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La quarta crisi: Mondadori -34%.

(fonte:advexpress.it)

Il Consiglio di Amministrazione di Arnoldo Mondadori Editore, riunitosi oggi, 14 maggio, sotto la presidenza di Marina Berlusconi ha esaminato e approvato il resoconto intermedio di gestione sul primo trimestre dell’esercizio 2009, presentato dal vice presidente e amministratore delegato Maurizio Costa .

Il primo trimestre dell’esercizio è stato pesantemente condizionato dagli effetti delle problematiche del settore finanziario e, successivamente, dei settori produttivi e del consumo, già sviluppatesi nel corso del 2008. I mercati di riferimento del Gruppo Mondadori sono stati caratterizzati da:
– nei periodici, il fenomeno negativo più significativo è stato il crollo del mercato degli investimenti pubblicitari, stimato superiore al 30% in Italia e al 20% in Francia; molto più contenuta la contrazione delle diffusioni, in particolare in Francia, grazie al buon andamento degli abbonamenti; sempre in forte diminuzione, come previsto, il mercato dei prodotti collaterali
– nei libri, nei primi tre mesi dell’anno si sono registrati valori in sostanziale stabilità nel canale delle librerie di catena, con una leggera contrazione a livello complessivo.

L’impatto della drastica riduzione degli investimenti pubblicitari sulla redditività del Gruppo Mondadori nel primo trimestre è stato rilevante ed anche le vendite di prodotti collaterali hanno ridotto significativamente il loro apporto al margine operativo. Le azioni di contenimento dei costi di gestione, impostate e implementate già nello scorso esercizio e continuate con ancora maggiore determinazione, hanno prodotto effetti positivi; sono proseguiti inoltre gli investimenti per lo sviluppo delle attività digitali, del network internazionale e del progetto di lancio di Grazia in Francia.

Nel primo trimestre 2009 il fatturato consolidato è stato di 354,5 milioni di euro (-23% rispetto ai 460,3 milioni di euro dello stesso periodo del 2008); a perimetro costante la flessione è stata del 16,4%. Il margine operativo lordo consolidato è risultato di 14,2 milioni di euro (-70,7% rispetto ai 48,4 milioni di euro dell’esercizio precedente), con un’incidenza sul fatturato del 4% rispetto al 10,5% del 2008.

Il risultato operativo consolidato è stato pari a 8 milioni di euro (-79,1% rispetto ai 38,2 milioni di euro del primo trimestre del 2008), con ammortamenti di attività materiali ed immateriali per 6,2 milioni di euro (10,2 milioni di euro nel 2008); l’incidenza sui ricavi è passata dall’8,3% del primo trimestre 2008 al 2,3%. Il risultato netto consolidato è negativo per 1,8 milioni di euro rispetto ai +17,7 milioni di euro dell’esercizio precedente. Il cash flow lordo del primo trimestre 2009 è stato di 4,4 milioni di euro rispetto ai 27,9 milioni di euro del 2008. La posizione finanziaria netta del Gruppo al 31 marzo 2009 presenta un saldo negativo pari a -454,2 milioni di euro, in miglioramento rispetto ai -490,3 milioni di euro di fine 2008.

Libri
Nel primo trimestre del 2009 la Divisione Libri ha confermato la propria leadership di mercato (con una quota del 26,8%), in netta preminenza rispetto ai principali concorrenti, con una buona tenuta del comparto trade. I ricavi complessivi nel periodo sono stati di 89 milioni di euro (-5,4% rispetto ai 94,1 milioni di euro dello stesso periodo dell’esercizio precedente). Al netto delle vendite congiunte il decremento è del 4,5%. Tra le singole case editrici si segnalano le buone performance di Sperling & Kupfer e Einaudi. Sperling & Kupfer ha realizzato nel primo trimestre 2009 ricavi per 8,2 milioni di euro (+32,3% sullo stesso periodo del 2008).

Nel primo trimestre 2009 Einaudi ha registrato ricavi netti di 12,1 milioni di euro, in crescita del 2,5% rispetto allo stesso periodo del 2008. In leggero calo i ricavi di vendita di Edizioni Mondadori, pari a 37 milioni di euro (-5,9% rispetto al primo trimestre 2008). Piemme ha registrato ricavi per 12 milioni di euro, in calo del 17,8% rispetto al primo trimestre 2008. Il fatturato di Mondadori Electa ha raggiunto nel primo trimestre del 2009 gli 8,3 milioni di euro (-16,2% sul 2008). Mondadori Education ha registrato ricavi netti di vendita pari a 2,3 milioni di euro (2,7 milioni nello stesso periodo dell’anno precedente), in una stagione dell’anno, come di consueto, con impatti minimi sul fatturato.

Periodici Italia
Il primo trimestre dell’anno è stato condizionato per i periodici Mondadori, così come per tutta l’editoria italiana e internazionale, dai pesanti effetti della crisi esplosa nell’ultima parte del 2008. Da un lato il calo dei consumi ha inevitabilmente interessato la spesa per l’acquisto di giornali e riviste e, soprattutto, dei prodotti collaterali; dall’altro la crisi finanziaria ha indotto le aziende a ridurre drasticamente gli investimenti in comunicazione con una forte conseguente contrazione della spesa pubblicitaria.

La Divisione Periodici Italia (in cui rientrano anche proventi e margini dell’attività di licensing internazionale e dello sviluppo del digital), ha realizzato nel primo trimestre 2009 ricavi per 124,7 milioni di euro (-23,2% rispetto ai 162,3 milioni di euro dello stesso periodo del 2008). Al netto delle vendite congiunte il decremento è del 17,3%. Tale andamento è stato determinato dai seguenti elementi: diminuzione dei ricavi diffusionali (-7,2%), influenzati da un andamento non positivo del mercato che ha interessato tutti i segmenti in cui opera la Divisione.

A livello di copie vendute Mondadori, con un decremento del 9% a fronte di un comparto in calo del 12,1% (a febbraio), ha incrementato la propria quota di mercato; forte contrazione dei ricavi da prodotti collaterali (-33,9%), che hanno continuato il progressivo assestamento verso dimensioni più contenute. Nel primo trimestre dell’anno il mercato ha registrato un’ulteriore caduta (a febbraio -24,9% a valore), in particolare nei comparti editoriali e dei prodotti audiovisivi, mentre ha tenuto maggiormente quello musicale. In questo scenario le performance di Mondadori sono state migliori rispetto al contesto di riferimento dei periodici; importante ridimensionamento dei ricavi pubblicitari (-35,7%), in particolare nei settori moda, cosmetica e arredamento, rispetto a un primo trimestre 2008 in forte crescita e particolarmente favorevole per Mondadori.

Tra i fatti più significativi del trimestre si segnalano:
– il lancio del nuovo settimanale Tu Style effettuato a fine gennaio con un esito ad oggi molto promettente in termini di diffusione e di raccolta pubblicitaria; l’attività di sostegno promozionale a numerose testate che ha contribuito a contenere gli effetti negativi del contesto di riferimento;
– un approccio estremamente rigoroso alla gestione che ha consentito di ridurre, in modo direttamente proporzionale al calo dei ricavi, i costi di produzione, di marketing, editoriali e le spese generali.

Per quanto riguarda le attività digitali, la concentrazione degli investimenti sul polo femminile ha portato nel primo trimestre dell’anno in corso a ottimi risultati: i ricavi del sito di Donna Moderna sono cresciuti del 25% a fronte del +3,9% registrato dal mercato (dati Nielsen a febbraio). Nel mese di marzo è stata inoltre lanciata una nuova versione del sito di Cosmopolitan .

Attività internazionali
Come già detto, il mercato internazionale dei periodici ha risentito degli stessi elementi di criticità del mercato italiano, con un calo dei consumi e una contrazione degli investimenti in comunicazione. Ciononostante Mondadori ha aumentato nel primo trimestre 2009 i propri ricavi da royalties, grazie a nuovi lanci nell’ambito del network di Grazia e di Casaviva: a gennaio è nata Casaviva India , cui ha fatto seguito a febbraio l’edizione di Grazia in Cina, con eccellenti risultati sia in termini di advertising che di diffusione.

Per quanto riguarda i Balcani, anche la consociata Attica ha risentito del rallentamento dell’economia, registrando nel primo trimestre un calo dei ricavi pubblicitari e delle vendite congiunte, in buona parte compensato da una forte azione sul contenimento dei costi.

Mondadori France ha conseguito nel primo trimestre 2009 un fatturato complessivo di 83,6 milioni di euro (-14,5% rispetto ai 97,8 milioni di euro del corrispondente periodo dell’anno precedente). A perimetro costante e al netto delle vendite congiunte il calo è stato dell’8,9%. I ricavi diffusionali, che rappresentano il 70% del totale di Mondadori France, hanno registrato una flessione dell’8,4% (-5,9% a perimetro costante), con difficoltà maggiori sui settimanali (in particolare sulle guide televisive), sul segmento people e sull’auto. Al contrario hanno tenuto gli abbonamenti che continuano a rappresentare una stabile fonte di ricavi in una fase congiunturale come l’attuale. Nel periodo è continuata la forte attenzione del management al contenimento dei costi.

In uno scenario particolarmente sfavorevole per gli investimenti pubblicitari, i ricavi di Mondadori France in questo comparto sono risultati in calo del 23,9% (-19,2% a perimetro costante); a volume i risultati sono sostanzialmente in linea con il dato di mercato (-17,4%, fonte: TNS-MI).

Pubblicità
In Italia gli investimenti pubblicitari dei primi mesi del 2009, se confrontati con quelli del primo trimestre dello scorso anno, hanno mostrato un avvio estremamente critico, confermando il progressivo deterioramento del mercato già emerso chiaramente dalla seconda parte del 2008. In attesa dei dati definitivi si prevedono, sulla base delle evidenze di Nielsen a febbraio, deboli segnali di crescita solo per il segmento internet; in forte sofferenza ancora radio, televisione e il comparto stampa, in cui i periodici hanno mostrato maggiori difficoltà rispetto ai quotidiani, avvantaggiati da un calo meno deciso della pubblicità locale. Nello specifico, i periodici, hanno registrato un andamento negativo sia in termini di spazio, sia in termini di prezzi, in tutti i settori merceologici.

Mondadori Pubblicità ha chiuso i primi tre mesi del 2009 con una raccolta complessiva di 51,7 milioni di euro (-34,5% rispetto ai 78,9 milioni di euro dello stesso periodo 2008). Per rafforzare ulteriormente gli interventi commerciali e valutare ogni possibile azione di ottimizzazione, la concessionaria ha acquisito dallo scorso marzo anche la raccolta dell’emittente nazionale Radio Kiss Kiss, consentendo nuove sinergie a livello di struttura.

Direct Marketing
Nel primo trimestre dell’anno il mercato degli investimenti in direct mail ha registrato un calo superiore al 20%: in questo contesto, grazie alla qualità della propria offerta, Cemit Interactive Media ha conseguito risultati superiori al mercato. Il fatturato si è attestato a 4,8 milioni di euro, in contrazione del 9,4% rispetto ai 5,3 milioni di euro dello stesso periodo dell’esercizio precedente, per la mancata attività relativa alle campagne elettorali avvenuta nel marzo 2008.

Retail
Il fatturato della Divisione Retail è stato di 41,8 milioni di euro (-3,5% rispetto ai 43,3 milioni di euro dello stesso periodo del 2008). La Divisione ha risentito nel trimestre, da un lato, del generalizzato calo dei consumi, dall’altro del confronto con un primo trimestre 2008 particolarmente positivo. Nel periodo sono stati peraltro posti in atto interventi volti a ridurre i costi di gestione, in modo da minimizzare gli impatti conseguenti alla contrazione dell’attività.

Mondadori Retail ha registrato un fatturato di 26,8 milioni di euro, in calo del 7,7% rispetto ai 29 milioni di euro del primo trimestre 2008: la contrazione è stata inferiore nel settore del libro, supportato tra l’altro da molte campagne promozionali realizzate con gli editori, mentre il calo è stato più sensibile per quanto riguarda i prodotti digitali.

Nel periodo i negozi in gestione diretta hanno raggiunto le 29 unità (28 punti di vendita nel primo trimestre 2008).

Mondadori Franchising ha registrato un fatturato di 15 milioni di euro (+5,3%) rispetto ai 14,3 milioni di euro dei primi tre mesi dello scorso anno, grazie allo sviluppo del network di librerie ed Edicolè che hanno raggiunto nel periodo i 404 punti vendita complessivi (357 nel primo trimestre 2008).

Radio
Nel primo trimestre dell’anno il mercato radiofonico non è risultato immune dalla contrazione degli investimenti pubblicitari, registrando nel solo primo bimestre una contrazione del 27,2% (Fonte: Nielsen) con leggeri segnali di ripresa da marzo. In questo contesto i ricavi netti di R101 nel periodo sono stati di 3 milioni di euro (-16,7%) rispetto ai 3,6 milioni di euro dello stesso periodo dell’esercizio precedente.

Si tratta essenzialmente di ricavi pubblicitari quota editore corrispondenti a una raccolta pubblicitaria lorda di oltre 4,4 milioni di euro, in calo del 14% rispetto ai 5,1 milioni di euro dell’analogo periodo dell’anno precedente: il dato si confronta con un primo trimestre 2008 in cui R101 aveva registrato una raccolta in crescita del 56% rispetto al primo trimestre 2007, a fronte di un mercato cresciuto del 9% .

Da inizio 2009 Audiradio ha cambiato la modalità di rilevazione degli ascolti, affiancando alla tradizionale indagine telefonica per i dati del giorno medio, una sezione di ricerca, tramite panel diari, che fornisce per le radio iscritte gli ascoltatori nei 7, 14, 21 e 28 giorni. La nuova modalità di rilevazione dell’audience radiofonica permette inoltre una valutazione puntuale della pianificazione pubblicitaria, che avviene nella maggior parte dei casi con campagne che durano più di due settimane. Secondo le nuove rilevazioni R101 raggiunge nel mese circa 9 milioni di ascoltatori, riducendo sensibilmente il gap rispetto alle prime cinque radio commerciali.

Evoluzione prevedibile della gestione
La situazione economica a livello nazionale ed internazionale nel primo trimestre, come precedentemente evidenziato, ha subito il temuto impatto della crisi apertasi nel corso del 2008; i dati relativi ai consumi e agli investimenti si sono ulteriormente deteriorati, mentre le previsioni di ripresa dell’economia sono spostate più avanti nel tempo.

Per quanto riguarda il mercato di riferimento di Mondadori, il cui fatturato è comunque diversificato per business e territorialmente, l’impatto derivante dal crollo degli investimenti pubblicitari delle aziende nel trimestre e dall’ulteriore contrazione delle vendite di prodotti collaterali è stato significativo. Le azioni di semplificazione organizzativa e di reingegnerizzazione dei processi, iniziate già nello scorso esercizio, hanno consentito alla Società di mitigare gli effetti negativi del mercato nel trimestre: ancora maggiore sarà l’impegno in questo ambito nei prossimi mesi, sia per ridurre ulteriormente gli impatti negativi in questo esercizio sia, soprattutto, per dimensionare gli assetti strutturali alle future esigenze.

Per quanto riguarda la stima sui risultati dell’esercizio non si può che ribadire quanto espresso in occasione della presentazione dei dati 2008: la previsione relativa ai futuri scenari di mercato resta estremamente difficile ma è realistico attendersi per il 2009 livelli di redditività inferiori allo scorso esercizio, particolarmente per i business più legati agli investimenti pubblicitari. (Beh, buona giornata).

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La quarta crisi: Mediaset a -13% nel primo trimestre 2009, ovvero quando la tv commerciale perde i ricavi della comunicazione commerciale.

(fonte:advexpress.it)
Il Consiglio di Amministrazione di Mediaset, riunitosi il 12 maggio sotto la presidenza di Fedele Confalonieri (nella foto), ha approvato la relazione sul primo trimestre 2009. I risultati del Gruppo dei primi tre mesi dell’esercizio hanno risentito dell’accentuarsi, soprattutto in Spagna, della profonda fase recessiva che ha investito l’economia mondiale nel corso degli ultimi mesi del 2008, determinando una sensibile contrazione degli investimenti pubblicitari nei due mercati geografici di riferimento.

In tale contesto, il Gruppo ha comunque contenuto rispetto ai propri concorrenti la flessione della raccolta pubblicitaria, consolidando le proprie quote di mercato e mantenendo la leadership d’ascolto sui target commerciali di riferimento e conquistando con Canale 5 il primo posto assoluto su tutto il pubblico televisivo nel periodo di garanzia. La forte azione di controllo esercitata sui costi televisivi e l’ottimo andamento di Mediaset Premium hanno inoltre consentito di attenuare, soprattutto in Italia, l’impatto negativo sui margini economici indotto dai minori ricavi pubblicitari.

I ricavi netti consolidati del Gruppo Mediaset ammontano a 967,2 mln di euro in flessione del 12,0% rispetto ai 1.098,9 mln del primo trimestre 2008. L’ebit è pari a 139,3 mln di euro rispetto ai 255,8 mln dello stesso periodo dell’anno precedente. La redditività operativa si attesta al 14,4% rispetto al 23,3% del primo trimestre 2008. L’utile netto di competenza del Gruppo è pari a 60,0 mln di euro rispetto ai 121,0 mln di euro del primo trimestre dell’anno precedente. La posizione finanziaria netta di Gruppo passa da -1.371,7 mln di euro del 31 dicembre 2008 a -1.256,3 mln al 31 marzo 2009. Nei primi tre mesi dell’esercizio la generazione netta di cassa è stata pari a 122,5 mln di euro rispetto ai 279,9 mln dello stesso periodo dell’anno precedente.

Per quanto riguarda l’Italia , nel primo trimestre 2009 i ricavi netti consolidati hanno raggiunto gli 807,8 mln di euro in diminuzione del 5,0% rispetto agli 850,5 milioni dello stesso periodo dell’anno precedente. Ricavi pubblicitari televisivi lordi: raggiungono i 645,7 mln di euro con una flessione del 13,0% rispetto ai 742,1 mln del primo trimestre 2008. Sulla base dei dati Nielsen relativi ai primi due mesi dell’esercizio, la raccolta pubblicitaria delle reti Mediaset ha mostrato un rallentamento più contenuto sia rispetto a quello del mercato pubblicitario complessivo (-22,2%) sia a quello del mercato pubblicitario televisivo (-23,1%), escludendo in entrambi i casi il contributo di Mediaset .

Ricavi Mediaset Premium: i ricavi Pay Tv (vendita di carte, ricariche ed Easy Pay) hanno raggiunto i 72,2 mln di euro con una crescita del 63,7% rispetto ai 44,1 mln di euro dei primi tre mesi del 2008. Le carte attive al 31 marzo 2009 sono pari a circa 3,3 milioni rispetto ai 2,9 milioni del 31 dicembre 2008. L’ebit si è attestato a 95,6 mln di euro rispetto ai 137,9 mln del primo trimestre 2008. I costi televisivi totali registrano una diminuzione dell’1,8% rispetto al primo trimestre 2008 a conferma di una scrupolosa politica di efficienza che non ha effetti sulla ricchezza del palinsesto e sugli ascolti delle reti Mediaset. L’utile netto è stato pari a 47,4 mln di euro rispetto agli 80,5 mln di euro del primo trimestre 2008.

Ascolti televisivi: nei primi tre mesi dell’esercizio le reti Mediaset confermano la leadership nazionale in tutte le fasce orarie tra i telespettatori tra i 15 e i 64 anni (target commerciale). Mediaset registra il 42,0% in prima serata e il 42,1% nelle 24 ore. Canale 5 oltre a essere prima rete italiana in prime time su tutto il pubblico televisivo nel periodo di garanzia con il 22,9% (11 gennaio – 31 marzo) è la rete italiana più vista nel target commerciale con il 24,8% in prima serata e il 23,7% nelle 24 ore.

Per quanto riguarda invece il mercato spagnolo, nei primi tre mesi del 2009 i ricavi netti consolidati generati dal Gruppo Telecinco sono stati pari a 159,7 mln di euro rispetto ai 249,0 mln dello stesso periodo dell’anno precedente. Tale risultato ha ovviamente risentito della congiuntura economica e finanziaria negativa sia a livello nazionale che internazionale. L’Ebit, anche in virtù del forte controllo dei costi complessivi (-11,5%), è stato pari a 43,7 mln di euro rispetto ai 117,9 mln di euro del 2008. La redditività operativa è pari al 27,3% (47,4% nel primo trimestre del 2008). L’utile netto è stato pari a 29,3 mln di euro rispetto agli 81,5 mln dei primi tre mesi del 2008. Telecinco consolida il proprio ruolo di prima rete assoluta spagnola in prime time con il 17,5% in termini di ascolti televisivi. (Beh, buona giornata).

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Attualità Pubblicità e mass media Società e costume

E la crisi consumò lo shopping.

Crisi del consumo o crisi del consumismo? di Daniela Ostidich* e Cabirio Cautela*-Il Manifesto

La crisi, ci dicono alcuni ottimisti, non ultimo il nostro Ministro dell’Economia, passerà presto. Sarà anche vero – speriamo – ma l’impressione di chi per professione si confronta quotidianamente con le dinamiche del consumo, è che i riflessi di questa crisi sugli atteggiamenti delle persone non saranno passeggeri. Senza il supporto di particolari ideologie, e trasversalmente per livelli sociali e nazioni diverse, le persone sono state particolarmente colpite (psicologicamente se non finanziariamente) da una crisi che ha messo in evidenza la fragilità di una economia basata sull’acquisto del superfluo, sul precario equilibrio del crescente indebitamento, sulla velocità degli scambi e sull’idea di innovazione e crescita continua.

Ma che relazione esiste tra la crisi – che qualcuno addebita alla “finanziarizzazione” dell’economia reale – e lo shopping, argomento in precedenza bistrattato, oramai entrato nelle aule accademiche sotto domini disciplinari come la sociologia dei consumi, il marketing, l’antropologia culturale? Sicuramente lo shopping – come ci insegnano i sociologi – affascina con molteplici seduzioni le persone, sin dalle origini dell’umanità – nelle sue differenti forme – ma questo momento storico ci offre l’opportunità di analizzarlo in modo più distaccato, fermando il fotogramma e consentendo una riflessione che vada alle radici del suo significato più profondo. È un momento di lutto, insomma, che impone una riflessione seria. Per questo colpisce il modo ancora splendidamente ottimista, quasi fatalistico, e comunque sempre molto – troppo – lontano dalla realtà, con cui certi sociologi guardano al fenomeno del consumo oggi (si veda l’articolo di Vanni Codeluppi su Il Manifesto del 20 marzo 2009).

La nostra convinzione è che lo shopping si configuri come una rete, sia che lo si veda dal punto di vista dello scambio (atto/luogo di acquisto), che della destinazione (i regali, i doni, gli acquisti per altri), che negli aspetti di auto percezione e costruzione della propria identità (rispetto ad una rete sociale esterna), che nella struttura urbanistica del territorio (che diventa tramite le strutture del commercio anche rete di mobilità e direzioni di socialità). La merce è il tramite attraverso cui s’innestano, si sviluppano e si attivano reti di relazione. Attività che viviamo quotidianamente, dal lavoro, alla cura di sé, dallo sport alla mobilità sono universi reticolari di cui le merci costituiscono spesso le infrastrutture, i nodi, la materia che quelle reti abilitano, supportano, condizionano, affermano.

Tutto ciò diventa ancora più fondante in epoche di crisi dove la rete è ancora di salvezza.

In questa visione la “merce” è accesso a reti di relazioni e svela qualcosa del momento storico in quanto ne incarna – almeno in parte – i miti e le preoccupazioni.

La visione più interessante del consumo attuale è quella che lo definisce “liquido”; di merce quindi che appare anch’essa “liquida”, nel senso in cui la intende Zygmunt Bauman: acquista valore per perderlo immediatamente dopo l’acquisto, destino seguito dallo stesso acquirente – “liquido” – che è spinto a livelli di consumo ulteriori dal fatto di spartire con l’oggetto dei suoi desideri – momentanei – la stessa caduca appetibilità.

Se cerchiamo invece le radici più profonde, e quindi più umane, e più vere, delle merci, ci si rende conto come non tutto è riducibile a liquidità. Esistono infatti – ed è impossibile negarlo, se non disegnando una società ben diversa dalla realtà – anche dei consumi “solidi”, con contenuti valoriali ben radicati nelle necessità delle persone: la mela acquistata e mangiata per fame, il regalo fatto o ricevuto da chi si ama – e consumi “gassosi”, che pur non scambiando merci materiali si strutturano su scambi di informazioni, conoscenze, esperienze. Come definire, altrimenti azioni che pur sempre rientrano nella categoria dei consumi come quelli legati alle community e ai social network sul web?

La complessità dello shopping è tale da non poterla semplificare in variabili prospettiche o sottili: è elemento politico – da qualsiasi prospettiva lo si guardi. Insomma, ci sembra di dover lanciare un appello, sfruttando proprio questo momento economico caratterizzato da una straordinaria crisi che riguarda proprio i consumi. Innanzitutto che per la tensione verso l’interpretazione delle tendenze future non si dimentichi l’analisi della bieca realtà, considerando tutte le dimensioni che lo shopping riveste nella quotidianità delle persone.

Lo shopping in quanto attivatore di reti, per il tramite di merci, è oggetto d’analisi poliedrico che richiede un intervento congiunto di quei domini disciplinari che studiano fenomeni reticolari: le scienze sociali, il design dei servizi, l’urbanistica. La dimensione esperienziale è sicuramente importante e rivelatrice ma non può avocare a sé solamente la capacità di dare significato all’atto del consumo.

In secondo luogo che per amore della materia (la sociologia dei consumi) non ci si scordi di chi consumare non può. L’inferno dei consumi esiste – che Codeluppi se ne renda conto: purtroppo, non è una visione apocalittica che fa dire a Censis che il 13% degli italiani (2008) sono sotto la soglia di povertà. Ed è questo il punto cruciale che segna il salto della crisi – da congiunturale a strutturale – come direbbero gli economisti “vecchia maniera”. Il sistema attuale non solo non garantisce a certi strati sociali l’acquisizione materiale di merci; ma a ciò si aggiunge l’impossibilità di attivare, attraverso gli acquisti, quelle reti (sociali, logistiche, commerciali, relazionali) che sono alla base del funzionamento del sistema di scambio capitalistico. Chi non consuma non accede e non attiva reti relazionali, dirette e derivate, che vivono per il tramite delle merci acquistate.E’ compito di chi governa i sistemi economici e di distribuzione dei redditi garantire questo diritto di accesso – definibile anche in termini di dignità della persone – ma è anche compito di chi studia i consumi tener conto che non è eticamente e metodologicamente proponibile proporre una lettura del sociale che partendo dal presupposto che lo shopping sia rivelatore di dinamiche condivise neghi la rilevanza (o non riconosca l’esistenza) anche di coloro che accesso al consumo non hanno.(Beh, buona giornata).

* Co-autori di “Hell-Paradise Shopping”, L’inferno e il paradiso degli acquisti e del consumo, Franco Angeli, 2009

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Quarta crisi: “Rupert Murdoch ha sparato la sua cannonata. Per uscire dalla crisi i giornali sulla rete passino all’accesso a pagamento.”

Vittorio Zambardino contro il magnate Murdoch e la sua idea di far pagare le notizie sulla Rete-blitzquotidiano.it

Per il boss della News Corporation Rupert Murdoch i giorni dell’accesso gratuito ai siti web dei giornali stanno per finire. I siti di giornali come il “Times” ed il “Sun” non saranno più gratuiti entro 12 mesi. Quali saranno le conseguenze della proposta e della decisione presa da Murdoch? Nel suo Blog, Vittorio Zambardino, giornalista di “Repubblica”, analizza l’intera questione di Murdoch e dei giornali on-line:

“Rupert Murdoch ha sparato la sua cannonata per uscire dalla crisi i giornali sulla rete passino all’accesso a pagamento. Non che nessuno se ne sia accorto, quando a dire che bisogna far pagare l’accesso on line ai giornali era stato il direttore del New York Times, Bill Keller. Ma se lo dice lo squalo che non ne sbaglia una – è il ragionamento dell’industria – allora vuol dire che così si deve fare: basta con i siti di informazione gratuiti. Si paga tutto. […]”.(Beh, buona giornata).

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Quarta crisi: il Nyt continua a tagliare.

da blitzquotidiano.it

Bill Keller, l’editore del New York Times, ha aggiornato il suo staff sul piano di tagli al budget redazionale.
Ha confermato inoltre il taglio generalizzato dei freelance, la chiusura degli inserti come “City” e “Escapes”, sui quali erano già circolate voci, e della rubrica di moda pubblicata dal settimanale “New York’s Magazine”.(Beh, buona giornata).

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Murdoch dice che la quarta crisi sta passando.

Crisi/ La News Corp. dice di vedere per i media Usa la luce alla fine del tunnel-blitzquotidiano.it
La News Corp. di Rupert Murdoch si è unita ad altre organizzazioni dell’industria dei media nell’affermare che la crisi potrebbe essere finita anche se i risultati del primo trimestre continuano ad indicare debolezza economica, a quanto scrive il Wall Street Journal.

I profitti della News Corp. nel primo trimestre nel settore televisivo e dei giornali sono calati del 47% a causa della diminuzione delle entrate pubblicitarie. Sono invece aumentati i profitti delle reti televisive via cavo e del comparto film. Nei giorni scorsi hanno parlato di stabilizzazione anche la Walt Disney Co. e la Viacom Co.

«È sempre più chiaro che il peggio è passato», ha dichiarato Murdoch, anche se, ha rilevato, «è ancora presto per esserne sicuri».

Complessivamente, le entrate al netto del gigante mediatico nel trimestre sono state di 2,7 miliardi di dollari, o 1,04 dollari per azione, sostanzialmente uguali allo stesso periodo del 2008 quando sono state di 2,7 miliardi, o 91 centesimi per azione.

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La quarta crisi: la Huffington dice che il futuro del giornalismo non dipende dal futuro dei giornali.

Editoria/ Il Senato di Washington corre in aiuto dei giornali Usa prima che diventino ”estinti”-blitzquotidiano.it

I problemi che stanno falciando l’industria dei giornali negli Stati Uniti sono arrivati al Senato di Washington, dove una sottomissione ha preso in esame la questione offrendo come prima proposta la possibilità che i quotidiani si trasformino in aziende senza scopi di lucro sulla falsariga delle stazioni radio pubbliche con in testa National Public Radio (Npr), a quanto riferisce il Wall Street Journal.

Un disegno di legge presentato dal senatore democratico del Maryland, Ben Cardin, propone che i quotidiani trasformati in aziende senza scopi di lucro sarebbero esentati dal pagare le tasse sulla pubblicità e sui redditi da abbonamenti oltrechè sui contributi dei privati.

In base al disegno di legge, però, i giornali non potrebbero più appoggiare ufficialmente – il cosiddetto ”endorsement” – candidati in competizioni elettorali, pur potendo riferire su qualsiasi argomento incluse le campagne elettorali. Cardin ha precisato che il suo obiettivo è proteggere i giornali locali e non le conglomerate.

La proposta del senatore non ha però convinto del tutto, tra gli altri, l’ex-direttore del Washington Post, Steve Coll, il quale, pur appoggiando il disegno di legge, ha dichiarato che, anche nelle migliori delle ipotesi, «un numero molto limitato di quotidiani potrebbero diventare aziende senza scopo di lucro».

Il senatore democratico del Massachusetts, John Kerry, presidente del sottocomitato senatoriale sulle comunicazioni, la tecnologia e internet, ha avvertito che i licenziamenti, le chiusure e i tagli di personale hanno trasformato i giornali americani in una «specie in estinzione» a causa della fuga dei lettori e della pubblicità verso internet.

Kerry ha auspicato iniziative affinchè i media possano rimanere diversificati e indipendenti, e si è detto preoccupato dal fatto che se i giornali dovessero scomparire ne soffrirebbero l’imparzialità e l’accuratezza dell’informazione.

Chi non si preoccupa troppo del futuro dei giornali quotidiani è Arianna Huffington, direttrice di The Huffington Post, uno dei siti aggregatori più visitati ed influenti di internet. La Huffington è del parere che, nonostante la crisi dei giornali, «questi sono tempi felici per chi vuole tenersi informato».

«Qualcuno può davvero sostenere – ha chiesto – che non è magnifico che i lettori possano navigare in rete, usare i motori di ricerca e andare sui siti aggregatori per poter accedere ai migliori articoli provenienti da fonti dislocate in tutto il mondo ed avere a disposizione notizie sempre aggiornate e non statiche su fogli di giornale»?

La Huffington ha detto alla commissione che il futuro del giornalismo non dipende dal futuro dei giornali.

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Quanto è difficile uscire dalla quarta crisi.

La potenza della qualità di JOHN LLOYD -repubblica.it

I giornali, una volta diventati aziende di primaria importanza in vari momenti del XIX secolo, avevano due funzioni ben distinte. In primo luogo riportavano le notizie riguardanti gli affari esteri e la cronaca nera locale, i successi parlamentari e i fallimenti commerciali. In secondo luogo i giornali erano un veicolo commerciale per i popoli che stavano diventando consumatori di massa. Come scrive Judith Flanders, nella sua storia del commercio in epoca vittoriana, Consuming Passions, “Fu sulla base di una pubblicità sempre più onnipresente che i giornali acquisirono quella stabilità finanziaria che, nel XIX secolo, consentì la loro espansione in mercati sempre più ampi”.

Il servizio pubblico che hanno reso le case automobilistiche e i grandi magazzini, le rubriche dei cuori solitari e le compagnie aeree cercando di catturare l’attenzione dei lettori, ora come ora nella sua forma classica è in forte calo, forse addirittura agli ultimi giorni.

Quanto meno, al momento la pubblicità non costituisce una fonte abbastanza sicura di introiti per mantenere i potenti giornali che ogni Stato sviluppato e ricco ha dato per scontati per intere generazioni. Dal New York Times al Dagens Nyheter, da Le Monde al Yomiuri Shimbun, hanno tutti alle spalle una loro storia di potere. Tutti, in misura diversa, sono a rischio di tagli alle spese e perfino di chiusura. Nel momento stesso in cui questi grandi giornali entrano in crisi, vediamo molto meglio quanto subordinati fossero i nostri principi di “giornalismo come servizio pubblico” in fondo in fondo dipendessero dai consumi dei cittadini. Mentre tutto ciò viene meno, diventa palese che la capacità di mantenere in vita questo tipo di giornalismo è profondamente a rischio.

Le televisioni commerciali si trovano nella stessa situazione: per quasi 60 anni le tv non finanziate dallo Stato si sono arricchite grazie al boom pubblicitario. Adesso anche loro devono fare i conti con la crisi. La Cbs aveva 24 sedi distaccate all’estero, ora sei. Le emittenti televisive britanniche stanno abbandonando i notiziari regionali lasciandoli alla Bbc, finanziata dallo Stato. In Francia la tv privata più importante, Tf1, ha smesso di produrre informazione seria. Il suo amministratore delegato, Patrick Le Lay, nel 2004 ha detto: “Cerchiamo di essere realistici: in sostanza il nostro compito è aiutare la Coca Cola – giusto per fare un esempio – a vendere il suo prodotto. Ciò che noi vendiamo alla Coca Cola è il tempo del materiale cerebrale che abbiamo disponibile: dobbiamo sempre cercare programmi che siano popolari, seguire le mode, cavalcare varie tendenze, in un contesto nel quale l’informazione è sempre più veloce, diversa e banalizzata”.

Secondo Markus Prior (in Post Broadcast Democracy) i bei tempi in cui la maggior parte del pubblico seguiva i notiziari e l’attualità con scadenza quotidiana perché c’era poca scelta sono giunti al termine. Nel momento in cui una famiglia può scegliere tra 100 o 200 canali, gli ascolti dei programmi seri sono precipitati. Al contempo una piccola percentuale di pubblico fa zapping per raccogliere quante più notizie esaurienti possibile. Di conseguenza, per l’informazione si registra un equivalente di quello che è il sempre più crescente divario di reddito, un gap sempre più incolmabile tra i news junkies e i news dropouts.

Per ora non c’è una soluzione facile a questa crisi. Ma una risposta tuttavia esiste e si cela nella capacità dei professionisti di reinventarsi. Se da un lato stiamo assistendo alla crisi, dall’altro vediamo anche la crescita, specialmente su Internet, grazie al quale oggi sempre più lettori leggono quasi tutti i giornali. Ma sono in crescita anche le riviste serie e la produzione di documentari in tv e al cinema. Possiamo iniziare a intravedere un futuro caratterizzato da molte più fonti di informazione, nel quale i giornali affermati, come questo su cui scrivo, saranno in grado di sopravvivere associandosi con nuove, piccole start-up, specializzate in regioni particolari del mondo o in un particolare genere di giornalismo. Come ha dichiarato di recente lo studioso americano Yochai Benkler, “Grazie a un impegno professionale nel giornalismo di qualità sufficientemente alta, abbinato ai contributi forniti dai lettori impegnati, da freelancer, da professori universitari, anche un’azienda piccola potrà attirare un numero elevato di lettori per vendere pubblicità a livelli tali da garantire questo grado di operazioni”. Ci occorrono dunque media potenti perché il potere può essere chiamato a rispondere delle proprie azioni soltanto da un altro potere. Dovremo trovare nuove modalità con le quali finanziarli, ma una cosa è sicura: il mondo e la democrazia hanno bisogno del giornalismo e dipende dunque da noi giornalisti fare il possibile per poter continuare ad assicurarlo.(Beh, buona giornata).

L’autore è direttore
del Reuters Institute
for the Study of Journalism
della Oxford University
(Traduzione di Anna Bissanti)

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Attualità Pubblicità e mass media Società e costume

Dopo le critiche dei vescovi, la grande paura di Berlusconi: ecco quello che dirà stasera a Porta a Porta. Ma non era una fatto privato?

da repubblica.it
Sul caso Noemi Letizia: “Se avevo qualcosa da nascondere sarei stato un pazzo ad andare li”
E giura sull’autenticità delle foto del party: “Se non ci credete chiedetelo ai camerieri”
Berlusconi: “Tutte calunnie della sinistra e non è vero che frequento minorenni”

Silvio Berlusconi di nuovo all’attacco dell’opposizione e dei giornali, sulla vicenda della separazione chiesta dalla moglie Veronica Lario: “E’ tutta colpa della sinistra e della sua stampa – dichiara, nel corso della registrazione di Porta a porta – che non riescono ad accettare la mia popolarità al 75%. E, visto anche lo stato in cui la sinistra è ridotta, ha cominciato con attacchi personali fondati sulla calunnia”.

In particolare, è sui rapporti con Noemi Letizia e la sua famiglia che il presidente del Consiglio si difende a spada tratta: “E’ una menzogna che frequento minorenni. Il padre di quella ragazza mi aveva chiamato perchè voleva un appuntamento con me e voleva parlarmi: queste cose usciranno domani in un intervista a Chi”.

Da qui le accuse al nostro giornale, che per primo ha rivelato la partecipazione del Cavaliere alla festa dei diciotto anni della ragazza: “Repubblica, sempre Repubblica, aveva fatto un titolo in cui sottendeva una mia frequentazione con una ragazza, che facendo quel giorno diciott’anni fino al giorno prima era minorenne”. E sul fatto che Veromica abbia annunciato la sua intenzione di divorziare sempre su Repubblica, dichiara che “non è stata una cosa casuale e non dico altro”.

Berlusconi respinge al mittente anche i dubbi, circolati oggi su molti blog e siti internet, sull’autentictà delle foto della festa, in possesso del settimanale Chi, fatte vedere in anteprima dal tg di Italia1 Studio aperto: “Mandino un giornalista al ristorante e domandino ai cuochi e ai camerieri se quelle foto sono false. La pervicacia con cui le gazzette della sinistra continuano a dire falsità è sorprendente. Se avessi avuto qualcosa da nascondere, andare a quella festa sarebbe stato folle”. Poi la domanda: “Sarei stato così pazzo da andare in una situazione simile se qualcuno poteva pensare che ci fosse qualcosa di piccante nel rapporto tra il presidente del Consiglio e una ragazza di diciotto anni?”.

Il premier racconta: “Francamente non mi aspettavo questa tempesta, anche se falsificazioni di certa stampa in passato hanno portato a problemi. Già in passato si disse che avevo detto ad una ragazza ‘ti sposerei’ e invece io avevo detto ‘sei proprio una ragazza per bene, sei proprio da sposare'”. Il riferimento è ai suoi complimenti a Mara Carfagna, che avevano provocato la famosa lettera di Veronica al nostro quotidiano, nel 2007.

Insomma, Berlusconi ripete la teoria del complotto, in cui anche la consorte sarebbe caduta: “Tutto falso – attacca – tutto nato dalla trappola in cui anche mia moglie purtroppo è caduta. Le veline sono inesistenti. Sono un’assoluta falsità”. E rifacendosi proprio al giorno in cui le liste per le Europee sono state definitivamente varate, dice: “Sono stato impegnato dalla mattina alla 8 fino alla sera a Varsavia. Non ho avuto modo di levare qualsiasi nome”. La “sforbiciata” agli elenchi è stata fatta, ammette; ma solo perché si doveva ridurre da 100 a 72 candidati, e “sono state eliminate sia uomini che donne. La questione veline è il contrario di quanto la mia formazione politica abbiamo cercato di portare in politica: noi vogliamo rinnovamento e anche persone non ‘sgradevoli’ e non è un male”.

Infine, sui rapporti con la Lario, il premier ripete quanto già dichiarato ai giornali: “Il divorzio deve essere una vicenda privata; ma lei dovrebbe riconoscere il suo errore. Le voglio ancora un mare di bene”. E tra gli errori, spiega, c’è anche l’aver dichiarato che lui non ha partecipato alle feste di diciott’anni dei figli: ”Luigi mi ha detto di non aver fatto la festa. Per Barbara ho sostenuto finanziariamente la sua festa che si è svolta a Las Vegas, gli invitati erano in maschera del ‘700 veneziano”. Quanto a Eleonora, la terza, ”non si ricordava neanche che aveva fatto una festa”. (Beh,buona giornata).

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Pubblicità e mass media Società e costume

Demonio di un Vaticano, ha boicottato le riprese romane di “Angeli e demoni” di Ron Howard.

“Il Vaticano ha fatto pressioni perché non mi fossero messe a disposizione le location per girare ‘Angeli e demoni’ a Roma”. L’accusa giunge attesa e senza preamboli da parte di Ron Howard, registra premio Oscar, che ha presentato oggi alla stampa a Roma in anteprima mondiale il suo ultimo film, “Angeli e demoni”, tratto dal best seller di Dan Brown.

Pierfrancesco Favino, uno degli interpreti del film spiega che a suo giudizio un film che parli’ cosi’ di Roma non si vedeva dai tempi di Fellini. Uno ‘spot’, dunque, fatto ‘a dispetto dei Santi’. “Sapevo che non era possibile girare nelle chiese – spiega Ron Howard -. Gia’ col ‘Codice da Vinci’ mi era stato proibito di girare in Inghilterra, Scozia e Irlanda. Mi aspettavo, quindi, di avere problemi a portare il set nelle chiese romane. Cio’ che non credevo, invece, e’ che non ci fosse alcuna collaborazione per girare in citta’. Ci hanno spiegato che era dovuto alle pressioni fatte dal Vaticano”. Segno dei tempi. Beh, buona giornata.

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La “quarta crisi” colpisce ancora.

Dalle stime fornite da Nielsen e relative al 2008 emerge che gli investimenti pubblicitari sulla stampa nel suo complesso sono calati del -7,1% sul 2007. Nel dettaglio, l’adv sui quotidiani a pagamento ha registrato un -7%, mentre sui periodici è stata registrata una flessione del -7,3%. E a inizio 2009 la situazione è tutt’altro che migliorata. Nel primo bimestre, sempre stando ai dati Nielsen, gli investimenti sulla stampa sono calati del -27,4% sul primo bimestre 2008, -29,6% invece per i periodici e -26,4% per i quotidiani a pagamento.

Una conferma della flessione della pubblicità sulla carta stampata viene anche dai dati dell’Osservatorio Stampa Fcp. Dal confronto tra quelli relativi al periodo gennaio-febbraio 2009 e quelli relativi allo stesso periodo del 2008 emerge che il fatturato pubblicitario del mezzo stampa in generale ha registrato un calo del -28%. In particolare, il fatturato dei quotidiani ha perso il 26% e gli spazi sono calati del 13%. Segno meno anche per i periodici, che risultano in calo del 31% in termini di fatturato e del 24% in termini di spazi.

Numeri in forte ribasso, che hanno avuto notevoli ripercussioni sui bilanci 2008 e sull’andamento del primo trimestre 2009 dei più importanti gruppi editoriali operanti nel nostro Paese, come appare dal seguente schema che presenta i dati più significativi relativamente a ciascun Gruppo.

RCS MediaGroup: nel 2008 i ricavi netti consolidati si sono attestati a 2.673,9 milioni di euro, ovvero a -1,9% rispetto ai 2.728,2 milioni del 2007. I ricavi pubblicitari si sono attestati invece a 942,1 milioni (-2,1% sui 963,2 milioni del 2007).
Area Quotidiani: ricavi pari a 711,3 milioni (734,6 nell’esercizio 2007); ricavi pubblicitari a -2,7%.
Area Periodici: ricavi pari a 313 milioni (330,7 nell’esercizio 2007); ricavi pubblicitari a -3,4%.
Area Web: ricavi pubblicitari in crescita di oltre il 40%.

Mondadori: nel 2008 fatturato consolidato a 1819, 2 milioni di euro (-7,1% rispetto ai 1.958,6 milioni di euro del 2007).
Area Periodici Italia: ricavi consolidati a 575,7 milioni di euro (-12,5% rispetto ai 657,8 milioni del 2007); ricavi pubblicitari a -5,3%
Mondadori Pubblicità: ricavi pari a 331 milioni (-5,3% rispetto ai 349,5 milioni di euro del 2007). Sui periodici raccolta a 242,6 milioni (-4,8%)

Gruppo 24Ore: nel 2008 ricavi consolidati a 573 milioni di euro, in linea rispetto ai 572,1 milioni di euro del 2007. La pubblicità mostra un incremento di 7,4 milioni di euro (+3,1%) raggiungendo i 244, 6 milioni di euro, con un’incidenza del 42,7% sui ricavi totali.
Area Editrice: ricavi pari a -11,3% rispetto all’esercizio 2007.
Area System (divisione che svolge l’attività di concessionaria di pubblicità dei principali mezzi del gruppo, a eccezione dell’editoria specializzata): ricavi pari a 204,146 milioni (+2,1% sui 199.992 milioni del 2007).

Cairo Communication: nel 2008 ricavi lordi consolidati pari a 256,6 milioni di euro (265,8 milioni nel 2007). Raccolta pari a 51,8 milioni di euro (-8% rispetto ai 56,5 milioni)

Gruppo Hachette Rusconi: nel 2008 ricavi consolidati pari a 144,2 milioni di euro di cui 100 milioni derivanti dalla raccolta pubblicitaria (-0,5% rispetto al 2007). Area Web: ricavi pubblicitari in crescita del 46% sul 2007. (Beh, buona giornata).

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democrazia Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Freedom House: la «situazione anomala a livello mondiale di un premier che controlla tutti i media, pubblici e privati. L’Italia è l’unico Paese europeo a essere retrocesso nell’ultimo anno dalla categoria dei «Paesi con stampa libera» a quella dei Paesi dove la libertà di stampa è «parziale».

Rapporto di Freedom House, organizzazione non-profit e indipendente-da Freedomhouse.org
Libertà di stampa: l’Italia fa un passo indietro, unica nazione in Europa di Alessandra Farkas-corriere.it

La causa: la «situazione anomala a livello mondiale di un premier che controlla tutti i media, pubblici e privati. L’Italia è l’unico Paese europeo a essere retrocesso nell’ultimo anno dalla categoria dei «Paesi con stampa libera» a quella dei Paesi dove la libertà di stampa è «parziale». La causa: la «situazione anomala a livello mondiale di un premier che controlla tutti i media, pubblici e privati». Lo afferma in un rapporto Freedom House, un’organizzazione non-profit e indipendente fondata negli Stati Uniti nel 1941 per la difesa della democrazia e la libertà nel mondo, la cui prima presidente fu la first lady Eleanor Roosevelt. Lo studio viene presentato venerdì al News Museum di Washington e sarà accompagnato da un live web cast che si potrà scaricare sul sito Freedomhouse.org.

CLASSIFICA – Nell’annuale classifica di Freedom House, l’Italia va indietro come i gamberi, insieme a Israele, Taiwan e Hong Kong. «Un declino che dimostra come anche democrazie consolidate e con media tradizionalmente aperti non sono immuni da restrizioni alla libertà», ha commentato Arch Puddington, direttore di ricerca per Freedom House. Su un punteggio che va da 0 (i Paesi più liberi) a 100 (i meno liberi), l’Italia ottiene 32 voti: unico Paese occidentale con una pagella così bassa. I «migliori della classe» restano le nazioni del Nord Europa e scandinave: Islanda, Finlandia, Norvegia, Danimarca e Svezia (prime cinque a livello mondiale). Le «peggiori»: Corea del nord, Turkmenistan, Birmania, Libia, Eritrea e Cuba.

PROBLEMA ITALIA – Il «problema principale dell’Italia», secondo Karin Karlekar, la ricercatrice che ha guidato lo studio, è Berlusconi. «Il suo ritorno nel 2008 al posto di premier ha risvegliato i timori sulla concentrazione di mezzi di comunicazione pubblici e privati sotto una sola guida», spiega. Altri fattori: l’abuso di denunce per diffamazione contro i giornalisti e l’escalation di intimidazioni fisiche da parte del crimine organizzato. Intanto giovedì il Committee to Protect Journalists, un’organizzazione non-profit che lavora per salvaguardare la libertà di stampa nel mondo, ha pubblicato la top ten dei peggiori Paesi al mondo per i blogger. La Birmania guida la lista, seguita da Iran, Siria, Cuba e Arabia Saudita. Sesto il Vietnam, seguito a ruota da Tunisia, Cina, Turkmenistan ed Egitto. (Beh, buona giornata).

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democrazia Media e tecnologia Popoli e politiche Pubblicità e mass media

Veline&politica: “E’ la metamorfosi del cittadino in spettatore. Dell’elettore in pubblico.”

Le veline e l’evoluzione
della specie (im)politica
di Ilvo Diamanti -la Repubblica

Lo scandalo riguardo alla velinizzazione della politica italiana è effettivamente scandaloso. Cioè: è scandaloso che ci si scandalizzi. Certo, l’indignazione della signora Veronica Lario contro la candidatura (annunciata) di alcune belle ragazze nelle liste del PdL, cioè: del partito guidato (diretto, presieduto, governato ecc.) dal marito non poteva che rimbalzare fragorosamente sui media. Per il semplice motivo che la signora Lario per esprimere il suo pensiero al marito, invece di parlargli di persona o al cellulare, ha usato i media. E i media hanno fatto il loro mestiere.
Amplificando la vicenda. Come, d’altronde, si attendeva la signora Lario. Che intendeva manifestare la sua indignazione anche verso i media, che hanno tanto spazio e tanto tempo da perdere intorno alle veline. Invece di fare informazione e informazione politica. Il problema, però, è che – non da oggi – la distanza fra questi elementi è molto sottile. Quasi non si percepisce. Fra la politica, l’informazione, l’informazione politica, i media. E le veline. Che adornano ogni salotto politico che si rispetti, a partire dai più seguiti e influenti. Sulle reti e nelle ore di maggiore ascolto.

Il loro archetipo, d’altronde, va in onda ogni sera sugli schermi di Canale 5. La rete ammiraglia del Presidente del PdL, del Milan, di Mediaset. Nonché marito della signora Lario. Ci riferiamo, ovviamente, alle veline di “Striscia la notizia”. Tiggì satirico concepito da Antonio Ricci. Il quale ne fece l’icona e il simbolo dell’informazione di regime. Per dire: tutti i tiggì della tivù pubblica – e non – sono condotti da sedicenti giornalisti di regime che ballano, mostrano le gambe e il sedere. Anche se sono meno gradevoli. E raramente, anzi: mai, ne ripetono il successo di ascolto e di audience. Non si sa se per merito dell’informazione irriverente degli inviati di Striscia o per il contributo all’informazione offerto dalle Veline. Diciamo: per entrambi i motivi. Lo stesso discorso vale per altri programmi Mediaset. Dalle Iene a Mai dire…

Dappertutto Veline. Esibite sempre in modo un po’ ambiguo. Strizzando l’occhio allo spettatore. Sottinteso che in fondo si tratta di satira. Non di uso furbo delle belle ragazze a fini di audience. Lo stesso avviene, in modo perlopiù rovesciato, anche nella Rai. Dove, nelle trasmissioni leggere o presunte tali, sgambettano veline e ballerine di ogni genere e tipo. Intervallate da “momenti alti” di dibattito politico. Anzi: neppure intervallate: fianco a fianco. Coscia a coscia. Come nei contenitori pomeridiani della domenica. E in tutti gli altri format che ormai coprono l’intera giornata. Mattine sull’Uno e pomeriggi sul Due. Pranzi compresi.

Veline, cuochi, giornalisti, cronaca, politica, cultura. Perché non c’è politico disposto a rinunciare a un’occasione mediatica, che garantisca visibilità, ascolto, pubblico. Vuoi mettere le centinaia o migliaia di persone che stanno in una piazza o in una tivù, se non c’è la televisione? Ma se c’è la televisione, perché non seguirne le regole e le logiche? Per cui, perché non affiancare al leader, sul palco e sulle piazze, la bella ragazza, il volto del giornalista famoso, del cantante, del regista o del comico satirico? E poi, nella vita quotidiana, li ritrovi, uno accanto all’altro, nelle occasioni mondane. Ritratti puntualmente dalla stampa people ma anche da quella seria. Certificati e fotografati su Dagospia. Non per caso, a tradimento. Ma per scelta consapevole. Perché le veline, i cuochi, i cantanti, gli artisti, i registi, i nobili decaduti, gli intellettuali, i calciatori, i presentatori, i cuochi, i giornalisti. Insieme ai politici. Non andrebbero alle feste, inaugurazioni, celebrazioni. Se non ci fossero Novella, Eva, Chi, Dipiù. E Vanity e A. E Dagospia. A fotografarli, ritrarli, diffonderne l’immagine. Cioè: tutto quel che conta.

Ma non è un fatto nuovo, se non per motivi di misura. Di quantità. In fondo cantanti, comici, giornalisti, registi e quant’altro sono già stati – taluni sono ancora – in politica. Eletti nel parlamento italiano o europeo. In qualche caso, per rimanerci, si spostano da un punto all’altro dello spazio politico, da un partito all’altro, in modo rapido e disinvolto.

Non voglio dire che tutto questo (mi) vada bene. Però non (mi) sorprende. Mi sorprende di più lo scandalo che solleva. Lo scandalo delle veline non dovrebbe scandalizzare più di tanto. A meno che non ci si scandalizzi di tutti i passi di questo percorso, che viene da lontano. Questo trend. Che procede parallelo all’abbandono dei luoghi sociali della politica.

All’evoluzione dei partiti in macchine presidenziali al servizio di un candidato. E tutti gli altri intorno a far da corona. (Corona?). Una corte di consulenti e consiglieri. Cortigiani, cortigiane. Ma tutto questo non scandalizza. Se non a parole. In fondo, così fan tutti. E’ la metamorfosi del cittadino in spettatore. Dell’elettore in pubblico. Quando , al momento di votare, per riflesso pavloviano, sceglie: presentatrici e presentatori, attrici e attori, grandi fratelli e grandi sorelle. Veline. L’evoluzione della specie politica. O impolitica. Dipende dai punti di vista. (Beh, buona giornata).

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La pubblicità globale va male.

Interpublic: -5,6%. WPP: -5,8%. Omnicom : -14%. La recessione ha colpito i big della comunicazione mondiale.

Il dato peggiore è quello segnato da Omnicom Group, le cui revenue sono scese del 14% a livello mondiale. Fra le diverse aree, l’advertising (che vale il 44% del business della holding), perde il 12,8%, il Crm il 13%, le relazioni pubbliche segnano un -17,4% e le altre specializzazioni il -20,1%. La conseguenza è una riduzione dei profitti del 21,2% (dai 208 milioni di dollari del primo trimestre 2008 ai 164 milioni di questo primo quarter dell’anno).

-5,6% il calo di fatturato registrato da Interpublic (IPG), con una perdita operativa di 81,9 milioni di dollari, 41,6 dei quali dovuti al costo dei licenziamenti di 2.800 addetti, circa il 6% del totale. La ristrutturazione della forza lavoro ha comunque contribuito a migliorare il margine operativo di IPG, salito dal 3,9% al 6,2% anno su anno.

Per WPP, il risultato a perimetro costante è un -5,8%, dovuto anche in questo caso “alla riduzione della spesa da parte dei clienti come reazione alla crisi economica e finanziaria globale”. La holding guidata da Sir Martin Sorrell registra un margine operativo inferiore a quello del 2008, ma in ogni caso superiore alle aspettative: anche per WPP ciò deriva da un taglio dei costi al personale, ridotto di 3.505 unità (il 3,1%). Il gruppo mette inoltre in cantiere la possibilità di ulteriori tagli, affermando che “sul breve periodo continueremo a concentrarci sul mantenere l’equilibrio fra la probabile caduta delle revenue, e i costi e il numero degli addetti”.

L’area più colpita è stata quella degli Stati Uniti. Male anche Spagna, Italia e Danimarca. Beh, buona giornata.

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La quarta crisi investe anche Caltagirone Editore.

L’assemblea ordinaria degli azionisti della Caltagirone Editore ha approvato il bilancio al 31 dicembre 2008. A livello consolidato il Gruppo ha chiuso l’esercizio con ricavi a 294 milioni di euro (326,8 milioni di euro al 31 dicembre 2007) e un utile netto negativo per 10,9 milioni di euro (era positivo per 61,2 milioni di euro al 31 dicembre 2007).

La raccolta pubblicitari al 31 dicembre 2008 ha segnato un -8% sull’anno precedente. Nel primo trimestre 2009, invece, si registra un calo degli investimenti pubblicitari del 25-30%, in linea con il mercato di riferimento.

A margine dell’assemblea, commentando la difficile situazione del mercato il presidente Francesco Gaetano Caltagirone ha dichiarato: “La situazione dell’editoria e’ ‘di emergenza drammatica’. Dalla crisi ‘uscirà’ completamente modificata la geografia e la sostanza dell’editoria italiana”.

“Nell’editoria – ha proseguito – c’è stato un calo generalizzato, nel nazionale come nel locale. Non ho mai visto una situazione in cui tutto cala, il nostro è un gruppo che si difende per le intuizioni che abbiamo avuto”.

In merito al pesante calo della raccolta pubblicitaria nel primo trimestre, Caltagirone ha dichiarato: “Spero si tratti di un picco, ma se il calo dovesse essere confermato di questa portata anche nel resto del 2009, le perdite sarebbero ‘ben diverse’ rispetto a quelle del 2008”.

Proprio per fronteggiare la crisi, è in programma l’attuazione di un piano di taglio dei costi, per ridurre in particolare il costo del lavoro, portando a un risparmio di 20-25 milioni di euro. Beh, buona giornata.

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Cala la pubblicità, la Rai rischia guai.

Un trimestre nero per la raccolta pubblicitaria Rai. E le previsioni sono tutt’altro che ottimistiche, come ha confermato Mauro Masi, direttore generale Rai, in una audizione in Parlamento, presso la Comminsione Vigilanza.

Nei primi tre mesi del 2009 gli investimenti avrebbero subito un calo importante, facendo registrare una flessione di 27 milioni di euro. Se il trend dovesse essere confermato, la flessione della raccolta pubblicitaria passerà dai 55 milioni di euro previsti a 150 milioni di euro. Ragionando in termini assoluti, si passerà da 1143 milioni a 1048 milioni di euro.

Questo potrebbe significare che le risorse economiche della Rai si avviano a una perdita tendenziale di circa 120 milioni di euro. Beh, buona giornata.

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La quarta crisi convince Murdoch alla convergenza sul web.

(fonte: Affari e Finanza-Repubblica)

Rupert Murdoch lancia il nuovo portale internet che raccoglie notizie da ogni angolo del suo impero mediatico.

‘Sarà il portale dove si concentrerà l’essenza dell’informazione planetaria’ ha annunciato il magnate australiano, come riportato su ‘Affari&Finanza’.

Sulla piattaforma andranno a confluire le notizie pubblicate e trasmesse dalle testate ed emittenti controllate da News Corp , tra cui spiccano il Wall street journal , il New York Post, e, in Inghilterra, il Sun e l’elitario Times. Ci sono anche la casa editrice Harper-Collins, le reti televisive Sky e FoxNews e il social network MySpace.com. Fino ad ora, queste unità non avevano mai sperimentato una condivisione sul web.

La neo-iniziativa, guidata da John Moody, il vice presidente di Fox News, viene giustificata come un’operazione per potenziare l’efficienza dell’attività di raccolta di notizie e creazione di contenuti.Beh, buona giornata.

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La quarta crisi colpisce anche Google: 300 posizioni eliminate, tagli del 40%.

(Fonte: Affari e Finanza-Repubblica)

Google, nonostante il fatturato sia calato per la prima volta nella sua storia del 3% rispetto all’ultimo trimestre, continua a investire nell’innovazione come riportato su Affari & Finanza di Repubblica del 27 aprile. Google Ventures, la nuova società di venture capital fondata dal colosso del motore di ricerca per scovare e finanziare aziende appena nate ma dal grande potenziale, ha messo a disposizione delle startup tecnologiche un fondo di 100 milioni di dollari. Tra i primi investimenti di Google Ventures c’è Pixazza, promotrice di una nuova tecnologia che permette di inserire pubblicità contestuali nelle immagini digitali.

Il fatturato globale di Google è calato rispetto allo scorso trimestre, dopo tre anni di crescita ininterrotta, ma il fatto è dovuto all’andamento economico generale e non a una debolezza specifica del business di Google: il reddito dell’azienda dipende dall’andamento della pubblicità online che risente a sua volta della contrazione generale dei consumi. Il settore della pubblicità on-line è in forte crisi e risente della situazione mondiale, anche colossi del calibro di Google incominciano ad avere problemi.

Se i risultati del primo trimestre 2009 sono comunque positivi rispetto allo stesso periodo dello scorso anno (+6%), confrontati con quelli dell’ultimo trimestre del 2008 mostrano un calo del 3%. E’ il secondo trimestre consecutivo in cui le entrate diminuiscono rispetto al precedente, una cosa mai successa a Google, che sta già riducendo il personale, con 300 posizioni eliminate. Anche le spese sono state ridotte del 40% e si sono attestate sui 263 milioni di dollari.

Le vendite pubblicitarie online, core business del motore di ricerca, si sono ridotte del 5%: detratte le commissioni dovute ai suoi partner web, nel primo trimestre Google ha totalizzato 4,07 miliardi di dollari di raccolta pubblicitaria, in linea con le aspettative degli analisti e con il trend negativo che caratterizza ultimante il settore dell’advertising.

Quello che preoccupa maggiormente è la diminuzione del valore ‘per click’ degli ads venduti da Google. Il motore di ricerca utilizza un sistema pubblicitario che paga i siti che espongono le pubblicità per ogni click che viene effettuato sui banner.

E sebbene i dati di Google mostrino che il numero di click da parte degli utenti sia addirittura aumentato rispetto allo scorso anno (+17%), a essere cambiato è il rapporto fra click e vendite. ‘Le persone cercano e cliccano sulle pubblicità come prima’ spiega Jeffrey Lindsay, senior analyst della Sanford Bernstein ‘ma se prima bastavano tra i 10 e i 15 click perché comprassero qualcosa, adesso sono tutti più cauti: e di click, prima di acquistare, ne servono in media 20.’

Come risultato, i prezzi per click degli ads di Google sono calati del 13% rispetto all’ultimo trimestre del 2008. Beh, buona giornata.

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La “quarta crisi” miete vittime eccellenti. Chi ci rimette sono i lettori di un’ottimo giornale italiano.

di Sabina Rodi – Italia Oggi

Il forsennato giro di poltrone ai vertici dei grandi giornali ha subito un’accelerazione, in questo fine settimana, con le dimissioni dalla direzione della Stampa di Giulio Anselmi e la sua sostituzione con Mario Calabresi, corrispondente di la Repubblica dagli Stati Uniti. E con la contestuale nomina di Giulio Anselmi a presidente dell’agenzia Ansa. I giornalisti sono le vestali della trasparenza. Per professione, dovrebbero togliere le tende che impediscono di vedere che cosa c’è sotto i fatti. In questo caso invece sono stati tutti zitti e muti a partire dai protagonisti di questo giro di poltrone. Cerchiamo di capire che cosa è successo e soprattutto perché è successo.

Partiamo dalle dimissioni dalla Stampa di Giulio Anselmi, un giornalista di 64 anni. In pratica, Anselmi è stato prepensionato solo un anno prima di poter essere messo legalmente in pensione dal suo editore. Anselmi, con questa sua ultima decisione, ha abbandonato il terzo quotidiano politico nazionale per coprire un incarico (la presidenza dell’Ansa) che è formalmente di prestigio, ma che è anche più o meno onorifico e, comunque, da fine percorso professionale.

Non a caso, chi lo ha preceduto nella carica, l’ambasciatore Boris Biancheri, non solo non era un giornalista professionista, ma era diventato presidente dell’Ansa dopo essere stato messo in pensione dal ministero degli Esteri per aver raggiunto la massima età per poter rimanere in servizio ed è poi stato in via della Dataria per addirittura quattro mandati triennali consecutivi (cioè per 12 anni abbondanti) fino ad arrivare ai suoi attuali 80 anni che non si può certo dire sia l’età di un uomo che è nel pieno delle forze. Dalla sua, per non abbandonare La Stampa, Anselmi aveva anche il fatto che, nei suoi tre anni di direzione del quotidiano torinese, era riuscito a trasformare un giornale invecchiato, asmatico e pieno di acciacchi, nel migliore e più innovativo quotidiano italiano.

Il suo è stato un lavoro non solo duro e senza soste ma anche molto intelligente. Un lavoro poi, che, per riconoscimento unanime, ha dato abbondanti frutti giornalistici. Lasciare una Stampa così, per andare a dirigere la Repubblica o il Corriere della sera sarebbe stata una decisione naturale ed inevitabile. Si dirà che la direzione de la Repubblica non è disponibile (ieri l’altro infatti Carlo De Benedetti, spegnendo ogni roumor contrario, ha detto che Ezio Mauro resta dov’è) e che la direzione del Corriere della sera è stata assegnata a un altro.

Tutto vero. Però, se le cose stanno così, perché Anselmi ha lasciato La Stampa? Non poteva restare in un posto giornalisticamente attivo e di grande visibilità personale ancora per un anno? Non è infatti possibile pensare che un editore (la Fiat), dopo questo exploit, sia disposto a privarsi di un direttore così significativo come Anselmi. Tuttavia l’ipotesi che Anselmi sia stato sofficemente spinto fuori, sta in piedi. A Torino però tutti sono abbottonatissimi, non hanno nulla da aggiungere, né, tanto meno, da spiegare.

Solo Anselmi dice a Italia Oggi: «Tutte le stagioni si concludono. Ho ricevuto dall’Ansa un’offerta che mi interessa, anche perché viene da una realtà che conosco bene e in cui mi piace tornare». Una dichiarazione opportuna, ma non totalmente convincente. Procediamo quindi per induzione dalle indiscrezioni che si conoscono.

Nel mondo sindacal-giornalistico torinese si dice infatti da tempo che la proprietà de La Stampa (preoccupata per il davvero imbarazzante deficit economico della testata e per il fatto che, nonostante che il giornale abbia sicuramente qualità nazionali, esso sia sempre restato prevalentemente acquistato solo nelle regioni del Piemonte, della Liguria e della Val d’Aosta) sia rassegnata a prendere atto di questo fatto e voglia restringere a livello tri-regionale la diffusione in tutte le edicole del quotidiano, realizzando, con questa sua scelta, una drastica riduzione dei costi.

Primo, tagliando su carta, stampa e diffusione realmente nazionali. E, secondo, riducendo il peso dei costi redazionali, compreso quello, oggi onerosissimo, di alcune sedi di corrispondenza (compresa quella, molto folta, di Roma) i cui argomenti, nell’epoca di Internet, possono essere coperti anche stando a Torino o mandando degli inviati, che comunque già ci vanno, nei momenti e negli appuntamenti importanti, chessò, dal G20 al terremoto dell’Abruzzo.

Ora, una rivoluzione di questo genere, piena di lacrime e sangue, non poteva sicuramente essere avallata da un direttore come Anselmi che è all’apice del suo fulgore direzionale. Meglio quindi lasciare il campo prima del diluvio che può essere affrontato con minori danni da un direttore giovane che ha poco da perdere e molto da guadagnare, diventando direttore di una testata così importante dopo aver oscuramente lavorato come un folle nella complessa cucina de la Repubblica e come corrispondente dagli Stati Uniti dove però, pur essendo molto bravo, veniva permanentemente oscurato da un corrispondente ingombrante come Vittorio Zucconi che, avendo una mostruosa capacità di lavoro, è da sempre abituato a lasciare solo le briciole informative ai suoi colleghi più giovani.

In tutta questa vicenda direttorial-presidenziale, resta a piedi, per un’altra volta, l’ex direttore de La Stampa, Marcello Sorgi (oggi riluttante corrispondente da Londra de La Stampa ma che, in pratica, vive a Roma e che, comunque, dei problemi della Queen non gli interessa un baffo). Sorgi, nonostante sia stato a lungo supportato, per la presidenza dell’Ansa, da Gianni Letta, che in questo settore è un mammasantissima, non ce l’ha fatta ad arrivarci, per l’unanime opposizione degli editori che avrebbero dovuto votarlo. Gli hanno preferito il suo amico (ancora?) Giulio Anselmi che, del resto, lo aveva già sostituito alla direzione de La Stampa. (Beh, buona giornata).

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Le agenzie di pubblicità italiane non sanno usare l’advertising su Internet.

di Chiara Pozzoli da advexpress.it
L’advertising sui social network, ovvero nuove forme di pubblicità che tengano conto delle caratteristiche dei siti di user generated content. Se è vero che non è ancora stata trovata la ‘formula magica’, è altrettanto vero che bisogna pensare oltre al tradizionale banner e ‘vincere la pigrizia’. La riflessione al centro del convegno Nielsen Online.

La raccolta pubblicitaria sui siti di social network non è commisurata alla loro audience e al livello di coinvolgimento degli utenti; ovvero non è ancora stata trovata la ‘formula magica’ per realizzare il miglior abbinamento tra social network e pubblicità. Questa la riflessione che ha dato il via al convegno svoltosi ieri presso la sede Nielsen di Corsico (Mi), dal titolo ‘L’advertising nell’era dei social network’.

Luca Bordin, managing director Italy Nielsen Online, ha presentato i dati sul fenomeno dei social network elaborati da Nielsen Online (aggiornati a dic 2008 vs. dic 2007) su dati globali (Global Index, dove per ‘Global’ si intendono i paesi in cui è presente il panel NetView: Usa, Brasile, Regno Unito, Francia, Germania, Italia, Spagna, Svizzera e Australia). Le dimensioni sono impressionanti: due terzi degli utenti internet visitano blog e social network e questi ultimi costituiscono oggi la quarta categoria più visitata (dopo search, portali generalisti e produttori di software) con 242 milioni, con la differenza che il tasso di crescita delle member community è più che doppio rispetto alle altre categorie. Per non parlare del tempo speso sui social network, cresciuto a livello globale del 63% nell’ultimo anno, contro il 18% di crescita del tempo trascorso su internet in generale. L’attore principale è Facebook. Tante le ragioni del suo successo, dal design al focus su networking e conversazione; basti pensare che il ‘tempo globale’ ha fatto registrare un +566% negli ultimi 12 mesi.

Verso la ‘brand generated content’

Un dato, però, fa riflettere: parlando di adv a livello globale, Myspace è più piccolo di Facebook e la sua audience si è stabilizzata, ma la sua offerta incentrata su contenuti e intrattenimento riesce ad attirare investimenti pubblicitari maggiori. I dati lo dimostrano: la raccolta pubblicitaria di Facebook nel 2008 è stata di circa 300 milioni di dollari, contro il miliardo di MySpace. Per ogni 10mila utenti unici, Facebbok ha avuto 0.36 inserzionisti, MySpace 1.51. La crescente mancanza di fiducia nell’advertising classico, il potere del passaparola come elemento influente nelle decisioni d’acquisto (in Italia, il 18% degli utenti internet esprime on line il giudizio positivo o negativo su un bene/servizio acquistato e il 27% legge le opinioni degli altri consumatori), nonché la necessità di utilizzare i social network come un vero e proprio canale di comunicazione adattando l’advertising alle modalità di interazione e alla filosofia degli user generated content, sono stati al centro della tavola rotonda seguita alla presentazione dei dati.

Layla Pavone, presidente Iab Italia, ha fatto una distinzione tra l’aspetto sociologico dei social network e le implicazioni per l’advertising e, all’interno di quest’ultimo ambito, tra le forme tradizionali di pubblicità e il ‘convertising’, ovvero una forma di pubblicità che utilizzi lo strumento della conversazione e della convergenza. “La maggiore fonte di business – ha specificato Pavone – è oggi costituita dalla prima tipologia, ovvero dalla tradizionale tabellare convertita in banner on line. Interessante, invece, sarebbe sviluppare maggiormente un ambito di comunicazione basato sul dialogo e sull’interazione con il consumatore. In questo caso si gioca una partita diversa, complementare all’advertising, che entra nei microcosmi delle persone. Una strada fatta di vero engagement, ma più difficile rispetto alla via tradizionale”.

Sceglie di evitare classificazioni troppo rigide come quelle del ‘2.0’ Salvatore Ippolito, sales director Microsoft Advertising: “Oggi si parla di Facebook, ma domani sarà già obsoleto e si guarderà a nuove frontiere. Il vero valore su cui riflettere è il tempo. È stato calcolato che nel 2010, a livello europeo, il tempo medio speso su internet sarà di 14 ore a settimana, mentre davanti alla Tv 11,5 ore”. Secondo Ippolito non esisterebbe una ‘formula magica’ per conciliare social network e advertising: “Pensiamo a un advertising che rientri in strategie integrate di comunicazione e che tenga in considerazione la variabile tempo”. Francesco Barbarani, country manager MySpace Italia, ha ammesso che su MySpace il grosso della raccolta pubblicitaria è costituito da banner. “La frontiera successiva alla tabellare tradizionale su internet sarà la ‘brand generated content’, ovvero l’azienda che dialoga con il consumatore, che entra nel mondo dell’utente per ‘flirtare’ con lui generando la sua fiducia. Su MySpace il messaggio pubblicitario è sempre ‘soft’, non invasivo e questo è uno dei motivi del successo”.

Case history: Bacardi B-Live su MySpace

Quale che sia la ‘formula magica’, insomma, il denominatore comune deve essere un’attenzione alla privacy dell’utente, la stimolazione del dialogo con il consumatore, un messaggio che non sia mai imposto ma quasi cercato e discusso dallo stesso navigatore, attraverso, ad esempio, la creazione di fan page. Un’operazione di questo genere è stata realizzata nel 2008 da Bacardi.
Gabriele Pizzutto, brand manager Bacardi (Martini & Rossi, Gruppo Bacardi-Martini) ha presentato la case history del B-Live, che lo scorso anno ha riunito al terminal dell’aeroporto di Bologna 6.000 persone per un evento che ha fatto della musica il proprio punto di forza. Musica ed entertainment riportano immediatamente a MySpace, ed è proprio su questo sito che è stato creato, prima dell’evento, un profilo ad hoc, all’interno del quale era possibile partecipare a un concorso per deejay ed esibirsi al B-Live. “La sfida – ha affermato Pizzutto – era coinvolgere anche chi non avrebbe fisicamente partecipato all’evento. I risultati hanno premiato l’advertising on line: 26.000 visite su bacardilive.it in 30 giorni e 9.000 pagine visitate su MySpace. Il sito Bacardi Italia, inoltre, è balzato al terzo posto come numero di accessi dopo Cina e Usa”.

Troppa pigrizia verso l’adv on line

Una raccomandazione è arrivata da Pavone: “Le operazioni sui social media vanno misurate e, in ogni caso, prima di partire con una campagna di advertising, le aziende devono utilizzare le realtà dei social network come prezioso canale di ascolto”. Non è mancata, infine, una nota polemica: “C’è ancora, in Italia, una forte pigrizia verso forme di advertising creativo e contestualizzato. Le stesse agenzie creative, che spendono milioni di euro per girare uno spot dall’altra parte del mondo, quando devono investire sull’on line per un discorso di rilevanza del messaggio, di aderenza al target e di innovazione, pianificano un solo banner… è evidente che ci sia troppa pigrizia”. (Beh, buona giornata).

Chiara Pozzoli

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