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Tristotto alla milanese.

Pare che i chicchi di riso abbiano le orecchie. Le piante di riso sono in grado di ‘udire’ la musica: è quanto afferma una equipe di scienziati della Corea del Sud.

I ricercatori hanno suonato in una risaia 14 pezzi di musica classica e hanno così scoperto che certe frequenze tra 125 e 250 hertz rendevano più attivi determinati geni.

In futuro, sostengono, gli agricoltori potrebbero utilizzare i suoni per attivare o disattivare determinati geni, un’alternativa più economica e ecologica all’uso di sostanze chimiche. Facciamo finta che sia vero, anche perché risaie e risate potrebbero anche non andare d’accordo.

C’è, infatti, da augurarsi che non si arrivi a scoprire che oltre che le orecchie magari i chicchi di riso possano anche avere i geni della vista.

Gli potrebbe succedere la sventura di vedere gli spot di una nota casa italiana, di cui un noto testimonial è omonimo.

Smetterebbero subito di fare riso. Diventerebbero tristi, come noi ogni volta che ci tocca vederlo passare in tv.

E invece che risotto, nel menu dei ristoranti si dovrà scrivere “tristotto alla milanese”. Beh, buona giornata.

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Gli extra-italiani.

Sempre più spesso nel sud d’Italia la laurea non basta per trovare lavoro. A tre anni dal titolo di studio, un laureato su quattro trova lavoro grazie alle conoscenze, cioè la politica, vale a dire la raccomandazione presso l’amministrazione pubblica.

Di cui all’apposito filmato della qualità democratica delle amministrazioni locali nel nostro meridione. Che tanto “la mafia non esiste”.

Non solo. l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno (Svimez) dimostrerebbe in uno studio che la percentuale si dimezza per quei laureati meridionali che studiano al Nord e decidono di non tornare nella regione di appartenenza.

Infatti, il 40% dei laureati meridionali che a tre anni dal conseguimento del titolo di studio già ha un lavoro è stato costretto a emigrare al Nord. Esattamente come succedeva ai tempi delle grandi emigrazioni della forza lavoro verso le industrie del Nord.

Insomma, come ai tempi in cui sui portoni dei palazzi delle città del Nord c’era scritto: “non si affittano case ai meridionali.”

Sempre secondo lo Svimez, su 55 mila laureati residenti al Sud al momento dell’iscrizione all’Università trovano lavoro, dopo 3 anni, in 34.500.

Ma se in 20.700 hanno trovato impiego nelle regioni di appartenenza, sono circa 13.800 quelli che invece lavorano nelle regioni del Nord.

E, la ricerca non lo dice, ma vengono comunque trattati da “terùn”. Terroni.

A forza di avercela con gli “extra-comunitari” non ci accorgiamo che continuiamo a vivere in un paese pieno di “extra-italiani”. Cum laudem.

E’ stupefacente come le cose siano cambiate. Una volta “anche l’operaio voleva il figlio dottore”. Oggi anche un dottore ha un figlio precario. Beh, buona giornata.

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Cani e somari.

Una cane volpino ha salvato i passeggeri del volo 116Y1 della Blue Air, che da Fiumicino era in partenza per Bucarest. Liberatosi nella stiva, è uscito dal portellone rimasto aperto, mentre l’aereo stava rollando sulla pista dell’aeroporto.

Il comandane ai comandi ha visto il cane sulla pista, ha frenato e così si è accorto che stava decollando con il portellone aperto. Il che avrebbe causato la perdita della pressurizzazione, mettendo a repentaglio molto gravemente sia il velivolo che i 140 passeggeri a bordo.

Invece che nominare certi noti somari alla gestione della sicurezza dei passeggeri e dei loro bagagli negli aeroporti italiani, sarebbe meglio nominare presidente dell’Enav il volpino rumeno. Prima che il cagnetto venga accusato di sabotaggio. Beh, buona giornata.

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I pompieri non c’hanno i soldi per la benzina.

Sembra una battuta da quattro soldi. E’ invece la verità: i Vigili del Fuoco italiani non hanno i soldi per fare rifornimento di carburante per gli automezzi che accorrono in questi giorni a spegnere gli incendi che scoppiano ovunque.

Secondo la Corte dei Conti, mentre il prezzo dei carburanti è aumentato, a ciò non è corrisposto a un aumento degli stanziamenti previsti. Evidentemente i piromani, come ci ostiniamo a chiamare quelli che danno fuoco ai boschi, confondendo un’attività prettamente criminale con un disturbo mentale, la piromania, appunto, hanno più soldi.

Infatti, nonostante che un pieno di benzina in Italia costi 7 euro e mezzo in più che in tutta Europa, come ha denunciato il ministro Bersani, loro si possono permettere di comprarla per dare fuoco ai campi, alle colline, ai boschi e alle foreste italiane. Mentre i pompieri non hanno i soldi per fare il pieno alle autobotti che servirebbero a correre sul posto a spegnere gli incendi, prima che facciamo stage di verde e mietano vittime.

Neanche alla fervida fantasia di uno scrittore di fantascienza sarebbe venuta in mente un’idea così. Una volta si diceva che la realtà supera sempre la fantasia. Oggi possiamo dire che la realtà brucia la fantasia. Non solo sul tempo. Beh, buona giornata.

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Se le vie del Signore diventano digitali.

“Civilta’ Cattolica”, prestigiosa rivista pubblicata dalla Compagnia di Gesù pubblica un articolo nel quale si sostiene che bisogna avere il coraggio di avventurarsi nel mondo di “Second Life”, il sito web dove è possibile vivere in maniera simulata una seconda vita ‘digitale’, e dove una crescente popolazione mondiale di internauti ha bisogno di ricevere un messaggio di fede.

“Civiltà cattolica” valuta i rischi e l’opportunità del fenomeno planetario di ‘Second Life’, e ne sottolinea anche gli elementi religiosi: la seconda vita virtuale si sta arricchendo di luoghi di preghiera, moschee, chiese, cattedrali, chiostri e conventi, sempre più popolati da ‘avatar’ (come tutti sanno, così si chiamano gli abitanti del pianeta Web) , desiderosi di meditare e di ritrovare Dio.

Pur essendo personaggi virtuali, dietro gli avatar, secondo “Civiltà Cattolica”, ci sono essere umani in carne ed ossa. Ecco perché – affermano i gesuiti – “ogni iniziativa capace di animare positivamente questo luogo (web) è da considerare opportuna”. “La terra digitale – affermano – è, a suo modo, anch’essa terra di missione”.

Non c’è da stupirsi che una potente organizzazione religiosa, come l’Ordine dei Gesuiti abbia scoperto in Second Life una nuova missione da compiere. Né che le vie del Signore, essendo infinite possano anche diventare digitali.
Stupisce che Santa Romana Chiesa sia più avanti della stanca pubblicità italiana. Beh, buona giornata.

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L’arte della cotoletta alla milanese.

La mostra “Vade retro: arte e omosessualità” non aprirà al pubblico. Lo ha deciso l’assessore Vittorio Sgarbi dopo le polemiche di questa settimana..Sgarbi ha anche rivelato di aver telefonato a Silvio Berlusconi perché convincesse il sindaco Letizia Moratti a recedere dalla posizione assunta sulle opere da eliminare: “Una missione fallita. Di fronte alla censura la soluzione più concreta è la censura estrema e quindi la cancellazione della mostra”.

Ricapitoliamo: l’assessore organizza un mostra piccante. Il sindaco vuole togliere il peperoncino dalla mostra. L’assessore, piccato chiama al telefono il padrino politico suo e del sindaco perché interceda, perché faccia da mediatore, da intermediario. Quello, niente, non intermedia. E va tutto a carte quarantotto. Compresa la democrazia.

Milano è una città sfortunata. Laboriosa, proattiva quando si tratta di lavorare, di produrre, di creare valore, un disastro quando si tratta di andare a votare. E così si ritrova per la terza volta una classe dirigente, che da bere gli è rimasto il cervello.

Quando Berlusconi scese in campo, Formentini, primo sindaco della Lega, si impegnò con tutte le sue forze per chiudere il Leoncavallo, lo storico centro sociale. Il Leonca vive, Formentoni si è rifugiato delle parti delle Margherita. In compenso, nominò Philippe Daverio assessore alla Cultura, il quale inanellò una serie di cazzate storiche: piazzò un fontana che sembra un pandoro Melegatti di marmo in piazza San Babila.

Ne piazzò un’altra a piazza Duomo, col risultato che gli schizzi d’acqua negavano la vista delle guglie. Adesso sta li che non fa più neanche acqua.

Non pago, riaprì il centro storico alla circolazione privata, (unica città d’Europa a favorire le auto private); poi ingrandì i marciapiedi per favorire lo shopping e i commercianti (unica città al mondo che invece che allargare le strade, ingrandisce i marciapiedi).

Berlusconi poi elesse Albertini, intimo di Berlusconi, ma anche intimo dell’intimo: si fece fotografare in intimo, cioè in mutande. La città crollò: triste, abbandonata a se stessa , insomma, in mutande, appunto. La cosa è ben descritta in un libro appena uscito: “Milano da morire”di Luigi Offeddu e Ferruccio Sansa, per i tipi della BUR.

Quando Berlusconi ci mette la Letizia Moratti sulla poltrone di sindaco, la città è mezza stordita dal declino. Da capitale morale, diventa capitale Moratti.

In pochi mesi la Letizia è capace di far fare a botte i vigili con i cinesi di via Paolo Sarpi, China Town; di scendere il piazza contro Prodi per via di qualche commissariato di polizia in più; di schierarsi dalla parte dei tassisti, pur di fare un dispetto a Bersani.

La Letizia arruola Sgarbi alla Cultura. A parte che promuovere se stesso Sgarbi combina una pirlata dopo l’altra. L’ultima è la mostra sull’omossesualità. Dico, sull’omossessualità.

Vietata ai minori, ovviamente. Però non basta. Bisogna che lo scandalo continui. E allora, via un bel po’ di quadri, è la trovata della Letizia, che quei piselli e quelle chiappe magari offendono la “sciura Maria” che va vederla la mostra. Ci va perché il sesso tira più di cento buoi (del carroccio) in salita. E poi il sesso, la sciura Maria lo vede sempre in tv, sulle tv del Cavaliere, tutti i pomeriggi e alla domenica. Però la Letizia è “il comune sindaco del pudore”: questo si può vedere, questo no.

Sgarbi, come la foca che allo zoo riceve la sardina perché batta le pinne, come fossero le mani, fa finta che si incazza, ma gongola: sta facendo un cavolo (a parte quelli esposti alla mostra) però sta facendo un sacco di rumore (più dello scoiattolino della famosa gomma da masticare, che va in onda alla tv). Poi si inchina, non al pubblico, ma al domatore, il Cavaliere.

Ecco cosa diventa l’arte in mano ai balordi del centro-destra: una faida da tronisti, un argomento da Lucignolo di Italia Uno, una gazzarra tra cortigiani come se Palazzo Marino (la sede del Comune di Milano) fosse un reality, popolato dalla banda Mora-Corona’s. E’ fantastico: Berlusconi non riesce a fare da pacere tra i suoi polli. Poteva chiamare Costanzo: lui sì che è riuscito nell’intento di mediare tra Corona e la Totti family, per via di quelle foto imbarazzanti. Vabbè.

Lo sanno tutti, compresi i milanesi che Milano è da tempo la provincia di Arcore: li abita il sindaco del sindaco di Milano.

Così se l’informazione è un “panino” tra una velina e una meteorina, la cultura è una cotoletta panata e fritta dalle beghe di corte.

Nel bicentenario della nascita di Giuseppe Garibaldi bisognerebbe augurare ai milanesi un nuovo Risorgimento. Cinque giornate comprese. Beh, buona giornata.

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L’uguaglianza, il convitato di pietra della Sinistra.

Ci sono voluti secoli per affermare tra gli uomini i principi di uguaglianza. Ci sono state rivoluzioni, guerre, persecuzioni. Ma il cammino non è terminato: le differenze di ceto e di reddito continuano a pesare sulle democrazie occidentali, mentre continuano a tenere soggiogate intere popolazioni nella parte più povera del mondo; le differenze razziali si sono aggravate con l’insorgenza del terrorismo islamico, con le nuove guerre e con le migrazioni dai territori più poveri del pianeta verso i paesi più ricchi.

Anche le differenza di genere sessuale non sono state risolte: per esempio, nel nostro Paese le donne faticano a essere in Parlamento, al Governo o al comando di aziende, pubbliche o private.
La dialettica tra i ruoli predominanti e quelli subalterni nelle nostre società ha tuttora una viva e talvolta drammatica attualità.

Tuttavia la questione è assente nel dibattito, prima ancora che nella prassi politica della sinistra italiana. Non se ne sente neppure accennare né dalle parti del nascente Partito democratico, né se ne è sentito alcunché nel discorso di investitura di Veltroni al Lingotto. La questione non era nella scaletta dell’intervento di Bertinotti al congresso di nascita della Sinistra europea, settimane or sono a Roma.

Quando cadde il Muro di Berlino andarono in pezzi le teorie del Socialismo realizzato, che propugnava l’eguaglianza. Non riuscì mai a realizzarla, in compenso negò anche le libertà.
Contemporaneamente si andò affermando il neo-liberismo, che spinse i mercati nell’attuale globalizzazione economica. L’eguaglianza, garantita dal Wellfare divenne via via un costo da abbattere, la libertà da civili si trasformarono in economiche.
Invece che risolversi, le contraddizioni si sono acuite.

La Politica, che si è sempre nutrita dalle teorie sociali, economiche, che ha gestito grandi cambiamenti tecnologici che diedero vita a due rivoluzioni industriali, oggi è in grande affanno: non riesce a prefigurare nuovi scenari, fatica persino a gestire le società umane, che così diverse le une dalle altre, sono loro malgrado costrette a confrontarsi con gli scambi economici, cadenzati dal mercato globale. A ciò si sono sommati due altri fattori destabilizzanti:
– uno porta la terribile data dell’11 settembre 2001, con il corollario di due scenari di guerra tuttora aperti, con il risultato di uno scontro tra civiltà e religioni;
– l’altro è l’insorgenza dell’emergenza del clima che incombe sul pianeta che pone la questione della sopravvivenza della specie umana.

Se da una lato la Politica pare non riuscire ad avere un linguaggio unitario, che al di là del consenso elettorale possa tenere coesa la società per spingerla verso il superamento delle contraddizioni, dall’altro lato il mercato parla la sua lingua.
Lo stesso fa la finanza, la diplomazia, la scienza, le scienze umane, il diritto, la teologia, l’arte. Ognuno per sé.

I principi di uguaglianza appaiono soggetti a geometrie variabili, a seconda della longitudine e della latitudine in cui si muovono i mercati, a seconda delle “convenienze” delle classi dirigenti dei rispettivi Paesi.
La Cina e l’India hanno economie emergenti, ma non sembrano occuparsi dell’uguaglianza dei cittadini. Esse insieme rapprendano quasi la metà degli individui del pianeta.
La Russia, avviata sulla via della ripresa economica, grazie alla supremazia del controllo della fonti energetiche, dopo il disastro della caduta dell’impero sovietico ha prodotto enormi ricchezze per pochi e un diffuso disagio sociale per molti. Negli Usa la sanità non è ancora un diritto per tutti. L’Europa vive una crisi di identità, pressata dalle immigrazioni di massa. Il Medio-Oriente è una polveriera, l’Africa sta morendo.

E così soffrono le classi subalterne, costrette dalla “competitività” a subire salari e tempi di lavoro “flessibili”.
Soffrono i diritti umani, a volte semplici merci di scambio per entrare o meno in una alleanza geopolitica, quando non del tutto ignorati.
Soffre il diritto di professare la propria fede, compreso il diritto di non professarne.
Soffrono i diritti delle donne. Soffre il diritto all’amore, senza distinzione di genere di appartenenza sessuale.

Nel corso dei secoli, le grandi questioni dell’uguaglianza sono state una costante del pensiero occidentale, e hanno trovato nel Vecchio Continente alimento, dibattito e sperimentazione. Non di rado applicazione. Basterebbe guardare alle Costituzioni dei più importanti paesi, tra le quali spicca la Costituzione della Repubblica italiana. Queste questioni sono le radici della democrazia, così come si è affermata nei Paesi europei.

Il fatto che l’Europa non sia riuscita ancora a portare a termine il percorso della sua integrazione politica e sociale, ma finora solo quello economico, mercantile, finanziario e monetario è causa principale di un disorientamento delle opinioni pubbliche nazionali sui temi dell’eguaglianza.
C’è da augurarsi che la grande cultura europea ritrovi sé stessa in un nuovo slancio, che sappia affrontare una nuova formulazione teorica e pratica dei problemi posti dalle disuguaglianze nel Terzo Millennio. E che sappia farne un nuovo punto di riferimento per l’intera collettività mondiale.

E’ un fatto assodato dagli ultimi avvenimenti bellici che la democrazia non è un merce esportabile.
Le idee, le teorie, i dibattiti sono, invece, in grado di circolare in ogni dove, grazie allo straordinario sviluppo tecnologico degli strumenti di comunicazione.
Gli studi, i libri, le teorie del passato furono all’inizio appannaggio di pochi colti lettori, benché i loro effetti sul pensiero umano siano durati secoli.

Sarebbe il colmo del declino dell’Europa, se alla facilità di accesso alle informazioni, non si riuscisse a far coincidere un nuovo slancio nella ricerca, nello studio e nell’approfondimento di nuovi traguardi, raggiungibili dall’eguaglianza tra gli uomini.
Si romperebbe definitivamente l’antica dialettica tra saperi e progresso dell’Uomo. E succederebbe che invece che padroni della Comunicazione, ne diventeremmo schiavi.

E la dialettica politica assumerebbe contorni inquietanti, invece che promettere nuove prospettive possibili. Se la Destra ha ben chiara una nuova idea mondiale di “ordine e sicurezza” alla Sinistra manca la percezione moderna del rapporto storico tra libertà e uguaglianza.
Ecco perché sta rischiando seriamente l’imminente estinzione nella società, prima ancora che nella politica. Beh, buona giornata.

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Le Olimpiadi del merenghe.

La notizia che alcuni balli potrebbero diventare discipline olimpiche in occasione delle prossime Olimpiadi che si terranno a Pechino fa ridere. E siccome ridere fa bene, la notizia fa pensare.

Che le Olimpiadi non siano più da anni quel luogo sospeso dal mondo reale, nel quale si sospendono le guerre per affrontarsi lealmente e pacificamente lo sapevamo. Che gli interessi diplomatici e poi via via economici, e finanziari e pubblicitari siano la vera disciplina olimpica, anche questo è a tutti noto. Che la designazione del paese ospitante sia un modo per far girare tanti soldini, tanti quanti ce ne vogliono per attrezzare le città, attraverso grandi lavori edilizi, ospitare tanti media, e tanti sponsor, e tanto ritorno di immagine anche questa è la solita danza dello show biz.

Ma chi ha deciso che ci possano essere le nazionali di cha cha cha o di tango o di merenghe che sfilino nella cerimonia di inaugurazione, magari passandosi la fiaccola, che il tedoforo deve portare fino all’accensione celebrativa, ebbene costui deve avere qualcosa di storto nella mente. Ma ve la immaginate una diretta in mondo visione di una gara di merenghe. Con tutte le macchine da presa messe nei punti strategici, e il commento dei giornalisti sportivi, e magari la moviola, il rallenty, e la giuria che fornisce il punteggio, e il tabellone dei risultati, e il podio?

C’è qualcosa di kitch e insieme di fantascientifico di serie b. I balli si fanno nelle balere, per stare insieme, per rimorchiare, per limonare, al limite per pomiciare un poco. I balli sono un momento di aggregazione, un’occasione per lasciarsi un po’ andare, tra la malizia e l’innocenza, tra la voglia di muovere il corpo e il desiderio di un contatto fisico, mediato dalla musica, dall’allegria.

Fare diventare tutto ciò una disciplina olimpica è crudele, è brutalizzante, è senza poesia. Implica allenamenti, disciplina, competizione, selezioni, risultati da ottenere per essere ammessi. Stress, adrenalina, competitività aggressiva. Voglia di vincere che prendere il posto della voglia di divertirsi. E giù polemiche, e contestazioni arbitrali, magari una bella trasmissione sportiva: “tutto il tango minuti per minuto”, oppure “Novantesimo merenghe”, o, che so, “Il processo del cha cha cha.”. E magari un bel tifo da stadio: “Piedi piatti, c’avete i piedi piatti” per sfottere l’avversario, o per incoraggiare la propria squadra, cose del tipo “Oggi vi stanghiamo col tango”.

Che pena immaginare che le Olimpiadi possano essere trasformate in un semi reality, una roba del tipo “Ballando con le stelle” della Carlucci. Il tutto nel paese della “Lunga marcia”, quella fatta a piedi da migliaia di cinesi con i quali Mao fece la rivoluzione. Si vede che con la gloabalizzazione, tutto il modo è paese. Anche se in questo caso sembra proprio “strapaesana”. Beh, buona giornata.

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La cultura fa più del calcio e della tv.

La situazione della cultura in Italia è stata fotografata dal quarto rapporto Federculture. I dati analizzati, quelli che riguardano il 2006, restituiscono l’immagine di un Paese ricco di stimoli culturali che tuttavia fatica a sostenere gli investimenti e a gestirli. Secondo il rapporto di Federculture, rispetto al 1998, le grandi città hanno ridotto in media la spesa culturale del 61 per cento, mentre in Finanziaria è stato destinato al ministero dei Beni culturali lo 0,29 per cento del bilancio statale (nel 2002 era lo 0,35 per cento).

La cosa è totale in controtendenza, invece ,con la propensione alla spesa culturale delle famiglie: nel primo semestre del 2006, mentre i consumi in generale aumentavano dell’1,4 per cento, la voce cultura del bilancio familiare faceva un balzo avanti del 6,5 per cento. Su questo versante, straordinari i risultati del teatro: 14,5 per cento di presenze in più, con un aumento di spesa pari a un più 29,1 per cento. Non solo: le attività teatrali hanno superato quelle sportive. Sia per presenze (13.462.370 contro 12.695.538) sia per la spesa (più di 174 milioni di euro per il teatro contro più di 147 milioni per il calcio). Cresce anche il cinema (14,2 per cento), mentre sono in flessione concerti e balletti (rispettivamente -5,4 e -5,8 per cento).

I giovani tra i 14 e i 29 anni non solo fruitori, ma anche “creatori” di cultura. Secondo il rapporto di Federcultura, i ragazzi fanno incetta di mostre come di danza, di cinema, teatro o concerti. Ma si lamentano dei prezzi: secondo l’86,7 per cento una diminuzione del prezzo di biglietti sarebbe salutata con un’ulteriore crescita.

Nel 2006, periodo preso in esame dal Rapporto, si è registrato un incremento del turismo culturale: 22 milioni di stranieri hanno visitato l’Italia, con un aumento del 7 per cento rispetto all’anno precedente. “Regina” delle città d’arte resta Roma, che si aggiudica un primato da 18 milioni di visitatori e batte, per esempio la Berlino dei Mondiali.

Infine, la classifica degli eventi culturali che nel 2006 sono stati più apprezzati e seguiti: le Olimpiadi della Cultura di Torino (10-19 marzo) che hanno registrato quasi mezzo milione di presenze, la Fiera internazionale del libro con 300mila visitatori (sempre all’ombra della Mole, 4-8 maggio), il Festival della scienza di Genova e la Festa del cinema di Roma. Sul podio delle mostre più amate, “Gauguin e Van Gogh” a Brescia, “Antonello da Messina” a Roma, “Caravaggio e l’Europa” a Milano.

Sono brutte notizie per chi ha sempre creduto che agli italiani interessassero solo calcio e tv. Ne dovrebbero tener conto tutti: giornali, tv, politici. E forse anche chi fa la pubblicità. Magari, si potrebbero evitare figure da somari al Festival di Cannes. Beh, buona giornata.

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L’era dell’aria fritta.

Lanciata a Milano lo scorso anno da Lele Panzeri, affermato creativo pubblicitario, pare torni in voga Air Guitar, cioè il far finta di suonare la chitarra, simulando le performance di un chitarrista, muovendosi a suon di musica sul palco, di fronte a una folla di finti fan. Apparentemente un esercizio goliardico. In realtà, Air Guitar è una vera e propria metafora del nostro vivere odierno.

La politica è finzione. Si fingono scontri politici, per poi mettersi d’accordo. Si fingono grande aggregazioni, coinvolgendo la “società civile”, che tanto decidono i soliti. Recentemente, la finzione della politica ha coinvolto la più alta carica dello Stato: una delegazione guidata dal Cavaliere è salita al Quirinale. Ma era una finta, perché niente c’era da chiedere al Presidente, e niente che il Presidente potesse rispondere, se non onorare una cortesia istituzionale.

La guerra è una finzione. In Iraq e in Afghanistan gli Usa fanno una guerra finta, la guerra al terrorismo, nata dalla ricerca di finte armi di distruzione di massa. Mica la vogliono vincere, gli serve per mettere sotto scacco l’opinione pubblica. Si dirà: caspita!, ma i morti sono veri. Si, ma solo quelli della coalizione occidentale, gli altri non contano, sono finti, come le immagini della tv.

La famiglia è una finzione. Si sono evocati toni apocalittici sulla difesa della famiglia, con tanto di coinvolgimento delle alte gerarchie vaticane. Ma i valori tanto sottolineati appaiono finti: i leader politici del centro-destra sono tutti chi divorziati, chi separati, chi addirittura separandi, magari per via di qualche possibile coinvolgimento in qualche vicenda giudiziaria.

La finanza è una finzione. Tra bolle speculative, furbetti e scatole cinesi, il danaro si fa e si sperpera, il valore si crea e si distrugge nello spazio di click sul pc.

La sicurezza dei cittadini è una finzione. Si costruiscono mostri e mostriciattoli, da Cogne a Erba, passando per Rignano. Non che non ci siano vittime e carnefici, ma è tutto fasullo, suggestivo, spettacolare. E quando si spengono i riflettori, passa la paura del buio del nostro inconscio.

Il cinema, il teatro, la letteratura, la poesia, la cultura in genere è stata espropriata dalla finzione. La finzione era la metafora del vero. Oggi che il vero è la metafora del finto, che la realtà è reality, che discutere è fare talk-show, che il “sentito dire” fa intendere di essere informati, viviamo in una dimensione parallela, che sa di poco di buono.

La pubblicità è una finzione. Presa sul serio dai poco seri, presa dai poco seri sul serio. Con i risultati che vediamo: le idee sono poca cosa, contano poco, niente.

La recitazione ha preso il posto dell’esistere. Consoliamoci con l’Air Guitar. Beh, buona giornata.

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Abbiamo sfondato il fondo del barile.

Giunge da Cannes, dove si tiene Lions 2007, il Festival mondiale della pubblicità, la notizia che solo due spot italiani sono entrati in short list. I film iscritti erano 149. E’ il peggior risultato di tutti i tempi per la pubblicità italiana, che con Sipra è uno dei fondatori del festival.

E’ un paradosso: l’Italia è il paese occidentale nel quale la tv fa la parte del leone nella comunicazione commerciale, togliendo spazi alla stampa, e ostacolando di fatto la diversificazione dei canali di comunicazione commerciale su altri media. Per quanto, spinta dal trend globale Internet è in crescita anche in Italia, ma rimaniamo comunque fra gli ultimi in Europa.

La sostanza del problema è che a tanti spot corrisponde una tale infima qualità, che la nostra creatività viene bocciata di fronte all’assise più importante. Che la nostra pubblicità goda di cattiva fama è una pessima notizia per i creativi italiani. Ma lo è ancora di più per la nostra tv, che trasmette migliaia di ore di pubblicità di scarsa qualità.

La pubblicità è uno degli indicatori della crescita economica di un paese. Secondo le stime fornite durante il Festival di Cannes dallo IAA, l’International Advertising Association, la Cina e l’India viaggiano a incrementi di fatturati pubblicitari intorno al 20 per cento. Gli Usa al 5%. L’Europa al 3,4%. L’Italia si aggrappa a un poco lusinghiero 1,4%. Dunque l’Italia è indietro, molto indietro.

Siamo evidentemente molto lontani dalla comprensione dell’evoluzione dei mercati, che oggi in tutto il mondo vanno verso la proliferazione di nuovi mezzi d comunicazione di massa, e comprendono la necessità di migliorare i contenuti e adattarli ai nuovi mezzi.

Paolo Duranti, direttore generale di Neilsen Madia Resarch del Sud Europa ha detto a Cannes: “In tale contesto, il lavoro di chi opera nel settore dei media è profondamente mutato e impone scelte rapide, complesse e spesso coraggiose da parte di chi vende, chi pianifica, chi crea la pubblicità e, da ultimo, di chi la misura.”

Tutto il contrario di quello che stiamo facendo nel nostro Paese. Abbiamo un sistema dei media bloccato, arrugginito, pieno di superstizioni di un passato che fu, zeppo di alchimie nefaste, intriso di interessi politici. Duopolio delle tv, conflitti di interesse sia politici che economico-finanziari, scontri tra maggioranze e minoranze parlamentari in materia di riordino del sistema e di riforma della tv: l’elenco delle ragioni del nostro arretramento sul fronte dei media e della creatività sono lunghe e da tutti conosciute.

Ma per quanto se ne voglia fare oggetto di dibattiti, di saggi, di convegni, e di polemiche giornalistiche, il problema rimane e rimanendo si aggrava. Il risultato della partecipazione italiana al Festival di Cannes è uno scandalo. Anche se, come spesso succede da noi, alla fine gli scandali non sono fatti, ma semplici opinioni.
Beh, buona giornata.

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La cattiva maestra e la maestra cattiva.

Il segno più evidente di una calo di popolarità da parte della televisione e dei programmi televisivi viene da Lion 2007, il festival mondiale della pubblicità che si sta svolgendo in questi giorni a Cannes. Quest’anno i film pubblicitari iscritti al festival sono diminuiti dell’8%, segno dello spostamento della comunicazione commerciale su altri canali, prima fra tutti su Internet.

La tv così come è stata concepita con l’ingresso nell’etere dei network privati perde colpi, perde pubblico e dunque perde ascolti. E di conseguenza sta perdendo investimenti. La supremazia dell’idea di uno strumento completamente piegato alle logiche di tipo commerciale, dunque, perde colpi, perde pezzi. L’exploit del reality –show si va sgonfiando. Un campanello d’allarme che arriva proprio dalla pubblicità dovrebbe far riflettere sia i network pubblici che quelli privati. Ma un’altra conferma della cattiva fama che la tv si è andata conquistando in questi anni, arriva da Berlino.

Bambini con sguardi seri, tristi, un viso paralizzato e il corpo senza vita come quello di una bambola sono i protagonisti delle foto del fotografo tedesco Wolfram Hahn, esposte al centro di fotografia `C/Ò nell’ex Posta centrale di Berlino. Gli sguardi dei bambini sono rivolti verso un punto che non è l’obiettivo del fotografo, ma uno schermo televisivo: i tredici ritratti della serie
«una cameretta per bambini stregata» mostrano l’effetto della “cattiva maestra televisione” su bambini di tre, sei e dieci anni. I più grandi, pur sempre paralizzati davanti allo schermo, sembrano più disillusi rispetto ai più piccoli. Il fotografo Hahn fa riferimento agli studi del 1982 di Daniel Klemm sugli effetti distorcenti della Tv sulla percezione infantile e sulle conseguenze negative per lo sviluppo verso l’età adulta ripresi anche dal filosofo Karl Popper nel 1994 in «Cattiva Maestra Televisione».

Non è un caso che qui abbiamo messo a confronto due episodi critici verso la tv: uno di tipo puramente economico, come quello del festival di Cannes e l’altro di tipo artistico, come la mostra di Berlino. Essi non sono affatto lontani dalla realtà. Chi è lontano dalla realtà è, invece, il nostro sistema televisivo, sia pubblico che privato. Mentre il senso comune a anche gli interessi economici dovrebbero spingere il nostro mercato a soluzioni migliorative del rapporto tra tv e spettatori, ivi compresi i più piccoli, in Italia è come se vivessimo in un clima sospeso, in un vuoto pneumatico.

Ciò che avrebbe potuto rendere la situazione almeno un poco più dinamica, vale e dire la nuova legge sulle tv, la cosiddetta Gentiloni da un lato, e la legge sul nuovo assetto della tv pubblica dall’altro, è incredibilmente in una situazione di stallo: entrambi i provvedimenti sono incagliati nello scontro politico in Parlamento. Sul dibattito pesano rendite di posizione, arroccamenti, veti incrociati. Ignara dei ritardi che colpiscono i cittadini, cui si nega la possibilità di scegliere programmi di qualità, ma che colpiscono anche il mercato, a cui si nega l’ingresso di nuovi soggetti, la politica appare del tutto incapace di prefigurare soluzioni positive.

Così se da un lato la tv continua a fare la cattiva maestra, contemporaneamente la politica conferma di essere una maestra cattiva. Beh, buona giornata.

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C’è un cielo sopra la testa degli europei.

I trattati economici non hanno costruito l’Europa. La moneta unica non ha costruito l’Europa. La libra circolazione delle merci non ha costruito l’Europa. Neanche il passaporto europeo ha costruito l’Europa. L’Europa si è allargata a 25 ma è spaesata, divisa, diffidente.

La nuova costituzione o è passata inosservata o è stata bocciata. L’Europa è guardinga nei confronti di Cina e India, allo stesso tempo supina nei confronti degli Usa, dipendente dall’energia fornita della Russia.
La guerra al terrorismo, ha spaccato l’Europa: ha tirato dentro i teatri di guerra eserciti nazionali europei, tra la poca convinzione dei governi e l’opposizione delle opinioni pubbliche, opposizione ignorata e brutalizzata dalla più sfacciata propaganda guerrafondaia..

Nell’ ultimo viaggio, con l’arroganza che contraddistingue l’Amministrazione Bush, gli Usa hanno vanificato il G8, con la stessa facilità con la quale hanno imposto agli europei lo Scudo Spaziale, col rischio sempre più concreto di trascinare l’Ue in una nuova Guerra Fredda contro la Russia di Putin.

L’Europa è divisa, scontenta, frastornata, confusa: sorride debolmente al digrignare dei denti di Bush e Putin, sperando in una qualche benevolenza, ma è cattiva e intollerante con i migranti. L’Europa è in pieno delirio di impotenza. Se ne accorto Wim Wenders, con la lucidità tipica di chi sa cos’è la cultura e quanto la cultura può fare per i popoli, le nazioni, dunque per i continenti: «L’Europa non ha bisogno di un’anima, né di altri strumenti di unificazione economica, l’Europa ha bisogno di nuove immagini», ha affermato il regista tedesco, secondo quanto pubblica il quotidiano tedesco Frankfurter Rundschau. «Per trasmettere l’idea del progetto europeo – secondo Wenders – la Commissaria Ue alla Comunicazione, Margot Wallstroem, dovrebbe usare la lingua delle fotografie, dei nuovi film, quella lingua europea che tutti possono capire al di là delle differenti parlate».

Il regista tedesco era pochi giorni fa ad Heiligendamm, dove si è svolto il vertice annuale G8, per girare il suo cortometraggio per il progetto «8» (otto corti per gli otto obiettivi contro la povertà da raggiungere entro il 2015). «Nei campi dei manifestanti contro il G8, i clown spagnoli, i critici francesi della globalizzazione smarriti tra i boschi e il reporter bavarese che cercava di correggere le bandiere della pace italiane, pensando che ci fosse un errore sulla parola `peacè (straordinaria lezione all’esterofilia tutta italiota, n.d.R.): quella per me era Europa, gente sotto uno stesso cielo» ha detto Wenders.

Bisognerebbe dargli retta e farlo in fretta: perché il cielo sopra Berlino è lo stesso cielo sopra Roma, Madrid, Parigi, Londra. Ed lo stesso cielo del sud Italia, dell’est Europa, del Mare del Nord. Se invece che ficcare la testa dentro la sabbia delle nostre piccole miserie politiche, alzassimo il naso al cielo ci riempiremmo gli occhi di quelle immagini ci cui parla Wenders.

E scacceremmo per sempre dalla nostra testa l’idea che ci possiamo permettere di lasciare guidare le nostre esistenze da chi fa del cielo corridoi militari e prepara guerre stellari. Beh, buona giornata.

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Il fascino indiscreto dell’immondizia.

Vi ricordate le perfomance di Giuliano Ferrara, che quando faceva tv sulle reti Fininvest (Mediaset ancora non si chiamava così, né il Foglio era ancora in edicola) girava il promo facendosi riprendere mentre mangiava immondizie da un cassonetto?

Per lui era un provocazione contro l’accusa di fare la tv trash. L’immondizia è anche apparsa nell’ultima versione del Grande Fratello: una parte dei partecipanti era alloggiata nella “discarica”.

Il fascino indiscreto dell’immondizia è sempre in agguato, è stato il cavallo di battaglia di tutti i critici della tv del nostro mondo attuale, “tv trash” è stato l’epiteto, il giudizio drastico e definitivo con il quale si bollavano certi programmi, si stroncavano certi conduttori, si esorcizzavano certi dati sull’ascolto.

Ma il peggio doveva ancora venire. E come tutte le cose che prima o poi dovevano succedere, ecco un reality ambientato nel mondo della spazzatura: in Gran Bretagna Channel Four lavora a questo progetto e cerca 10 volontari.

Secondo gli autori, i concorrenti dovranno ‘sopravvivere’ per un mese in un’enorme discarica a Croydon, un quartiere sud di Londra. Questo reality show si chiama ‘Eco Challenge’ (sfida ecologica), secondo il network vorrebbe sensibilizzare i telespettatori sull’enorme massa di rifiuti generati dalla sprecona società ‘usa e getta’. Non si sa mai, in questi casi se è peggio il programma o la pretesa “socio-culturale” con la quale il programma viene lanciato sui media. Fatto sta che il nuovo telereality sarà mandato in onda nel corso del prossimo autunno. Non c’è dubbio che potrebbe essere presto esportato fuori dalla Gran Bretagna.

Noi, in Italia, per esempio, la materia prima ce l’avremmo, basta cercare una location in Campania, tra i rifiuti abbandonati nei vicoli, nei campi, nelle piazze.

Né ci mancherebbero i volontari, basterebbe scritturare gli abitanti stessi delle città e dei paesi che vivono in quella consuetudine che si chiama “emergenza rifiuti”.

Forse, almeno per una volta sarebbe un reality talmente vero che sembrerebbe un reportage, una visione vera della realtà: quella che supera la fantasia. Beh, buona giornata.

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Aridatece er dejà vu.

Il dejà-vu nascerebbe da una ‘interferenza’ tra alcuni neuroni deputati a rievocare luoghi e esperienze somiglianti, ma diverse tra loro. Tale meccanismo è stato scoperto in uno studio diretto dal Nobel per la Medicina 1987 Susumu Tonegawa del Massachusetts Institute of Technology a Boston. Secondo la ricerca in una regione dell’ippocampo si crea una sorta di ‘stampa fotografica’ di ogni luogo visitato, utile per riconoscere differenze tra luoghi simili. Sarà.

Questo però non spiega perché uno vorrebbe che lo cose fossero diverse, ma invece appaiono sempre uguali. Nelle ultime 48 ore avremmo voluto le cose fossero leggermente diverse, e invece: il G8 non ha deciso niente di nuovo, Bush a Roma ha fatto le solite gaffes, Prodi non detto niente di niente, le rispettive signore hanno circolato del più e del meno, che le donne si sa devono stare al posto loro, Berlusconi ha preso solo un caffè e la ha raccontato in tv ( e dove, se no?!), quattro gatti a Piazza del Popolo, più una volpe al bar, Cossiga. Più poliziotti che manifestanti tra piazza Esedra a Piazza Navona, con la pantomima finale di scontri, tipo comiche finali dei film alla ridolini. Roma blindata: lo spiegamento di forze è riuscito a fare ingorghi di 8 vetture e sei- sette motorini nelle vie laterali, che quelle principali erano piene di poliziotti, come in una fantascientifica ora di punta.

Magari avessimo avuto un bel dejà-vu. Manco quello. Beh, buona giornata.

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Siamo un paese normale? No, Speciale.

Il Tar del Lazio ha dato torto al Ministero dell’Economia e ha confermato la sospensiva chiesta dal consigliere Rai Angelo Maria Petroni contro la sua revoca da parte dell’azionista ministero dell’Economia. Con questa decisione i giudici hanno di fatto confermato la sospensiva delle procedure di esclusione di Petroni dal Cda.

Come è noto, Il 29 maggio scorso venne sospesa la convocazione dell’assemblea generale della Rai fissata per i giorni 4 e 5 giugno nel corso della quale dovevano essere sancita la fuoriuscita di Petroni. La conseguenza della decisione di oggi sarà l’annullamento della nuova assemblea generale della Rai che è in programma per l’11 giugno prossimo. Dunque, la governance della Rai registra un altro brutto colpo. A meno di non assumere la decisione di azzerare il Cda, la situazione di stallo, per non dire di paralisi del servizio pubblico radiotelevisivo continua.

Però, almeno, le motivazione della sentenza del Tar, che come noto non entrano nel merito, accendono un luce, che illumina esattamente la situazione. “Rilevato che nel caso di specie – è detto nel provvedimento – la sostituzione del ricorrente trae origine in ragioni palesemente extragiuridiche, che oltretutto costituiscono un ‘continuum’ con quelle di eguale natura asserenti al metodo di scelta dei componenti del Consiglio di amministrazione della Rai, nelle quali il ministro, nella lucida analisi svolta innanzi alla commissione parlamentare, ha individuato la causa delle persistenti disfunzioni dell’organo collegiale, e non in fatti o comportamenti in una qualsiasi misura imputabili al ricorrente”.

Come a dire: non è colpa di Petroni se il Cda non funziona, se la maggioranza del Cda è tutta schierata contro l’azionista, cioè il ministro dell’Economia, cioè il Governo. E’ vero, ma è un’arma a doppio taglio: perché se da un lato si dà torto all’azionista, dall’altro si riconosce che la situazione di ingovernabilità ha precise responsabilità politiche.

Il governo ha cercato la via morbida, ha presentato due disegni di legge, una sul riordino dell’intero sistema, l’altra sulla riforma della Rai, entrambi a firma del competente ministro Gentiloni. Fatto sta che nessuna delle due iniziative legislative è gradita alla Cdl. Che crede e pratica la rissa, come risposta alle offerte di dialogo da parte della maggioranza.

Gli interessi economici del capo dell’opposizione sono pericolosamente in gioco, se l’Italia si dota di norme di ispirazione europea. La rendita di posizione, politica ed economica di Mediaset sembra essere la linea Maginot della Casa delle Libertà. Lo dimostra direttamente il continuo boicottaggio alla discussione sui provvedimenti Gentiloni da parte della Cdl nelle commissioni parlamentari, lo dimostrano indirettamente il susseguirsi di tentativi di “spallata”, anche ricorrendo alla doppia debraiata, tra il populismo elettorale e forsennati attacchi mediatici al Governo, con tanto della calunnia organizzata, di cui il caso Speciale è stato in ordine di tempo il fatto più eclatante.

Il gioco è al massacro, e tutti i mezzi sono buoni, soprattutto quelli cattivi. Stretta in mezzo tra la tracotanza di chi non ha rispettato le regole quando era al governo, figuriamoci ora che è all’opposizione, da un lato, e la debolezza di chi si sente sempre sotto minaccia, invece che al governo del Paese, che è l’atteggiamento politico e psicologico del governo Prodi, la Rai patisce e subisce non solo la concorrenza sempre più che sleale del concorrente sul mercato, ma un vero e proprio assedio, dentro e fuori le sue strutture, alcune delle quali senza direzione da mesi.

Un consiglio di amministrazione che lavora contro, e dunque oggettivamente a favore della concorrenza, accanto a un membro palesemente non gradito dall’azionista i cui interessi dovrebbe rappresentare non è un consiglio di amministrazione, è qualcosa di molto simile alla famosa Quinta colonna.

Questo basterebbe a scioglierlo immediatamente, in qualsiasi paese del mondo. Ma ormai, lo sappiamo che non siamo un paese normale. Il nostro è un paese Speciale. Beh, buona giornata.

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Parole sante.

“Il mondo discute dell’emergenza climatica, America e Russia sembrano tornare alla guerra fredda e noi celebriamo in Senato il referendum sul generale Speciale. Direi che nella politica italiana sta trionfando il provincialismo”, ha detto Marco Follini, leader dell’Italia di Mezzo. Parole sante (con rispetto parlando).

Beh, buona giornata.

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La trave nell’occhio del presidente della Rai.

La Commissione Lavori Pubblici del Senato ha bloccato l’iter parlamentare del ddl Gentiloni sulla riforma della Rai. Se ne accorto il presidente della Rai?

“Riscontro un atteggiamento non giustificato, non motivato rispetto al comportamento dell’azienda e anche dannoso. Investirò la Commissione di vigilanza di questo problema con una lettera al presidente Landolfi perché, se lo vuole, possa discutere della questione”. Sta parlando del ddl Gentiloni? Ma no, che scherziamo.
Il presidente della Rai ha usato queste “ferme” parole in relazione al presidio, in atto ormai da cinque giorni, da parte di un gruppo di parlamentari e rappresentanti del Partito radicale all’interno dell’azienda di viale Mazzini per sollecitare una maggiore informazione Rai sulla moratoria per la pena di morte.
Petruccioli alla Rai? La morte sua, come si dice a Roma, parlando del pollo coi peperoni. Beh, buona giornata.

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Il nostro è un altro mondo possibile.

Jeremy Rifkin ha cercato di spiegare ai politici italiani che l’economia basata sul petrolio è al tramonto e che il futuro sta nell’idrogeno. Lo ha fatto alla Fondazione Camera dei deputati, il cui presidente è Pier Ferdinando Casini. Il quale, come gran parte dei politici italiani capisce poco e niente, non solo di energia ma più in generale proprio di niente.

Infatti Casini ha detto: “È necessario adeguare le nostre politiche energetiche ai cambiamenti climatici ambientali. Per queste ragioni abbiamo invitato il professor Rifkin” ha concluso Casini. Non capire niente non è un epiteto, ma il semplice fatto che il ragionamento di Rifkin non è semplicemente rivolto alla salvaguardia del pianeta, bensì alla prospettiva di un nuovo modello di sviluppo, ecologicamente e socialmente compatibile. Troppo difficile per Casini: significherebbe ammettere che la sua funzione politica è finita.

Ma che ha detto Rifkin? Niente di più di quanto non abbia sostenuto in un suo famoso libro, “L’economia all’idrogeno”, che Casini certamente non ha letto, perché troppo occupato a fare e pensare tutto il contrario. Lo conferma quest’altra perla dell’armamentario retorico del nostro Periferdi, che ha aggiunto: «I parlamentari devono farsi carico di questioni vere, concrete, anticipare i tempi, piuttosto che perdersi in discussioni prive di collegamenti con la realtà». Da che pulpito?

Ma adesso parliamo di cose serie. Cioè, ecco le tesi di Rifkin: ormai secondo tutti gli scienziati, anche i più ottimisti, abbiamo non più di 30 anni a disposizione per recuperare il tempo perduto e cambiare strada.

Rifkin ricorda che tutti noi saremo ricordati come gli uomini dell’età del petrolio, un’era, spiega, che è «ormai al tramonto». Ormai siamo di fronte alla terza rivoluzione industriale, basata sulla produzione di energie rinnovabili, stoccate grazie all’idrogeno e diffuse da reti intelligenti.

Grazie a questa che ormai è una realtà il mondo, e in particolare l’Europa, cioè la seconda superpotenza industriale, potrà raggiungere l’autosufficienza energetica senza distruggere il pianeta. In questo scenario, secondo Rifkin, il nostro paese può assumere un ruolo fondamentale: «Da voi – spiega a una platea attentissima – è nato nel Rinascimento il capitalismo industriale. Grazie alla vostra creatività s’è sviluppata l’era tecnologica, penso alle grandi invenzioni dalla radio al telefono. Oggi, per la vostra particolarissima posizione geografica, l’Italia potrà diventare il portale del flusso energetico dall’Europa all’Africa».

«La terza rivoluzione industriale, quella dell’idrogeno, porterà grandi cambiamenti anche politici. Sinora –spiega Rifkin – abbiamo sfruttato il petrolio, il carbone, l’uranio, risorse presenti solo in alcuni paesi, fonti d’energie che definisco ‘d’elitè. Con l’idrogeno, invece, creeremo delle celle di combustione personali disponibili a tutti. Sarà veramente – conclude – ‘power to the peoplè, una trasformazione radicale della coscienza umana».

Se tiriamo le conclusioni di questo ragionamento possiamo sottolineare almeno quattro cose fondamentali:
1) Tutto l’apparato burocratico della Stato, in questa prospettiva, può tranquillamente tramontare col tramonto della seconda rivoluzione industriale. L’avvio delle terza rivoluzione non avrà bisogno di eserciti, apparati, dell’esercizio del dominio. Se ciascun individuo potrà produrre l’energia necessaria per vivere, produrre, progredire, cambierà l’idea stessa del benessere.
2) Le guerre di conquista delle fonti di approvvigionamento energetico, le guerre di rapina delle fonti energetiche dislocate in altri luoghi del pianeta cadranno drasticamente in disuso. E con loro gli eserciti, gli apparati commerciali, le diplomazie, l’idea stessa di conquista, di guerra, di supremazia razziale, etnica, religiosa.
3) Finirà la lotta fratricida per il possesso feroce dei mezzi di produzione: la possibilità di socializzare la fonte di approvvigionamento energetico darà un svolta storica all’idea di ricchezza delle nazioni, delle classi, dei ceti. Produrre l’energia che mi serve significa decidere direttamente di produrre quello che mi serve: ciò elimina il problema dello sfruttamento non solo delle risorse naturali, ma dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, causa prima dello sfruttamento dissennato delle risorse naturali, oltre che delle tensioni sociali nei paesi occidentali e della distruzione delle persone nei paesi cosiddetti sottosviluppati.
4) Ciascheduno, da solo o organizzato in piccole comunità potrà produrre energia disponibile per se e per gli altri: questo cambia l’idea stessa della produzione del reddito, oggi derivante dal lavoro. Dunque cambieranno i rapporti di forza tra i redditi diseguali, e dunque il ruolo della politica, intesa come intermediazione tra i rapporti di forza pre-esistenti. Se la tecnologia ci ha via via liberati dalla fatica fisica del lavoro, l’energia all’idrogeno ci libererà dalla schiavitù del lavoro. Nuove tecnologie alimentate con la nuova fonte energetica, entrambe alla portata di tutti, ristabiliranno la giusta proporzione tra libertà individuali ed eguaglianza collettiva.

“L’Italia è l’Arabia Saudita delle fonti rinnovabili. Siete seduti su un tesoro, parlo del vostro sole, il vostro vento, la vostra neve delle Alpi». Parola di Jeremy Rifkin.

I politici italiani hanno ben altro a cui pensare. Ma noi no, questa prospettiva la vogliamo cogliere. Non ci sono alternative, né nella Politica, né nella Fede, né nei Consumi.
La Terra è un pianeta intelligente: forse proprio per questo non ci sopporterà a lungo. Beh, buona giornata.

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Lettera da una amica di Milano.

Roberta, una mia amica di Milano, mi scrive queste righe, proprio su Milano.

Luce rara e luminosa, esco più o meno alla solita ora ma oggi è domenica. Il caffè al bar di periferia dove trovi appesi sotto le brioche Il Corriere della Sera, La Repubblica e Il Sole 24 Ore non come nei locali del centro dove trovi solo Il Giornale e Libero.

Vorrei una Milano un po’ più de sinistra (come si dice in milanese?). Via Spartaco solare, tranquilla quasi fisicamente splendente, ah se fosse sempre così. Il sogno infranto dal clacson gratuito sprigionato da una delle tante auto supervitaminizzata parcheggiata in seconda fila anche se ci sono posti liberi per il parcheggio lungo tutta la via. Salgo un Jumbo verde che puzza più del dovuto benché vuoto. Passo davanti allo scempio dei cartelloni pubblicitari che sovrastano le antiche mura di Porta Romana. Vorrei incontrare tutti i giorni visi meno imbronciati e più sorridente; nel Nord (Europa) ti sorridono tutti mentre qui ti mandano a cagare con lo sguardo.

Sono sul 9 diretta a Porta Genova, scrivo, alzo lo sguardo e leggo un piccolo manifesto attaccato a un edificio “Questo luogo è sacro”. Non è vero, sacro per me significa rispetto ed educazione, qui è tutto maleducazione e prospettiva macista. Gli scooter viaggiano a 30 all’ora sul marciapiede facendo finta di essere pedoni, la gente per farsi sentire parla solo ad alta voce e le femmine fanno le leziose per attirare attenzioni maniacali e sessuali.

Porta Ticinese è bella stamattina, qualcuno sale con i sacchetti del supermercato, il tempo è prezioso e la spesa va fatta alle 9.05 di una domenica mattina. La scultura a forma di Mucca sotto la Porta si è salvata dai vandali milanisti, fortunata è bianca e verde. Il Naviglio di Leonardo Da Vinci è brutto e sporco da quando me ne ricordo. Una grande foto lo ricorda negli anni 60/70 quando era bello e romantico. Ma cosa ci vuole per tornare indietro di trent’anni?

Una signora mi chiede un’indicazione e mi ringrazia, è straniera. Apro il giornale e leggo “il comune boccia il festival gay”, Moratti toglie il patrocinio della rassegna, ma la giunta si divide (non ci credo!). Ora sono sul treno diretta a Vigevano. Un simpatico signore da della pettegola alla sua piccola cagnolina educata e silenziosa. Leggo: Interisti bastardi , Morte.

Già morte, in questa città non se ne parla mai, è come se non esistesse, il mio paesino di origine si anima solo in occasione di funerali, qui neanche per quello. Mercedes lunghe e scure sfrecciano sulla preferenziale della circonvallazione, il funerale a Milano è così; un veloce viaggio sull’autopista che gira intorno alla città. Milan l’è semper Milan dicevano i nonni in una lingua che si è persa, come Milano.

Abbiategrasso, leggo su un palo Aperitivo con il Sindaco, Moratti quando ci offrirai qualcosa? Vedo Fiat Ritmo e 127 e sento una bella signora che dice Te si è propri un bel fiulot. Sono arrivata.

(Beh, buona giornata.)

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