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Crisi della pubblicità in Italia: anche nel loro piccolo i creativi della McCann si incazzano.

Sciopero in McCann Erickson-da kttbblog.spinder.com
Ieri in Mc Cann 4 persone hanno scoperto di non avere più un lavoro.
Quello che scrivo mi è stato riportato da un paio di gole profonde che, per ovvie ragioni, hanno chiesto di non essere menzionate.

I 4 sfortunati colleghi sono stati convocati di “sopra”, con “scuse varie”.
Gli è stato comunicato il licenziamento e, tornati “giù”, hanno trovato il loro Mac spento. Non gli è stato possibile portare via nulla.

Il licenziamento sembrerebbe aver colpito il reparto creativo.
Uno dei licenziati sarebbe padre di due bambini.
“il tuo stipendio è troppo alto per il ruolo che ricopri”
2500 euro al mese (ngp -nota gola profonda).

I dipendenti Mc Cann ieri hanno dichiarato uno sciopero e oggi dovrebbe esserci un’altra assemblea.

A quanto pare, altri nove dovrebbero essere licenziati a breve.
Era da almeno sei anni che non si registrava uno sciopero nel nostro settore,
dai tempi della Grey “guidata” da Valeria Monti.

La direzione creativa di Mc Cann viene definita “fuggita a Londra per non affrontare la situazione”. Questa affermazione potrebbe essere gratuita.
La sfiga esiste, è talvolta si è costretti a partire in un momento in cui si preferirebbe restare.
Restiamo sui problemi reali.
Il nostro lavoro ha perso valore perché si sono persi prima i valori.
Questo è successo molto prima dell’ultima crisi economica, ha iniziato ad accadere già nella seconda metà dei dorati anni ’80.

Un’agenzia nuova avviò una politica commerciale improntata su un dumping molto aggressivo, cosa relativamente normale.
Molte grandi agenzie si spaventarono e ne seguirono l’esempio, cosa meno normale.
Smettemmo di farci concorrenza con la forza delle idee, rendendo più deboli le nostre condizioni economiche, i nostri contratti, le nostra fondamenta.

Qualunque professionista operi nel nostro settore deve battersi, nel suo piccolo o nel suo grande, dicendo no a tutte quelle situazioni che possono concorrere a minare ulteriormente il nostro settore.
Mi riferisco alle gare non remunerate, alla mancata applicazione di qualunque tariffario, al fenomeno degli stagisti ad libitum non pagati.
Non parlo di un “cartello”, ma dovrebbe essere evidente a tutti che vendere un radiocomunicato a 100 euro, o una campagna integrata a 10 mila, è una follia.
Sono manovre che posso comprendere in un giovane agli inizi, non in una delle prime 10 agenzie d’Italia.
Continuare ad adeguarci a questa politica commerciale significa essere complici e conniventi con tutte le conseguenze. (Beh, buona giornata).

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Italia d’Autunno: superati 2 milioni di disoccupati.

Più di due milioni di disoccupati in Italia: è la prima volta dal marzo del 2004 che l’Istat rileva un numero così elevato di senza lavoro. A ottobre il tasso di disoccupazione è salito all’8% dal 7,8% di settembre. Il numero delle persone in cerca di lavoro è di 2.004.000, in aumento del 2% ( 39mila persone) rispetto a settembre e del 13,4% ( 236mila) su base annua. Il tasso di disoccupazione giovanile – aggiunge l’istituto di statistica – a ottobre è aumentato al 26,9% dal 26,2% di settembre.

Sono 14.741.000, con un aumento di 210.000 unità rispetto all’ottobre 2008, gli ‘inattivi’, che per la statistica sono i non occupati che nelle quattro settimane che precedono l’indagine non hanno effettuato neanche un’azione attiva di ricerca di lavoro (categoria ampia che include gli studenti, le casalinghe, ma anche i cosiddetti ‘scoraggiati’, cioè i disoccupati di lungo corso che ormai non cercano più lavoro perché si sono convinti che non lo troveranno). Il tasso di inattività è pari al 37,4 per cento, invariato rispetto al mese precedente e in aumento dello 0,4 per cento su base annua.

Penalizzata l’occupazione femminile. Infatti l’occupazione maschile a ottobre 2009 è pari a 13.801.000 unità, con un incremento dello 0,2 per cento rispetto al mese precedente ( 31 mila unità) e una riduzione dell’1,5 per cento (-217 mila unità) rispetto al corrispondente mese dell’anno precedente. L’occupazione femminile raggiunge le 9.298.000 unità, con una riduzione rispetto a settembre dello 0,3 per cento (-30 mila unità) e dello 0,7 per cento (-67 mila unità) rispetto ad ottobre 2008. Beh, buona giornata.

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Verso Copenhagen 2009: non è vero che la Cina è contro la riduzione delle immissioni di Co2.

di Loretta Napoleoni-ilcannocchiale.it

La visita del Presidente Obama in Cina ha confermato che ormai Pechino sa e puo’ dire di no a Washington. Per nascondere l’imbarazzo, l’amministrazione americana e la stampa internazionale hanno ripreso a recitare il mantra dell’inquinamento: la Cina ignora le esortazioni degli scienziati e dei paesi industrializzati affinche’ riduca il suo consumo energetico. “Nulla di piu’ falso,” afferma un analista della City di Londra.

“Si tratta dell’ennesima leggenda metropolitana dura a morire”. Che pero’ a ridosso dell’incontro di Copenhagen molti continuano a credere veritiera.

Pechino ha una sua strategia per sostituire nel breve periodo la produzione energetica degli idrocarburi con fonti rinnovabili e si chiama delocalizzazione. Non si puo’ certamente dire altrettanto dell’amministrazione Obama che invece mantiene un atteggiamento di profonda ambiguita’ rispetto a queste tematiche.

Da qualche tempo il partito comunista incoraggia provincie e regioni a riconvertire l’energia al punto che ormai i progetti ecologici vengono visti come tappe essenziali nello sviluppo economico. E’ cosi’ iniziata una gara tra le autorita’ locali a chi protegge e preserva meglio l’ambiente. In testa al momento c’e’ Ordos, una regione che comprende gran parte del deserto della Mongolia.

E’ chiaro che all’origine di questa competitivita’ c’e’ la certezza che il fabbisogno energetico cinese e’ potenzialmente tanto elevato che deve necessariamente essere soddisfatto con fonti rinnovabili, se se ne vogliono contenere i costi. Ed e’ questa la filosofia che da qualche anno la regione Ordos persegue. Qui l’americana First Solar sta costruendo la piu’ grande centrale fotovoltaica al mondo.

Del complesso fara’ parte anche una centrale eolica dieci volte piu’ potente di quella texana, la Roscoe Wind Complex, che al momento e’ la piu’ grande al mondo ed una centrale a biomassa.

Il governatore di Ordos, Mr.Du, ha da diversi anni in cantiere un progetto che presto trasformera’ parte del deserto mongolo in una sterminata foresta di pini. Dal 2000 a oggi la percentuale di verde nella regione e’ salita dal 20 all’81%.

La campagna contro l’inquinamento e’ dunque iniziata e quello che fino a qualche anno fa’ era un paese dove non esistevano controlli nelle fabbriche oggi ne chiude a centinaia per salvare l’ambiente. Anche la legislazione energetica rispecchia questo nuovo atteggiamento e fissa come obbiettivo il ricorso alle rinnovabili per soddisfare il 15% della produzione nazionale entro il 2020. Ci riusciranno? Si accettano scommesse. (Beh, buona giornata).

Fonte: http://lanapoleoni.ilcannocchiale.it/2009/11/24/il_15_percento.html.

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Lascia la scuola per aiutare la famiglia. Complimenti al ministro dell’Istruzione e al ministro dell’Economia: sta riuscendo il progetto di una scuola di classe?

(da repubblica.it)
Era uno studente modello, ma le circostanze lo hanno costretto a lasciare la scuola: il padre ha perso il lavoro e in famiglia servono soldi. Succede a Rovereto, in Trentino, dove la preside dell’istituto superiore frequentato dal ragazzo ha deciso di rendere nota la storia. A 17 anni, il diritto allo studio ai tempi della crisi deve i fare i conti con la dura realtà dei grandi.

Flavia Andreatta, preside del Fontana, ha raccontato al quotidiano locale “Trentino” di come sia stata colpita dalle parole dell’adolescente. Un giorno il ragazzo è andato da lei, dicendole: “Devo cercare qualcosa per sostenere la mia famiglia. Non ci sono alternative”. Categorico, con la maturità di chi si sente già responsabile per sè e per gli altri.

La dirigente scolastica ha poi spiegato di aver tentato, insieme ai genitori del ragazzo, di convincerlo a restare tra i banchi, ma invano. “La mamma ha ancora un impiego e avrebbero fatto dei sacrifici, pur di vederlo studiare, però il ragazzo si è sentito un po’ l’uomo di famiglia, con la responsabilità di contribuire al bilancio”, ha spiegato la preside. “Un vero peccato – ha aggiunto – perchè era bravo, con la media del 7. So che adesso ha trovato dei lavori interinali”.

Le difficoltà, a sentire la dirigente scolastica, non sono un caso isolato. Riguardano molte famiglie, “sia di extracomunitari che di italiani – ha proseguito – soprattutto se ci sono più figli e tra i genitori qualcuno è in cassa integrazione o ha perso il lavoro”. Per non parlare, poi, dei viaggi d’istruzione e delle attività extra, che ormai sono spesso considerate un lusso. “C’è chi arriva a fare un mutuo per pagare un viaggio d’istruzione, che magari costa qualche centinaio di euro. Per questo noi stiamo molto attenti a proporre iniziative, perché devono essere alla portata di tutti”.

La storia dell’ex-studente di Rovereto ha già attirato l’attenzione dell’assessore all’Istruzione della Provincia autonoma di Trento, Marta Dalmaso. “Un fatto di questo tipo è molto grave, inaccettabile”. Secondo l’assessore, non sono stati segnalati altri casi analoghi, anche se l’abbandono del percorso di studi per sostenere l’economia familiare è sicuramente un problema attuale. “Mi occuperò personalmente di approfondire la vicenda – ha proseguito Dalmaso, che ha poi lodato il 17enne per la “sensibilità verso i genitori e il sacrificio personale”.
(Beh, buona giornata)

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Finanza - Economia - Lavoro Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Continua la crisi della pubblicità italiana.

Media Italia, centro media del Gruppo Armando Testa, agenzia di pubblicità italiana, ha fornito le stime della raccolta pubblicitaria a fine 2009. Il mercato chiuderà intorno al -15%, con la televisione a -8.8%, Quotidiani -24%, Periodici -22%, Radio – 9%; Affissione -20%, Cinema -5%, Internet: +10%. Mala tempora currunt. Beh, buona giornata,

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro Lavoro Media e tecnologia

Italia d’autunno: una lettera dall’inferno.

Ricevo e pubblico.

Cari Amici

scusate se vi chiedo un piccolo aiuto;

io a altri 1191 colleghi della ditta Agile ex Eutelia una sede è anche a
Pregnana Milanese (tutti derivanti da aziende come Olivetti e Bull): a fine
anno saremo tutti licenziati probabilmente senza poter usufruire degli
ammortizzatori sociali.

Ben presto a noi si uniranno altri 6600 colleghi di Phonomedia uno dei più
grandi call-center in Italia.

Tutto ciò grazie a degli imprenditori che qualcuno, con un eufemismo, ha
definito “diversamente onesti”

Questo sta accadendo nel silenzio più totale, nonostante varie
manifestazione anche eclatanti (incatenamenti davanti a Ministeri
competenti, salite sui tetti delle sedi, occupazioni delle sedi), sembra che
nessuno si accorga di noi.

Il Governo ci ignora, sembra che il destino di quasi 9000 famiglie non lo
interessi nemmeno!

Non stiamo percependo alcun stipendio nè rimborsi spese ormai da 3 (tre)
mesi !!!!!!!!!!. (conosco colleghi cinquantenni, con mutui e/o affitti, che
per mantenere la famiglia chiedono soldi a genitori e suoceri!!!!!!!!)

Vista la situazione qualcuno ha pensato di usare il tam-tam delle mail come
la vecchia “catena di S. Antonio” per fare conoscere la nostra situazione al
più alto numero di persone possibile, sperando che arrivi alle orecchie di
qualcuno….”in alto”.

Tutto quello che vi chiedo è: Inviare al più presto una mail con l’allegato
al maggior numero di amici possibile, con la preghiera che loro lo inviino
al maggior numero di amici possibile.

In questo modo in pochi giorni migliaia, forse,milioni di persone saranno al
corrente di quanto ci sta succedendo e chissà che la voce non arrivi a chi è
in grado di farsi sentire.

Per cortesia, fate capire ai vostri amici che NON è la solita catena di
S.Antonio, NON è uno scherzo si tratta di 9000 famiglie che non sapranno
come arrivare a fine mese !.

Vi ringrazio di cuore fin d’ora

gianfranco

(Beh, buona giornata)

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro Lavoro Società e costume

Questo è un breve racconto di un giovane italiano che sta per lasciare il Paese per andare a cercare fortuna all’Estero. Siamo nel 2009, ma l’ingiustizia continua.

LI’ DOVE VOLANO GLI AVVOLTOI, una short story di Mattia D’Alessandro.

Rientrai a casa, feci il caffè. Il caffè riporta sempre l’equilibrio. La star del momento mi aveva divorato con la sua rinomata voracità. Tutti me ne avevano parlato, ma io non ci credevo. Ora ero nel suo ventre molle. Ogni volta che mi addormentavo, da quel lunedì di ottobre, sognavo me stesso chiuso in quella placenta aliena. Era il suo ventre ed io lo sapevo. Chiudevo gli occhi ed ero nel grembo della più grossa sgualdrina che il genere disumano abbia mai conosciuto. Gennaro e Luca erano a scuola e non sarebbero rincasati prima delle due. Il caffè, come al solito, non ebbe i suoi classici effetti. Sprofondai nel divano.

La mia postura nel grembo della star era molto diversa da quella fetale. Mi aveva ingoiato del basso. Era come essere chiusi in un sacco a pelo di tessuto organico.

Ero disteso su una striscia di asfalto bollente ed infinita. Intorno prati sterminati. Sintetici di nuova generazione. Sopra di me, un cielo di piombo. Enormi avvoltoi teste di manager volavano in cerchio sopra il mio corpo immobile. La sentivo gracchiare risate e sputare sentenze. Evitavo il loro sguardo. La particolare caratteristica dell’avvoltoio testa di manager è la sua aggressività. E’ l’unico volatile aziendale che attacca anche solo per dimostrare il proprio valore all’interno del branconsiglio di amministrazione. Iniziò a nevicare. Palle di carta. Le classiche con cui si fa canestro in ufficio. Nevicò con un’intensità tale, che in dieci minuti ero ricoperto di palle. Quei maledetti avvoltoi sembrava ridessero di me. Non lo capii mai.

Provai a prenderne una. Era difficile nel mio essere immobile. Ne agganciai una con la mano sinistra. La scartocciai nella mano e alzando leggermente il capo, riuscii a leggere qualcosa. Era una cambiale. Ero sommerso dai pericolosissimi “ pagamenti perenni”. Cambiali, mutui, rate di qualsiasi genere e altre mille ancora. Iniziai a sentire freddo. Troppo freddo. Meglio svegliarsi.

Avevo sognato quasi due ore. Preparai il pranzo. Mia moglie mi chiamò. Le parlai della star. Parlammo tanto. Il sugo bruciò. I bambini tornarono. Tutti in trattoria, che gli ultimi spiccioli si porta via.( potrebbe continuare…)
(Beh buona giornata).

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Basta col Pil, bisogna creare un nuovo sistema di misurazione della ricchezza, magari improntato sulla sostenibilità.

da greenreport.it.

Che cosa conta nella vita? Qual è la ricchezza e come la si misura? Sono domande cui cerca di rispondere Patrick Viveret, filosofo e consigliere referente della Corte dei Conti, incaricato nell’ agosto 2000 da Guy Hascoët, sottosegretario di stato per l’economia solidale del governo francese, di scrivere un “Rapporto sui nuovi fattori di ricchezza”.

“Ripensare la ricchezza. Dalla tirannia del Pil alle nuove forme di economia sociale” è appunto il rapporto di Viveret volto a ripensare ciò che nella vita umana rappresenta un valore e a proporre, sulla base di nuovi criteri, un nuovo sistema di contabilità nazionale, non esclusivamente appiattito su valori numerici, come il Pil (prodotto interno lordo), ma soprattutto basato su valori qualitativi ed esistenziali. (Le intenzioni di fondo che portarono alla commissione del lavoro infatti erano quelle di sottrarsi progressivamente alla “dittatura del Pil”, considerato ormai da molti “un termometro che rende malati”).
Il rapporto di Viveret si sviluppa in due fasi. Mentre la prima fase è di tipo “esplorativo” mirata ad aprire il dibattito – si compone di due grossi capitoli e di una conclusione programmatica – ed è focalizzata sui problemi e sulle incongruenze della contabilità nazionale lorda basata prevalentemente sul Pil; la seconda – che consta di tre capitoli e di una breve conclusione – è una vera e propria sintesi delle discussioni di un anno intorno al tema affrontato dove, fra l’altro, l’autore, stimola, comunque, a continuare nella riflessione.

Il prodotto interno lordo e la sua evoluzione, il “tasso di crescita”, è diventato un vero “indicatore sociale” nelle società occidentali ossessionate dalla misurazione monetaria, viene di continuo evocato, ma molto spesso senza mai precisare le sue condizioni di costruzione, i suoi paradossi e i suoi limiti. Viene, però, considerato positivo, anche se ignora l’insieme delle ricchezze non monetarie e anche quando contabilizza in maniera positiva il numero di distruzioni ambientali, insoddisfazioni personali, malattie. Perché comunque sia, i disastri ambientali e umani generano flussi monetari per le riparazioni, gli indennizzi o le sostituzioni.

Del resto il Pil misura sola le transazioni monetarie senza distinguere fra quelle positive o quelle negative e trascura tutte quelle a titolo gratuito o comunque non quantificabili monetarmene (come ad esempio il volontariato di qualsiasi genere).

Ma, in ogni caso il calo o il rialzo del Pil dai governi viene interpretato come il declino o la ripresa del Paese. Senza interrogarsi se davvero l’aumento del Pil fa la ricchezza della popolazione di un Paese e se davvero il Pil è lo strumento adeguato per misurarla.
Il Pil è indifferente al concetto di benessere dell’essere umano ossia alla soddisfazione di bisogni fondamentali come il cibo, la casa, una buona salute, relazioni solide e la possibilità di realizzare il potenziale di ogni singolo individuo. Però, gran parte dei governi e anche dei consumatori-individui, credono che al crescere dei consumi corrisponda un miglioramento del benessere.

Ma non è esattamente così perché la società occidentale dei consumi che poggia fondamentalmente su tre pilastri come la pubblicità, il credito e l’ obsolescenta programmata crea anche disagi e infelicità. La tesi secondo cui più si consuma più siamo felici si rivela errata, perché il livello di soddisfazione di vita a un certo punto non tende ad aumentare all’aumento del reddito mentre il numero percentuale di depressi, bulimici e anoressici aumenta.

E allora come fare? Creare un nuovo sistema, magari improntato sulla sostenibilità. Per Viverent l’obiettivo da raggiungere è una nuova responsabilità ecologica e sociale, mediante un nuovo approccio alla ricchezza e uno Stato ecologicamente e socialmente responsabile. Infatti, ogni indicatore di ricchezza è una “scelta sociale e politica”.

Ma accanto a un nuovo paradigma, occorre anche una strategia “ambiziosa”, che tenga conto del fatto che ci sono valori umani che non si possono contabilizzare, ma che sono evidenti ed importanti per la società. Cambiare paradigma significa anche non continuare a ruotare intorno al concetto che «solo» l’impresa sia unica produttrice di ricchezza. Altrimenti, le teorie sul capitale sociale, naturale ed umano non avrebbero ragione di esistere.

Occorre evitare poi il rischio di «mercantilizzare» ancor più la visione sociale e la stessa vita umana. E questo in un certo senso è direttamente legato ad una nuova concezione della moneta, che da pacificatrice e mediatrice degli scambi, è diventata strumento di violenza e di dominazione economica, politica e sociale. Ecco perché – come sostiene Viverent – pronosticare «una riabilitazione della nozione del bene comune o dell’ interesse generale» non può essere considerata un’illusione, ma una necessità, un percorso che confluisca in giuste prospettive di sviluppo umano, di una nuova politica (nazionale, europea e internazionale), di un nuovo modo di intendere i rapporti umani tra uomo ed uomo e tra uomo e ambiente.

E dobbiamo fare in modo che i principi di cooperazione e di solidarietà siano determinanti nella sfera economica, sociale, pubblica e culturale e che dalla logica dei «vincenti/perdenti» si passi alla logica «cooperanti/guadagnanti».
(Beh, buona giornata).

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Cala il Pil, aumenta la disoccupazione. In compenso siamo un Paese molto più corrotto dell’anno scorso.

(Fonte: AGI).
L’Italia e’ sempre piu’ corrotta. O almeno e’ percepita come tale. Il nuovo rapporto di ‘Transparency’ ha fatto precipitare il Belpaese dalla 55ma posizione dell’anno scorso alla 63ma di quest’anno, con un punteggio di 4,3 contro il 4,8 del 2008. Meglio dell’Italia si piazzano la Turchia e la Slovacchia. I Paesi meno corrotti sono la Nuova Zelanda e la Danimarca, quelli che fanno peggio sono la Somalia e l’Afghanistan. Beh, buona giornata.

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Copenhagen 2009 come Kyoto: un bluff la riduzione delle emissioni di Co2.

Clima, accordo Usa-Cina, stop tagli di Co2, Copenhagen in serie B-da blitzquotidiano.it

A venti giorni dalla conferenza di Copenhagen che avrebbe dovuto sancire un accordo storico sulla riduzione delle emissioni, da un incontro Usa-Cina arriva uno stop ai tagli di Co2
I Paesi dell’Apec, l’associazione per la cooperazione economica Asia-Pacifico, riuniti a Singapore, infatti hanno ”riaffermato il loro impegno ad operare per un risultato ambizioso a Copenaghen”, ma non compaiono impegni su obiettivi numerici di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra.

Il presidente americano Barack Obama ha aperto domenica a Singapore, con una riunione a sorpresa dedicata proprio al clima, la giornata più intensa della sua visita in Asia.
Obama ha partecipato ad un breakfast di lavoro fuori programma per ascoltare una proposta del premier danese Lars Lokke Rasmussen di giungere ad un accordo sul clima in due fasi: una intesa politica (a Copenhagen) e quindi legale (in colloqui successivi), con l’ipotesi di un prossimo incontro in Messico.

Secondo la Casa Bianca la proposta fatta da Rasmussen rappresenta ”una valutazione realistica del fatto che non è possibile a questo punto sperare di raggiungere da qui a Copenhagen un accordo internazionale legalmente vincolante che possa essere approvato alla conferenza in Danimarca”.

Un funzionario della Casa Bianca presente all’incontro ha detto che ”è stato manifestato un ampio sostegno dai leader al fatto che l’incontro di Copenhagen deve concludersi con un successo, che si arrivi ad una intesa che possa far segnare un vero progresso e aprire la porta all’accordo conclusivo”. Rasmussen non ha dato molti dettagli sulla fase successiva, post-Copenhagen, che dovrebbe concentrarsi sugli aspetti legali della intesa.

L’accordo politico dovrebbe coprire comunque – ha detto la Casa Bianca – tutti gli aspetti più importanti della fase successiva: traguardi numerici, fasi previste per giungere alla meta finale, sostegno tecnologico, aspetti finanziari. Il presidente Obama non ha comunque ancora deciso se recarsi a Copenhagen in dicembre alla conferenza sul clima.

Tra le barriere che vincolano un accordo globale a Copenaghen, c’è però l’incapacità del Congresso per il clima e l’energia, di emanare una legislazione che fissa obiettivi vincolanti sui gas a effetto serra negli Stati Uniti. Senza un tale impegno, le altre nazioni sono quindi riluttanti a rispettare i loro impegni. (Beh, buona giornata).

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La crisi economica uccide il lavoro: “Mi sembra un piccolo mondo antico ancorato al ‘900”, disse il Ministro della disoccupazione.

Cgil torna in piazza a Roma, Epifani: “Licenziamenti a valanga”-repubblica.it
Maurizio Sacconi, ministro del welfare: “Mi sembra un piccolo mondo antico ancorato al ‘900”

ROMA – La Cgil torna in piazza a Roma contro il governo, da cui esige risposte su lavoro e crisi. La manifestazione nazionale è stata indetta per sottolineare che il peggio della crisi non è affatto alle nostre spalle e che la ripresa sarà lunga e difficile. A sfilare a fianco dei lavoratori della Cgil anche Italia dei Valori, Partito democratico e studenti universitari. Il corteo, partito nel primo pomeriggio da piazza della Repubblica, si è concluso in piazza del Popolo con un intervento del segretario generale Guglielmo Epifani.

“E’ una piazza straordinaria, grazie a tutti voi che siete qui: queste luci vive permettono anche a chi voleva oscurare le nostre ragioni di vederci chiaro e trasparente”: con queste parole il leader della Cgil Guglielmo Epifani ha aperto il suo intervento dal palco di piazza del Popolo.

“Chiediamo che il governo cambi registro per affrontare i nodi della crisi” ha detto il leader della Cgil Epifani, sintetizzando lo spirito del corteo di protesta. “Questa è una manifestazione che vuole chiedere al governo cose precise perchè gli effetti più negativi della crisi arriveranno nelle prossime settimane e investiranno l’occupazione”, ha aggiunto. “La crisi avrà gli effetti più negativi sull’occupazione nelle prossime settimane” ha detto ancora il segretario della Cgil, sottolineando come “il governo non stia facendo nulla per sostenere il lavoro e i pensionati”.

“In un anno sono stati persi, bruciati, 570 mila posti di lavoro di cui 300 mila di precari: una media di 50 mila posti in meno al mese. Questo il consuntivo di un anno da quando la Cgil lanciò l’allarme valanga disoccupazione”, ha denunciato ancora Epifani. “La valanga che avevamo previsto – ha aggiunto Epifani – non ha più neanche la ciambella di salvataggio della cassa integrazione, ma è fatto di mobilità, ristrutturazioni, chiusure e licenziamenti a valanga e ancora di altri precari senza tutela”.

Sull’analisi mostra di concordare il segretario del Pd Luigi Bersani, che nel messaggio inviato a Epifani invoca “una svolta nella politica economica del governo”. “La vera exit strategy a cui dobbiamo dare priorità oggi è la exit strategy dalla disoccupazione di lunga durata e dalla stagnazione dei redditi da lavoro – ha scritto Bersani – Il governo ha perso 18 mesi preziosissimi, ha lasciato impoverire il nostro migliore capitale sociale e la nostra più innovativa capacità produttiva faticosamente irrobustita negli ultimi anni”.

Critico invece il ministro del Welfare Maurizio Sacconi: “Mi sembra un piccolo mondo antico che rappresenta un pezzo del Paese, ma rimane ancorato al ‘900 e alle sue ideologie”. Sacconi ha sottolineato tra la Cgil e gli altri sindacati confederali: “Una manifestazione fatta da soli, esaltando in questo modo la separatezza dalle altre organizzazioni sindacali”.

Secondo gli organizzatori al termine della manifestazione c’erano 100.000 lavoratori provenienti da tutta Italia. Ad aprire il corteo uno striscione con la scritta “Il lavoro e la crisi: esigiamo le risposte”. Tante le bandiere della Cgil, della pace, ma anche di partiti della sinistra come il Pd, l’Idv, dei Comunisti Italiani e grossi palloni colorati con la scritta Flc-Cgil.

Nel corteo anche gli striscioni delle aziende in crisi come l’Eutelia: “Eutelia: come arricchire i padroni depredando i lavoratori. Landi, dove sono finiti i soldi e gli immobili di Getronics e Bull?”. I lavoratori hanno raggiunto la capitale con 3 treni e oltre 750 pullman. Tra i partecipanti anche esponenti politici nazionali come Oliviero Diliberto, Antonio Di Pietro, Paolo Ferrero. In testa alla manifestazione la segretaria nazionale della Cgil Susanna Camusso e il segretario regionale del Lazio Claudio Di Berardino.

La Cgil ha deciso di scendere in piazza senza Cisl e Uil, come ha spiegato ieri Guglielmo Epifani rispondendo alle domande di RepubblicaTv. “Non siamo stati in condizione di fare una manifestazione unitaria sui temi della crisi” ha spiegato il leader della Cgil. “Questo ci è riuscito solo a livello locale, non nazionale. Sarebbe stato meglio farla insieme. Un’iniziativa comune peserebbe di più e i lavoratori, in questo momento, hanno bisogno di tutto il sindacato. Comunque, per riportare al centro i problemi di chi perde il posto, meglio soli che niente”. Da piazza del Popolo Epifani ha lanciato tuttavia un appello a Cisl e Uil: “Mando a dire a Cisl e Uil che se si volesse fare lo sciopero generale sul fisco la Cgil ovviamente è pronta ed è in prima fila”.

Con la Cgil sono centinaia, fa sapere l’Unione degli universitari, gli studenti in piazza, all’indomani del primo ok del Senato a una legge finanziaria fortemente contestata anche sui risvolti per ricerca e istruzione. Riguardo alla scomparsa dei fondi destinati ai giovani ricercatori dell’università, il leader della Cgil ha detto “è una finanziaria che non dà nulla al lavoro, agli investimenti e al Mezzogiorno e non c’è soluzione neanche per i precari dell’università”. “Manca la promessa di stabilizzare i giovani ricercatori precari”, ha spiegato il segretario generale della Cgil, aggiungendo: “gli interventi del governo vanno contro il mondo del lavoro”.

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Finanza - Economia - Lavoro Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La pubblicità italiana non esce dalla crisi.

Nielsen Media Research: la pubblicità a -16% nel periodo gennaio-settembre 2009.

Nei primi 9 mesi gli investimenti pubblicitari ammontano a 5.990
milioni di euro. A settembre 2009 verso settembre 2008 la variazione è
del -12,8%. In particolare la Televisione mostra una flessione del
-13,2% sul periodo cumulato, la Stampa da gennaio ha un calo del
-23,6%, la Radio diminuisce del -14,0%, l’Affissione del -26,0%. Segno
più per Internet (+5,2%) e per le Cards (+1,0%).

Nielsen Media Research comunica che da gennaio a settembre gli
investimenti pubblicitari ammontano a 5.990 milioni di euro con una
flessione del -16,0% rispetto al corrispondente periodo del 2008. A
settembre 2009 verso settembre 2008 la variazione è del -12,8%. A
livello di settori merceologici, considerando il periodo cumulato, si
registrano: -11,6% per gli Alimentari, -21,3% per le Auto e -5,7% per
le Telecomunicazioni.

Wind, Unilever, Vodafone, Telecom It. Mobile, Ferrero, Barilla,
Procter&Gamble, L’Oreal, Volkswagen e Fiat Div. Fiat Auto guidano la
classifica dei Top Spender nei primi nove mesi del 2009 con
investimenti pari 829 milioni di euro, in calo del -11,9% sul
corrispondente periodo dell?anno scorso.

La Televisione, considerando i canali generalisti e quelli satellitari
(marchi Sky e Fox), mostra una flessione del -13,2% sul periodo
cumulato e del -7,1% sul singolo mese.

La Stampa, nel suo complesso, da gennaio ha un calo del -23,6%. I
Periodici diminuiscono del -28,8% con l?Abbigliamento a -29,0%, la
Cura Persona a -24,3% e l’Abitazione a -31,7%.

I Quotidiani a pagamento mostrano una flessione del -19,5% con
l’Automobile, l’Abbigliamento e la Distribuzione, i tre settori più
importanti, che riducono la spesa rispettivamente del -34,5%, del
-24,1% e del -25,7%.

Sono in controtendenza l’Abitazione che aumenta del +8,8% sul cumulato
(e del +15,6% settembre 2009 su settembre 2008) e il Turismo/Viaggi
con il +7,5%. A livello di tipologie la Commerciale segna il -22,9%,
la Locale il -15,1% e la Rubricata/Di Servizio il -17,1%. In
contrazione anche la raccolta dei Quotidiani Free/Pay Press (-28,7%).

La Radio diminuisce da gennaio del -14,0% ed è in leggera crescita nel
confronto mensile settembre 2009 su settembre 2008 (+0,6%). Fanno
registrare variazioni negative anche: Affissioni (-26,0%), Cinema
(-12,4%), Out of Home Tv (-1,1%) e Direct Mail (-17,9%).

Performance positiva invece per Internet che cresce del +5,2%
raggiungendo i 421,4 milioni di euro e per le Cards (+1,0%).

Si aggiungono al mercato fin qui analizzato gli investimenti
pubblicitari sul Transit, la pubblicità dinamica gestita da IGPDecaux
su metropolitane, aeroporti, autobus e tram. Da gennaio a settembre
2009 l’advertising è di circa 71 milioni di euro.

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L’Italia del 2009, il Paese che guarda la tv, non si accorge della crescente disoccupazione, e non dà lavoro ai giovani talenti.

Ho sognato la star del momento, un racconto di MATTIA D’ALESSANDRO
Esasperati ed esasperanti colpi di tosse. Fu così che mi svegliai. Note poco note di bassi baritonali. Ero perfino riuscito a creare una melodia nella mia mente. A colpi di polmone. Fuori non si vedeva, ma sembrava il solito lunedì d’ottobre. Scesi dal letto, la mia spina dorsale si drizzò. Una sensazione mai sentita prima. La parrucca della zia Ester galleggiava su un mare di inchiostro. Tutto galleggiava su un mare di inchiostro. Poi qualcosa mi azzannò la caviglia. Svenni.

Al mio risveglio ero ancora nella stanza piena d’inchiostro. Mi affacciai dal letto per vedere a terra, tutto era stato pulito. Sui muri ancora i segni di quel mare nero. Cos’era stato? Di colpo ricordai del morso alla caviglia. Scalciai le coperte per vedere i segni. Quello che apparve da sotto le coperte era ed è ancora difficile a narrarsi. Un colpo di vento spalancò le finestre. Poi qualcosa di vivo mi avvolse e con me, tutta la casa. Non riuscii più a guardarmi le caviglie. L’aria era satura di polvere. Feci appena in tempo a rannicchiarmi sotto le coperte. Mi addormentai.

Rimasi un tempo infinito tra sonno e sogno. Continuavo a vedere le mie caviglie. Un mostro, mai visto prima, stava mordendole. Anzi peggio. Iniziava ad ingoiarmi, ma con lentezza. La sensazione era quasi piacevole, ogni tanto però, il mostruoso essere scaricava delle piccole dosi di elettricità sulle mie carni. Ero rapito da quella cosa. Non mi sarei mai più svegliato.

Salutai i miei piccoli, uno sguardo sfuggente alla foto di mia moglie. Entrai in macchina.

Temperatura interna: meno cinque gradi centigradi. Avvertii ancora un leggero mal di testa fino all’arrivo in azienda. Il posto auto, interno. Cancello automatizzato. Schiacciai il pulsante per l’apertura, nulla.

Dall’altro ingresso, grida e schiamazzi. Scesi dall’auto, mi avvicinai, nel gelo. Un cordone di polizia piantonava l’ingresso. I colleghi erano disperati. Alcuni cercavano di sfondare il cordone. Volò qualche manganellata.

Rientrai in macchina e tornai a casa. Mentre guidavo mi tornò in mente il mostro del sogno. Mi aveva già divorato, ero disoccupato.
Potrebbe continuare…
(Beh, buona giornata)

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Addio agli 800 milioni promessi per portare la banda larga a 20 Megabit al 96% entro il 2012. Il Governo italiano non vuole lo sviluppo di Internet.

(fonte:repubblica.it)

L’annuncio è arrivato ieri da Gianni Letta, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio: “I soldi per la banda larga li daremo quando usciremo dalla crisi”. Si riferisce agli 800 milioni che il governo aveva promesso di dare da mesi nell’ambito di un progetto da 1,47 miliardi di euro: il cosiddetto “piano Romani” – da Paolo Romani, viceministro per lo Sviluppo con delega alle Comunicazioni.

Era un piano per portare la banda larga 20 Megabit al 96% della popolazione entro il 2012, e almeno i 2 Megabit alla parte restante. Attualmente il 12% degli italiani non può avere nemmeno i 2 Megabit ed è afflitta da una crescente saturazione che rallenta le connessioni degli utenti.

Negli altri Paesi europei ci sono da anni piani nazionali per portare banda larghissima a 50-100 Megabit. Al 75% delle case entro il 2014 in Germania; a 4 milioni di case nel 2012 in Francia (che investirà 10 miliardi di euro).

Ma tant’è: il Governo italiano ha deciso che il nostro Paese deve rimanere ai minimi termini per la connessione internet. A nulla sono valse le pressioni, per sbloccare quei fondi, da parte di Telecom Italia, Agcom (Autorità garante delle comunicazioni), dello stesso Romani e del ministro per la Pubblica amministrazione e l’Innovazione, Renato Brunetta.

L’Italia rimane al palo, mentre l’Europa ha stimato che la banda larga porterà un milione di posti di lavoro fino al 2015 e una crescita dell’economia europea di 850 miliardi di euro. Si noti che di quei 1,47 miliardi, questi 800 milioni sono gli unici fondi assegnati dall’attuale governo alla banda larga. Gli altri vengono da altre fonti, stanziati dal governo Prodi oppure della Comunità europea. E allora?

Zitti tutti. Gianni Letta ha comunicato che la banda larga può aspettare. Beh, buona giornta.

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Consumare meno, consumare meglio. La crisi insegna.

(fonte:repubblica.it)
La crisi cambia il consumo e gli italiani fanno di necessita’ virtu’. Guariti dalla smania dell’acquisto i cittadini hanno imparato a comprare meno, meglio e ottenere piu’ soddisfazione dalla spesa “competente”. E, dall’equazione “piu’ consumi uguale piu’ felicita'” si e’ passati alla formula “meno consumo piu’ vivo meglio” (79,7%). Il ritratto del nuovo consumatore e’ stato dipinto dall’Osservatorio sui consumi degli italiani, indagine annuale di Consumers’ Forum, l’associazione che riunisce le maggiori associazioni dei consumatori e le piu’ grandi aziende italiane, curata da Giampaolo Fabris e Ipsos e presentata stamane in occasione del decennale. “I consumatori sono diventati piu’ esperti, chiedono alle aziende piu’ qualita’ e alle associazioni che li rappresentano piu’ presenza”, ha spiegato Sergio Veroli, presidente di Consumers’ Forum. “Il nuovo consumatore e’ per necessita’ piu’ attento a non sprecare, al rapporto prezzo-qualita’ e piu’ responsabile verso l’ambiente. In altri termini, si puo’ definire un consumatore virtuoso”. Beh, buona giornata.

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Ripresa? Negli Usa si è rotta un’altra banca.

Usa, fallisce Cit group: è la quinta maggior bancarotta di tutti i tempi-ilmessaggero.it

Cit Group chiede la bancarotta pilotata: a poche ore dal via libera alla richiesta del Chapter 11 da parte del consiglio di amministrazione, il gruppo finanziario americano specializzato nei prestiti commerciali presenta al tribunale per la bancarotta del Southern District di New York la documentazione, denunciando debiti per 65 miliardi di dollari e asset per 71 miliardi di dollari.

La richiesta di bancarotta pilotata della società potrebbe tradursi – riporta il Wall Street Journal – per il Tesoro americano nella prima perdita nell’ambito del programma di salvataggi messo in atto. Il Dipartimento guidato da Timothy Geithner ha investito 2,3 miliardi di dollari di soldi dei contribuenti nella società nel tentativo di stabilizzarla. Dallo scorso anno il Tesoro ha investito 400 miliardi di dollari in diverse aziende americane in tutti i settori di attività: molte società, come Goldman Sachs, hanno già provveduto a restituire i fondi ottenuti.

Cit Group si presenta in tribunale con i creditori che hanno già dato il loro via libera al piano di riorganizzazione della società, che potrà avvalersi di una linea di credito da 1 miliardo di dollari accordato dall’investitore Carl Icahn come prestito debtor-in-possession. Cit Group punta a uscire dalla bancarotta in due mesi.

Con il Chapter 11 Cit Group mira a riddure il proprio debito di 10 miliardi di dollari. «La decisione di procedere con il nostro piano di riorganizzazione – spiega in una nota il presidente e amministratore delegato Jeffrey Peek – consentirà a Cit Group di continuare a fornire fondi alle piccole e medie imprese, un settore di importanza vitale per l’economia americana». Cit Group, vittima ‘credit crunch’ e la recessione, ha tentato in tutti i modi di evitare la bancarotta, ma senza successo. I creditori hanno bocciato seccamente l’ultima offerta di swap avanzata: il 90% ha invece appoggiato il piano per la bancarotta pilotata.

Secondo Brian Charles, analista di R.W. Pressprich & Co, anche se Cit Group emergesse intatta dalla bancarotta la sua capacità di concedere prestiti si ridurrebbe di circa il 20% in due anni. Il Chapter 11 «è rischioso: non c’è certzza che Cit Group ne emergerà» osserva Donald Workman, dello studio legale Baker Hostetler. Ma per altri osservatori il piano di riorganizzaizone di Cit Group mette la società in una buona posizione: «Se l’accordo è già concordato – mettono in evidenza alcuni osservatori – i problemi possono essere risolti in bancarotta senza perdere i clienti». (Beh, buona giornata)

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“Se mettiamo a confronto tre famiglie medie: una cinese, una svizzera e una spagnola, ci rendiamo subito conto di quanto importante sia la politica economica dei governi sul bilancio familiare di fronte alla crisi economica.”

C’erano una spagnola, una svizzera e una cinese. Tre modi di vivere la Crisi
di Loretta Napoleoni – lanapoleoni.ilcannocchiale.it.

A un anno dallo scoppio della crisi, l’impatto della recessione altera il bilancio familiare e costringe le famiglie a modificare il livello di vita. Questo processo varia da paese a paese in funzione dell’impatto che la recessione ha sull’economia nazionale.
Se mettiamo a confronto tre famiglie medie: una cinese, una svizzera e una spagnola, ci rendiamo subito conto di quanto importante sia la politica economica dei governi sul bilancio familiare di fronte alla crisi economica.

Gli spagnoli si trovano nella situazione peggiore. Spagna e Irlanda sono le economie europee maggiormente colpite dalla recessione e questo perche’ negli ultimi 10 anni hanno abbracciato in toto il modello neo-liberista. Questo e’ stato l’artefice di una crescita fittizia che ha proiettato questi due paesi nella rosa di quelli maggiormente industrializzati creando la bolla immobiliare. In Spagna poi il boom del turismo di massa l’ha ulteriormente gonfiata. E’ quindi facile intuire perche’ il tasso di disoccupazione spagnolo sta per superare il 20%, una cifra da grande depressione, segue a ruota quello irlandese pari al 15%.

Anche se gli emigranti dell’area del Magreb – gente che ha lasciato la famiglia nel nord Africa e che quindi possiede una mobilita’ del lavoro molto elevata – incidono sul numero di disoccupati spagnoli, il problema dell’occupazione rimane centrale all’economia della famiglia. Gran parte dei nuovi disoccupati finiscono per essere mantenuti da quella d’origine: i piu’ giovani tornano a vivere a casa e le coppie vengono aiutate economicamente dai genitori. Questo processo impoverisce la popolazione e allo stesso tempo erode le riserve di risparmio della famiglia. Tutto cio’ porta alla caduta dei livelli di benessere. I dati della bilancia dei pagamenti spagnola ce lo confermano.

A luglio il deficit della bilancia commerciale e’ sceso a 2 mila miliardi di euro da piu’ di 7 mila appena un anno prima. Negli anni della grande crescita corrispondeva al 10% del Pil, oggi si sta velocemente riducendo al punto che entro il primo trimestre del 2010 la bilancia dovrebbe andare in pareggio. A monte c’e’ una forte contrazione delle importazioni. Se si considera che durante gli ultimi 12 mesi le esportazioni sono aumentate ci accorgiamo che la famiglia media spagnola sta riducendo drasticamente i propri consumi.

La disoccupazione riduce anche la domanda di nuovi alloggi, se ne vedono a centinaia di migliaia, tutti vuoti, nei nuovi quartieri alla periferia delle citta’ spagnole. La stagnazione del mercato immobiliare ha ripercussioni serie sul credito nazionale. La gran parte dei non performing loans NPL, i mutui non pagati, appartiene a questo settore. Si tratta di piu’ di 80 miliardi di euro, di cui circa un 70% sono stati ristrutturati e dovranno presto essere ripagati. Ancora piu’ preoccupante e’ il totale di crediti accumulato dal settore immobiliare spagnolo: 470 miliardi di euro, pari al 50% del Pil del paese. Di questi circa 320 miliardi di euro sono stati accesi per costruire immobili commerciali: uffici, negozi, cinema e centri commerciali. Se la famiglia spagnola non riprende a spendere questi mutui andranno ad aumentare i NPL delle banche e ci sara’ sempre meno liquidita’ per l’impresa e la famiglia.

In Svizzera, invece, la situazione e’ ben diversa. La recessione e’ stata meno seria di quanto ci si aspettasse al punto che il paese soffre meno della vicina Germania il suo partner commerciale piu’ importante. La contrazione delle esportazioni e la crisi finanziaria, con in testa le due maggiori banche la UBS e il Credit Suisse, hanno fiaccato l’economia. Ma la reputazione del paese, quale centro bancario internazionale, ha retto bene e le aspettative per il 2010 sono per una modesta crescita, pari allo 0.5%. E questa ripresa sara’ guidata proprio dal settore finanziario.

Molti addirittura credono che nel lungo periodo la crisi del credito sara’ positiva per la Svizzera perche’ rafforzera’ la solidita’ delle banche. I valori del NPL rispetto al totale dei prestiti sono scesi sotto l’1%, segno che il sistema e’ solido. Questi dati dovrebbero facilitare la penetrazione dei mercati esteri, condizione importantissima affinche’ il paese continui a crescere. A quanto pare la crisis del credito ha fatto crollare la fiducia nei confronti del settore bancario americano e britannico, i due principali rivali di quello Svizzero. Secondo il WEF Competitive Network, che compila una lista mondiale della competitivita’ dei settori finanziari, l’America e’ scesa a quota 108, al pari della Tanzania. La Svizzera ha retto ed si e’ stabilizzata al 44esimo posto mentre le banche inglesi sono precipitate al 126esimo.

E’ facile capire perche’ l’impatto economico della recessione sulla famiglia media svizzera e’ stato quasi nullo. Le spese non sono cambiate anche perche’ la disoccupazione rimane relativamente bassa rispetto al resto dell’Europa, 4,1% quando un anno fa’ era di 3,4%. Gli indicatori economici ci dicono che a sostenere l’economia e’ stata la domanda interna che e’ rimasta stabile, i consumi e l’investimento immobiliare che non sono crollati come in altri paesi ma si sono mantenuti a livelli medio alti. L’impatto psicologico invece c’e’ stato e ce ne accorgiamo quotidianamente. Nel paese si risparmia di piu’.

Dall’altra parte del mondo, in Cina, la crisi si e’ diventata fonte di grandi opportunita’. La famiglia media cinese oggi vive meglio che un anno o due anni fa’ perche’ ha piu’ denaro a disposizione. Il pacchetto di stimoli lanciato dal governo all’indomani del crollo della Lehman Brothers ha sostenuto la domanda interna, al punto che questa e’ riuscita a compensare la caduta di quella estera. Lo stato ha aperto linee di credito a tassi vantaggiosissimi per chi viveva in campagna e voleva acquistare beni di consumo durevoli, dalle lavatrici ai televisori al plasma. La domanda di piccole autovetture nelle campagne, ad esempio, e’ cresciuta al punto che la Cina oggi acquista piu’ macchine degli Stati Uniti. A giugno piu’ di un milione di nuove vetture hanno lasciato i concessionari, pari a un aumento del 36% rispetto all’anno precedente. E questo senza un programma di rottamazione simile a quello occidentale.

L’economia cinese si e’ contratta solo nel quarto trimestre del 2009 per poi riprendere a crescere subito dopo. Il governo ha immesso ingenti quantita’ di denaro nel circuito delle banche e le ha incoraggiate a concedere prestiti a chi ne avesse bisogno. Le prime ad attingere a questo credito sono state le piccole e medie imprese. Questa strategia e’ stata possibile perche’ la Cina negli ultimi quindici anni ha accumulato riserve monetarie ingenti che ammontano a piu’ di 2 mila miliardi di dollari, le piu’ alte al mondo. Allo stesso tempo il settore bancario e’ arrivato alla crisi con livelli di indebitamento bassissimi. I valori dei NPL sono tali da permettere alle banche di alzare la soglia del rischio, alla fine del 2009 ammonteranno a meno del 4% del Pil del paese.

La famiglia media cinese non si e’ quindi neppure resa conto della recessione che c’e’ stata solo per un brevissimo periodo di tempo. La disoccupazione, che rimane bassa, e’ aumentata nel 2007 e parte del 2008 tra i lavoratori migranti, quelli che lasciano le campagne per cercare lavoro nelle zone industriali speciali del sud del paese e in quelle a ridosso di Pechino e Shanghai. A far cadere l’occupazione non e’ stata la recessione a le imprese straniere che si sono de localizzate a seguito della nuova legislazione del lavoro che protegge maggiormente la manodopera cinese dallo sfruttamento dell’impresa. Lo stato e’ riuscito ad assorbire gran parte di questa manodopera impiegandola in lavoro pubblici di ogni tipo, dalla pulizia delle facciate dei palazzi di Shanghai alla costruzione di una nuova ed efficientissima rete ferroviaria.

Tre storie e tre realta’ diverse che ci ricordano quanto sia importante la protezione dello stato dagli abusi di ogni tipo, non solo quelli finanziari. Il mercato funziona, su questo non c’e’ dubbio, ma come tutti i meccanismi economici non e’ infallibile e quando sbaglia le conseguenze ricadono sulla societa’. Lo stato deve essere sempre pronto a proteggerci da questi cataclismi. (Beh, buona giornata).

(tratto da il Caffè-Link: http://lanapoleoni.ilcannocchiale.it/2009/10/22/crisi_e_famiglie.html.)

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Conti in rosso, futuro nero per la pubblicità: Interpublic Group a -18%.

Il terzo trimestre 2009 si chiude con il segno meno per Interpublic Group. L’utile netto della società guidata dal si è infatti attestato a 17,2 milioni di dollari contro i 38,7 milioni dello stesso periodo dello scorso anno.

A 1,43 miliardi di dollari (-18%) il fatturato. La crescita organica invece è diminuita del 14,2%. Considerando i primi nove mesi dell’anno, la perdita netta di Interpublic Group si è attestata a 35,8 milioni di dollari rispetto ai 56,7 milioni di dollari di utile netto del 2008. Il fatturato è stato pari a circa 4,23 miliardi (-17% sullo scorso anno), mentre la crescita organica nei primi nove mesi è calata dell’11,8%.

“La crisi economica continua ad incidere negativamente sui conti della società – ha commentato Michael Roth, Ceo di Interpublic Group- Tra gli investitori regna ancora la cautela ed è molto difficile fare previsione per il prossimo anno”. Beh, buona giornata.

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Conti in rosso, futuro nero per la pubblicità: Publicis perde terreno anche nel terrzo trimestre 2009.

Per il Gruppo Publicis la performance peggiore è stata registrata lo scorso giugno. Ora pare che sia in atto una lenta ma progressiva ripresa.

Nel terzo trimestre il fatturato consolidato è stato di 1.047 milioni di euro, in calo del 5,3% rispetto al terzo trimestre 2008, mentre la crescita organica è diminuita del 7,4%.

Anche se la crisi ha investito tutti i Paesi europei, si sottolineano le buone perfomance di Publicis Worldwide in Francia e dei centri media del Gruppo nell’Europa occidentale e in Polonia. Tutte le attività in Inghilterra e nel Sud Europa, tra cui l’Italia hanno subito invece un calo significativo.

Il fatturato consolidato nei primi nove mesi del 2009 si è attestato a 3,256 miliardi di euro, in calo del 2,3% rispetto ai 3,332 miliardi dello stesso periodo del 2008. Il mercato dell’advertising ha subito una flessione di circa il 13%, stando alle stime correnti, la contrazione della crescita organica di Publicis Groupe si è fermata al 6,9%. Il calo è stato limitato anche grazie al 5,5% di crescita organica raggiunto nelle comunicazioni digitali, che nei primi nove mesi del 2009 hanno contribuito al fatturato consolidato del Gruppo per il 21,3%, ovvero in misura maggiore rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, quando erano valse per il 18,5% delle revenue. Beh, buona giornata.

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Conti in rosso, futuro nero per la pubblicità: Wpp in difficoltà.

Secondo Martin Sorrell è ancora presto per stappare le bottiglie di champagne. Anche se tra i clienti si registra un maggiore grado di fiducia e di ottimismo infatti, per il Ceo di WPP, colosso mondiale del marketing, non si può ancora parlare di ripresa del mercato dell’advertising.

Come si legge oggi sulla stampa internazionale, per Sorrell “è sbagliato parlare di fine della recessione basandosi su miglioramenti sequenziali”. Il top manager ha affermato che per dichiarare finita ufficialmente la crisi aspetterà la crescita delle vendite same-store. Beh, buona giornata.

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