo”, che mette in contrasto con i ritardi di altre nazioni. “Il nostro governo – scrive Zhou – ha varato misure di politica economica tempestive, energiche ed efficaci, dimostrando così la superiorità di questo sistema quando si tratta di prendre deicisioni politiche di vitale importanza”.

Qualche elemento di conferma sulla tenuta dell’economia cinese sembra venire anche da un paese vicino: la Corea del Sud ha visto rallentare il tracollo delle sue esportazioni. Dopo la pesantissima caduta del 34% a gennaio, a febbraio la discesa è stata del 18% e a marzo del 13%. Non sono certo cifre positive ma sembrano indicare che il crollo delle esportazioni incontra un “pavimento”. Molti esperti individuano questo pavimento nella domanda cinese. Dopo un ultimo trimestre 2008 in cui le imprese cinesi spaventate dalla crisi mondiale hanno drasticamente ridotto i loro acquisti, la necessità di ricostituire le loro scorte di magazzino ora sta rianimando gli investimenti. E i paesi vicini, molto dipendenti dal traino cinese, cominciano a risentirne qualche beneficio.

A Pechino intanto si conferma l’anomalia di un sistema bancario che gode di una salute eccezionale, se paragonata al resto del mondo. La Industrial & Commercial Bank of China Ltd., la più grande azienda di credito del paese, ha annunciato che i suoi profitti nel 2008 sono cresciuti del 35,2%. Unico segno della crisi è il rallentamento del tasso di crescita, visto che gli utili dell’istituto nel 2007 erano cresciuti del 65%. ICBC ha anche raggiunto un accordo con la Goldman Sachs per rinviare la cessione della partecipazione detenuta dal gruppo bancario americano nel suo capitale.

L’inflazione indiana rallenta allo 0,27%, un dato che offre alla banca centrale di New Delhi la possibilità di ulteriori riduzioni nei tassi d’interesse. Il rallentamento dell’indice dei prezzi è spettacolare, tenuto conto che un anno fa l’India era minacciata da una iperinflazione, e ancora a gennaio il carovita per i consumatori aveva segnato un rialzo del 10%. (Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

Gli operai della Continental in Francia: «Hanno avuto il nostro sudore, vogliono il nostro sangue, non avranno il nostro culo».

Rabbia operaia
di Alessandro Cisilin – da «Galatea European Magazine» (fonte: megachip.info)

Per l’Europa l’11 marzo evoca l’incubo del più grave attentato terroristico del dopoguerra, cinque anni fa a Madrid. Per la Francia la stessa data rimarrà probabilmente nella storia come l’emblema del cataclisma economico e dell’esplosione della rabbia sociale. In quel giorno i vertici della tedesca Continental annunciavano la chiusura dello stabilimento di Clairoix, nel nord-ovest della Francia, ossia il licenziamento entro un anno di tutti i suoi millecentoventi lavoratori, che si aggiungeranno ai settecentottanta messi in strada ad Hannover. La risposta operaia è stata di una virulenza inedita, espressione del resto prevedibile di chi versa nell’assoluta disperazione.

Molti di loro sono giovani, sotto i quarant’anni, e la maggioranza rifiuta etichette ideologiche. Tutti sono arrabbiati, e “pronti a tutto”. Perfino a impiccare i manichini di due dirigenti, quelli del capo della fabbrica e della società, non senza il rogo di decine di pneumatici – di cui la multinazionale è il quarto produttore mondiale – e copiosi lanci di scarpe e di uova. Le stesse uova sono state anche protagoniste di assalti verso dirigenti in carne e ossa.
In un caso gli operai hanno così messo in fuga il direttore dello stabilimento nell’atto del terribile annuncio. In un altro, qualche giorno più tardi, si sono recati in trasferta nella vicina Reims, riuscendo a penetrare nell’albergo dove i delegati della società stavano a colloquio coi rappresentanti dell’amministrazione locale.

La rabbia tra i “Conti” (così apostrofati i dipendenti Continental) è alimentata anche dal senso del tradimento. Solo pochi mesi fa avevano accettato un compromesso che prevedeva l’allungamento dell’orario lavorativo e altri sacrifici contrattuali in cambio della rassicurazione scritta del mantenimento del posto almeno fino al 2012. L’impresa si difende illustrando il calo del trenta per cento della domanda nei primi due mesi dell’anno, correlata al crollo del settore auto.

Il vicepresidente della Continental Bernhard Trilken aggiunge poi che «la sovrapproduzione è arrivata alla fine del 2008 a sette milioni e mezzo di pneumatici» e che Clairoix è «la fabbrica meno competitiva al mondo», in quanto eroga salari da almeno millesettecento euro, superiori a quelli degli altri stabilimenti. Cifre rilevanti, non meno tuttavia di quella, riferita da «Le Monde», di un utile netto, generato l’anno scorso da Clairoix stessa, di ben ventisette milioni.

La solidarietà verbale agli operai sembra essere quasi unanime, ma raramente è gradita. Gelida è stata la risposta alle dichiarazioni in ordine sparso dei socialisti. Peggio ancora nei confronti di alcuni deputati dell’Ump, il partito di Sarkozy (“il presidente del potere d’acquisto”), allontanati a spintoni dalla fabbrica, dove si erano presentati per esprimere la loro vicinanza.

La novità dell’azione dei ‘Conti’ sta in effetti proprio nella loro esplicita minaccia di un “conflitto violento”. «Non abbiamo nulla da perdere, e la polizia lo sappia: non siamo infermiere, non ci faremo fregare», ha detto ai media un operaio anziano, nonostante la prossimità della pensione. I sindacati, offesi dal dietrofront della multinazionale, stavolta appoggiano. «Hanno avuto il nostro sudore, vogliono il nostro sangue, non avranno il nostro culo», è il colorito monito di Xavier Mathieu, vertice della Cgt. E secondo il segretario di Force Ouvrière Jean-Claude Mailly «questa violenza è legittima difesa». Una violenza che esce dai confini di Clairoix.

A Pontnox-sur-l’Adour, l’amministratore delegato di Sony France Serge Foucher è stato trattenuto in ostaggio per una notte all’interno dell’impianto, anch’esso prossimo alla chiusura, e rilasciato solo dopo aver accettato riaprire la trattativa sulla cassa integrazione.

Ed è un paese intero a schierarsi a fianco degli operai. Lo si è visto nello sciopero generale del 19 marzo scorso, indetto per protesta contro il piano anticrisi dell’Eliseo – sbilanciato sulle banche e paragonabile per esiguità, nei paesi industrializzati, solo alle misure del governo italiano – con una partecipazione quasi senza precedenti dei lavoratori privati. E col sostegno, secondo i sondaggi, di tre francesi su quattro. (Beh, buona giornata).

acisilin@yahoo.it

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Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

Confindustria lancia un urlo di dolore, il Governo si tappa le orecchie.

Tra la metà del 2008 e la metà del 2010 in Italia verranno persi 507 mila posti di lavoro, il 2,2% dell’occupazione totale. La stima è del Centro Studi della Confindustria. Gli analisti spiegano che nel 2010 il tasso di occupazione salirà al 9%, un valore analogo a quello del 2001 (6,1% il minimo del 2007). Se si considerano anche le persone in cassa integrazione che quindi conservano formalmente il rapporto d’impiego, i posti persi sarebbero 867 mila, cioè il 2,8%.

C’è qualcuno “che si esercita nel piacere del peggio”, ha commentato il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi. (Beh, buona giornata).

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

La crisi fa rabbia.

(Fonte: repubblica.it)

Non è un buon momento per manager e banchieri. Buone uscite miliardarie e privilegi che appaiono intoccabili attirano ora come non mai indignazione e malcontento, che portano a gesti forti, come la vandalizzazione di proprietà private o addirittura al sequestro.

In Scozia, la scorsa notte la casa di Edimburgo di Sir Fred Goodwin, il discusso ex amministratore delegato del Royal Bank of Scotland da lui ridotta sull’orlo del lastrico, è stata attaccata da alcuni vandali che hanno sfondato i vetri delle finestre e distrutto un’automobile. L’attacco è stato rivendicato da un gruppo sinora sconosciuto, ma dal nome eloquente “Bank bosses are criminals” che in una e-mail minaccia: “L’attacco Goodwin è solo l’inizio”. L’ex numero uno dell’Istituto finanziario crollato è al centro di aspre polemiche, dopo aver lasciato l’incarico con in tasca una pensione d’oro da quasi 17 milioni di sterline. Fu lui a pilotare le operazioni di acquisizione di quote dell’olandese Abn Amro nel 2007 che contribuirono a far crollare la banca scozzese.

In Francia è stato sequestrato in ufficio Luc Rousselet, il direttore della filiale dell’americana 3m a Pithiviers (a sud di Parigi). L’azienda produttrice di articoli di cancelleria ha annunciato un piano di tagli aziendali nelle 13 filiali francesi, dove lavorano complessivamente 2.700 persone. I sindacati chiedono una mediazione e pongono condizioni per liberarlo.

Neanche due settimane fa un caso analogo si era verificato nella filiale Sony di Pontonx-sur-l’Ardour, a sud di Bordeaux. L’amministratore delegato della Sony è stato ostaggio per una notte, insieme al capo delle risorse umane, dopo l’annuncio dell’azienda del taglio di 8mila posti di lavoro, equivalente all’8 per cento degli impiegati Sony in tutte le sedi del mondo, e la chiusura della filiale di Bordeaux dove lavorano 311 dipendenti.

La tattica dei sequestri di alti dirigenti era già stata sperimentata in Francia un anno fa nella fabbrica della Michelin di Toul in Meurthe-et-Moselle. Già nel 2007, in campagna elettorale per le presidenziali, l’attuale capo dello Stato Sarkozy martellava sulla necessità di limitare i cosiddetti paracaduti d’oro, gli scivoli milionari ai manager licenziati (e ritenuti a torto o ragione incapaci). Se nel 2007 pareva ancora un tema dagli accenti demagogici, adesso la crisi lo rende di bruciante attualità. (Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia - Lavoro Media e tecnologia

Il governo italiano manovra per piazzare uomini di fiducia al comando della stampa?

di Miguel Mora – «El País» (da megachip.info)

Il cataclisma finanziario, il calo della pubblicità, l’adattamento all’universo digitale e i licenziamenti dei giornalisti sono questioni che occupano tutti i giornali del mondo. Molti esperti, e non pochi lettori, temono che il processo incida sulla qualità della stampa. In Italia, forse il paese europeo, assieme alla Russia, nel quale il controllo politico dei media è meno discutibile, l’inquietudine è duplice. Al duopolio televisivo, o piuttosto al monopolio tout court, formato da Mediaset e RAI, potrebbe presto aggiungersi una sorta di rivoluzione della stampa scritta.

Al fondo di questo movimento tellurico in incubazione risuona il solito nome: Silvio Berlusconi, magnate dei media e primo ministro, il cui nuovo obiettivo sono due testate milanesi molto prestigiose, il «Corriere della Sera», il più grande quotidiano italiano, e «Il Sole 24 Ore», il grande quotidiano economico del paese.

«Questa volta, Berlusconi non farà prigionieri, vuole controllare tutto e lo farà», ha detto Giancarlo Santalmassi, giornalista della RAI dal 1962 al 1999 e direttore di Radio24 fino a quando non è stato epurato, l’autunno scorso, dopo essere stato dichiarato nemico ufficiale da parte del governo del Cavaliere nel 2006. Enzo Marzo, giornalista veterano del Corriere, ha concordato “pienamente” con Santalmassi. Giovedì, nel corso di un dibattito sulla libertà di stampa tenutosi presso la sede della Commissione europea a Roma, ha detto che la battaglia per la direzione del quotidiano è già iniziata.

Il nucleo dirigente del gruppo RCS – editore di Unedisa in Spagna – nonché proprietario del «Corriere», ha spiegato Marzo, ha ritirato la sua fiducia al direttore del quotidiano, Paolo Mieli, e tratta su due sostituti. Il primo è Carlo Rossella, sponsorizzato da Berlusconi, e il secondo è Roberto Napoletano, direttore de «Il Messaggero», che, ricorda Marzo, «divenne famoso nell’ultima notte elettorale, perché fu immortalato da una telecamera mentre patteggiava al telefono con il portavoce di Casini (leader della democristiana UDC dei Democratici e genero dell’editore del quotidiano) il titolo principale che doveva piazzare il giorno dopo».

Rossella è il presidente di Medusa, la casa distributrice cinematografica di Berlusconi, e ha ricevuto la benedizione de «Il Giornale», il quotidiano della famiglia del magnate, che ha ricordato che questi lo «ha in grande simpatia, e lo ha già incaricato di dirigere le sue due più importanti testate, «Panorama» e Tg5 [il telegiornale di Canale 5].»

All’interno di RCS, Rossella conta su altri sostegni significativi: Diego Della Valle, proprietario di Tod’s e della Fiorentina, e Luca Cordero di Montezemolo, patron della Fiat e di Ferrari nonché amministratore delegato de «La Stampa».

Ma la parola di Berlusconi sarà decisiva, ragiona senza nessun cenno di pudore il quotidiano di suo fratello, perché, mentre la crisi strangola i giornali, «l’intero sistema bancario dipende dal primo ministro.»

Napoletano ha le sue carte: non spiace a Berlusconi ed è uno dei pochi a parlare al telefono con Giulio Tremonti, ministro dell’Economia e editorialista per «Il Messaggero». Secondo «Il Giornale», il ministro «sa che il peggio della crisi economica sta per arrivare» e la sua idea è quella di collocare Napoletano a «Il Sole» (proprietà, come Radio24, del padronato di Confindustria) e dare al suo attuale direttore, Ferruccio De Bortoli, il timone del «Corriere». Se non parlassimo dell’Italia, tutto questo fermento risulterebbe inverosimile, degno tutt’al più di una citazione in un pezzo di gossip. Ma tutte le fonti concordano nel segnalare che si tratta di “manovre serie e reali”, il cui effetto produrrà “un terremoto”.

Il malcontento del governo nei confronti di un altro grande giornale, «La Stampa» di Torino, di proprietà Fiat, è lampante. Secondo gli ambienti berlusconiani, il suo direttore, Giulio Anselmi, verrà tentato con una grande poltrona: quella di presidente dell’agenzia Ansa. Se accetta, verrà messo al suo posto un direttore meno ostile al governo.

Mentre questo disegno politico prende corpo, i media italiani tengono testa come possono alla tempesta. Il presidente di RCS, Piergaetano Marchetti, che ha visto i profitti del gruppo abbassarsi nel 2008 a 38 milioni di euro rispetto ai 220 milioni del 2007, ha confermato che stanno soffrendo «gravi e immediati tagli di pubblicità.» E il suo amministratore delegato ha annunciato che l’andamento del gruppo nei primi mesi dell’anno obbligherà a «ridurre il personale». «Dobbiamo agire sui costi e sui modelli di business, in Italia e all’estero.»

Marco Benedetto, vicepresidente del Gruppo Espresso, prevede ugualmente «chiusure e riallineamenti». In modo ironico, Benedetto non è pessimista sul futuro del settore: «Entro dieci anni sarà splendido.» Beh, buona giornata).

Traduzione per Megachip a cura di Pino Cabras

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Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

La crisi continua a “bruciare” posti di lavoro: Thyssenkrupp, pronti 3.000 licenziamenti.

(ANSA) – ROMA, 19 MAR – ThyssenKrupp,il maggior gruppo siderurgico tedesco,si prepara a licenziare 3.000 lavoratori con il calo della domanda di acciaio. Il crollo della domanda infatti mandera’ in rosso il suo bilancio trimestrale per la prima volta negli ultimi tre anni. Il gruppo – scrive il Financial Times – ha deciso una riorganizzazione in due unita’ dalle attuali 5, che permettera’ risparmi per 500 milioni. Ciononostante le difficili condizioni di mercato – prevede il gruppo – comporteranno una perdita netta nel secondo trimestre di quest’anno. Per questo la conglomerata tedesca ha intenzione di mettere mano a oltre 3.000 licenziamenti nelle divisioni acciaio, navale e automobilistica, scrive il Ft citando fonti vicine al dossier. Quella decisa da ThyssenKrupp, un colosso che da’ lavoro a circa 200.000 persone e che e’ presente anche in Italia con stabilimenti concentrati a Torino e a Terni, e’ la prima ondata di licenziamenti veri e propri da parte di un grande gruppo industriale tedesco. Le azioni del gruppo siderurgico hanno chiuso in calo del 5,4% a 13,69 euro alla borsa di Francoforte. (ANSA) (Beh, buona giornata).

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro

Bla-bla.

(fonte: AGI)
“Abbiamo ottenuto quello che volevamo”: il premier Silvio Berlusconi e’ soddisfatto al termine della prima giornata del Consiglio europeo. “E’ andata bene”, ha detto rientrando al suo albergo di Bruxelles dopo la cena con gli altri capi di governo dei 27 Paesi dell’Unione. In particolare, Berlusconi ha fatto riferimento all’investimento di 5 miliardi in infrastrutture europee: “Ci sono tanti progetti, tra cui il gasdotto dall’Algeria”. Il presidente del Consiglio non ha voluto aggiungere di piu’: “La conferma sara’ domani”, ha spiegato. E, riferendosi alla posizione comune che i leader Ue vogliono raggiungere in vista del G20 di inizio aprile, si e’ limitato a dire: “Ognuno ha espresso la sua idea”. (beh, buona giornata).

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Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

Quello che sta succedendo oltre le Alpi.

(fonte: ilmanifesto.it)

Francia, sciopero: 3 milioni di manifestanti in strada

Lavoratori in corteo a Lione in occasione dello sciopero generale in Francia. REUTERS/Robert Pratta
PARIGI (Reuters) – Circa tre milioni di persone sono scese in strada oggi in Francia, nella seconda ondata di proteste contro la gestione della crisi economica da parte del presidente Nicolas Sarkozy per chiedere maggiori aiuti per i lavoratori in difficoltà.

Le proteste, a cui secondo i sondaggi sono favorevoli circa il 75% degli elettori francesi, riflettono la disillusione crescente della popolazione nei confronti delle riforme messe in atto dal governo, dopo che decine di migliaia di persone hanno perso il lavoro a causa della recessione.

Diverse centinaia di giovani si sono scontrati con la polizia alla fine della maggiore manifestazione sindacale a Parigi, sottolineando le tensioni nella nazione, che ha alle spalle una lunga storia di dimostrazioni pubbliche.

La giornata primaverile ha contribuito al successo delle manifestazioni, infatti il numero dei partecipanti ha ampiamente superato quello del primo giorno di proteste nazionali il 29 gennaio, secondo quanto riferito dai sindacati.

Ma nonostante la massiccia adesione, il primo ministro francese Francois Fillon ha respinto le richieste di maggiori aiuti statali dicendo che non sono previsti ulteriori piani di stimolo.

In centro a Parigi le strade erano occupate da manifestanti che mostravano striscioni ‘anti-Sarkozy’ e intonavano slogan.

In Francia i disoccupati sono oltre due milioni e anche molti di coloro che hanno un lavoro sono in difficoltà a causa dell’elevato costo della vita.

PROBLEMI AL SETTORE ENERGETICO

Lo sciopero generale ha creato grossi problemi anche al settore energetico francese, costringendo alla chiusura alcun centri di produzione di energia elettrica e danneggiando la produzione nelle sei raffinerie della Total, secondo quanto riferito dal sindacato Cgt.

Le otto sigle sindacali del paese hanno indetto una giornata di sciopero generale per oggi per sollecitare il governo e le aziende a fare di più per tutelare lavoro e stipendi a fronte della recessione economica. I lavoratori del settore energetico nella notte hanno ridotto di 10.500 megawatt la capacità produttiva di energia in Francia, di cui 9.000 Mw di capacità nucleare in 11 diversi impianti, secondo quanto riferito dal sindacato Cgt.

L’azienda statale di energia Edf ha dichiarato che il 28% dei suoi lavoratori ha aderito allo sciopero generale, cinque punti percentuali sotto la partecipazione allo sciopero del 29 gennaio.

Un reattore nucleare ha una capacità media di 1.000 Mw.

Le riduzioni non hanno avuto effetti sulle scorte destinate ai consumatori domestici ma hanno diminuito la capacità dell’azienda statale Edf di vendere energia elettrica destinata ai paesi vicini alla Francia.

Nel settore delle raffinerie, i lavoratori hanno scioperato nei sei impianti francesi di Total, seppur con un limitato impatto sulle operazioni di produzione, secondo quanto riferito dalla compagnia.

Cgt invece ha detto che lo sciopero ha provocato una sospensione della attività di raffineria della Total, che ha una capacità di circa 1 milione di barili al giorno.

I dipendenti della raffineria di Gonfreville, nel nord della Francia, hanno iniziato lo sciopero ieri per protestare contro un piano che prevede il taglio di posti di lavoro.

Le proteste si vanno ad aggiungere allo sciopero generale del 29 gennaio scorso, che ha visto un’ampia adesione da parte dei lavoratori del settore energetico e che ha avuto come ripercussione il taglio di circa il 20% della capacità energetica nucleare del Paese.

“Ci aspettiamo una maggiore riduzione della produzione nucleare più tardi e finora siamo stati limitati da Edf che ci ha chiesto di non ridurla ulteriormente”, ha detto un funzionario del sindacato.

Edf gestisce 58 reattori nucleari in Francia con una capacità totale di 63.260 Mw.

Si è fermato anche il principale hub petrolifero francese di Fos-Lavera, vicino a Marsiglia, impedendo a sette navi di caricare, secondo quanto riferito dai funzionari del porto. (Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia - Lavoro

Crisi globale: Berlusconi, uno che c’ha “le balle”.

«Molti paesi membri del G20 devono ancora avvertire il pieno impatto della crisi, per questo dovrebbero adottare azioni immediate per contenere un ulteriore deterioramento della situazione». FMI (Fondo monetario internazionale) dixit. Beh, buona giornata.

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Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

Il governo accontenta Confindustria. Dunque, era vero che i soldi non erano veri.

“Il governo – dice la presidente di Confindustria Marcegaglia – ha dato garanzia alle imprese che nei prossimi giorni sarà innalzata da 560.000 a un milione di euro la soglia di compensazione debiti-crediti con l’erario”. Alla luce delle parole del premier, il presidente di Confindustria ha giudicato l’incontro “positivo e costruttivo”, sufficiente per concludere che sulle piccole imprese è “stato raggiunta un’intesa”. “Su alcuni punti abbiamo visto soldi veri, mentre su altri punti ci saranno”, ha detto Marcegaglia riferendosi alle preoccupazioni che aveva espresso alcuni giorni fa quando, davanti alla platea della piccola industria riunita a Palermo, chiese per la ripresa economica “soldi veri”. Allora era vero che i soldi di prima non erano veri. Beh, buona giornata.

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