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Soprusi d’autore.

Incuranti delle battaglie a favore del copyleft, contro la schiavitù del diritto d’autore, anche i graffitari di New York, tra i più famosi e i più apprezzati al mondo, vogliono riconosciuto il copyright: secondo loro, chi fotografa i loro capolavori e soprattutto li pubblica in un libro deve pagare i diritti d’autore.

Secondo il New York Times, che dedica all’argomento un lungo articolo dedicato alla vicenda , gli esponenti del gruppo ‘Tats Crù, tra i più famosi graffitari professionisti della Grande Mela si sono rivolti a un noto avvocato quando si sono accorti che un fotografo che li segue da anni, Peter Rosenstein, ha pubblicato un libro di foto delle loro opere senza versare loro una sola lira di copyright. Dopo le loro proteste, l’editore, la University Press del Mississippi, ha deciso addirittura di ritirare dal mercato il libro, intitolato ‘Tattoed Walls’, cioè i muri tatuati, per non avere troppe noie.

Il fotografo Rosenstein è apparso molto stupito dalla reazione dei ‘Tats Crù, perché uno dei suoi obiettivi -sostiene- era di far conoscere al mondo questi artisti spesso non apprezzati al loro giusto valore. “Volevo diventare il loro amico -spiega il fotografo- perché mi piace davvero molto quello che fanno”. Non la pensa assolutamente allo stesso modo il legale che rappresenta ora molti dei graffitari newyorchesi, Stacey Richman.

La Richman ha detto al Nyt: “molti di questi fotografi ragionano come fossero esploratori che hanno scoperto questi artisti tra i meandri delle città, e promettono loro che li tireranno fuori dal ghetto. Ma non è affatto così: molti di loro sono già famosi di per sé, anche a livello mondiale”E ha aggiunto:” il fatto che i murales si trovino in luoghi pubblici non cambia affatto la situazione: non possono essere considerati di dominio pubblico”.

Ecco il punto: secondo l’avvocato, un murales non può essere di dominio pubblico. Della perfidia degli avvocati americani sono piene le cronache e le barzellette.

Però, sostenere che io che passo davanti a un muro dipinto per strada debba pagare per fotografarlo ricorda tanto Totò la famosa vendita della Fontana di Trevi. Beh, buona giornata.

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Save Private Prodi.

L’attacco al governo Prodi è concentrico. I primi a volerlo morto sono i suoi, perché la mediocrità è al giorno d’oggi un’arma letale. I suoi dicono di volere il Partito democratico, ma siccome è una novità, tutti hanno paura del nuovo: per il semplice motivo che il nuovo costringe a ragionare e a mettersi in discussione. Le due cose messe insieme sono molto pericolose per chi si crede l’unico gallo del pollaio.

I secondi a volerlo morto sono i partitini della sinistra, che sopravvivone solo perché possono fare quelli più a sinistra, infatti si autodefiniscono “sinistra radicale”, il che presuppone ci sia un contraltare, cui specchiare il proprio essere più puri. Poi vanno alle elezioni locali e prendono una bagno. Ma non si interrogano sulla loro scarso radicamento: alla fine il risultato è che la sinistra non è né radicale né radicata.

Poi ci sono i nemici veri del governo Prodi. Berlusconi e Forza Italia che temono, fortissimamente temono che il pragmatismo di Prodi risvegli il loro elettorato, e di conseguenza i ceti sociali che lo hanno eletto a loro campione: Berlusconi fa come il polpo che emette inchiostro, fa tutto nero per confondere le acque del suo fallimento.

E, a proposito di nero, ecco Fini, ormai tornato missino: è la cosa migliore che sa fare, compresa quella di appoggiare a spada tratta i ranghi delle forze armate. Un ambiente che ha frequentato con sapienza, tra una fellonia e l’altra, tra un complotto e l’altro. Fini è a sua agio in una novella strategia della tensione nei confronti del governo Prodi. A chi sperava in un paese normale, ecco il caso Speciale.

Mentre Casini chiacchiera e Bossi sbraita, il ceto politico di centro-destra trova la sua coesione nella maldicenza organizzata, magari illegalmente, contro Prodi.

All’ allegra combriccola anti-governativa si sono aggregati, a vario titolo, Montezemolo per gli industriali e Bagnasco per il Vaticano. Cercando, ognuno a concionare per le rispettive schiere, uno spazio credibile per candidarsi alla guida di una armata brancaleone, che cerca la difesa delle precedenti rendite di posizione.

Il Paese attende il risanamento dei conti, una nuova legge sul lavoro, una buona legge sulla tv, la riforma della Rai, una legge che dia impulso al cinema italiano. Tutte cose che qualcuno proprio non vuole.

Il Paese attende un aggancio alla ripresa economica, che sappia rilanciare le imprese, ivi comprese quelle aziende che fanno cultura, risorsa irrinunciabile per la collocazione dell’Italia in Europa. Altre cose che i soliti noti proprio osteggiano.

Prodi è circondato di nemici. L’impressione è che i suoi nemici siano i nemici di sempre. Non fosse altro che per l’attitudine ad andare controcorrente, bisognerebbe avere il coraggio di confessare a noi stessi il compito che abbiamo in questa fase. E’ racchiuso in una frase: salviamo il soldato Prodi.

Qualsiasi cosa pensiate, ovunque le vostre menti siano rivolte, qualunque siano i vostri desideri, in questi momenti è la cosa migliore da fare. Beh, buona giornata.

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Il fronte interno.

Il presidente della Camera Fausto Bertinotti è intervenuto a Milano a un incontro con i comitati di quartiere, formati da cittadini che lottano contro la speculazione edilizia.

A chi gli chiedeva del distacco tra la politica, le istituzioni e i cittadini, Bertinotti ha replicato: “in alto c’è il problema della riforma della politica e delle istituzioni, degli interventi sui costi della politica, ma in basso, fondamentale, c’è da costruire un nuovo rapporto tra la politica e i cittadini, la gente comune”.

A Genova per la campagna elettorale, Pier Ferdinando Casini, ex presidente della Camera, il predecessore di Bertinotti alla terza carica dello Stato, ha parlato a lungo del ruolo della Chiesa nella storia del nostro Paese. “Oggi osserviamo il fenomeno che la politica è afona e la Chiesa parla agli italiani, è importante”. E conclude:”il Family day ha parlato linguaggio della grande maggioranza degli italiani.”

Il rituale della politica “in ascolto” è diventato il leit-motive dei discorsi della politica, ne scandisce l’impotenza, svela il trucco dell’escamotage retorico, soprattutto in periodi di campagna elettorale. Gli eletti trattano gli elettori come la pubblicità italiana tratta i consumatori: come bambini.

Fatto sta, che i “bambini” soffrono. Nel 2006 in Italia ci sono state 1280 morti sui luoghi di lavoro. Dall’inizio del 2007, in Italia ci sono stati: 407 morti, 407.606 infortuni, 10.190 invalidi. Centinaia di migliaia sono i precari, decine di migliaia i lavoratori in nero. Le famiglie cosiddette monoreddito hanno varcato la soglia della povertà, e non hanno, allo stato, chance di tornare su livelli accettabili di vita.

E’ il fronte interno delle politiche neoliberiste, è la guerra civile tra il Mercato e lo Stato sociale.

Allora, bisogna chiamare le cose come stanno: non è vero che si deve essere in ascolto, come dice Bertinotti. La politica ascolta chi gli favorisce convenienze, con la tacita promessa di restituirle.

Non è neanche vero che la politica è afona, come dice Casini. La politica parla ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. E così facendo, toglie prepotentemente la parola alle rivendicazioni sociali.

In realtà, la politica urla e non ascolta affatto.

Alla soglia della povertà del reddito delle famiglie, dei lavoratori e dei cittadini corrisponde, e si sovrappone la soglia della povertà delle idee della politica italiana. Che oggi appare il vero ostacolo alla ripresa di una dialettica sociale, in grado di ridimensionare i ceti forti che controllano la politica debole.

Una debolezza dissimulata dall’arroganza tipica dei predatori, che non si accontentano di sbranare la preda, ma ne distruggono l’habitat sociale, il tessuto connettivo, la cultura, le prospettive.

Sentono forte il pericolo dell’estinzione, quindi distruggono tutto ciò che sospettano possa sostituirli.

Nella vana speranza di rimandare l’evento della fine, sfiniscono le loro vittime. Una volta in questo modo si sono estinti i Dinosauri, che una leggenda vuole siano stati seppelliti da una grandinata di meteoriti.

La Chiesa e le chiese, il disagio sociale, il precariato, l’immigrazione, la sicurezza, l’inferno del lavoro subordinato, l’esaurimento delle fonti tradizionali di energia, le guerre, lo stato comatoso dell’Ambiente sono i meteoriti del Terzo Millennio.

Il meteorite più micidiale di tutti è la politica stessa. Si salvi chi può. Beh, buona giornata.

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Se non è zuppa è pan Bagnasco.

Il generale Bagnasco ha parlato: “E’ la società civile che si è espressa in maniera inequivocabile e che ora attende un’interlocuzione istituzionale commisurata alla gravità dei problemi segnalati”, ha detto oggi il presidente della Cei, monsignor Angelo Bagnasco, aprendo nel pomeriggio i lavori dell’Assemblea generale della Cei in Vaticano.

La manifestazione di San Giovanni, ha aggiunto il presule, è “stato un fatto molto importante” “consolante per noi vescovi”, e con “un’ottima riuscita”. Ma va? Con tutti i soldini dell’8 per mille che avete speso, ci mancherebbe. Ciò nondimeno, il generale Bagnano sa bene che poteva essere meglio, che anche le parrocchie non sono più quelle di una volta.

I vescovi italiani, ha aggiunto Bagnasco, non vogliono fare “da padroni”, “parlare dall’alto”, né attentare alla laicità della vita pubblica. Vale a dire: anche se non eravamo tanti, eravamo potenti.

Quanto alle questioni sociali il presidente della Cei è stato altrettanto netto. “La nostra esperienza diretta – ha detto – registra una progressiva crescita del disagio economico sia di una larga fascia di persone sole e pensionate, sia delle famiglie che fino a ieri si sarebbero catalogate nel ceto medio”.

“E proporzionalmente – ha aggiunto – c’è un ulteriore schiacciamento delle famiglie che avremmo definite povere”. Vero.

Dalle segnalazioni ricevute, ha spiegato il presidente della Cei, “la situazione attualmente più esposta sembra essere quella della famiglia monoreddito con più figli a carico”. “Spesso con difficoltà si arriva alla fine del mese. E’ da questa tipologia di famiglie che viene oggi alle nostre strutture una richiesta larga e crescente di aiuto- anche con i ‘pacchi viveri’ che parevano definitivamente superati per lo più mascherata e nascosta per dignità”. Verissimo, tanto per citare un programma fuffa del pomeriggio tv berlusconista.

La zuppa dello “stiamo tutti bene” di berlusconiana memoria, quel “ vedo tante barche”, come disse Berlusconi in Sardegna, però, continua nel nuovo corso del Governo.

Le forze politiche di centro-sinistra non conoscono la vita reale. Non sanno quanto guadagnano davvero le persone, non sanno quello a cui devono rinunciare. Non sanno quello che vorrebbero. Glielo deve ricordare Bagnasco. Ecco allora la verità, tra la pantomima del Tesoretto e quella di San Giovanni.

I partiti della coalizione di governo non sanno più che cosa sia l’inchiesta sociale. La guardano distrattamente in tv, grazie al talento di pochi: Biagi, Santoro, Floris, Gabbanelli. Ma quello è giornalismo, non impegno politico e sociale tra le persone che sempre più numerose popolano non solo la “classe operaia” e “le masse popolari”, ma anche i”ceti medi impoveriti” Tuttavia, il naso dentro le contraddizioni sociali non ce lo mettono più: nei luoghi di lavoro, nei quartieri, nelle scuole e università. E’ troppo faticoso. Meglio far parte della “Casta”, tanto per citare un libro appena pubblicato da Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella.

Peggio appaiono i partecipanti alla prossima avventura della Sinistra democratica, ma anche quelli che vorrebbero intrupparsi nella Sinistra Europea. Credono nell’ autoconservazione, nell’autoreferenzialità: tutti vicini-vicini, anzi a(PCI)ccati. Un bel salto nel passato, senza transitare per il “VIA”.

C’è una gran voglia di “società civile”. Per Bagnasco è l’espediente dell’integralismo cattolico, delle parrocchie-partito, mentre per i transfughi dal Partito Democratico la “società civile” è l’espediente di un voto utile alla sopravvivenza politica di una schiera di eletti in tutti i parlamentini disponibili: da quelli locali a quello europeo.

E’ stupefacente questa simmetria di intenti singoli, di finalità personali, di obiettivi di breve fiato. E così, mentre si distillano le alchimie di una sinistra sempre più lontana dalla vita sociale, mons. Bagnasco indica la via “sociale” all’integralismo.

Che tanto le parrocchie sono nei quartieri, mentre le sezioni territoriali delle organizzazioni della sinistra chiudono, una dopo l’altra. Dove sono finiti i militanti? Li trovi a casa, davanti alla tv, che aspettano che il leader gli dia la linea, dagli studi di Porta a Porta.

Siamo al tramonto della seconda Rivoluzione industriale, delle idee-forza dell’uguaglianza sociale, della sopravvivenza delle specie umana sul Pianeta. Però, tranquilli: “qualche minuto di pubblicità, non cambiate canale, rimanete con noi.” Beh, buona giornata.

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Quando fa comodo che l’America sia lontana.

Bruxelles auspica che venga “al più presto possibile designato un successore” a Wolfowitz, che assicuri continuità alla Banca Mondiale. La Commissione Ue ‘prende atto’ della decisione di Wolfowitz di dimettersi dalla presidenza il prossimo 30 giugno e chiede che venga garantita stabilita’ alla guida dell’istituto. Wolfowitz era stato accusato di nepotismo per aver fatto assumere la sua compagna come consulente alla Banca Mondiale.

Il nepotismo è una forma di conflitto di interessi, per questo motivo Wolfowitz ha dovuto rassegnare le sue dimissioni. Magari ha pensato che era un complotto per farlo fuori, però almeno non lo ha detto. Scoperto, si è dimesso.

Wolfowitz non è un campione di simpatia politica: esponente di spicco della corrente cosiddetta neo-cons, ha assunto posizioni da falco, contribuendo alla politica della difesa, quando era vice ministro nell’Amministrazione Bush, e ha contribuito alla decisione di muovere guerra in Afghanistan e in Iraq.

Promosso al prestigioso ruolo di capo della Banca Mondiale è incappato in un conflitto di interessi e si è dovuto dimettere, nonostante l’iniziale muro di sbarramento della Casa Bianca.

Wolfowitz non è neppure un campione di simpatia, almeno da quello che si capisce leggendo i suoi scritti. Ciò non di meno non si può non apprezzare il fatto che ha dovuto piegarsi alla logica che non consente di confondere parenti con le cariche di interesse pubblico e collettivo.

Se questa logica fosse applicata nel nostro Paese, avremmo forse risolto il problema dello svecchiamento della nostra classe politica, avremmo risolto conflitti etici e di interesse che attraversano la stragrande maggioranza delle istituzioni centrali e periferiche dello Stato. Avremmo risolto, almeno in gran parte il cumulo della cariche, che grava sui costi della politica, che poi sono i quel mare di soldi che escono dalle tasche dei cittadini.

Di più, se questa logica fosse applicata anche da noi, avremmo risolto l’annosa problematica della trasparenza e della correttezza nella business community italiana, in tutti i campi, dalla finanza alla pubblicità.

Il fatto è che in Italia si è esterofili sono quando conviene a soliti nepotisti e configgenti negli interessi. Se uno non è coinvolto in un intreccio di affari, politica, famiglia, tinello e camera da letto, è fuori dal giro. E magari deve rivolgersi a qualcuno che è nel giro.

Così, quelli che prima facevano il tifo per il campione dei neo-cons, che osannavano l’America muscolare e neoliberista, oggi fanno spallucce, si girano da un’altra parte e aspettano la prossima occasione propizia per violare le regole. Tanto l’America è lontana. Beh, buona giornata.

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Il Governo stanzia 26 milioni di euro per la Pace.

I mezzi del nostro contingente italiano impegnato in Afghanistan “saranno potenziati per ampliare capacità di muoversi e di operare in sicurezza”.

Lo annuncia il ministro della Difesa Arturo Parisi davanti alle Commissioni Esteri e Difesa del Senato. L’invio è già stato deciso e tra pochi giorni nella regione di Herat saranno operativi cinque elicotteri Mangusta, 8 corazzati Dardo e 10 blindati Lince.

“E’ emersa l’esigenza – ha spiegato Parisi – di dotare il nostro contingente di mezzi che potessero ampliare la capacità di muoversi e di operare in sicurezza, grazie ad una combinazione di elevata velocità di reazione, elevata mobilità in ogni contesto orografico, elevata protezione, ampia disponibilità di sensori di sorveglianza e di identificazione, anche a larga distanza”.

Parisi ha precisato che i nuovi mezzi faranno aumentare di 145 uomini l’impiego dei soldati e che tutto ciò avrà un costo pari a 26 milioni di euro.

Bene. Adesso sì che è una missione di pace. Pace all’anima sua (quella dell’art. 11 della Costituzione della Repubblica italiana). Beh, buona giornata.

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Family Day, tra Stato e Chiesa.

Un paio di anni fa, il partito popolare spagnolo, con l’ausilio della Chiesa cattolica, portò in piazza centinaia di migliaia di persone contro il matrimonio tra gay. Anche allora, la parola d’ordine fu “difendiamo la famiglia”.

Gli organizzatori dichiararono il trionfo della manifestazione, cui, secondo loro, parteciparono un milione di persone. Siccome tutto il mondo è paese, le cifre dettate dalla “questura” di Madrid ridimensionarono il numero dei partecipanti.

Comunque, il vice primo ministro del governo Zapatero rilasciò una dichiarazione, il giorno dopo. Ella disse che il numero dei partecipanti alla manifestazione in difesa della famiglia e del matrimonio tra eterosessuali era sicuramente sproporzionato al numero dei cittadini aventi eventualmente diritto al matrimonio omosessuale. Cioè c’era stata più gente in piazza di quanti avrebbero potuto usufruire del diritto al matrimonio tra gay. Ma il vice-primo ministro aggiunse un’altra cosa, molto importante: anche se si fosse trattato di tutelare il diritto di un solo cittadino spagnolo, toglietevi dalla testa che il nostro governo non avrebbe fatto una legge giusta.

Ecco il punto della questione: chiunque voglia scendere in piazza per aderire al Family Day, sappia che esercita un diritto sancito dalla Costituzione della Repubblica italiana, che garantisce il diritto a tutti di manifestare liberamente il proprio pensiero. E se quel pensiero è appannaggio di una esigua minoranza, la nostra Costituzione lo deve tutelare. In sostanza: vuoi contrarre matrimonio? La legge te lo garantisce. Vuoi sposarti solo civilmente? Vuoi sposarti solo religiosamente? Vuoi fare tutte e due le cose? Non vuoi fare nessuna delle due? La legge te lo garantisce. Coppie di fatto (etero, gay, trans) o di coscienza (ex amanti, conviventi tra parenti) devono avere il diritto di veder rappresentate dalla legge i loro comportamenti. La convivenza sotto lo stesso tetto può anche non essere sessuale (basta pensare alle perpetue dei parroci).

Anche perché, se legalizzati, questi legami implicano doveri, cioè un impegno formale di fronte alla collettività. E’ giusto, è bello, è civile. Questo garantisce la Costituzione. Questo non è vietato dal Vangelo, né dai Vangeli. E quand’anche qualcuno volesse dargli una lettura restrittiva, la legge più estensiva sana le restrizioni precedenti. E quantunque uno non volesse aderire a una norma è libero di comportarsi da persona civile, senza che nessuno lo obblighi ad aderire o a rinnegare il proprio credo. Anche questo è nella nostra Costituzione.

Non è nella nostra Costituzione, invece, il diritto a trasgredire la Legge: le obiezioni di coscienza, cioè il venir meno all’obbligo di prestare cure a chi esercita il diritto di usufruirne è illegale. Interruzione della gravidanza e il divorzio sono tutelati dalla Legge italiana.

Quanto alla reale condizione economica e sociale della famiglia in Italia, bisognerebbe chiedere a Savino Pezzotta, ex sindacalista della Cisl, attualmente tedoforo del Family Day, se è riuscito, almeno, a fare i conti con la sua coscienza.

Come capo della Cisl sottoscrisse il “Patto con l’Italia” di Berlusconi, spaccando non solo l’unità sindacale, ma sottoscrivendo l’idea neoliberista che faceva del Wellfare carne da macello.

Perché le cose che riguardano i nuclei famigliari in Italia sono meno ideologiche e molto pratiche: i lavoratori dipendenti guadagnano poco, le donne sono sfruttate, i figli sono precari, le case costano molto, la spesa sociale non copre più né la sanità, né i trasporti, né gli asili nido, né l’assistenza agli anziani. Questo è la famiglia nell’epoca del neoliberismo, questo è la famiglia nell’era di “meno stato, più mercato”.

La presenza e l’adesione dei leader del centro-destra al Family Day è una beffa: sono loro e le loro politiche, al Governo fino all’anno scorso, che hanno fatto male alla famiglia, e a ciascuno dei membri di una famiglia italiana.

E’ successo spesso nella Storia che il nemico non è quello che hai davanti (i Dico) ma quello che hai a fianco (la Cdl).

C’è da spendere una parola per un paio di ministri del governo Prodi che smaniano all’idea di andare a San Giovanni. Entrambi sembrano arlecchini in cerca di due padroni: lo Stato e la Chisa.

La citazione non è soltanto obbligata dalle celebrazione del tricentenario della nascita di Carlo Goldoni. Ma dal fatto che molti membri di governo devono smetterla di fare “la commedia dell’arte” a fini elettorali. Tra Stato e Chiesa non c’è solo il Tevere.

La fede e la democrazia non sono conciliabili. La fede restringe, la democrazia estende. A tutti, senza distinzione di razza, credo, sesso e appartenenze geografiche, etniche e linguistiche.

Da questo punto di vista, lo Stato italiano deve fare molti passi avanti, lo Stato del Vaticano molti passi indietro. Urbi et Orbi. Beh, buona giornata.

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Mutatis “mutande”.

Parte su All Music il primo contest televisivo italiano di strip tease. Non è un concorso per spogliarellisti e spogliarelliste professionisti dai fisici perfetti, ma una gara aperta a grassi, magri, belli, brutti, simpatici , antipatici… a tutti insomma, basta essere abbastanza autoironici da mettersi in gioco e mostrarsi senza vergogna!
In ogni puntata 4 spogliarellisti si misureranno tra loro e si presenteranno al pubblico in modo ironico e accattivante. Il pubblico da casa potrà votare lo stripper più divertente mandando un sms e determinare così alla fine del concorso il vincitore del premio.

Non è una novità. All’inizio della tv commerciale, c’era uno spettacolino smutandato che si chiamava Colpo Grosso. Si vedevano panze e cicce senza reggiseno e mutandine. Per la gioia di “guardoni catotidici” alle prime armi. L’unica differenza con l’oggi è la possibilità di inviare sms. Che idea meravigliosa, un bell’esempio di integrazione tra “piattaforme”. Ah, potenza delle nuove tecnologie!

Qualche anno dopo, con un colpo di genio, degno di miglior causa, Gianni Morandi, moraleggiando sui dati Auditel, si spoglio in prima serata, restando in mutande come alla “visita dei tre giorni”, quella che si faceva quando c’era la leva obbligatoria. L’Auditel “non si alzò” più di tanto.

Si alzò invece irato una mattina Funari, che con la sguaiatezza che lo ha reso famoso, si spogliò anche lui, su una delle reti secondarie, cui fu mandato in esilio. Ma poi cadde nel dimenticatoio. Per essere recentemente riesumato da Rai Uno, e li ancora un paio di cadute: la prima durante la conferenza stampa di presentazione del programma, inciampando su una cassa acustica, la seconda caduta di fronte ai dati Auditel. Anche se a reggerlo in piedi ci sta pensando Del Noce: Apocalipse Show non si tocca. Contento lui.

In occasione della pubblicazione dei Dvd che raccolgono i suoi programmi del passato, Renzo Arbore ha dato sulla tv di oggi un giudizio impietoso: “E’ una tv gracile perché è troppo furbastra, anche con l’ intrattenimento, si cerca solo trasgressione o polemiche. E’ troppo schiava di Auditel e quindi caduca. L’incazzatura e le urla di uno o dell’ altro, una volta viste non interessano più. E anche la voglia di apparire sui giornali ti frega: funziona all’istante, se fai una rissa in tv, ma poi scade. Bisognerebbe mettere maggiore attenzione ai contenuti.”

Gli si può dare torto? Difficile. Come difficile è poter pensare che una tv satellitare di oggi fotocopi un programmino della tv commerciale di venticinque anni fa. Dov’è finita la vocazione “tematica” del digitale satellitare? Che differenza c’è con la tv “generalista”? Quando si dice che il re è nudo! Beh, buona giornata.

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Premiata in Campidoglio Rita Levi Montalcini. Dall’Italia? No, da Israele.

Il Nobel Rita Levi Montalcini è stata premiata dal Technion Israel Institute of Technology di Haifa. La Montalcini ha ricevuto il premio per i traguardi rivoluzionari raggiunti nel campo della scienza e al servizio dell’Umanità. A consegnarle il premio speciale in Campidoglio è stato il Nobel per la Chimica 2004 Aaron Ciechanover. ”La professoressa Montalcini – ha detto il presidente del Technion Yitzhak Apeloig – è la prima a riceve questo premio”.

Sarebbe bello che anche le istituzioni scientifiche italiane valorizzassero la ricerca e i ricercatori. Un compito che il nuovo Governo non ha ancora portato a valore. E sarebbe utile non si mettessero in discussione le capacità del Senatore a vita Levi Montalcini, come si è spesso sentito rumoreggiare dai banchi dell’opposizione in Senato. Beh, buona giornata.

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About “Family Day”, intervista a Vladimir Luxuria.

Vladimir Luxuria, parlamentare di Rifondazione Comunista, ha scritto un libro. Si intitola «Chi ha paura della Muccassassina? Il mondo in discoteca e viceversa», edito Bompiani. E’ stato definito un libro autobiografico, infatti l’on Luxuria conferma che nel libro si tratta di omosessualità, travestitismo e transgender, anticoncezionali e procreazione assistita, matrimoni gay, tra normalità e follia. Parliamo al telefono, l’on. Luxuria è a Bergamo per impegni politici. E’ una conversazione pacata, riflessiva, c’è un atteggiamento dialogante. Molto conciliante.

On Luxuria, questo suo libro vuole chiudere col passato di frequentatrice di discoteche?
No. Il passato non lo rinnego. Muccassasina è stata un episodio nato dall’esperienza del Circolo Mario Mieli, è stato uno strumento pratico di aggregazione e di autofinanziamento, una bella storia durata 10 anni, duranti i quali sono stata la Direttrice artistica di serate, itineranti da un luogo all’altro.

Che lei ha definito “un luogo di aggregazione e di conforto, soprattutto per gay, lesbiche e trans che l’hanno sempre vissuta come una sorta di terra promessa dove poter abbracciare il proprio compagno o compagna senza essere derisi o condannati da uno sguardo che, spesso, è capace di ferire più di un dardo”
Oggi è quasi una moda, ma allora le serate a tema erano una assoluta innovazione, che ha poi saputo attirare anche persone eterosessuali, o, per meglio dire, etero-solidali.

Muccassasina, perché questo nome?
Le prime serate le abbiamo organizzate al centro sociele Villaggio Globale, a Roma, vicino al Mattatoio. Il nome è un gioco tra mucche assassinate al Mattatoio e l’idea pazza di rovesciarne il significato.

È la discoteca il centro del suo racconto, vista come un microcosmo in cui si può riflettere il mondo intero, la riconciliazione con le proprie attitudini sessuali. Ma non le sembra un ghetto?
No, perché il ghetto è una imposizione degli altri. Noi abbiamo costruito uno spazio di scelta, in a cui partecipare volontariamente. Un microcosmo che è servito per parlare del macrocosmo mondo.

‘Chi ha paura della Muccassassina?’ è una esperienza letteraria o una esercitazione di sociologia un poco popolare?
E’ un saggio. Ma soprattutto, con questo libro voglio abbattere l’idea che la discoteca sia un luogo frivolo da demonizzare. La discoteca è un luogo.

Che però lei non frequenta più. Come deputato della Repubblica forse ha dei doveri etici, nei confronti della carica che oggi ricopre.
Il fatto è che mi devo svegliare presto la mattina, leggere i giornali e poi andare al mio lavoro di deputato. Faccio anche parte della Commissione Cultura della Camera. In questi mesi la notte l’ho usata solo per scrivere questo libro. Comunque, in questa esperienza di parlamentare ho trovato molte più energie di prima.

Parliamo della sua esperienza di onorevole. Non le sembra che certa stampa l’abbia voluta far passare come la Cicciolina del Terzo Millennio?
Non ho mai avuto niente contro Cicciolina. Se questo Paese non riesce ad accettare l’idea che un transgender possa fare politica in Parlamento, allora vuol dire che abbiamo molta strada da fare.

Non è che lei è un poco narcisa e che vuole fare il personaggio? Perché sbandierare l’intervento chirurgico al seno, come una velina qualsiasi?
Non sono narcisa più di quanto non lo siamo tutte. Non si dimentichi che sono una trans, e per me conquistare il corpo femminile ha una grande importanza. Non sono io che ho fatto comunicati stampa. Mi è stato chiesto se era vero che avevo fatto qualcosa al seno è ho semplicemente detto la verità.

A proposito della strada che il Paese deve fare per riconoscere le diversità, di che cosa si occupa principalmente in Parlamento?
Dei temi della laicità dello Stato.

Come dire, il dito nella piaga dello scontro in atto tra la Chiesa e lo Stato sui temi cosiddetti etici. A proposito, lei è credente?
Credo nella spiritualità, sono buddista. Quanto all’atteggiamento della Chiesa mi sembra si voglia tornare al 1948, ai tempi di Gedda e dei Comitati civici. Che il Papa voglia a tutti i costi farsi sentire come il capo di uno schieramento politico, che influenzi il consenso dei cittadini di fede cattolica. Ma quell’esperienza era figlia della Guerra Fredda, oggi i tempi sono cambiati. Credo che molti credenti nella Chiesa cattolica non siano disposti a essere considerati massa di manovra.

Che cosa farà il prossimo 12 Maggio, il fatidico Family Day?
Ho un pretesto molto nobile per non essere a Roma quel giorno. Sarò al Salone del Libro di Torino a presentare il mio libro.

Auguri per il suo libro, onorevole Luxuria.
Grazie.

(l’intervista è stata pubblicata il 5 Maggio su OFF, quotidiano di spettacolo. Beh, buona giornata.)

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Import-export della democrazia.

Un uomo di 55 anni, Aaron Lee Jones, condannato nel 1979 per duplice omicidio, è stato messo a morte mediante iniezione letale in Alabama.

L’esecuzione si è svolta nel carcere Holman ad Atmore, ed e’ stata la prima del 2007 in Alabama. Jones aveva ucciso a coltellate, durante una rapina in casa, i coniugi Carl e Villene Nelson, il 10 novembre 1978. Il suo complice si trova nel braccio della morte del carcere e per lui non e’ stata ancora fissata la data dell’esecuzione.

Nonostante l’iniziativa politica sulla moratoria della pena di morte, che vede un vasto movimento in tutto il mondo e di cui il nostro Paese si è fatto promotore presso l’Onu, negli Usa il boia continua indisturbato il suo lavoro.

Forse, invece che esportare la democrazia, gli Usa dovrebbero importarla. Beh, buona giornata.

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Il Family Day, Second Life del Vaticano.

In Italia i figli nascono volentieri fuori dal matrimonio. Le nascite extra-matrimoniali sono aumentate in Italia del 70% (dall’8,1% al 13,7%, rispetto a dieci anni fa) e ora sono in linea con gli altri Paesi europei, dove il primo figlio nasce prima del matrimonio.

E’ la fotografia della famiglia italiana scattata dall’ indagine conoscitiva della commissione Affari sociali della Camera e presentata a Montecitorio. Lo studio, che mette sotto osservazione il periodo tra il 1994-95 e il 2004-05, mostra nello stesso tempo come siano sempre di più le coppie senza figli o le persone che non arrivano mai all’altare e come la famiglia tenda inesorabilmente “all’invecchiamento”, dovuto principalmente al miglioramento delle generali condizioni di salute .

La conseguenza è una netta riduzione delle famiglie numerose: diminuiscono infatti dall’8,4% al 6,5% i nuclei con almeno tre figli. Poi, si osserva un invecchiamento della popolazione superiore ad altri Paesi europei.

Ci si sposa insomma più tardi, con il conseguente aumento dell’età in cui si diventa mamme e il ritardo d’uscita dalla famiglia d’origine. Secondo i dati Istat citati dall’indagine, nel 2004 l’età media delle mamme italiane e’ stata di 30,8 anni contro i 26,6 della media europea. Una decisione, quella di ritardare la maternità, dovuta in larga parte alla precarietà del lavoro.

Il secondo dato che emerge dall’analisi è il carattere “sempre più difficoltoso”, per le donne italiane, del “contemperamento degli impegni lavorativi e domestici con i compiti di cura” come l’assistenza agli anziani, ai figli minori e i lavori domestici.

Sempre secondo l’indagine “il 77% del tempo complessivamente dedicato al lavoro familiare è ancora a carico della donna, con il conseguente persistere di una significativa disuguaglianza di genere in quest’ambito”. La divisione dei ruoli all’interno della famiglia “risulta”, quindi, “ancora rigida poiché pur essendo oggi i padri più collaborativi rispetto al passato, i cambiamenti sono piuttosto lenti: da dati Istat – continua la commissione Affari sociali – si rileva infatti che il tempo dedicato dai padri al lavoro familiare è cresciuto di 16 minuti in 14 anni.

Ricapitolando: 1) il lavoro precario uccide la famiglia (oltre che molti lavoratori, come si evince dalle terrificanti indagini degli ultimi anni); 2) essere donna è difficile e faticoso, grazie alle politiche neoliberiste che hanno fatto a pezzi il Welfare, cioè l’accesso gratuito ai servizi sociali che erano un modo per alleviare il peso, economico e sociale dei compiti di una famiglia; 3) se si guadagna di meno, per colpa del precariato e si spende di più, per colpa dei tagli alla spesa pubblica, i maschi tendono a scaricare le loro responsabilità sulle donne.

Questa è la fotografia della realtà sociale del nostro Paese. Il Family Day, crociata cattolica contro i Dico e il testamento biologico, contro le libertà civili individuali e in definitiva contro il Governo, con la realtà sociale della famiglia italiana non c’entra proprio niente. E’ pura ideologia, è una manifestazione politica della volontà politica del Vaticano di continuare a esercitare il suo peso e la sua influenza nella scena politica italiana.

Scelta legittima, per carità: come legittimo è prendersi una vacanza dalla realtà e navigare (a pagamento) su Second Life. Beh, buona giornata.

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Rivera ha tirato il calcio di rigore.

Secondo l’Osservatore Romano le parole di un comico al concerto del Primo Maggio sono un atto di terrorismo. Siccome l’argomento è fragile e iracondo, si è voluto condirlo di aggettivazioni: Andrea Rivera è un “vile”, i settecentomila ragazzi in piazza erano “una folla facilmente eccitabile”.

L’Osservatore Romano, al di là dei suoi giudizi trancianti, non ha saputo entrare nel merito delle parole pronunciate da Andrea Rivera. Egli ha detto, testualmente: “La chiesa non si è mai evoluta. Non sopporto che il Vaticano abbia rifiutato i funerali di Welby. Invece non è stato così per Pinochet, per Franco e per uno della banda della Magliana”. Quello che ha detto Rivera è vero. Francisco Franco, il dittatore spagnolo e Augusto Pinochet, il dittatore cileno sono lontani, se non storicamente, almeno geograficamente. Ma per chi vive a Roma non è difficile scoprire che un membro della banda della Magliana è sepolto in una cripta nella chiesa di Sant’Agnese in Agone, in piazza Navona. Rivera a Radio Capital ha detto che non condivide l’accusa si essere un ipocrita per aver fatto riferimento ai funerali negati a Welby dalla Chiesa. “Non è forse vero che a Welby sono stati negati i funerali concessi invece a Pinochet? Chi è allora – ha concluso Rivera – l’ipocrita?”.

Il Vaticano ha ingaggiato una dura lotta, senza esclusione di colpi contro il testamento biologico, oltre che contro i Dico. Nella sua ingenuità, Rivera ha tirato il calcio di rigore, dal palco del concerto del Primo Maggio.

L’Osservatore Romano non perdona, non porge l’altra guancia, colpisce a testa bassa, come l’articolo del giornale vaticano fosse una risoluzione strategica della Br, rincara la dose e stampa, nero su bianco: “Qualcuno vuole aprire una guerra strisciante, una nuova stagione della tensione, dalla quale trae ispirazione chi cerca motivi per tornare ad impugnare le armi, per rivitalizzare organizzazioni che hanno perso su tutti i fronti, primo fra tutti quello della storia. Anacronismi. Come quella presenza sul palco a san Giovanni. Un residuato in mezzo a tanti giovani”. Parole come pietre, scagliate con rabbia e cieca determinazione.

Insomma, Rivera è stato paragonato a chi ha inviato minacce a Bagnasco, capo delle Cei, Arcivescovo di Genova, che da qualche giorno gira con la scorta, per via delle minacce che ha ricevuto. Paragonare un giovane barbuto con la chitarra che parla davanti a tutti con un mitomane che invia nascostamente ritagli di giornale è completamente fuori luogo. E’ una sproporzione pericolosa, rischia altri brutti episodi di emulazione, di gesti inconsulti.

Però, questa vicenda ha tutta l’aria di essere il vecchio trucco di fare le vittime, digrignando i denti.
Diciamoci la verità: stiamo esagerando in modo parossistico. Stiamo facendo la polemica a tutti i costi, con frasi bellicose, con anatemi, ricatti morali, analogie, linciaggi. Stiamo facendo la faccia feroce. Il Vaticano sembra a tutti gli effetti un partito politico, che sfrutta furbescamente i media per fare uno spot al Family Day. Insomma, il Vaticano esagera sapendo di esagerare
Di fronte alla determinazione a fare la guerra a tutti i costi, Papa Wojtyla ebbe a dire, alzando la mano che tremava dalla malattia: “Fermatevi”.

Oggi che taluni settori della Chiesa alla guerra vorrebbero andare, non ci resta che dire quello che disse al mondo Papa Giovanni Paolo II: “Fermatevi”. Beh, buona giornata.

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Operazione Cilicio.

Il vice premier e ministro degli Esteri Massimo D’Alema durante l’audizione sull’Afghanistan alle commissioni Esteri e Difesa del Senato, ha detto che “le operazioni militari che colpiscono la popolazione civile rischiano di alienare il consenso della popolazione stessa”.

Signor Ministro degli Esteri, colpire la popolazione civile è una crimine di guerra. E come tale va denunciato e i responsabili di tale crimine vanno portati di fronte al Tribunale Internazionale contro i crimini di guerra. Il governo Bush non ha sottoscritto il Trattato che istituisce il Tribunale. Come avrebbe potuto, si è mai visto un imputato aderire al Tribunale che dovrebbe condannarlo? D’altro canto, colpire la popolazione civile non aliena il consenso, lo massacra.

Signor Ministro degli Esteri, che ci sta a fare l’Italia nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu? Che ci sta a fare l’Italia nella Nato, che guida le operazioni militari? Che ci sta a fare l’Esercito Italiano in Afghanistan? Signor Ministro degli Esteri, qual è la differenza tra lei e il suo predecessore? In altre parole, on. D’Alema, lei che ci sta a fare alla Farnesina?

Lei, signor Ministro ha detto:“le operazioni militari che colpiscono la popolazione civile rischiano di alienare il consenso della popolazione stessa”. Parliamo delle vittime afgane o degli elettori italiani? Togliamoci il Cilicio, torniamocene a casa. Beh, buona giornata.

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Primo Maggio, la classe operaia è andata all’inferno.

Le cifre che accompagnano questo Primo Maggio parlano chiaro: in Italia il lavoro non conta più niente. Ci sono state 1280 morti sul lavoro nel 2006, quasi settemila nei primi cinque masi del 2007. Una su quatto è una donna, uno tre è un lavoratore straniero.

Centinaia di migliaia di feriti, altrettanti di invalidi permanenti. Sono dati ufficiali, dati dall’Inps, che subisce l’evasione dei contributi previdenziali e previdenziali. Ma ci sono dati altrettanto allarmanti, che allarme non creano: quanti sono i lavoratori in nero? Quanti sono i precari?

Questo Primo Maggio ci dice che il lavoro non è un diritto, che il lavoro non è un valore fondante la Repubblica Italiana, come recita infatti l’art.1 della Costituzione. Questo Primo Maggio ci dice che il lavoro è solo e soltanto un “costo” per le aziende, un costo da tagliare, da ridimensionare, una voce sulla quale fare “saving”, come dicono in Usa: assumere di meno, a costi sempre più bassi, con condizioni a termine: il lavoro è una voce sulla quale fare risparmi. A cominciare dai “costi” della sicurezza sui posti di lavoro.

Il lavoro è diventato flessibile. Anche gli occupati stabili hanno salari bassi, faticano a acquistare, a risparmiare, e investire nel futuro. Ecco il quadro sociale che si ricava dalle politiche neoliberiste.

Il Capitale ha preso il suo vantaggio competitivo sul Lavoro, ne ha ridimensionato la sua importanza sociale, ne ha quasi azzerato le radici culturali. Il Lavoro, i lavoratori sono diventati una variabile indipendente dalla politica. I partiti della sinistra hanno via via accantonato le problematiche della classe lavoratrice, si sono rivolte ai ceti medi e medio-alti. La condizione delle classi lavoratrici non è al centro del nascente Partito democratico. La sinistra politica, quella che si definiva radicale è troppo occupata a ricostruire le proprio alchimie, le proprie riaggregazioni, non ha tempo né voglia di stare nei luoghi di lavoro.

In questi ultimi anni anche il Sindacato si è più rivolto alla politica che alla società. E’ impressionante il numero dei sindacalisti che hanno scelto carriere politiche. Cofferati, Bertinotti, Marini, D’Antoni, Benvenuto, Del Turco, tanto per citare solo alcuni tra i più famosi sindacalisti che hanno lasciato il sindacato per entrare nelle istituzioni, sono la dimostrazione pratica del crescente disinteresse verso la condizione del lavoratori in Italia.

La stragrande maggioranza delle amministrazioni locali sono governate in tutto il Paese da governi di centro-sinistra. Eppure, i problemi del lavoro non sono affatto migliorati: si danni appalti, ma non ci si cura di come si assume, a quali condizioni salariali e di sicurezza vengono aggiudicate le gare per le opere pubbliche e private nei comuni italiani.

E’ un fatto assodato che la stragrande maggioranza dei morti avvengono nei cantieri dell’edilizia, di opere edificate su licenza rilasciata dal Comune.

Il Presidente Napoletano ha più volte posto il problema delle morti sui luoghi di lavoro: i suoi appelli cadono nel vuoto, con la stessa noncuranza con cui si assiste alle cadute dalle impalcature.

I partiti delle sinistra erano nati dalla tradizione del movimento operaio. La classe operaia doveva andare in Paradiso. Oggi che è all’Inferno, la domanda è: chi ce l’ha mandata? E’ una risposta che qualcuno dovrebbe dare proprio il Primo Maggio. Beh, buona giornata.

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Sete di conoscenza o sete di acqua?

E’ stato scoperto il più piccolo pianeta al di fuori del sistema solare. Ed è anche quello che sembra avere la probabilità maggiore di ospitare acqua in forma liquida, condizione necessaria perché la vita, così come la conosciamo, si sviluppi.

«Questo pianeta – ha detto Xavier Delfosse, ricercatore dell’università di Grenoble che ha partecipato allo studio, – è un possibile ed importante obiettivo per le future missioni spaziali dedicate alla ricerca della vita extraterrestre». La sua massa è solo 5 volte quella della Terra, si può considerare quindi un pianeta piuttosto piccolo.

«Finora – dice Margherita Hack – i pianeti scoperti erano tutti delle dimensioni di Giove o addirittura più grandi. In questo caso, invece, il pianeta è piccolo e poco caldo».

Il nuovo pianeta è circa 14 volte più vicino alla sua stella, che si chiama Gliese 581, di quanto noi lo siamo al Sole.«La sua temperatura – prosegue Hack – dovrebbe aggirarsi intorno ai 2000 gradi, mentre quella del Sole è di circa 6000.

Data la distanza a cui si trova il nuovo pianeta da questa stella, i ricercatori hanno dedotto che la sua temperatura dovrebbe essere compresa tra 0 e 40 gradi centigradi.
Questo vuol dire che, se ci fosse dell’acqua, sarebbe allo stato liquido.

Purtroppo è impensabile poter inviare una sonda per vedere cosa effettivamente accade intorno a questa stella. Benché vicina, la sua distanza dalla Terra è comunque enorme: «circa 600 milioni di volte quella tra noi e la Luna», spiega Hack.

Peccato: visto che abbiamo di fronte un’estate di siccità, magari a qualcuno poteva venire in mente di andare prendere acqua in un altro pianeta. Che pare possa essere l’unica soluzione possibile, visto gli allarmi sulla scarsità delle risorse idriche del nostro Paese.

Il che è un altro modo per dire che le politiche ambientali del nostro Paese fanno acqua da tutte le parti. Tanto che stiamo per rimanere a secco. Di idee, di prospettive e di acqua. Beh, buona giornata.

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25 Aprile 2007, meglio partigiani che bipartisan.

La Storia non è un miscelatore tra l’acqua calda e l’acqua fredda. E, a pensarci bene, non lo è neppure la politica, la società, e men che mai la cultura, peggio mi sento per la creatività. Chi pensa bipartisan mischia la luce con l’oscuro, il fracasso col suono, il dolce con l’acido, gli odori con le puzze, il morbido con l’accidentato. Noi siamo partigiani, con tutti i cinque sensi.

La moda del bipartisan è scema, non è reale. Non affascina, annacqua. Non c’è un bicchiere mezzo pieno che si mischia con il mezzo vuoto. La vita è fatta di separazioni, dolci o drastiche, dipende da che cosa si separa: può essere un parto naturale o col cesareo, ma è comunque separazione. Il vecchio espelle il nuovo da sé, perché non ne può più fare a meno. Il nuovo rivendica l’autonomia dal vecchio, è nella sua natura, è la sua scommessa, è la sua missione, la sua finalità.

Bipartisan è un trucco per lo status quo. Ma, appunto, lo status quo è vecchio, conservatore, reazionario, insopportabile. Bipartisan è arrogante, ignorante, interessato, cialtrone e furbastro.

Noi siamo partigiani di una cultura che produca cultura, conoscenza, sapere, innovazione, bello e giusto.

Noi siamo partigiani di una politica che neghi la supremazia di se stessa: oggi la politica vuole imporre la gestione, l’amministrazione del presente. Noi vogliamo la progettazione, il rischio, la sperimentazione: nel cinema, nell’arte, nelle televisione, nel web, nella scrittura, nel teatro.

Noi siamo partigiani di una comunicazione contro il recinto degli schemi: l’immagine, la parola, la musica, il gesto, il segno devono attraversare la solitudine del creativo e le praterie dei new media senza restrizioni, compatibilità, convenienze e asservimenti bipartisan, appunto.

Noi siamo partigiani della riforma della Rai e del sistema televisivo: le tattiche bipartisan sono sotterfugi raggelanti ogni forma di nuova espressione nella comunicazione di massa. Per noi, le riforme sono punti di partenza, sono lo start up di una nuova stagione. I bipartisan credono le riforme siano punti di arrivo, da rinviare alle loro alchimie, accordi, inciuci, spartizioni. I bipartisan sono satrapi, che difendono rendite di posizione. Noi siamo partigiani, perché mettiamo in discussione non tanto quelle rendite, ma proprio quelle posizioni.

Siamo partigiani di una nuova legge sul diritto d’autore e dell’abrogazione dell’Iva sulla musica e sui film. Auditel è bipartisan: accontenta la tv commerciale e quella pubblica. Noi siamo partigiani della qualità, perché siamo contro la dittatura delle quantità.

Noi siamo partigiani della libertà di stampa e della dignità di chi la libertà di stampa la fa, scrivendo quello che pensa, non quello che fa guadagnare l’editore. Se l’editore ha paura della libertà, cambi mestiere e la smetta di parlare di libertà del mercato. Il mercato non è bipartisan, il mercato è competitivo, aggressivo, selettivo: noi siamo partigiani delle idee che diventano valore, etico, democratico, e per chi lo sa fare, anche economico. Noi siamo partigiani del rinnovo del contratto dei giornalisti.

Noi siamo partigiani di tutto ciò che è nuovo, problematico, dirompente, un poco folle, visionario e progressista: i bipartisan dicono sempre e solo quello che gli conviene. Noi siamo partigiani di tutti quelli che forzano l’esistente: dalla tv alla radio, dal web alla pubblicità, dal teatro alla grafica, dalla scrittura alle scritte sui muri, dalla musica alla pittura, dalla scultura al design, dalla filosofia alla moda, dalla giustizia all’ambiente, dalla religione alla laicità, dagli affetti al sesso, dal particolare al globale, dall’originale al meticcio.

Noi siamo partigiani delle regole, i bipartisan violano le regole. Noi vogliamo nuove regole per tutti, anche per chi non la pensa come noi. Loro violano le regole, perché bipartisan significa sentirsi al di sopra delle regole degli altri. Noi siamo partigiani. Buon 25 Aprile. Beh, buona giornata.

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Iva? Via.

Secondo i discografici, l’Italia è al primo posto in Europa per la pirateria musicale, con un quarto del mercato discografico in mano alle organizzazioni criminali.

Il giro d’affari l’industria della pirateria musicale si aggira sui 60 milioni di euro. Nel corso del 2006 le forze dell’ordine hanno sequestrato oltre 2 milioni fra cd e dvd, arrestando 389 persone e denunciandone 1.104.

Cosa vogliamo aspettare a togliere l’Iva da musica e film? Beh, buona giornata.

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Fine del Limbo.

Il Limbo riflette “una visione eccessivamente restrittiva della salvezza”, afferma la Commissione teologica internazionale, e la misericordia di Dio è più grande anche del peccato originale non sanato dal battesimo.

La Chiesa dunque non pensa più a al Limbo, quel non-luogo in cui avrebbero speso l’eternità, privati della visione di Dio, i bimbi morti senza essere stati battezzati. Dunque, il Papa ha abolito il Limbo. Infatti, il documento che abolisce ufficialmente il limbo e che era alla discussione della Commissione teologica internazionale dal 2004, quando questa era presieduta dal cardinale Ratzinger, è stato sottoposto al Papa dall’attuale presidente della Commissione, il cardinale William Levada, che ha incontrato il Papa lo scorso 19 gennaio. Benedetto XVI ha approvato il testo e ne ha autorizzato la pubblicazione.

E’ straordinaria la coincidenza con la nascita del Partito democratico: anche gli ex comunisti escono dal Limbo della storia della politica italiana, dal Dopoguerra ad oggi. Diciamo che il Pd deve ancora essere partorito, ma siccome si prevedono più o meno 9 mesi di gestazione, i genitori, cioè i Ds e la Margherita, hanno deciso di mettere al mondo questo neonato partito.

Si sono dette molte cose e molte se ne diranno: la più vera di tutte è che il Pd è la vera novità prodotta dal nostro sistema dei partiti, dopo quasi cinquant’ anni di Dc, e della Guerra Fredda, dopo la fine della Prima Repubblica, decretata dallo scandalo di Tangentopoli, che hanno prodotto quindici anni di berlusconismo, cinque dei quali passati al Governo.

Con la fine del Limbo, la Margherita è più che legittimata a fondare un nuovo partito con quelli che un tempo “mangiavano i bambini”.

Con la nascita del Pd si sta provocando uno scisma, un sisma e, per qualcuno, un cataclisma.

C’è uno scisma a sinistra: Mussi non se ne va, semplicemente Mussi non entra, al contrario di Angius, che storce il naso, ma alla fine ci va.

Mussi pare voglia dare vita a un movimento, con tanto di rappresentanti tra gli eletti, che possa in un qualche modo produrre la rinascita di una formazione di sinistra in Italia. C’è molta commozione e passionalità nelle posizioni espresse da Mussi: come fosse una scelta obbligata dalla coerenza, quindi subita, per via delle circostanze.

In realtà, lo smottamento, dal centro-sinistra verso la sinistra può determinare, e a questo si è riferito espressamente di recente lo stesso Bertinotti, un nuovo composto chimico, che renda solubile l’attaccamento alla tradizione post comunista. In altre parole, non c’è più da “rifondare”il partito comunista. C’è da tentare la strada di una sinistra non più rivoluzionaria contro il Capitale , ma radicale sui temi del Lavoro, e quindi della solidarietà e dell’uguaglianza, della differenza. Dalla lotta di classe, al confronto pacifico tra le classi. Scontro olimpico, magari duro, ma non più “eversivo” rispetto alle leggi del mercato.

C’è, poi, un sisma, tellurico, che investe la “sinistra radicale”: Rifondazione e i Comunisti italiani, vissuti di rendita di posizione rispetto alla moderazione dei Ds sono e saranno costretti a ripensare se stessi e il proprio elettorato. E’ escluso un attruppamento meccanico tra il Correntone Ds e gli scissionisti, che dalla fine del Pci diedero vita a un nuovo partito, che poi divennero due: Bertinotti da una parte, Cossutta dall’altra. Dovranno ripensarsi, riorganizzarsi. Tentare di darsi una fisionomia da sinistra europea.

Se, come immaginabile, il Pd alla fine sceglierà l’Internazionale socialista e il Pse, pur nella loro rispettiva modificazione meno socialista e più democratica, magari con l’adesione all’Internazionale del Partito del Congresso dell’India e, udite-udite, dei Democratici americani, potrebbero chiudersi gli spazi al nuovo soggetto a sinistra.

Il cataclisma è tutto del centro-destra, ma non solo. Il centro-destra, ma più semplicemente la Cdl ha esaurito la sua parabola. Il giorno della nascita del Pd coinciderà con la morte del berlusonismo. Si chiude un’ anomalia tutta italiana, se andranno in porto le aperture che potrebbero vedere Berlusconi coinvolto nella telefonia, vero sbocco imprenditoriale di Mediaset, che può finalmente mollare la presa del sistema televisivo, e liberare il mercato e la politica dalla sua presenza asfissiante.

Senza il collante del carisma di Berlusconi, e della sua potenza finanziaria, la Cdl è virtualmente al capolinea. Fini, che non è riuscito a fare la sua Fiuggi Due, rimane col cerino in mano: può fare il capo dello schieramento di destra, che sarà drasticamente ridimensionato nella sua importanza nella politica italiana. Senza più neanche l’ombra di comunisti, gli anti-comunisti spariranno come i dinosauri.

Anche l’Udc di Casini, e il partito di Mastella e quello di Follini sono un poco terremotati: nel nuovo scenario si stanno chiedendo: ma io a che servo, a chi sono utile? Con un gioco di parole: io che “centro”?

La conta si avrà con le elezioni europee del 2009. Poi, chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato. Molti si scorderanno il passato.

E’ la fine del Limbo. Lo dice il Papa, lo dice Prodi. Ma è anche la fine del Limbo per le forze della cultura, della società, della vivacità sociale. Si aprono scenari nuovi e promettenti, liberati dalla presenza ossessiva della politica, e dalle sue macerie, dal suo controllo su tutto e su tutti.

Forza e coraggio: se diventiamo un paese normale possono succede cose eccezionali. Vogliamo cominciare? Beh, buona giornata.

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“I problemi non possono essere risolti dallo stesso atteggiamento mentale chi li ha creati.”

Questa citazione di Albert Einstein calza a pennello sulla situazione dei media italiani e del futuro utilizzo da parte della pubblicità.
Ogni tanto, come a voler pompare uno poco di ottimismo, qualcuno si sveglia e parla di un futuro non più incastonato nella centralità tolemaica del sistema della tv.

E’ la volta di Federico Rampolla, di recente nominato interaction director di GroupM Italia, che su “Prima comunicazione” traccia un quadro di grande crescita dei media digitali nel nostro Paese e delle loro prospettive di sviluppo.

Cosa dice in sostanza Rampolla? Saranno i media digitali – come i quotidiani on-line, i contenuti dei telefonini e i canali trasmessi nel web con “iptv” – a guidare sempre di più in futuro la crescita del mercato pubblicitario nei prossimi anni in Europa e negli Usa.

Le stime che giungono da GroupM, la parent company dei centri media del gruppo Wpp, il colosso circa il 30 per cento del mercato pubblicitario mondiale rilevano che in Europa Internet ha già raggiunto una quota di mercato del 7 per cento (in Italia del 5 per cento) e quest’anno l’investimento sui media on-line crescerà del 65 per cento rispetto al 2006, molto più degli altri mezzi (la tv aumenterà del 23 per cento, i periodici del 13 per cento, l’outdoor, cioè le affissioni esterne, del 9 per cento, le radio del 3 per cento, mentre la pubblicità sui quotidiani scenderà ben del 13 per cento).

Insomma, il futuro è nei media digitali. «Da Internet all’iptv, alla tv mobile al social network, il digitale sta diventando sempre più pervasivo – afferma Rampolla – ma in Italia gli editori stentano ancora a trovare la propria strada, molti non hanno ancora sviluppato una strategia coerente e duratura in questo settore». Una tesi, al limite del “Cicero pro domo sua”: per un editore, spiega Rampolla, oggi sono possibili tre strategie nel confronti del digitale: «Stare a guardare, il che vuol dire uscire dal mercato; seguire quello che fanno gli altri e copiare, il che significa rinunciare alla leadership, oppure giocare, impegnarsi in prima persona: e questa a mio parere è l’unica strategia possibile».

Il discorso vale anche per le agenzie di pubblicità e le aziende in genere. «È vero che alcuni mercati esteri sono più maturi del nostro – prosegue Rampolla – ma anche noi comunque abbiamo già superato il punto di svolta. La quota di mercato della comunicazione on line sta crescendo rapidamente e prima o poi arriveremo al sorpasso rispetto agli altri media».

Andrebbe tutto bene se non ci fosse una certa insopportabile e reiterata tendenza a confondere il mezzo col messaggio, invece che considerare l’uno il veicolo dell’altro. E’ vero che in Italia il messaggio è carente, la qualità della pubblicità si è accartocciata sulla prevalenza della comunicazione televisiva.

Il problema è che i futuri mezzi di comunicazione di massa, prevalentemente via web, avranno sempre di più la necessità di idee-forza, per superare gli ostacoli della frammentazione, della parcellizzazione, tipici dei nuovi media, specialisti, per definizione antitesi del generalismo televisivo. Avranno bisogno di idee creative.

Allo sviluppo dei nuovi mezzi, dovrebbe saper corrispondere una specializzazione nei messaggi, ma anche una concezione “ideologica” della comunicazione commerciale, capace di saper ricomporre il discorso frammentato tra siti, video telefoni, quotidiani on line, e quanto altro offerto dalle nuove tecnologie. Insomma, fare comunicazione e non solo pianificazione su diverse piattaforme.
Se no si continua a ragionare come se bastasse sostituire le tre reti Rai e le tre reti Mediaset, con l’aggiunta della settima 7, con il web e tutto è risolto, magari solo perché costa meno. Beh, buona giornata.

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