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Stiamo uscendo dalla crisi?: “I 366 operai affermano di aver già posizionato delle bombole di gas collegate tra di loro in varie parti della fabbrica e di essere pronti a far saltare tutto se non si arriverà ad un accordo entro la fine del mese.”

Francia, operai in rivolta-“Facciamo saltare la fabbrica”-(fonte:repubblica.it)

PARIGI – Operai francesi in rivolta. I lavoratori della New Fabris di Chatellerault, nell’ovest della Francia, una fabbrica italiana di componenti automobilistici in fallimento, sono pronti ad un gesto estremo: se i gruppi Psa Peugeot Citroen e Renault – ex clienti dell’azienda – non verseranno 30mila euro di indennità ad ogni dipendente licenziato, faranno esplodere l’impianto. L’ultimatum scade il 31 luglio.

I 366 operai affermano di aver già posizionato delle bombole di gas collegate tra di loro in varie parti della fabbrica e di essere pronti a far saltare tutto se non si arriverà ad un accordo entro la fine del mese.

L’azienda, proprietà della veneta Zen, di Florindo Garro, da giugno è in liquidazione. Un centinaio di operai, in gran parte cinquantenni, resteranno senza lavoro e difficilmente ne troveranno un altro. Il valore dell’indennità richiesta è la stessa cifra che Renault e Psa avrebbero già versato a circa 200 dipendenti licenziati del gruppo Rencast, anche questo specializzato in componentistica auto.

“Non lasceremo che Psa e Renault aspettino agosto o settembre per recuperare i pezzi in stock e i macchinari. Se non avremo nulla noi, non avranno nulla nemmeno loro”, ha detto Guy Eyermann, responsabile sindacale. Le richieste sono state respinte dalla Psa e dalla Renault, proprietari di componenti e macchinari che si trovano all’interno della fabbrica per un valore complessivo di quasi 4 milioni di euro. “Non sta a noi sostituirci agli azionisti”, è stata la risposta della direzione di Psa Peugeot-Citroen. I rappresentanti degli operai della New Fabris, che hanno già incontrato i responsabili del gruppo Psa la settimana scorsa, saranno ricevuti giovedì dalla Renault. I lavoratori a rischio licenziamento hanno ottenuto inoltre un incontro con il ministro dell’Industria e dell’Economia Christian Estrosi il prossimo 20 luglio.

La scorsa primavera, sotto le minacce di licenziamento, centinaia di operai avevano sequestrato i dirigenti di alcune fabbriche come la Caterpillar di Grenoble (al sud), la 3M di Pithiviers (nel centro) e l’impianto Sony nelle Landes (sulla costa atlantica). Beh, buona giornata.

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Che cosa stanno facendo le banche italiane?

PERCHÉ DRAGHI HA FRUSTATO LE BANCHE
di Marco Onado-lavoce.info

Istituti di credito avversi al rischio o pessimisti sulle prospettive delle imprese italiane? Le banche sono state aiutate ma appaiono restie a svolgere il loro ruolo nei confronti del sistema produttivo in una crisi che è ancora tutta da superare. Siamo ancora alla prima fase: quella dei salvataggi bancari; la seconda, quella della ripresa, non potrà iniziare fino a quando non ci sarà chiarezza sulla situazione effettiva delle banche internazionali; solo allora può avviarsi la terza, quella della riforma.

L’intervento del Governatore Mario Draghi all’assemblea dell’Abi solleva alcuni problemi delicati, che tolgono molto smalto all’ottimismo di facciata di questi giorni sia per quanto riguarda la situazione italiana, sia per quanto riguarda lo scenario internazionale.
Sul primo fronte, c’è da rilevare che fin dalla relazione di fine maggio, Draghi ha utilizzato toni insolitamente aspri nei confronti delle banche italiane, andando al di là delle abituali esortazioni. Nelle considerazioni finali aveva ammonito contro il rischio che un eccesso di prudenza nella valutazione del rischio di credito determinasse fenomeni di “asfissia finanziaria” in una parte significativa del sistema produttivo italiano. L’8 luglio ha insistito sul tema, mettendo in evidenza che il tasso di crescita del settore privato è ormai negativo (-0,9 per cento a maggio su base annua) contro un tasso medio di crescita del 9,6 nella media dell’ultimo decennio. Una frenata che appare determinata soprattutto dai grandi gruppi e che colpisce le imprese più che le famiglie. Inoltre, anche in termini di costo, cioè di tassi di interesse, si nota “ampliamento del divario nel costo del credito tra piccole e grandi imprese, con effetti negativi per chi oggi ha maggiormente bisogno di accedere al finanziamento bancario”.

LO STRANO REGALO DELLA BCE

In questo quadro indubbiamente preoccupante, si inserisce un autentico giallo: la Bce ha deciso a giugno un ulteriore, eccezionale rifinanziamento per 442 miliardi di euro al tasso dell’1 per cento. Molti, fra cui Willem Buiter, hanno ritenuto l’operazione un autentico “regalo” al sistema bancario di Eurolandia (dell’ordine di almeno 7 miliardi); altri hanno con cinico realismo osservato che tutto serve purché il credito al settore privato riprenda. Alla bella festa organizzata a Francoforte sono infatti accorsi numerosi: ben 1121 controparti, secondo il dato comunicato da Draghi: sembra di vedere gli invitati che sgomitano al tavolo del buffet. Le banche italiane si sono invece tenute in disparte e hanno utilizzato solo il 3 per cento dei fondi. Perché? Il Governatore, deviando dal testo scritto, ha detto di non avere una risposta e se non ce l’ha lui, figuriamoci un povero commentatore esterno. Ma rimane un interrogativo inquietante: cosa sta succedendo alle banche italiane? Non hanno problemi patrimoniali, perché Draghi ce lo dice continuamente e proprio all’Abi ha annunciato i risultati, sostanzialmente favorevoli, dello stress test condotto in questi giorni. Non hanno un problema di liquidità perché ricorrono in misura largamente inferiore alle altre di Eurolandia ad operazioni straordinarie per importo e convenienza. Ma hanno anche bisogno sia di consolidare i rapporti con la parte migliore del settore produttivo, sia di aumentare i ricavi e in particolare quelli da interessi.

TROPPA PRUDENZA?

E’ ovvio che la crisi determini un aumento del rischio di credito e dunque una doverosa prudenza. In effetti, ha ricordato Draghi, nel primo trimestre 2009 gli accantonamenti per perdite su crediti dei maggiori gruppi sono più che raddoppiati, assorbendo metà del risultato di gestione. Ma delle due l’una: o le banche sono diventate eccezionalmente avverse al rischio e stanno mettendo in atto un razionamento senza precedenti. Oppure valutano in modo estremamente pessimistico la situazione prospettica delle imprese (anche perché giustamente lavorano sui dati ufficiali, cioè quelli inquinati dal lieto passatempo dell’evasione fiscale così ben praticato nel nostro paese). Nel primo caso, le misure di concertazione proposte dal Ministro del Tesoro sempre all’Assemblea dell’Abi possono risultare insufficienti, nonostante l’entusiasmo iniziale delle parti coinvolte. Nel secondo caso, bisogna almeno concludere che i “verdi germogli” della ripresa sono ancora una speranza e che il rischio, sollevato dall’Ocse, che la crisi porti una distruzione di capacità produttiva e dunque una riduzione del potenziale di crescita italiano (già molto bassa nel confronto internazionale) è tutt’altro che remoto.

MA LA CRISI NON E’ FINITA

La domanda cruciale è quindi se la crisi è davvero finita o no. Le parole di Draghi non autorizzano a rispondere affermativamente e, quello che è peggio, la relazione della Banca dei regolamenti internazionali pubblicata a fine di giugno dà una risposta sostanzialmente negativa. In sostanza, afferma l’autorevole istituzione di Basilea, la crisi è ancora alla prima fase: quella dei salvataggi bancari; la seconda, quella della ripresa, non potrà iniziare fino a quando non ci sarà chiarezza sulla situazione effettiva delle banche internazionali; solo allora puٍò avviarsi la terza, cioè quella della riforma. Tre “R” nella versione inglese: rescue, recovery, reform. La colpa del mancato accertamento dello stato di salute delle banche non è certo italiana: da ultimo sono stati i tedeschi a stendere cortine fumogene sulle loro banche, ma comunque anche sul nostro paese ricade il rischio di una situazione che il Giappone ha sperimentato per oltre un decennio; banche con bilanci zoppicanti, che sopravvivono solo per la colpevole indulgenza delle autorità nazionali: le famigerate “zombie banks”. Anzi, proprio perché il sistema produttivo italiano è oggettivamente più frammentato e stava attraversando un delicato periodo di ristrutturazione, i rischi di un’involuzione alla giapponese sono ancora più forti.
In tutto questo, c’è da rallegrarsi che siano stati approvati a L’Aquila i global legal standards, principi generalissimi che l’Ocse tradurrà in principi più stringenti, nella speranza che i singoli paesi lo traducano nelle rispettive legislazioni in modo omogeneo e completo. Ma le decisioni concrete sul sistema bancario internazionale che possono consentire di chiudere la fase della prima “R” (rescue, cioè puro salvataggio) sono ancora da venire. E la seconda “R” della ripresa, dice la Bri che non risulta ancora inquinata da cieco furore antigovernativo, è ancora lontana. (Beh, buona giornata).

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Silvietto e il G8, Silviotto e il G Etto:”Lo scandalo delle ragazze a Palazzo Grazioli cancella la corruzione di Mills, le minorenni di Berlusconi obnubilano la mafia, le dieci domande di Repubblica cancellano innumerevoli altri quesiti.”

Chi rompe la tregua paga
di BARBARA SPINELLI-La Stampa.
La tregua che è stata invocata nei giorni scorsi, per proteggere da aggressioni l’immagine dell’Italia durante il G8, introduce nella politica democratica un’esigenza di immobile quiete su cui vale la pena riflettere. Presa in prestito dal vocabolario guerresco, tregua significa sospensione delle operazioni belliche, concordata di volta in volta per stanchezza, timore del pericolo, subitanee emergenze. Fino alla rivoluzione francese, scrive Clausewitz, le guerre erano fatte soprattutto di pause: l’ozio assorbiva i nove decimi del tempo trascorso in armi.

Era «come se i lottatori stessero allacciati per ore senza fare alcun movimento». Le battaglie smettono quest’usanza quando si fa più possente il pensiero dello scopo per il quale si guerreggia, giacché solo tale pensiero può vincere la «pesantezza morale» del combattente. Ma la tregua non è solo «pesantezza, irresolutezza propria all’uomo». L’etimologia dice qualcos’altro: perché ci sia tregua efficace occorre che i lottatori siano leali, che la sospensione sia un patto, che non sia unilaterale. L’etimologia, germanica, rimanda all’inglese true-vero, e al tedesco treu-leale, fiducioso.

Verità, fiducia, lealtà, patto: sono gli ingredienti essenziali della tregua, specie quando dal teatro di guerra ci si sposta a quello di pace, e quando il concetto si applica alla selezione dei governanti migliori che avviene in democrazia. Un prorompente atto terrorista, una calamità naturale, possono comportare la sospensione della conflittualità propria alle democrazie.

Non per questo vengono sospese la ricerca di verità, la pubblicità data all’azione dei politici, il contrasto fra partiti, l’informazione indipendente. Altrimenti la tregua politica altro non è che continuazione della guerra con altri mezzi, e per essa vale quel che Samuel Johnson usava dire dei conflitti armati, nel 1758: «Fra le calamità della guerra andrebbe annoverata la diminuzione dell’amore della verità, ottenuta tramite le falsità che l’interesse detta e che la credulità incoraggia». Se sostituiamo la parola tregua a guerra, vediamo che i rischi sono gli stessi.

Quando ha chiesto una tregua, il 29 giugno, il presidente Napolitano non pensava certo a questo sacrificio della verità. Ma il rischio è grande che i governanti l’intendano in tal modo: usando il Colle, rompendo unilateralmente la tregua come ha subito fatto Berlusconi aggredendo oppositori e giornali. Il conflitto maggioranza-opposizione, le inchieste giornalistiche o della magistratura sul capo del governo, sono automaticamente bollate come poco patriottiche, fedifraghe, addirittura eversive. Questo in nome di uno stato di emergenza trasformato in condizione cronica anziché occasionale, necessitante la sospensione di quel che dalla Grecia antica distingue la democrazia: la parresia, il libero esprimersi, la contestazione del potere e dell’opinione dominante, il domandare dialogico.

Significativa è l’allergia del potente alle domande, non solo quelle di Repubblica ma ogni sorta di quesiti: netto è stato il rifiuto di Berlusconi di permettere domande ai giornalisti, il primo giorno del G8. Sulla scia dell’11 settembre 2001 Bush reclamò simile tregua, che non migliorò la reputazione dell’America ma la devastò. Washington si gettò in una guerra sbagliata, in Iraq, senza che opinione pubblica e giornali muovessero un dito. La recente storia Usa dimostra che la democrazia guadagna ben poco dalle tregue politiche, quando i governi possono tutto e l’equilibrio dei poteri è violato. Il vantaggio delle tregue è la coesione nazionale: falsa tuttavia, se passiva. Lo svantaggio è la libertà immolata. Tanto più grave lo svantaggio, se l’emergenza è un mero vertice internazionale.

Ripensare la tregua e le sue condizioni può servire, perché la tendenza è forte, in chi governa, a prolungare emergenze e sospensioni della parresia, rendendole permanenti. Purtroppo la tendenza finisce con l’estendersi all’opposizione, alla stampa, e anche qui vale la descrizione di Clausewitz sul cessate il fuoco: che spesso interviene non perché la tregua sia necessaria, ma perché nell’uomo che rinvia decisioni c’è pavidità. Perché dilaga «l’imperfezione delle conoscenze, delle facoltà di giudizio». Perché, soprattutto, opposizione e giornali non hanno un «chiaro pensiero dello scopo» per cui si oppongono, analizzano, interrogano. Sono le occasioni in cui la tregua non è un patto di verità ma una variante dell’illusionismo e della menzogna.

Ma c’è una condizione supplementare, affinché la tregua si fondi su verità e fiducia. La condizione è che la memoria resti viva, e non solo il ricordo del passato ma la memoria del presente, meno facile di quel che sembri perché essa presuppone un legame tra i frammenti dell’oggi e aborre la fissazione su uno solo di essi: l’ultimo della serie. È la memoria di cui parla Primo Levi, quando descrive la tregua nei campi. Nel Lager, simbolo della condizione umana, esistono remissioni, «tregue». Ma esse sono chimere se non s’accompagnano alla memoria di quel che ineluttabilmente avverrà al risveglio, quando risuonerà il «comando dell’alba»: l’urlo in polacco – wstawac – che intima di alzarsi.

Meditare attorno all’idea di tregua è fecondo perché aiuta a capire come deve organizzarsi, in Italia e altrove, la parresia greca che i latini traducevano con libertas. Parresia è letteralmente parlare con libertà: un compito che politici e stampa condividono col medico, che non deve dire tutto alla rinfusa ma andare all’essenza e fare sintesi. Galeno, medico del primo secolo dopo Cristo, scriveva che «non si può guarire senza sapere di cosa si deve guarire»: il malato ha diritto alla verità, detta «senza ostilità ma senza indulgenza». La tregua anche in Italia ha senso se non si sacrifica il vero. Se non è solo la stampa estera a indagare sulla nostra singolare apatia etica.

Il mondo dell’informazione non è estraneo a tale apatia, incomprensibile all’opinione straniera e da essa biasimata. Il difetto, il più delle volte, è lo sguardo corto: uno sguardo che non collega i fatti, che sempre si fissa sull’ultimissimo evento, che non scava con la memoria né nel passato né nel presente. L’influenza della mafia sulla politica, i cedimenti di quest’ultima, il conflitto d’interesse che consente al privato di manomettere il pubblico, l’impunità reclamata dai massimi capi politici, infine la lunga storia italiana di stragi e corruzioni su cui mai c’è stata chiarezza: c’è un nesso fra queste cose, ma l’ultimo scandalo da noi scaccia il precedente e ogni evento (buono o cattivo) cancella il resto.

Lo scandalo delle ragazze a Palazzo Grazioli cancella la corruzione di Mills, le minorenni di Berlusconi obnubilano la mafia, le dieci domande di Repubblica cancellano innumerevoli altri quesiti. Anche l’opposizione si nutre di amnesia: i successi di Prodi (aiuti allo sviluppo, clima, liberalizzazioni, infrastrutture, accordo vantaggioso per Alitalia) sprofondano nell’oblio, se ne ha vergogna. Non stupisce che perfino fatti secondari siano mal raccontati, come fossero schegge insensate: ad esempio l’assenza dal programma G8 di Carla Sarkozy, giunta all’Aquila il giorno dopo il vertice. I giornali arzigogolano su una persona che ha voluto far l’originale, differenziarsi. Nessuno rammenta l’appello di 13.000 donne italiane – presumibilmente ascoltato da Carla – perché le first ladies non venissero al G8.

L’Italia come tutti i paesi è una tela, non un’accozzaglia caotica di episodi. Se non ricordiamo questo quadro non solo le tregue saranno basate su contro-verità. Si faticherà anche a ricominciare i normali conflitti e il parlare franco, finita la tregua. Sotto gli occhi della stampa mondiale appariremo come i lottatori di Clausewitz: allacciati ininterrottamente l’uno all’altro, senza fare alcun movimento. (Beh, buona giornata).

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Silvietto e il G8, Silviotto e il G Etto: io speriamo che me la cavo.

Tra gli italiani vince l’idea che il vertice ci ha rafforzati. Per il 38 per cento dei nostri concittadini l’immagine del Paese è migliorata, il 33 la considera invece immutata di RENATO MANNHEIMER-corriere.it

Il G8 si è conclu­so con numero­se prese di posi­zione di rilevante im­portanza strategica. Sarebbe auspicabile che — contrariamen­te a quanto è talvolta accaduto in passato — queste trovassero poi una concreta applicazione nella real­tà. Come molti hanno osservato, uno dei limiti dei consessi interna­zionali di questo genere è la difficile traduzione delle intenzioni in com­portamenti concreti. Anche per que­sto, alcuni valutano criticamente queste riunioni, proponendone in certi casi l’allargamento o, più rara­mente, la limitazione nel numero dei partecipanti. La netta maggioranza degli italia­ni, comunque ritiene valida la sca­denza del G8. Più del 70% la giudica infatti «molto» o «abbastanza» im­portante. Questa opinione è notevol­mente più accentuata tra i giovani (specie se studenti) e tra chi possie­de un titolo di studio medio-alto.

C’è da notare anche un’accentuazio­ne di questo orientamento nelle don­ne che finiscono col costituire uno dei segmenti sociali più interessati e partecipi. Dal punto di vista della col­locazione politica, l’opinione sull’im­portanza degli appuntamenti del G8 non è però unanime, poiché si rileva un netto maggior favore da parte de­gli elettori del centrodestra, stimola­ti forse anche dalla funzione svolta da Berlusconi in quanto presidente di questa edizione. Ma anche quasi tre elettori del centrosinistra su quat­tro riconoscono il rilievo dell’even­to. Il quale sembra aver rappresenta­to un successo per l’Italia, sia dal punto di vista organizzativo, sia, in parte, da quello dei contenuti propo­sti. Anche questa opinione appare condivisa dalla maggioranza relati­va. In questo caso, però, i giovani fi­no ai 35 anni risultano più scettici: tra costoro la maggioranza relativa non vede mutamenti significativi nell’immagine del Paese, che appaio­no invece più presenti tra chi ha su­perato i 45 anni, specie se laureato. Com’era facile attendersi, il proprio orientamento politico (che funzio­na, come sempre accade, da «facilita­tore » per formare la propria opinio­ne su tematiche complesse o di cui si sa poco) gioca un ruolo centrale in questa valutazione: i votanti per il centrodestra appaiono assai più con­vinti (per il 60%) che l’immagine del­­l’Italia si sia rafforzata. Questa opi­nione è invece condivisa solo dal 24% degli elettori del centrosinistra, tra i quali quasi uno su cinque è del parere che, tutto sommato, la nostra immagine si sia indebolita a seguito del G8 e delle vicende connesse.

Il G8 parrebbe aver costituito un successo personale anche per Berlu­sconi. Tanto che quest’ultimo vede, proprio in questi giorni, un significa­tivo incremento delle intenzioni di voto per il suo partito (superando il risultato delle Europee e avvicinan­dosi nuovamente all’obiettivo del 40%), dopo aver subito un’erosione nelle scorse settimane, anche a se­guito delle vicende personali che lo hanno coinvolto. Le quali, tuttavia, potrebbero tornare alla ribalta già nei prossimi giorni, ora che la «tre­gua » del G8 si è esaurita. (Beh, buona giornata).

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Silvietto e il G8, Silviotto e il G Etto:”Faccio questa precisazione, ovvia ma spesso dimenticata da chi commenta i risultati di questo genere di incontri, a cominciare spesso da alcuni degli stessi partecipanti desiderosi di ricevere vantaggi di immagine anche a costo di manipolare la realtà di quanto è accaduto. “

Il meritato successo di un abile anfitrione di EUGENIO SCALFARI-Repubblica.

“PRENDIAMO ispirazione dalle intuizioni e dalle scelte lungimiranti che emersero alla vigilia o all’indomani della conclusione della seconda guerra mondiale, quando nacquero le Nazioni Unite e ancor prima le istituzioni di Bretton Woods. Da allora molto si è costruito ma non poco purtroppo si è negli ultimi anni venuto perdendo”.

Queste parole sono state pronunciate la sera di giovedì scorso da Giorgio Napolitano nella cena da lui offerta all’Aquila a tutti i leaders mondiali presenti al G8, diventato per l’occasione un G14 con la partecipazione dei principali paesi emergenti.

Non si poteva dir meglio con poche parole e non si può adottare metro migliore per valutare i risultati di questo penultimo incontro dei paesi occidentali che presto cederanno il posto ad altre e più allargate forme di consultazione internazionale.

Occorre comunque ricordare che il G8 non è mai stato un organo decisionale perché nessuno dei governi che vi partecipano gli ha mai conferito una parte della propria sovranità. Ciò non toglie tuttavia che su alcuni temi specifici i governi possano firmare accordi operativi, formulando su altri temi raccomandazioni di indirizzo che dovranno poi essere tradotte in apposite norme da parte di istituzioni dotate di poteri operativi.
Faccio questa precisazione, ovvia ma spesso dimenticata da chi commenta i risultati di questo genere di incontri, a cominciare spesso da alcuni degli stessi partecipanti desiderosi di ricevere vantaggi di immagine anche a costo di manipolare la realtà di quanto è accaduto.

Al G8 dell’Aquila c’erano tre temi specifici e un tema generale di puro indirizzo. Quest’ultimo riguardava lo stato della crisi economica mondiale, la diagnosi delle possibili terapie da raccomandare. Quanto ai temi specifici, peraltro di grande portata, riguardavano il clima, gli aiuti ai paesi poveri e principalmente all’Africa, la politica dei paesi del G8 nei confronti dell’Iran.

I giudizi, o come si dice la pagella da compilare sugli esiti dell’incontro aquilano vanno dunque articolati su questa tastiera ed è quanto cercheremo di fare.

* * *

La diagnosi sullo stato attuale della crisi è stata abbastanza difforme. Barack Obama è nella sostanza il più pessimista, ritiene che il peggio sia al suo culmine e che si aggraverà ancora nel prossimo autunno e nell’inverno del 2010. Il peggio che determina il suo giudizio riguarda il delicatissimo tema della disoccupazione che in Usa ha già raggiunto il 10 per cento e potrebbe aumentare fino all’11 nei prossimi mesi con effetti pesanti sui redditi e sui consumi.

Il presidente americano inoltre non è ancora del tutto tranquillo sulla tenuta di alcune istituzioni bancarie e non esclude altri massicci interventi a sostegno sia di banche sia di grandi imprese a corto di capitali.

Il pessimismo operativo di Obama ha tuttavia come contrappeso il suo robusto ottimismo politico, che ha profuso in abbondanza e con notevole efficacia su tutto l’andamento del G8.

Al polo opposto della diagnosi di Obama si è collocato Berlusconi, secondo il quale il peggio è già passato e la disoccupazione non presenta scenari drammatici.

Di questa divergente diagnosi ha dato conto lo stesso Berlusconi in una delle sue conferenze stampa, spiegando però che il parere di Obama su queste materie è assai più importante del suo: un esempio molto infrequente di modestia che il premier italiano ha offerto per ingraziarsi il suo principale interlocutore. Lui è fatto così, vuole essere amato. Per essere amato da Obama ha anche buttato alle ortiche Bush. Quella è acqua passata. Obama invece è da conquistare e la modestia ne è stata questa volta lo strumento.

Il ministro Tremonti aveva proposto, con la collaborazione dell’Ocse e del governo tedesco, alcune nuove regole da introdurre nel sistema economico internazionale. Un documento di 13 cartelle è stato presentato al G8 con il titolo ambizioso di Global Legal Standard e menzionato favorevolmente come raccomandazione da esaminare nelle competenti sedi operative, suscitando una immodesta soddisfazione dello stesso Tremonti.

Di quali regole si tratta? In realtà non sono regole vere e proprie né potevano esserlo trattandosi di raccomandazioni di indirizzo. Ed anche per un’altra ragione: si enunciano valori e, come sappiamo, i valori non sono norme ma auspici e modi di sentire; riguardano più il dover essere che l’essere.

I valori tremontiani elencati nel documento sono l’etica nelle decisioni economiche, la trasparenza di quelle decisioni, la lotta contro la corruzione, la lotta contro l’evasione fiscale, la vigilanza del credito, la lotta contro i monopoli in favore della libera concorrenza. Ma chi mai oserebbe incitare gli operatori ad essere disonesti, a mentire, a favorire i monopoli e ad evadere le imposte? E quale uomo d’affari, imprenditore, banchiere si riconoscerebbe in un ritratto così perverso?

Debbo dire che a Tremonti va riconosciuta una notevole audacia: raccomandare la lotta all’evasione fiscale, quella contro i monopoli, la trasparenza delle decisioni da parte di uno dei principali membri dei governi berlusconiani è come parlar di corda in casa dell’impiccato. Ma il punto non è questo o non soltanto questo. Si tratta soltanto di raccomandazioni e non di altro.

Nel frattempo e nello stesso giorno in cui Tremonti presentava il suo documento al G8, il governatore Draghi annunciava un documento assai più corposo redatto dal “Financial Stability Forum” che è l’organo del Fmi da lui guidato, dove non si parla di valori ma di norme concrete che saranno imposte alle banche e alle istituzioni finanziarie quando lo studio del Fsf sarà definitivamente approvato entro l’anno in corso. Da notare che nel Fsf non sono rappresentati soltanto i paesi del G8 ma un ventaglio molto più ampio e quindi assai più interessante per l’operatività di quelle regole.

* * *

Bastano pochi accenni per i tre temi specifici affrontati dal G8, dei quali i giornali di tutto il mondo hanno già ampiamente parlato nei giorni scorsi.

Iran. I temi da affrontare in materia erano due: il nucleare iraniano e la repressione violenta del dissenso e quindi una violazione molto grave dei diritti di libertà in quel paese teocratico.

Entrambi i temi sono stati in qualche modo elusi nel documento approvato all’unanimità dal G8. La riprovazione delle violenze è stata affidata alle dichiarazioni di singoli capi di governo, tra i quali il più severo è stato il presidente francese Sarkozy. Sul tema del riarmo nucleare è intervenuto seccamente Obama, che attenderà comunque fino alla fine dell’anno sperando nell’avvio di un negoziato costruttivo. La vera e solenne reprimenda approvata all’unanimità (Russia compresa) nei confronti del governo iraniano è stata lanciata contro il negazionismo dell’Olocausto da parte di Ahmadinejad: era il meno attuale dei temi e forse per questo è stato scelto dopo una serrata discussione da parte degli “sherpa” durata a quanto si sa per due settimane.

Sul clima si è registrato un mezzo fallimento quando sono entrati in gioco i Cinque emergenti (Cina, India, Brasile, Messico, Sudafrica). I quali hanno accettato il principio dei 2 gradi di riscaldamento del pianeta come limite estremo, superato il quale ci sarebbe una catastrofe climatica planetaria; ma non hanno invece acconsentito a ridurre le proprie emissioni di gas inquinanti.

Se ne riparlerà in un’apposita riunione a fine anno a Copenaghen. Il colpo di scena di Obama è stato a questo punto l’impegno per il proprio paese di ridurre drasticamente le emissioni di gas serra facendo della ricerca di energie alternative il centro del rilancio industriale americano. La speranza è che un impegno del genere serva di orientamento anche al gruppo dei Cinque, il che però è tutto da verificare.

Infine l’Africa e i poveri. Tutti i paesi ricchi sono allo stato dei fatti largamente inadempienti rispetto agli impegni presi nei precedenti vertici. Il più inadempiente di tutti è il nostro: avremmo già dovuto versare un miliardo di dollari mentre abbiamo finora conferito 30 milioni, pari al 3 per cento di quanto dovuto. Ora Berlusconi ha promesso un versamento entro il prossimo agosto di 130 milioni e lo ha presentato come una manna. Questo è lo stato dei fatti per quanto ci riguarda.

Nel meeting del G8 è stato deciso un aiuto, destinato soprattutto all’agricoltura, di 20 miliardi di dollari. La cifra è cospicua ma restano tuttora indefinite le modalità e i tempi, chi guiderà gli investimenti e quando. Comunque su questo tema un mezzo successo politico c’è indubbiamente stato, ma è il solo dell’intero vertice.

Del tutto inevaso è stato invece il vero tema che i Grandi del mondo dovranno porsi e che invece è stato del tutto ignorato salvo che dalla Cina e dal gruppo dei Cinque emergenti: il nuovo assetto monetario internazionale. In altre parole il problema del dollaro.

La Cina vuole che si costruisca una moneta di conto e di riserva, calcolata attraverso una sorta di paniere ponderato delle principali monete a partire dal dollaro, dall’euro, dallo yen e naturalmente dallo yuan cinese. Moneta amministrata dall’Fmi, le cui quote di appartenenza dovranno essere profondamente riviste per fare appunto spazio ai paesi emergenti che sono rappresentati attualmente da quote soltanto simboliche.

Sarà un’operazione complessa, che vede gli Usa in totale disaccordo, ma che la Cina sembra decisa a portare avanti facendo leva sulla sua posizione di primo creditore degli Stati Uniti e primo detentore di riserve in dollari.

Sarà questo il vero tema del prossimo futuro, adombrato nel richiamo alle istituzioni nate a Bretton Woods nelle parole di Napolitano che abbiamo citato all’inizio. Un tema denso di implicazioni, che vedrà diminuire drasticamente il peso dei singoli Stati europei a beneficio dell’Unione europea e delle istituzioni che la rappresentano a cominciare dalla Banca centrale.

Questo tema sarà al centro della prima assemblea del Fondo monetario internazionale che è destinato a diventare la vera sede dei dibattiti e delle decisioni.

* * *

Ultimo argomento: il successo di Berlusconi e quindi dell’Italia, perché è vero che nei vertici internazionali un successo del governo è patrimonio comune al di là dei partiti e delle persone.

Berlusconi ha avuto successo, ha ricevuto complimenti da tutti, ha evitato con abilità i guai che incombevano sul suo capo e di questo gli va dato atto.

Per che cosa è stato complimentato? Per il suo ruolo, magistralmente ricoperto, di padrone di casa. Se lo è meritato. E’ un compito che sa gestire molto bene come dimostrò nell’analogo meeting di Pratica di Mare: alloggiamento perfetto, cibo eccellente, sicurezza garantita, intrattenimento rilassante. Il “Financial Times” di ieri, che era stato il giornale tra i più severi nei suoi confronti, ha titolato “Da playboy a statista”, ma ha sbagliato l’ultima parola, doveva scrivere anfitrione. Lo statista si è visto ben poco anche perché l’unico statista in campo è stato Obama e con lui nessuno era in grado di competere.

Berlusconi avrebbe potuto esercitare una piccola parte da statista associando al successo l’opposizione che ha accettato la tregua chiesta da Napolitano. Ma nemmeno questo ha fatto. Ha continuato ad attaccarla tutti i giorni, chiamandola “opposizione-cadavere, comunista, faziosa”. Poi, una volta chiuso il sipario sul G8 dell’Aquila, è andato ancora più in là: si sta rimangiando l’impegno preso anche in suo nome dal ministro Alfano con il Quirinale circa una pausa nella legge sulle intercettazioni; ha ripetuto che non ha intenzione di trattare alcunché con l’opposizione; ha maltrattato i suoi dissidenti interni; ha richiamato all’ordine perfino la Lega. “Ora dev’esser chiaro a tutti che sono io che comando” ha detto ieri. L’ora della carota è passata e si ricomincia col bastone.

Ho letto ieri un interessante articolo del collega La Spina su “La Stampa”. Scrive che la maggiore sobrietà dimostrata da Berlusconi al G8 è stata probabilmente l’effetto delle critiche acerbe di cui è stato oggetto da parte di alcuni giornali ai quali (scrive La Spina) andrebbe riconosciuto il merito del “new look” saggio e prudente del nostro premier di solito scapestrato.
Forse La Spina ha ragione; forse quel merito ad alcuni giornali andrebbe riconosciuto. Purtroppo però quella saggezza e quella prudenza di cui parla il collega sono già dietro le spalle.

Dal canto nostro, poiché è di noi che si parla, le nostre riserve e le nostre critiche non cesseranno se non altro per indurre il premier scapestrato a cambiare definitivamente comportamenti pubblici e privati che sono l’esatto contrario da quelli ai quali un capo di governo dovrebbe attenersi.

Continueremo dunque a pubblicare notizie di fatti come è compito di ogni giornale, ma non speriamo e non ci illudiamo di vedere effetti vistosi. Salvo quello di vedere il premier far bene il mestiere dell’anfitrione, ma di questo eravamo certi. Purtroppo non è di questo che ha bisogno il nostro Paese. (Beh, buona giornata).

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La quarta crisi: scendono gli investimenti pubblicitari, cresce il conservatorismo dei committenti, soffrono i centri media.

di Ilaria Myr-NC
La crisi globale sta interessando tutta la filiera della comunicazione, si è detto. E i centri media non fanno eccezione. Soprattutto se si considera l’attuale sistema di remunerazione delle centrali media, basato sui fee e i diritti di negoziazione. Come spiega Giorgio Tettamanti, chief operating officer Carat Italia : “La voce prevalente della remunerazione è rappresentata da una percentuale applicata all’investimento dei nostri clienti e la seconda voce di ricavo è costruita dai premi di fine anno, dalle concessionarie, al raggiungimento di determinati obiettivi di volume. È innegabile che entrambe queste voci risentano negativamente dei trend di mercato in corso”.

Gli fa eco Federico de Nardis, amministratore delegato di Mc2 Mediacommunication: “La crisi internazionale sta portando a una forte compressione dei budget di molte grandi aziende. A seconda dei settori la riduzione si può stimare tra un -5% e un -20%. In un modello tradizionale dove il centro media è la struttura di pianificazione e acquisto dei suoi clienti, la remunerazione si riduce in modo proporzionale alla contrazione dei budget”.

Tutto ciò influenza anche il lavoro stesso, come spiega Marco Muraglia, amministratore delegato Starcom: “L’impatto è significativo dal momento che in molti casi siamo remunerati in misura proporzionale agli investimenti. Inoltre, purtroppo la quantità di lavoro necessario non si è ridotto. Anzi, il tempo delle persone per produrre strategia, pianificazione e acquisto è incrementato: si devono valutare molte più alternative, peraltro tentando di ottenere risultati soddisfacenti con risorse inferiori”.

D’altronde, la questione dei diritti di negoziazione è al centro di calorose discussioni già ormai da qualche tempo. “La crisi sta impattando su un processo di revisione di questo sistema che era già in corso – specifica Alessandro Villoresi, coo Vizeum -. E anche dal Parlamento sono uscite proposte per normalizzare la questione. Certo è che in un momento come questo, in cui le aziende tendono a fare saving dei propri investimenti, ne risentono anche i consulenti”.

La sofferenza dunque c’è. Ma una soluzione può venire dalla crisi stessa, come sostiene Vittorio Bonori, ceo ZenithOptimedia, che concorda con Hartsarich sulla necessità di sfruttare la congiuntura negativa in atto e sull’inevitabile cambiamento del modello di business dei centri media. “Ogni crisi nasconde grandi opportunità ed è su queste che occorrerebbe concentrarsi per superare le difficoltà e prepararsi alle sfide future. Il modello di business dei centri media è destinato a cambiare così come quello di tutti i componenti della filiera, a partire dalle aziende fino ad arrivare a editori e concessionarie di pubblicità. Allo stesso modo, i modelli economici di remunerazione seguiranno questi cambiamenti e contribuiranno a riallocare le risorse presso i soggetti della filiera che si conquisteranno una posizione centrale e strategica sul mercato”.

Le aziende: fra vecchio e nuovo

I clienti, dal canto loro, reagiscono alla situazione attuale con un atteggiamento che, se può sembrare contraddittorio, dice in realtà molto su come si stia evolvendo oggi la comunicazione. Come spiega Walter Hartsarich: “I clienti oggi cercano di mira- re al massimo al target di riferimento e, a fronte di investimenti ridotti, concentrano i budget sui mezzi che facilitano il raggiungimento degli obiettivi di vendita in modo più immediato, sia classici che più innovativi, come il digitale”.

Da un lato quindi si assiste a una concentrazione degli investimenti verso la tv, mezzo da sempre ‘rassicurante’. Ne è convinto Roberto Binaghi, ceo Omd (da giugno, vicedirettore generale Manzoni, ndr), che al tema aveva dedicato un intervento allo Iab Forum di novembre. “Quando le cose vanno male, la tendenza è fare meno esperimenti e affidarsi al ‘bene rifugio’ – dichiara -. Nella pubblicità tale bene è la televisione. Gli investitori la usano perché hanno ritorni importanti, la considerano un mezzo efficace. Non è un caso che, in Italia, attiri la metà abbondante del totale investimen- ti. Quindi, la tv è l’ultimo mezzo a essere tagliato”.

Concorda con questa posizione Marco Muraglia di Starcom, che spiega: “Nelle situazioni di stagnazione e crisi economica, prevale da parte delle aziende un atteggiamento protettivo e maggiormente conservatore, che porterà prevedibilmente, nel prossimo futuro, a un maggior ricorso al mezzo tv, tradizionalmente percepito come ‘meno rischioso’, e più sicuro in termini di impatto positivo sul giro d’affari”. Dall’altro lato, cresce la domanda di strumenti e soluzioni innovative, che più di quelle tradizionali raggiungono in modo efficace il tanto ricercato coinvolgimento del consumatore. Si accentua così una tendenza ben presente sul mercato negli ultimi tempi, anche prima della crisi, come ben emerge ogni mese dalle pagine di questo giornale. Spiega Tettamanti di Carat: “Non è la crisi che sta cambiando modalità di approccio dei clienti. La maggior attenzione al ‘consumer insight’, al ritorno sull’investimento, alla misurabilità, il maggior ricorso al narrowcasting, l’importanza crescente del concetto di ‘engagement’: sono tutti trend che caratterizzano il nostro presente ma che trovano origine già nel recente passato”.

In particolare internet e il digitale sono strumenti che, a fronte di investimenti più contenuti rispetto a mezzi più classici, permettono di realizzare comunicazioni molto targettizzate. Prova ne è la crescita che questo settore continua a mettere a segno (+2% a gennaio, dati Osservatorio Fcp-AssoInternet). E sebbene si tratti di una quota ridotta rispetto al passato, il web è il mezzo che cresce di più, in un mercato che invece cala vertiginosamente. Come precisa Binaghi, “è possibile che quest’anno si debba accontentare di una crescita a una sola cifra, però sta guadagnando quota a scapito di altri mezzi, come la stampa”. Soprattutto, esso viene scelto per la sua misurabilità: variabile, questa, che sarà sempre più determinante nel futuro. È quanto sostiene Vittorio Bonori, che spiega: “L’allocazione di un budget di comunicazione dipende sostanzialmente da quattro variabili: dagli obiettivi, dal target, dall’arena competitiva e dalla dimensione del budget. Queste regole non muteranno nel breve termine, ma tenderanno a semplificarsi notevolmente nel momento in cui la misurabilità dei media consentirà di lavorare in un’ottica di performance marketing. Lo stiamo già sperimentando su alcuni media digitali, con un guadagno significativo in termini di efficienza di investimento”.

Tutto ciò, però, avviene in quell’atmosfera di attesa, diffusa in tutti i campi e i settori, che si traduce nell’allungamento da parte dei clienti dei tempi di decisione degli investimenti. “In un momento in cui è notorio che gli investimenti sono depressi – spiega Alessandro Villoresi – i clienti tendono a dilazionarli nel tempo, nella speranza/attesa di cogliere delle opportunità. E questo, come è immaginabile, ha un’influenza anche sul lavoro dei centri media”. (Beh, buona giornata).

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Il G8 secondo il New York Times:« una programmazione imperdonabilmente negligente da parte del governo ospite, l’Italia, e la debolezza politica di molti dei leader presenti, lascia poco spazio all’ottimismo».

(fonte:corriere.it)
Il Presidente Usa Barack Obama dovrebbe assumere la guida del vertice del G8 al via in Italia, per evitare che sia uno spreco di tempo e di impegno. E’ quanto scrive nel giorno dell’apertura del summit in un editoriale il quotidiano americano The New York Times. Non sono i problemi a mancare, precisa il quotidiano, «ma una programmazione imperdonabilmente negligente da parte del governo ospite, l’Italia, e la debolezza politica di molti dei leader presenti, lascia poco spazio all’ottimismo».

LA GUIDA – Per questo, scrive il Nyt, «se questa sessione non vuole essere uno spreco di tempo e impegno, il Presidente Obama dovrà assumerne la guida», trasformando la fiducia politica che si è guadagnato negli ultimi sei mesi in capitale diplomatico. Il quotidiano invita quindi il Presidente americano a «fare nuove pressioni sulla Germania perché investa di più nel pacchetto di stimolo», a intervenire sugli altri leader per scongiurare «pericolose tendenze protezionistiche» e a sollecitare una «decisa presa di posizione da parte del G8, Russia inclusa», contro l’ambizione nucleare iraniana.

CLIMA – Sui cambiamenti climatici, gli Stati Uniti sono ancora molto indietro rispetto all’Europa, ammette il Nyt, per cui Obama dovrà fare pressioni sul Congresso americano perchè approvi la sua legge per la riduzione delle emissioni. Al vertice, i leader del G8 «dovrebbero impegnarsi a rispettare l’obiettivo» di raddoppiare gli aiuti ai Paesi poveri, e «ogni Paese dovrebbe annunciare un contributo preciso per questo e il prossimo anno». «Tradizionalmente è l’ospite a dettare tono, tema e agenda di questi incontri – prosegue il quotidiano – ma il premier italiano, Silvio Berlusconi, ha speso gran parte delle sue energie, nelle ultime settimane, a cercare di eludere le accuse pubblicate dalla stampa sulle sue frequentazioni con escort e minorenni. “Showmanship”: forse. Leadership: no». «Tutti i Paesi presenti all’Aquila hanno un chiaro interesse a favorire una più forte e rapida ripresa economica, a fermare la corsa nucleare dell’Iran, a rallentare il riscaldamento terrestre e a sostenere lo sviluppo delle nazioni più povere del mondo – conclude il Nyt – spetta ad Obama ricordarlo ai leader e stimolarli». Beh, buona giornata.

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Il G8 non è un bell’ambiente.

(Fonte:ilmessaggero.it)
Salta l’accordo di riduzione delle emissioni di gas serra del 50% entro il 2050. Si apre con una sconfitta il G8 dell’Aquila al quale partecipano i leader di Usa, Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia, Russia, Canada e Giappone. Era proprio il clima, accanto alla crisi finanziaria, uno dei temi principali del summit che si svolge nella caserma della scuola della Guardia di Finanza di Coppito, in Abruzzo. Il tema verrà affrontato domani al Major economies Forum, cui, oltre ai paesi del G8, partecipano anche Brasile, Cina, India, Messico e Sud Africa.

Silvio Berlusconi ha commentato che fra i partecipanti del G8 c’è un accordo sostanziale sul clima, ora bisogna «verificare» se sia possibile un’intesa con India e Cina.

Cina e India: niente accordo su taglio emissioni gas serra. Non ci sarà lo sperato storico accordo di riduzione delle emissioni di gas serra del 50% entro il 2050. Ci sarà invece un’indicazione più blanda, che sottolinea l’importanza di non consentire un surriscaldamento del pianeta superiore ai gue gradi centigradi. Secondo fonti del vertice, India e Cina si sarebbero infatti opposte a identificare obiettivi concreti di riduzione delle emissioni. I due paesi ritengono che i paesi occidentali debbano prima tagliare drasticamente le loro emissioni entro il 2020 se poi vogliono imporre target ambiziosi al resto del mondo. Il tema sarà affrontato giovedì ai lavori del Major economies Forum, cui, oltre ai paesi del G8, partecipano anche Brasile, Cina, India, Messico e Sud Africa, incontro presieduto da Obama. Berlusconi aveva anticipato ieri che sul tema dell’ambiente non c’era unanimità. Beh, buona giornata.

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“Bisognerebbe non avere ogni giorno sinistra e media che cantano la canzone del disfattismo e del catastrofismo”, Berlusconi dixit.

Il Fondo Monetario Internazionale rivede le stime di crescita per l’Italia. Nel 2009, secondo l’Fmi, l’economia italiana si contrarrà del 5,1% rispetto al -4,4% previsto in aprile. Nel 2010 la contrazione sarà pari ad un -0,1%, a fronte del precedente -0,4% stimato. Beh, buona giornata.

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Romano Prodi sul G8: è assurdo che Cina, India e Brasile non partecipino da protagonisti.

Romano Prodi ha aperto i lavori del “Global think-tank summit” che si è svolto in questi giorni a Pechino alla presenza delle più alte autorità cinesi e dalla Capitale cinese ha inviato al Messaggero questa sua riflessione alla vigilia del G8-da ilmessaggero.it

” Nello scorso autunno il governo cinese decise, con una operazione senza precedenti, di iniettare nel sistema economico un’enormequantità di risorse, pari a 575 miliardi dollari, circa il 17% del Prodotto interno lordo.

La decisione veniva in un momento in cui qui a Pechino vi era paura. Era infatti la prima volta, dopo tanti anni, che il sistema rallentava vistosamente la propria crescita e la prima volta, probabilmente dalla fine della seconda guerra mondiale, che milioni di disoccupati affollavano le stazioni ferroviarie delle metropoli costiere per tornare verso le campagne.

Anche se i tassi di crescita non raggiungono ancora le incredibili cifre precedenti alla crisi, il motore dell’economia cinese ha dimostrato formidabili capacità di resistenza e di flessibilità. Oggi marcia, secondo le statistiche, tra il 6% e l’8% di crescita annua. Il piano d’intervento straordinario si è concentrato verso un colossale programma di lavori pubblici (ferrovie, autostrade, infrastrutture in genere), verso una rianimazione dell’ormai moribondo sistema sanitario e verso nuovi investimenti nel sistema scolastico per un migliore accesso allo studio. Sono stati inoltre previsti sussidi diretti alle popolazioni rurali e veri e propri aiuti finanziari alle classi più povere per l’acquisto di beni di consumo durevole, come gli elettrodomestici.

Un’operazione dedicata a rimediare, attraverso l’aumento della domanda interna, al crollo delle esportazioni. E, nello stesso tempo, a cambiare progressivamente i comportamenti economici dei cinesi finora spinti, in conseguenza dell’incertezza sul loro futuro, a risparmiare il più possibile a scapito dei consumi. L’intervento sembra funzionare: esso si esprime nel miglioramento della crescita ma, ancor di più, nel miglioramento delle prospettive future.

In questi giorni si sono riuniti, qui a Pechino, i rappresentanti di moltissimi think-tank e istituti di ricerca internazionali per discutere del futuro dell’economia del mondo. L’opinione largamente dominante è che sarà la Cina a guidare la ripresa. Naturalmente la Cina non potrà da sola cambiare lo stato delle cose dato che, nonostante i suoi giganteschi progressi, essa rappresenta ancora meno del 10% dell’economia mondiale. E chi, tra i grandi blocchi economici, seguirà la Cina nella via della ripresa? Ancora una volta la risposta degli esperti è quasi corale nel prevedere che il resto dell’Asia e gli Stati Uniti precederanno l’Europa, anche se poi nessuno è ancora in grado di dire quando questo avverrà.

Sul perché, invece, non vi sono dubbi: gli Stati Uniti hanno adottato anch’essi misure di politica economica forti e immediate, mentre i Paesi europei vanno ognuno per conto proprio, senza una strategia comune né nei confronti degli investitori, né dei consumatori. Ci si limita a constatare il raffreddamento dello spirito europeo emerso anche dalle precedenti elezioni, senza mettere in rilievo l’enorme costo che questo comporta sia in termini economici sia in termini politici.

L’evoluzione cinese è comunque così rapida che si fa sempre più strada l’idea che dagli otto grandi del G8 si possa, fra non molto, passare ad un mondo governato dai G2, cioè dagli Stati Uniti e dalla Cina. Un’idea che ritengo certo prematura e forse anche impossibile perché sono gli stessi cinesi, consapevoli dei propri problemi, a preferire un mondo con più protagonisti, in modo da assumere progressivamente un forte ruolo negli assetti mondiali senza però provocare tensioni per loro pericolose o addirittura irrimediabili.

È una strategia perfettamente in linea con la politica degli ultimi decenni, volta ad assumere responsabilità sempre più forti, usando come strumento una società che cambia più nelle cose e nei comportamenti che non nelle sue strutture istituzionali. Con un impressionante ritmo di cambiamento ma senza rotture di continuità che potrebbero bloccare il cambiamento stesso.

Chi pensava che la società cinese non fosse in grado di resistere a tutto questo si è finora sbagliato e credo che, come la reazione alla presente crisi ha dimostrato, la robustezza del sistema politico e sociale possa per ancora lungo tempo accompagnare la sua espansione economica.

I problemi da risolvere sono ancora tanti: più della metà dei suoi abitanti sono in situazione di povertà, le tensioni etnico-religiose nelle provincie periferiche ancora forti, mentre le impressionanti differenze sociali potranno essere solo marginalmente alleviate dal pacchetto delle misure economiche adottate dal governo. Il cammino della Cina è quindi lungo, anche se la direzione è già segnata, ed è quella di essere nel numero ristretto delle grandi forze politiche che guideranno il nostro futuro. Questo destino è inevitabile: dobbiamo semplicemente operare in modo che il ruolo che la Cina coprirà nel mondo (dato che essa ha ormai una politica globale) sia sempre più cooperativo e non conflittuale.

Considero quindi una assoluta bizzarrìa della storia che la Cina e gli altri grandi nuovi protagonisti della politica mondiale come l’India e il Brasile non si seggano attorno al tavolo dei G8 ma siano relegati, con complicate finzioni diplomatiche, a mangiare in cucina. Le finzioni possono mascherare la realtà per un periodo di tempo brevissimo. Il periodo per adattare il G8 alla realtà della storia è già passato da un pezzo.” (Beh, buona giornata).

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Per la stampa estera il G8 non è ancora cominciato ed è già un disastro.

di ENRICO FRANCESCHINI-repubblica.it

Un summit che sta “discendendo nel caos”, su cui è meglio avere “basse aspettative” e che potrebbe addirittura produrre, oltre al rischio di nuove “gaffe di Berlusconi” e controversie sulla sua vita privata, proposte per “espellere l’Italia dal G8” e sostituirla con la Spagna. Sono le indiscrezioni raccolte dalla stampa estera tra le delegazioni degli altri paesi invitati al vertice che si apre domani all’Aquila e i commenti e le previsioni che alcuni dei più autorevoli giornali del mondo, dal Financial Times al Wall Street Journal, fanno sull’appuntamento internazionale che richiama i grandi della terra, e le luci dei riflettori, sul nostro paese.

“Crescono le pressioni all’interno del G8 per espellere l’Italia, mentre i preparativi per il summit scendono nel caos”, è il titolo del Guardian di Londra. Nell’assenza di qualsiasi iniziativa sostanziale da parte italiana per organizzare l’agenda del vertice, scrive il quotidiano della capitale britannica, “gli Stati Uniti hanno assunto il controllo”, con un giro di conferenze telefoniche effettuate dai loro “sherpa”, come si chiamano in gergo gli alti funzionari che pianificano i temi e le iniziative del G8, per “iniettare all’ultimo momento qualche significato” nell’incontro dell’Aquila. “Che sia un altro paese a organizzare le telefonate degli sherpa è un fatto senza precedenti”, dice al Guardian un alto esponente della delegazione di un paese del G8. “Gli italiani sono stati semplicemente terribili. Non c’è stata organizzazione e non c’è stata pianificazione”.

Dice allo stesso giornale un altro diplomatico europeo coinvolto nei preparativi del vertice: “Il G8 è un club e per far parte di un club ci sono le quote d’iscrizione. L’Italia non ha pagato la propria”. Le proteste dietro le quinte del summit sono arrivate al punto, prosegue l’articolo del Guardian, da far circolare suggerimenti di espellere l’Italia dal G8 o da un gruppo che ne diventi il successore. Una possibilità che circola nelle capitali europee, secondo il giornale, è che la Spagna, che ha un reddito pro capite più alto e versa in aiuti al Terzo Mondo una percentuale più alta del pil, “prenda il posto dell’Italia”.

Il ministero degli Esteri italiano, afferma Julian Borger, corrispondente diplomatico del Guardian e autore dell’articolo, non ha risposto a richieste di commentare simili critiche. Oltre alle fonti anonime, il giornalista riporta il parere di Richard Gowan, un analista del Centre for International Cooperation presso la New york University: “I preparativi italiani per il vertice sono stati caotici dall’inizio alla fine”, dice il politologo. “Già in gennaio gli italiani dicevano di non avere una visione per il summit e che se l’amministrazione Obama aveva delle idee loro erano pronti a seguire le istruzioni degli americani”. Il giornale conclude che l’Italia ha cercato di coprire la mancanza di sostanza aumentando la lista degli ospiti, che secondo una stima saranno ben 44. “Gli italiani non hanno idee e hanno deciso che la cosa migliore è allargare l’agenda al massimo in modo da oscurare il fatto che non hanno un’agenda”, dice ancora il professor Gowan.

Giudizio analogo è espresso da un editoriale non firmato, dunque espressione della direzione del giornale, sul Financial Times. “Da settimane”, scrive il quotidiano finanziario, “le notizie sulla vita privata del 72enne leader italiano sono stato un totale imbarazzo, ma la sua reputazione è calata per ragioni che vanno al di là dei recenti titoli di giornale”. Il Ft afferma che Berlusconi è sempre stato giudicato all’estero come una figura controversa e imprevedibile. Durante il suo precedente governo, dal 2001 al 2006, Bush “aveva bisogno di corteggiarlo” perché Washington era in conflitto con Chirac e Schroeder, “ma oggi tutto è cambiato, Francia e Germania hanno leader fortemente pro-americani, sicché Obama non ha bisogno di essere tollerante verso Berlusconi come il suo predecessore”. Il giornale cita le questioni che hanno irritato gli Usa e gli altri membri del G8: l’inadempienza dell’Italia sugli aiuti all’Africa, lo scarso interesse del premier italiano sull’impegno per combattere il cambiamento climatico, la sua ambizione di mediare sull’Iran e sulla Russia. “Le previsioni non sono buone”, conclude il Financial Times, ricordando che la prima volta che Berlusconi presiedette un summit del G8 gli fu inviata una comunicazione giudiziaria (Napoli, 1994), la seconda volta il summit fu rovinato dalle proteste e dagli scontri (Genova 2001): meglio tenere “le aspettative vasse” per la terza volta.

Sempre sul Financial Times, un secondo articolo, firmato dal columnist più autorevole di affari internazionale Quentin Peel, rivela che l’ex segretario generale dell’Onu Kofi Annan, noto per essere uno dei diplomatici più tranquilli e posati della scena internazionale, ha perso la pazienza e ha scritto “una dura lettera personale” a Berlusconi, rimproverandolo per non avere mantenuto gli impegni da lui presi al precedente G8 sugli aiuti all’Africa. In proposito, un corsivo del Guardian ironizza che il premier italiano potrebbe venire ribattezzato “mister 3 per cento”, come lo ha chiamato Bob Geldof, il cantante paladino degli aiuti ai paesi poveri, nel senso che Berlusconi “mantiene solo il 3 per cento delle promesse fatte”.

A Berlusconi dedica la prima e la terza pagina anche il Daily Telegraph, il più diffuso quotidiano “di qualità” britannico. In prima pubblica una gigantografia di una giovane donna con una maglia traforata sotto la quale non indossa niente: “Quale leader europeo porta il suo ministro pieno di glamour al G8?” è il titolone che l’accompagna. La donna è Mara Carfagna, rivela un articolo a pagina 3, e il leader ovviamente è Berlusconi: “la modella in topless che è diventata ministro riceve il compito di intrattenere le moglie al G8”, afferma il servizio all’interno, a causa dell’assenza di Veronica Lario che ha chiesto il divorzio accusando il marito di avere “rapporti copn minorenni” dopo la sua partecipazione alla festa per il 18esimo compleanno di Noemi Letizia.

Altri articoli sulle difficoltà logistiche e politiche del summit, che si sommano agli scandali sulla vita privata del premier, appaiono sull’Independent, sul Times e su giornali di altri paesi. Il Wall Street Journal rivela che lo scetticismo e la preoccupazione degli altri leader del G8 è tale che Angela Merkel ha confidato a un consigliere politico che starà attenta a come viene fotografata accanto a Berlusconi durante il summit “nel contesto delle prossime elezioni tedesche”: un’immagine ridicola o offensiva accanto al premier italiano, si rende conto il cancelliere della Germania, potrebbe costargli la rielezione.(Beh, buona giornata).

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Ha ancora senso il G8?

L’ULTIMO G8 di Vito Tanzi -lavoce.info

Gli otto grandi del mondo si incontrano tra pochi giorni in Italia, a L’Aquila. Ma ha ancora senso una riunione dei G8, quando ne sono esclusi paesi come Brasile, Cina o India? Tanto più che le decisioni prese dal G8 non saranno certo accolte con entusiasmo da paesi che non hanno avuto nessuna voce in capitolo. Forse è giunto il momento di sciogliere il G8 e sostituirlo col G20. E cominciare a pensare seriamente alla creazione di meccanismi permanenti che possano proporre soluzioni concrete ai problemi del mondo.

Tra pochi giorni, l’Italia ospiterà a L’Aquila, presso la scuola della Guardia di Finanza, la trentaquattresima riunione dei G8, i cui rappresentanti sono spesso descritti dai giornali come gli otto “grandi” della terra. Con il passare degli anni il numero dei “grandi” è aumentato rendendo l’appartenenza al gruppo progressivamente meno esclusiva. Certo, è stato più facile aumentare il numero dei membri del club che sostituire i paesi diventati meno importanti con quelli che sono diventati più importanti: nel corso degli anni, i membri sono infatti aumentati da cinque a sette e, nel 2007, con l’ammissione della Russia, si è arrivati a otto. C’è da aspettarsi che nei prossimi anni i G8 diventeranno i G13, con l’ammissione di Brasile, Cina, India, Messico e Sud Africa.

COME DEFINIRLI PICCOLI?

Brasile, Cina, India, Messico e Sud Africa oggi sono ovviamente molto importanti nel mondo e la loro esclusione dal gruppo dei “grandi” sembra strana. Èdifficile considerare paesi come la Cina, l’India e il Brasile come “piccoli”. E forse lo stesso si può dire per il Messico e il Sud Africa. Nel loro insieme questi cinque paesi coprono una proporzione enorme della superficie terrestre. Includono la metà della popolazione del mondo. Posseggono enormi risorse minerarie ed energetiche. Realizzano una proporzione alta e crescente delle automobili prodotte nel mondo. Sono diventati leader in alcuni settori di alta tecnologia, come satelliti, fabbricazione di aerei, tecnologie delle comunicazioni. Con l’eccezione del Messico, questi paesi stanno crescendo più rapidamente degli attuali membri del G8. Non solo: oltre a Brasile, Cina, India, Messico e Sud Africa, ci sono altri paesi che per la loro importanza meriterebbero di fare parte del club.È facile quindi capire perché il G20 sta progressivamente rimpiazzando in importanza il G8.

A L’Aquila i G8 prenderanno decisioni – se le dichiarazioni espresse alla fine del summit si potranno considerare “decisioni” – che poi cercheranno di “vendere” alle altre nazioni. Ma è facile anticipare la mancanza di entusiasmo da parte dei paesi che non fanno parte dei G8 verso queste decisioni, alla cui preparazione non hanno partecipato.

DIVISIONI TRA I G8

È allora interessante passare in rassegna i principali temi che saranno discussi a L’Aquila. La conferenza stampa, tenuta a Washington il 15 giugno dal presidente Obama e dal presidente del Consiglio Berlusconi, ci dà qualche informazione. Barack Obama ha menzionato quattro temi: (a) la creazione di una struttura legale permanente e internazionale per combattere il terrorismo; (b) la riduzione degli arsenali nucleari; (c) la sicurezza nella disponibilità di cibo nei paesi poveri; e (d) la discussione della situazione economica mondiale.

Silvio Berlusconi ha dichiarato che l’obiettivo del summit è quello di raggiungere “soluzioni concrete” su molte questioni “estremamente importanti”. E ne ha citate alcune. In primo luogo, sviluppare principi che impediscano il ripetersi della crisi economica e che possano essere accettati da tutti i paesi. Sembrerebbe una missione impossibile. Forse conscio delle difficoltà, il presidente del Consiglio ha aggiunto che questo lavoro probabilmente non sarà completato a L’Aquila, ma ha manifestato la speranza che possa essere ultimato nella prossima riunione dei G20 a Pittsburgh. Questo obiettivo non era stato menzionato da Obama. Sulla sicurezza alimentare nei paesi poveri, Berlusconi ha aggiunto che gli Stati Uniti metteranno a disposizione di vari paesi “una quantità enorme di moneta” per garantire il raggiungimento di quest’obiettivo. Stranamente, Obama non aveva fatto menzione alcuna di queste somme. E data la situazione dei conti pubblici negli Stati Uniti, è improbabile che voglia mettere “una quantità enorme di moneta” a disposizione di altri paesi. Berlusconi ha citato anche i cambiamenti climatici, la riduzione delle emissioni di CO2 e il rilancio del Doha Round. Anche questi sono temi che non erano stati citati da Obama.

Èchiaro che ci sono già divergenze all’interno dei G8 sugli obiettivi importanti da promuovere o raggiungere.
Berlusconi ha dichiarato anche che altri dodici paesi – India, Cina, Sud Africa, Messico, Brasile, Egitto, Corea del Sud, Indonesia, Australia, Olanda, Spagna e Danimarca – parteciperanno a vari incontri collaterali alla riunione dei G8. Due osservazioni. La prima è che è difficile credere che si potrà raggiungere qualcosa di concreto rispetto a temi così difficili in tre giorni. La seconda è che la partecipazione degli altri dodici paesi trasforma de facto il summit dei G8 in un summit dei G20. Forse è giunto il momento di sciogliere il G8 e sostituirlo col G20. E cominciare a pensare seriamente alla creazione di meccanismi permanenti che possano proporre soluzioni concrete ai problemi del mondo. Riunioni come quella dell’Aquila sono utili per creare rapporti tra i governanti dei paesi più importanti, non per risolvere questioni concrete.
(Beh, buona giornata).

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I ventuno arresti degli studenti dell’Onda: il vecchio trucco di costruire il nemico interno per nascondere le difficoltà esterne.

Scontri G8 università Torino: 21 arresti. Da Milano a Palermo studenti occupano-ilmessaggero.it

Università occupate in tutta Italia dopo che 21 persone sono state raggiunte da misure cautelari (16 in carcere e cinque ai domiciliari) per gli incidenti avvenuti lo scorso 18 maggio a Torino in occasione del G8 dell’Università. Il Gip motiva le ordinanze con il rischio di reiterazione dei reati al summit dell’Aquila, ossia pericolo che gli indagati ripetano quelle azione al vertice. Il procuratore capo di Torino, Giancarlo Caselli ha parlato di manifestanti «organizzati in modo paramilitare». Negli arresti colpiti in particolare due centri sociali “storici”: il Pedro di Padova e l’Insurgencia di Napoli.

Gip: rischio reiterazione reati all’Aquila. GLi arresti vengono motivati dal giudice per le indagini preliminari con il pericolo di reiterazione dei reati, anche «in vista dell’imminente apertura dei lavori del G8» dell’Aquila. Gli arrestati, si legge infatti nell’ordinanza, «appartengono a un comune ambiente, riconducibile al movimento antagonista non solo torinese, in grado di elaborare un disegno criminale collettivo ben organizzato, preparato in anticipo, suscettibile di porre in serio pericolo l’incolumità personale delle forze dell’ordine e di turbare gravemente l’ordine pubblico». Ciò «rende evidente l’estrema concretezza e gravità del rischio di reiterazione di analoghe condotte criminose». Tanto più, conclude il giudice, «in vista dell’imminente apertura dei lavori del G8».

Sul web messaggio e foto di una bomba carta. Sulla pagina lombarda del sito web Indymedia, uno dei portali di riferimento della galassia antagonista, è apparso un post intitolato «E allora ‘l’onda si fece bomba», accompagnato dalla foto di una bomba carta. Il messaggio è rimasto visibile per circa mezz’ora, poi è stato cancellato. Nell’immagine, a sinistra ci sono una miccia, quella che sembra polvere da sparo, un foglio di carta e un piccolo cilindro. A destra l’ordigno pronto. Sotto, la scritta: «Pensate che gli arresti ci spaventano? Pensate di impedirci di manifestare? Pensate che gabbie e manganelli salveranno la vostra società di sfruttamento? Pensate male». Il post anonimo, inserito alle 16.26, è stato immediatamente più volte commentato prima di essere rimosso.

Le occupazioni. Prima l’occupazione del rettorato dell’ateneo di Torino, poi quella di tante altre università da parte degli studenti dell’Onda che chiedono ai rettori di prendere posizioni contro gli arresti. Occupati l’ufficio del pro-rettore de La Sapienza (gli studenti hanno deciso che resteranno anche stanotte) la facoltà di Architettura di Roma Tre, il Rettorato di Bologna, della Federico II a Napoli, di Pisa, Venezia, e La Statale di Milano dove la situazione è tornata alla normalità dopo che gli studenti hanno incontrato il preside della facoltà di Lettere e Filosofia. Gli universitari si sono uniti a un presidio già previsto davanti alla Prefettura contro la nuova normativa in tema di sicurezza. A Venezia il Rettore Carlo Magnani ha preso posizione contraria agli arresti. Protesta anche a Genova con gli studenti dell’Onda che sono entrati con striscioni alla conferenza strategica sul futuro della città. Il rettore dell’ateneo genovese, Giacomo Deferrari, ha risposto esprimendo solidarietà. Solidarietà anche da parte del sindaco di Genova Marta Vincenzi. Si mobilitano anche gli studenti di Cagliari che entrano in assemblea permanente nella facoltà di Scienze della Formazione. Protesta anche a Palermo con l’occupazione delle facoltà di Lettere e
Filosofia e di Scienze politiche.

Cortei, striscioni e proteste. Sarebbero un centinaio a Napoli dove domani si prevede una mobilitazione, una ventina quelli del movimento pisano dell’Onda a Pisa, a Bologna gli studenti hanno improvvisato un corteo, alla Sapienza i ragazzi hanno invaso l’ufficio del pro-rettore Avallone, a Roma Tre una cinquantina di aderenti della Rete V Strategy che fa parte del cartello anti G8 hanno occupato Architettura. Alla Statale di Milano esposti striscioni dal rettorato con la scritta “Liberi tutti, liberi subito”.

Agnoletto: si alimenta la tensione verso il summit dell’Aquila. Gli arresti «a due giorni dal G8 dell’Aquila è un chiaro messaggio da parte del Governo, che così facendo alimenta ed esaspera il clima di tensione verso l’evento (come aveva fatto a Genova, otto anni fa)». Vittorio Agnoletto, portavoce del Genoa Social Forum ai tempi del G8 di Genova parla di «strategia finalizzata a spostare l’attenzione dei media e dei cittadini dalle due vere notizie: il fallimento annunciato di quest’ennesimo vertice e l’evidente perdita di credibilità di Berlusconi agli occhi dell’opinione pubblica mondiale»

Luca Casarini, il leader dei disobbedienti, ha sottolineato che si tratta di «arresti preventivi di stampo fascista, un’operazione politica fatta prima del G8 e dopo il vertice si smonterà». Per Luca Casarini «dietro» quanto accaduto «c’è la mano dei servizi segreti italiani: non siamo disposti ad accettare questo tipo di imposizioni e di vergogne nazionali». «Chiunque ci sia dietro – spiega – pagherà molto caro quello che sta succedendo».

Onda: Maroni il mandante. E’ Roberto Maroni sottolinea l’Onda Anomala di Torino, «il mandante di questa operazione che, oltre a reprimere il dissenso, compie una azione preventiva in vista dell’imminente G8 dell’Aquila». Di «arresti ad orologeria» parla anche Lele Rizzo, leader del network antagonista torinese: «Potevano fare tutto dieci giorni fa», afferma Rizzo, che scagiona i suoi compagni arrestati: «Al corteo – dice – di paramilitare c’era ben poco».

Gli arresti. Dodici persone sono state arrestate a Torino, mentre le altre a Padova, Bologna, Napoli e L’Aquila. A Padova ordine di arresto per il leader del centro sociale padovano Pedro Max Gallob e un esponente dell’ala universitaria della disobbedienza padovana, attualmente in Iran, suo paese di origine. Un altro attivista è stato sottoposto a perquisizione domiciliare. All’Aquila arrestato Egidio Giordano, napoletano di 25 anni, uno dei leader del centro sociale Insurgencia di Napoli che ha partecipato alla fiaccolata di ieri dei cittadini aquilani. Alcuni degli arrestati, ha inoltre reso noto la procura di Torino, hanno partecipato agli scontri di Vincenza, sabato scorso in occasione della manifestazione No Dal Molin.

Legale leader centro sociale Padova: strana l’ordinanza dopo tanto tempo. È «particolare» che le ordinanze di custodia per i tafferugli di Torino del maggio scorso «vengano emesse, per un episodio di scontri di piazza, a distanza di più di un mese dall’accaduto». La riflessione è dell’avvocato Aurora D’Agostino, legale che assiste Max Gallob, e che ha annunciato il ricorso al tribunale del riesame. Il legale ha anche detto che l’ordinanza del gip è datata 3 luglio, ma non si sa quando la procura ha chiesto le misure cautelari. L’avvocato D’Agostino ha anche detto che la procura aveva chiesto i domiciliari per tre persone, mentre il gip ha ritenuto di applicare tale misura a cinque giovani, mentre per gli altri 16 ha firmato l’ordinanza di custodia in carcere. Dopo aver ricordato che nell’ordinanza si contesta ai giovani l’uso di bastoni ed estintori ed il lancio di pietre e fumogeni, il legale ha sottolineato che le lesioni riportate dagli uomini delle forze dell’ordine, reato indicato tra le accuse, vanno da prognosi di tre o quattro giorni alla più grave di 15 giorni.

Tra gli indagati anche uno studente di Gemonio, 25 anni, denunciato per violenza privata in concorso. Nella sua abitazione la Digos ha trovato fogli e volantini che dimostrerebbero, secondo gli investigatori, che lo studente è vicino all’area del centro sociale Askatasuna. Avrebbe partecipato a una delle manifestazioni in cui erano state chiuse con delle catene le entrate di una banca nel capoluogo piemontese.

Nelle scorse settimane erano già state arrestate due persone. Domenico Sisi, parente del sindacalista Vincenzo Sisi processato a Milano con l’accusa di far parte di un’organizzazione terroristica, e Alessandro Arrigoni, dipendente della prefettura di Milano. Entrambi avevano poi avuto l’obbligo di dimora.(Beh, buona giornata).

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“Magari il G8 fosse quello che i no global immaginano e paventano, magari ci fosse un governo del mondo. E’ proprio quel che manca il governo del mondo, ma questo tutti gli attori in scena non lo racconteranno, perderebbero la parte.”

G8, il fumo e l’arrosto: non fidatevi di stampa e tv, italiane e straniere. Raccontano solo la scena, ma la sostanza…di Lucio Fero-blitzquotidiano.it

Del G8 ci sarà raccontata solo e soprattutto la scena. Poco o niente ci verrà invece narrato della sostanza. Per abitudine e pigrizia, per modello culturale e metabolizzata ignoranza, per libera scelta ed imposto modello, il grande sistema di comunicazione di massa altro non vede e quindi “comunica” che la scena. Non necessariamente il fumo al posto dell’arrosto, ma sempre e comunque la scena sì e la sostanza no. Poco male, tenendo conto che il G8 è per ammissione e consapevolezza dei suoi stessi protagonisti soprattutto “parata”, sfilata di problemi, esibizione di intenti. Poco male la narrazione limitata alla scena, basta, basterebbe, saperlo. Ma stavolta c’è qualcosa di più e di diverso: stavolta nel e del racconto della scena non bisogna fidarsi, sia che venga da stampa e tv italiane, sia che arrivi da stampa e tv straniere.

Entrambe narreranno in maniera inaffidabile. Perchè il G8 si svolge in Italia. Un paese dove l’appunto alla scenografia, la non lode della messa in scena diventa un atto destabilizzante, politicamente destabilizzante. Quindi la gran parte dei media italiani si sentiranno investiti di una responsabilità e di un mandato “istituzionale” a raccontare che tutto è risultato grande utile e bello della tre giorni abruzzese. Sarà un racconto di trionfi e perfezione “a prescindere”. Come altrettanto a prescindere dalla realtà sarà il racconto di una minoranza dei media italiani, pronti a cogliere un cigolio di una porta o un mugugno di cittadino come presagio di debolezza politica. Succede nei contesti emergenziali-autoritari che l’arredo, la puntualità, la soddisfazione dei commensali a tavola siano indicati dal potere e raccolti dall’informazione come simboli e notizie di buon governo e viceversa. Succede oggi in Italia.

Simmetricamente da non fidarsi sarà la narrazione della stampa e tv straniere. Se la comunicazione italiana ha ingurgitato e assimilato il pregiudizio della lode come “mission” informativa, fuori dai confini si adotta il pregiudizio per cui un paese berlusconizzato non può che essere “unfair” qualunque cosa faccia. La stampa straniera descrive un paese politico che non c’è, racconta gli ultimi giorni di “Berluscolandia”, racconterà a prescindere i tre giorni de L’Aquila applicando lo stesso falso schema.

La scena del G8 verrà dunque narrata con enfasi e trionfi che non ci sono se non nel dettato della regia, oppure con incertezze e passi falsi costruiti a tavolino. Comunque racconti già scritti. Solo il terremoto nella sua disumana imprevedibilità potrebbe mutare i racconti che sono già nella testa degli uomini. O forse nemmeno il terremoto. In caso di una scossa che sconvolgesse il G8, probabilmente anche qui i racconti sono due e già scritti anch’essi: il racconto dell’eterno otto settembre italiano in cui tutti si squagliano, lo Stato per primo, oppure il racconto di San Bertolaso che sconfisse il Drago che scuoteva la terra portando al dito l’anello magico consegnatogli da re Silvio.

E la sostanza del G8? Hanno davanti le tre fasi della crisi economica. Quella finanziaria che è tamponata, arginata ma non finita. Devono, dovrebbero, vogliono, vorrebbero scrivere e far rispettare nuove regole restrittive all’uso finanziario del denaro su scala planetaria. Non sanno se si può fare, non sanno fino a che punto è utile farlo, non sanno se riusciranno a farlo tutti insieme.

Quella del lavoro e dell’occupazione che cala, la fase della crisi che non è tamponata e anzi si allargherà per almeno due anni. Devono decidere se fronteggiarla spendendo denaro pubblico, ma non possono indebitarsi tutti alla stessa maniera. Oppure rintanandosi e aspettando che passi. E poi ci sarà la terza fase, quella del rientro dai debiti pubblici dilatati, quella che, quando verrà, potrebbe stroncare più di una popolarità e di un governo. Quando verrà sarà l’inizio della fine della crisi ma sarà il momento delle tasse o dell’inflazione.

Devono e vogliono, ma non parlano la stessa lingua. Negli Usa la “lingua” del governo e del paese coniuga la grammatica della speranza, la retorica del nuovo inizio, la sintassi della scommessa ed è una lingua parlata con un “accento” culturale che potremmo definire emotivamente e socialmente di sinistra. In Europa si parla la lingua della paura, della difesa strenua dell’esistente, della bilancia tra le corporazioni. Alla crisi l’Europa reagisce con sentimenti e voglia di destra. Accadde già dopo la crisi del 1929, di là il New Deal, di qua la borghesia e i ceti popolari impauriti che sceglievano regimi autoritari. L’ha rilevato D’Alema, non per questo vuol dire sia sbagliato. E’, insieme, una suggestione storica e una constatazione empirica. In ogni caso non saranno i G8 a L’Aquila a decidere, saranno i G20 a Pittsburgh a settembre. E’ quella la sede dove parlano e contano le altre grandi economie mondiali, a partire dalla Cina che ha, niente meno, bisogno insieme di sviluppo del Pil, welfare interno, stabilità finanziaria degli Usa e mantenimento del livello dei consumi americani. Lettere a appelli di Ratzinger o Bono è meglio che portino anche questo secondo indirizzo.

Ci sono poi e niente meno che la pace e la guerra. Se la Cina non taglia il cordone ombelicale, la Corea del Nord non crolla e non molla. Ma, se la Corea crolla, la Cina deve accollarsela. Quindi la Cina non taglia. E non deciderà certo di farlo a L’Aquila. L’Iran: con somma leggerezza e disinvoltura Berlusconi ha annunciato giorni fa nuove sanzioni verso Teheran. Sanzioni che non ci saranno. Non funzionano e Mosca non vuole che funzionino. E poi sanzioni potrebbero rafforzare il regime ormai militare di Teheran. Con l’Iran l’Occidente non sa bene che fare. L’unica cosa che sa bene, Obama e non l’Europa, è che in Afghanistan c’è una guerra vera da non perdere. Lui infatti ha deciso di combatterla, gli altri stanno a guardare, i più amichevoli fanno il tifo ma non osano dire alle rispettive opinioni pubbliche che val la pena morire per Kabul.

Quindi il clima. Strana umanità quella rappresentata al G8. Non c’è cittadino del mondo sviluppato che non sia consapevole e preoccupato. Però quando questo cittadino diventa imprenditore, operaio, automobilista o comunque consumatore di energia, consapevolezza e preoccupazione evaporano. Obama una legge perchè gli americani consumino meno e diversa energia l’ha fatta. Negli Usa proveranno ad applicarla. In Europa una direttiva l’avevano fatta, l’abbiamo fatta. Nella certezza che nessuno l’applicherà.

Sostanza dura e scarsa dunque quella del G8. Ma non si vedrà perchè sarà tutta scena, scena per la quale lavorano anche quelli che protestano. Gridano che non vogliono che otto o ottanta potenti decidano per il mondo, per i popoli. Giurano che questo è il guaio. Al netto del fatto che i popoli, quando parlano, parlano con discreta babele tra loro e comunque con lingua non sempre diritta, il vero guaio è che gli otto o ottanta potenti sono abbondantemente impotenti. Magari il G8 fosse quello che i no global immaginano e paventano, magari ci fosse un governo del mondo. E’ proprio quel che manca il governo del mondo, ma questo tutti gli attori in scena non lo racconteranno, perderebbero la parte. (Beh, buona giornata).

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Il capolinea del governo Berlusconi.

(fonte: blitzquotidiano.it)
A Berlusconi non far sapere…ma la crisi bussa tre volte in un giorno solo. Alla porta del suo governo ma, quel che più importa, anche alla porta di casa nostra. Come il premier, anche ciascuno di noi preferisce tenerla fuori dell’uscio, ignorare i rintocchi, aspettare che si stufi e si stanchi di importunarci. Però la crisi non se ne va, anzi bussa, tre volte in un giorno.

La prima volta suona per chi i soldi li ha: 102 miliardi di quotazioni azionarie come si dice “in fumo” in un giorno. Miliardi che un giorno vanno e un giorno vengono, non è il caso di farne un dramma. E poi riguarda appunto chi ha azioni e chi ce l’ha più tra la gente normale? Solo i matti.

Se non fosse che le Borse sentono odore di bruciato. Dopo settimane e mesi di risalita perché annusavano la fatidica uscita dalla crisi, adesso sono giorni che si vende, si vende. Si vende perché non si crede che molte aziende, quelle che fabbricano cose e non finanza ce la facciano ad arrivare a fine anno. A leggere tra le righe delle cronache dei giornali si vede che molte chiusure per ferie quest’anno rischiano di essere chiusure e basta. Storie di piccole aziende, comunque la prima bussata è per investitori e azionisti, il più di noi può non sentirla.

La seconda bussata riguarda chi lavora a stipendio e a salario. Un po’ di più, parecchia più gente. La seconda bussata dice che in Europa la disoccupazione è arrivata al 9,5 per cento. Altissima. Traduzione: chi ha un lavoro rischia di perderlo, chi non ce l’ha un lavoro è quasi sicuro che non lo trova. Almeno fino al 2010, arrivarci al 2010.

La terza bussata è per i nostri figli e nipoti: il deficit dello Stato italiano nei primi tre mesi dell’anno ha viaggiato a quota 9,3 per cento della ricchezza prodotta. Una volta il tre per cento era il limite, il 4 segnale d’allarme. Ora quel nove e passa dice che lo Stato si indebita sempre più e pagheranno i figli e i nipoti nei prossimi anni e decenni. Tasse? Non ce ne sarà bisogno: sarà una tassa chiamata inflazione ad asciugare l’alluvione del debito.

Tre colpi alla porta in un solo giorno, uno per chi i soldi li ha, uno per chi vive di lavoro, l’altro per il futuro delle famiglie. Meglio non sentirli, accendiamo la tv. Beh, buona giornata.

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Finanza - Economia - Lavoro Lavoro Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La quarta crisi: il Sole 24 Ore, giornale di Confindustria piomba a- 8% e minaccia sfracelli.

Il Sole 24 Ore ha diffuso alle agenzie stampa una nota dove comunica che il CdA del gruppo editoriale, preso atto delle proiezioni riguardanti l’esercizio in corso, si aspetta una flessione dei ricavi di circa l’8%, tenuto conto della variazione di perimetro rispetto al passato esercizio, derivante prevalentemente dalla minor raccolta pubblicitaria.

Per far fronte a questa dimunizione dei ricavi, il Consiglio di Amministrazione ha dato mandato al Presidente e all’Amministratore Delegato di predisporre ulteriori incisive iniziative, anche strutturali, di contenimento dei costi. Beh, buona giornata.

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Attualità democrazia Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

La politica italiana sembra sempre di più un reality show, “e Berlusconi non soltanto è il campione in carica dei reality show, ne è anche il produttore esecutivo”.

Economist: “Il vero scandalo? Berlusconi che nega la crisi” di ENRICO FRANCESCHINI-Repubblica.

Il padrone di casa del G8, il summit dei grandi della terra che si tiene la settimana prossima all’Aquila, ha “tanti luridi scandali” domestici: ma il più grosso dovrebbe essere il suo rifiuto di riconoscere i problemi economici dell’Italia. Così scrive l’Economist in un ampio servizio dedicato a Silvio Berlusconi nel numero oggi in edicola. Il settimanale concentra l’attenzione su un aspetto singolare del vertice: vedendo i danni causati dal terremoto all’Aquila, i leader del G8 potrebbero pensare che anche le loro economie sono state scosse fino alle fondamenta dalla recessione globale. Ma uno di essi non lo pensa: “Il primo ministro italiano insiste che la recessione, nel suo paese, non sarà severa né prolungata come altrove”.

L’Economist osserva che, a prima vista, ciò può apparire veritiero. Il sistema bancario italiano, avendo vissuto isolato e protetto dal resto del mondo, non ha sofferto i disastri di banche americane o britanniche. E un’economia fatta di tante piccole industrie non porta la crisi in prima pagina come fa, negli Usa, il collasso di un gigante quale la General Motors. Ma l’autorevole periodico (un milione e mezzo di copie di tiratura, vendute in tutto il mondo, la maggior parte fuori dal Regno Unito, il che gli dà il titolo di primo vero giornale globale) nota i fattori negativi della nostra economia: la dipendenza dalla esportazioni, l’enorme debito pubblico, la mancanza di riforme per liberalizzare il mondo del lavoro e riformare il sistema pensionistico. L’Economist elenca le previsioni allarmistiche sul futuro dell’Italia fatte negli ultimi tempi da organismi internazionali e dalla stessa Banca d’Italia, sottolineando che Berlusconi ha reagito a questi dati arrabbiandosi, affermando che bisogna “chiudere la bocca a chi parla di crisi”, e suggerendo alle aziende di non fare pubblicità sui giornali che spargono pessimismo.

Conclude il settimanale: “Avendo già incrinato la propria credibilità con la sua vita privata, rifiutando di mantenere l’impegno di spiegare in parlamento la sua relazione con un’aspirante modella 18enne, e ritorvandosi ora a dover rispondere a un mucchio di storie su call-girl intrattenute nella sua residenza di Roma, il premier non può permettere che le sue affermazioni sulla salute dell’economia siano contraddette da prove lampanti davanti agli occhi e alle orecchie degli elettori”.

Di Berlusconi si occupa anche l’americano Time. Ospitando il G8 all’Aquila, il premier italiano sperava di attirare attenzioni positive su di sé e sul suo paese, scrive il settimanale, ma invece “sono le storie sulle feste del premier che catturano l’immaginazione”. Time ricostruisce i vari scandali da Noemi a Patrizia D’Addario, riferendo dell’inchiesta dei pm pugliesi e notando che Berlusconi liquida tutte le polemiche come “spazzatura” e pettegolezzi. “E’ possibile, se le indagini sulla prostituzione porteranno a conclusioni imbarazzanti, che Berlusconi debba dimettersi, aprendo la strada a un governo a interim guidato da qualcuno come il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi o il ministro dell’Economia Giulio Tremonti”, afferma Time. Ma aggiunge anche che è presto per dare Berlusconi per spacciato: la politica italiana sembra sempre di più un reality show, “e Berlusconi non soltanto è il campione in carica dei reality show, ne è anche il produttore esecutivo”. (Beh, buona giornata).

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Negli USA e nella UE, la fiducia nella ripresa è disoccupata.

Disoccupazione da record negli Usa nel mese di giugno. Il tasso è infatti salito al 9,5 per cento e sono stati persi 467 mila posti di lavoro. E’ il livello massimo dal 1983. “Ci vorranno ancora mesi per uscire dalla crisi” è stato il commento del presidente Usa Barack Obama. E da Francoforte il presidente della Bce ha confermato: “La ripresa ci sarà solo a metà del 2010”.

Aumento disoccupati anche nell’Ue. La disoccupazione è in aumento anche in Europa. A maggio il tasso nei Paesi di Eurolandia si è attestato al 9,5 per cento secondo i dati Eurostat. La situazione migliore è in Olanda (3,2 per cento) e la peggiore in Estonia (15,6 per cento). L’Italia è sotto la media europea al 7,4 per cento. Per tutta l’Unione europea l’aumento è dell’8,9 per cento rispetto all’8,7 di aprile ed il 6,8 del maggio 2008. In questo caso siamo al livello più alto da giugno 2005. Beh, buona giornata.

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

Entrate fiscali: -37 miliardi; Pil: -5%; dicoccupazione:+10%; rapporto deficit-pil:+5%; indici di fiducia dei consumatori italiani: al disotto dei minimi storici. Questa è l’Italia del 2009. Cosa ne pensa il capo del governo?

(Ansa.)
NAPOLI – “La crisi che è stata globale ha spiegato la sua massima forza” e se si avrà “fiducia si potrà uscire bene”. E’ quanto sottolineato dal presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi nel corso della conferenza stampa sul G8 a Napoli. La crisi oggi ha come fattore di debolezza la “sfiducia”, ha spiegato il premier sottolineando che metterla in primo piano, continuando a dire che non finirà mai, porta nei consumatori una paura che si riflette nelle loro abitudini agli acquisti e sui consumi”. Un meccanismo che, con effetto volano – ha aggiunto il premier – si riflette sugli ordini delle imprese con una “regressioné” e quindi sui bilanci delle imprese che calano indebolendo la loro capacità di accesso al credito. Se invece ci “sarà fiducia potremo uscire bene dalla crisì”, ha aggiunto Berlusconi. (Beh, buona giornata).

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Gli operai della Fiat di Termini Imerese sono catastrofisti?

Termini è sola di Loris Campetti-Il Manifesto

L’editto con cui Berlusconi ordina ai sudditi l’ottimismo per superare la crisi richiama, più che la parola d’ordine di Mike Bongiorno ai tempi in cui il Cavaliere non gli aveva ancora dato il benservito (Allegria!), la canzone di Dario Fo “Ho visto un re”: “Perché noi allegri dobbiam restare/ ché il nostro piangere fa male al re/ fa male al ricco e al cardinale/ diventan tristi se noi piangiam”. I poveracci a cui i potenti hanno tolto il poco che avevano devono essere ottimisti sulle capacità demiurgiche del Re. Ridi dunque, o taci, stai al gioco o sei un disfattista. Sarà difficile che Berlusconi riesca a convincere gli operai di Termini Imerese a starsene buoni, a essere fiduciosi perché la crisi non c’è. Neanche portando ballerine, hostess e escort nella piazza grande del paese riuscirebbe a strappare il sorriso a quelle tute blu che vedono nero e non sono disposti a scomparire in silenzio. Ma se chiude la fabbrica di automobili, ci fa sapere Marchionne sorretto dal consenso, dalla subalternità o dal disinteresse della politica, non c’è problema: ci sarà una bella riconversione. Mica si può vivere di sole automobili. Già, ma che faranno quei 2.200 lavoratori che dipendono direttamente o indirettamente dalla Fiat? Arancini? E per conto di chi?

Il governo italiano si vanta di non aver messo becco sulle scelte della Fiat, per lasciar lavorare il Grande Timoniere. Mentre i governi di tutti i paesi in cui si producono auto intervengono sulle scelte strategiche e mettono mano al portafogli imponendo in cambio vincoli sociali e ambientali, il nostro governo non disturba il manovratore. Così ha buon gioco San Marchionne – a cui vanno riconosciuti coraggio, creatività e intelligenza economica – a evitare confronti sindacali e compromessi sociali, limitandosi a snocciolare le sue categorie: c’è la crisi – lui può dirlo, i suoi operai no – e si fanno troppe automobili. Dovendo tagliare è facile individuare l’agnello sacrificale. E’ Termini Imerese, cattedrale industriale nel deserto geografico e infrastrutturale di Sicilia, dove costa più che altrove produrre e trasportare le vetture. Non fa una piega.
Eppure di pieghe ce ne sono, e molte. Sono 2.200. Nessuno prova a spiegare loro che altro dovrebbero fare invece di assemblare automobili. Nessuno che ricordi che a fronte di un dipendente Fiat coperto, finché durerà la cassa integrazione, dagli ammortizzatori sociali, ce ne sono molti altri totalmente privi di sostegni, dunque espropriati di qualsiasi futuro lavorativo.

Si parla di Termini per parlare di tutta l’industria automobilistica nazionale. Un milione di persone lavora in Italia nel ciclo dell’auto. E il governo, liberale com’è in un mondo in cui si nazionalizzano anche le banche, non mette becco, non disturba. L’opposizione tace, pensando chi al prossimo congresso e chi alle prossime liste elettorali. E del lavoro chi se ne frega. Poi ci si chiede perché il voto operaio è in fuga.
L’autunno che verrà non sarà segnato da cori di osanna al Re.
Perciò destre e governo lavorano alla rottura del sindacato e all’isolamento dei “disfattisti”, togliendo alle opposizioni sociali il diritto di parola e di protesta. Varata con un accordo separato la controriforma dei contratti senza neanche chiedere il parere agli interessati, ora il blocco di potere che riscrive le regole della convivenza lavora a spaccare i metalmeccanici, isolando e criminalizzando la Fiom che non accetta di diventare complice e ostaggio di quel blocco di potere. Ma le lotte di oggi degli operai di Termini Imerese e quelle di pochi giorni fa di Pomigliano d’Arco annunciano sorprese a molti inguaribili ottimisti e ai loro lacché. Non lasciamoli soli. Gli operai, non gli ottimisti e i lacché. (Beh, buona giornata).

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