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Non tornare a casa, Lassie.

Secondo una inchiesta svolta negli Usa, sembrerebbe che la maggior parte dei possessori di animali domestici diano abitualmente il Prozac ai loro beniamini.

Costretti a una vita stressata nelle grandi città, pare che cani e gatti assumano gli atteggiamenti tipici degli esseri umani: stress, aggressività, inappetenza, svogliatezza sessuale, apatia. Insomma, uno si piglia un cane per non vivere solo come un cane e lo droga perché gli rompe le palle. Un’idea bestiale. Che è, in entrambi i casi un atteggiamento psicotico.

D’altronde, se nel mondo 121 milioni di persone, secondo i dati diffusi dall’ Organizzazione mondiale della sanità nel 2006, sono affette dal male oscuro, la depressione, perché dovrebbero esserne immuni quegli esseri che a tutti i costi cerchiamo di plasmare a nostra immagine e somiglianza? Che poi è, a ben vedere, l’immagine peggiore che possiamo dare di noi esseri umani.

Gli americani la chiamano la “New Prozac Nation”, un piccolo esercito silenzioso di bestiole sconquassate che a un certo punto mostrano, a modo loro, di aver bisogno d’aiuto. In questi casi, la nuova frontiera della veterinaria si chiama Prozac, Buspar, amitriptilina, clomipramina.

L’ossessione umano-centrica che dimostriamo ogni giorni nel nostro agire nel pianeta, con le gravi e forse irreparabili conseguenze per la vita stessa del pianeta, si scatena nei confronti degli animali domestici, tingendo di grottesco il dramma di vite in balia dell’andamento del mercato, dell’accumulazione di reddito, della schiavitù dei consumi.

Con l’aggravante che i tranquillanti sono costosi, spesso richiedono la ricetta medica, e quindi ci danno l’idea di essere molto premurosi nei confronti degli animali. Tipico dei picchiatelli, che credono che quelli strani sono sempre gli altri. E si danno un gran da fare per peggiorare le cose.

Se il cane è il migliore amico dell’uomo, l’uomo è diventato il peggiore nemico del cane, del gatto, del cavallo, e anche del canarino. Col cavolo che i piccoli della carica dei 101 tornerebbero a casa, se sapessero che gli aspetta.

Quanto a Lassie, per favore, non tornare a casa, che quelli ti drogano. Beh, buona giornata.

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Gli indesiderabili.

Margherita Hack, astrofisica, Edoardo Sanguineti, scrittore e poeta, Alda Merini, poetessa e il premio Nobel Rita Levi Montalcini, sono stati esclusi dal Festival di Sanremo.

Dj Francesco, il figlio di uno dei Pooh è stato ammesso col padre Roby. Il figlio di Al Bano è stato ammesso, insieme a papà. Forse perché si chiama Yari, come un famoso modello di automobile giapponese.

Insomma, la fotografia del Festival è identica a un certo modello di Paese: i figli di papà fanno carriera, gli altri se la devono sudare. Certo lascia perplessi che quattro famose personalità della scienza e della cultura si siano dedicate, sia pur per l’occasione, alle canzonette. Ma se è vero, come sostiene Baudo, che il Festival è un episodio della cultura popolare italiana, non si capisce perché non sia lecito cimentarsi con le note.

Ma è veramente strano e singolare che due scienziati e due poeti non siano all’altezza della tv nazional popolare. La qual cosa è ancora più strana, se si pensa che si tratta di una manifestazione canora, allestita da Rai Uno, l’ammiraglia della tv pubblica. Sbattere la porta in faccia a uomini e donne di scienza e di cultura è un pessimo segnale. Si parla tanto di come dovrebbe essere la tv pubblica prossima ventura e nel frattempo la si ricaccia nel passato.

E’ come quelle decalcomanie che si mettono nelle vetrine, in cui c’è scritto “io non posso entrare”. Anche, se sembrerebbe essere tutto il contrario: qualche cane è pur stato ammesso.

Il giudizio della commissione è inappellabile, anche perché non ci è dato di sapere, o meglio di sentire, le canzoni escluse. Non ci rimane che prendere atto che la cultura e gli uomini di cultura è meglio stiano alla larga dalla tv.

A meno che non vengano invitati a “Sottovoce” o, meglio a “Cinematografo”, i programmi televisivi condotti dal capo della cultura della Rai, il signor Gigi Marzullo. Beh, buona giornata.

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C’è un futuro tutto da pensare.

E’ scientificamente provato che possiamo pensare il futuro, immaginarlo e, quindi, che abbiamo la possibilità di rendere concreta la realizzazione dei nostri sogni. La scoperta si deve a Karl Szpunar del Department of Psychology presso la Washington University con sede a St. Louis ed è stata resa nota sulla rivista dell’Accademia Americana delle Scienze PNAS.

Il cervello umano può ‘predire’ il futuro dandoci un’immagine mentale di quel che accadrà e la sua ‘sfera di cristallo’ è alloggiata in un set di circuiti neuronali quali una porzione della corteccia laterale sinistra e una parte del cervelletto, e anche nella parte posteriore del cervello.

E’ la prima volta in assoluto che si associano delle regioni cerebrali alla capacità unicamente umana di ‘vedere nel futuro’, ossia di immaginare eventi che ci riguardano in prima persona e fare proiezioni sulle conseguenze delle nostre azioni.

Altro che sesto senso, per costruire il futuro ci vuole cervello, e la sua capacità di predire gli eventi nell’immediato. Vuoi vedere che se immaginiamo un’Italia senza oligarchie della politica, quello si avvera? Se immaginiamo una tv senza Fede, Vespa e Marzullo, magari cambia il palinsesto? Se immaginiamo una pubblicità senza testimonial sgangherati, magari va in onda?

E magari, prendendoci gusto a immaginare il nostro futuro, potremmo anche sforzarci di vedere un lavoro senza precariato, un Paese senza xenofobia, un Parlamento senza pregiudicati, un’opposizione senza Berlusconi, una maggioranza senza Mastella. E se uniamo le forze, quelle celebrali e ci mettessimo tutti insieme a pensare forte, forse potremmo avere un Paese migliore, e un altro mondo possibile.

E allora, meditiamo, gente, meditiamo. Beh, buona giornata.

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La bufala delle nevi.

Piccola storia di una bufala. Eccola: “Numerosi gli incidenti sugli sci a S.Silvestro in Trentino Alto Adige: tra i feriti anche il comico Claudio Bisio. Ieri pomeriggio si è presentato al pronto soccorso dell’ospedale di Bolzano. Stretto riserbo sulla sua prognosi.” L’agenzia Ansa batte questa notizia alle 14,38 del 1 Gennaio 2007. Ma è, appunto una bufala.

Alle 16 e 48 della stesso giorno, l’Ansa corregge:” Bisio, dato per ferito sugli sci in Alto Adige, sarebbe invece in Marocco. Il tutto è nato da un equivoco all’ospedale di Bolzano, dove ieri è stato visitato per traumi da sci un omonimo del comico. Lo stretto riserbo dei medici è stato interpretato dai giornalisti come conferma che si trattava del comico ligure, ma ad un più approfondito controllo della notizia è emerso che il Claudio Bisio infortunato è un omonimo romano.”

Tutto bene quello che finisce bene? No. La bufala è stato ripresa senza il minimo indugio da molte altre fonti di informazione, in modo acritico, inconsapevole, credulone, dunque, colpevole.

Il 2007 nasce all’insegna di un giornalismo improvvisato e un poco cialtrone. Se c’è stato uno scambio di persona vuol dire che nessuno ha controllato. Se i medici anno dichiarato “stretto riserbo” hanno semplicemente esercitato il dovere della privacy del paziente.

C’è anche una buona dose di cinismo e maleducazione, visto che il signor Bisio che si è fatto male è una persona in carne e ossa, alcune delle quali si sono fratturate. Le persone valgono meno dei personaggi? A lui neanche scuse e auguri di pronta guarigione, visto che da un letto d’ospedale è finito per sbaglio agli onori della cronaca?

E poi, chi è omonimo di chi? Claudio Bisio da Genova è meglio di Claudio Bisio da Roma? Troppo facile sostenere la tesi dello “scivolone” dell’Agenzia Ansa, e, come in una reazione a catena delle altre fonti che hanno amplificato la bufala, soprattutto perché nell’incidente uno si è fatto male sul serio, l’altro ne ha forse ricavato un poco di notorietà indesiderata: perché tutti devono venire a conoscenza che se ne stava per i fatti suoi in Marocco?

A questo punto, sarebbe bello sapere che ne pensa Boris Biancheri, presidente dell’Ansa, ma anche presidente della Fieg, la federazione degli editori che non firma, non vuole firmare il rinnovo del contratto dei giornalisti. Non ne vogliono neanche sentirne parlare, nonostante gli appelli del Governo a sedersi, almeno, attorno a un tavolo.

E’ questo il nuovo modello di giornalismo che tanto si vuole imporre ai giornalisti e, di conseguenza, ai lettori e all’opinione pubblica italiana? Beh, buona giornata.

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Il danno collaterale dell’esecuzione capitale.

La morte in diretta fa male ai bambini, più del wrestling, più della play-station. Un bambino pachistano di 9 anni è morto nel tentativo di imitare, con l’aiuto della sorella più grande di lui di un anno, l’impiccagione di Saddam Hussein, di cui avevano visto il filmato. Lo riferisce l’agenzia di stampa italiana AGI.

E’ accaduto in un villaggio del distretto di Rahim Yar Khan. La piccola vittima si chiamava Mubashar Ali. I genitori stavano vedendo il filmato dell’esecuzione in televisione, mentre i bambini giocavano nella stanza accanto. “Mia moglie e la sorella sono corse nella stanza quando la bambina a gridato aiuto, ma Mubashar era già morto”, ha raccontato il padre. Ecco che la spettacolorizzazione della pena di morte ha avuto la sua vittima.

Ecco che il filmato macabro, orribile e sadico dell’esecuzione di Saddam Hussein, mandato in onda in continuazione dalle tv di tutto il mondo ha avuto la sua vittima collaterale. E’ stata una impiccagione pubblica, in mondovisione.

Ha fatto irruzione nelle nostre case senza mediazione, senza filtro, senza pudore. Con l’aggiunta del disgustoso compiacimento dell’inquilino della Casa Bianca, che ha cercato e voluto lo scoop per dimostrare che lui, il comandante in capo, la guerra la vince. Ad ogni costo.

Qualcuno ha detto che la prima vittima della guerra è l’innocenza. L’innocenza di Mubashar Ali è stata falciata della guerra mondiale mediatica, e dalla tv che ha mostrato minuziosamente, con meticolosa dovizia di particolari come si impicca un uomo.

La democrazia da esportazione, la guerra di civiltà, la pena di morte in diretta possono avere effetti collaterali indesiderati. Consultate il foglietto illustrativo, tenete lontano dalla portata dei bambini. Qualche minuto di pubblicità, non cambiate canale, rimanete con noi. Beh, buona giornata.

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L’anno che verrà doveva gia essere qua.

Il 2006 si chiude nel peggiore dei modi con il cappio al collo di Saddam Hussein, esecuzione capitale spettacolarizzata, macabra e sadica e per questo sbagliata e pericolosa, come sbagliata e pericolosa è la politica estera dell’era Bush.

Quello che si chiude è stato un anno brutto, a volte feroce a volte fesso. E’ stato l’anno della fine del governo Berlusconi, ma non della fine del berlusconismo, che a fatto terra bruciata del diritto, della politica, della tv, della pubblicità, del cinema e della cultura.

E’ stato l’anno del ritiro delle truppe italiane in Iraq, ma del rifinanziamento della missione in Afghanistan. E’ stato l’anno dei giornalisti spioni, l’anno dei Betulla, dei Pio Pompa, degli Scaramella e del Polonio 210.

E’ stato l’anno di Vallettopoli, di quel modo di andar per il Sottile sulla Rai, terra di conquista della Cdl, tra sesso e potere. E’ stato l’anno delle bravate di un Savoia, che, tra puttane e slot-machine ha disonorato la benevolenza del Parlamento che revocò il divieto costituzionale di rientrare in Italia per i discendenti maschi dell’ex Re.

E’ stato l’anno della ripresa delle attività criminali a Napoli, delle manifestazioni dei ricchi al Billioneire per non pagare le tasse e delle manifestazioni delle corporazioni dei tassisti, dei commercialisti, dei panettieri e degli avvocati. E’ stato l’anno del muro contro muro tra editori e giornalisti.

E’ stato l’anno dell’Indulto, cui hanno beneficiato Previti e sodali. E’ stato l’anno dello strapotere dell’Auditel, della cultura nella tv pubblica affidata a Marzullo, dell’ennesimo libro di Bruno Vespa. E’ stato l’anno dei cinepanettoni, della folla di testimonial negli spot, dei filmati sul bullismo inviati su Internet. E’ stato l’anno del precariato, del lavoro nero, dello sfruttamento e la schiavitù dell’immigrazione clandestina.

E’ stato l’anno delle vignette su Maometto e della gaffe anti-musulmana del Papa a Ratisbona. E’ stato l’anno della mattanza estiva di immigrati nelle acque della Sicilia. E’ stato l’anno degli insulti in Parlamento contro un deputato transgender e della misericordia negata dal Vicariato di Roma a Piergiorgio Welby.

L’anno che si conclude vedrà ancora tre italiani rapiti in Nigeria, atto di accusa contro l’Eni che, al pari di tutte le compagnie petrolifere, sfrutta un paese africano, per via del petrolio. Contemporaneamente, è stato l’anno del record del prezzo della benzina.

Non rimpiangiamo il 2006, se ve vada al diavolo. I nostri occhi sono puntanti sul 2007, perché ha una montagna di problemi da risolvere. Lo faccia presto e bene, perché oltre gli occhi punteremo il dito accusatore contro ogni forma di pessimo spettacolo della politica, della cultura, dell’economia, della tv, della pubblicità e del cinema. L’anno che verrà doveva gia essere qua da un pezzo. Speriamo recuperi i ritardi. Beh, buona giornata.

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Contro il tecnostress, quali cure possibili?

E’ nata una nuova malattia, una patologia di massa, una vera e propria pandemia. Si chiama “tecnostress”: provoca ansia, insonnia o mal di testa.

Negli Stati Uniti il problema ha assunto dimensioni sociali e, secondo le stime più recenti, milioni di persone sono state interessate da questa sorta di “tossicodipendenza” nei confronti delle tecnologie, che ha fatto emergere, in oltre il 50% dei casi, gravi forme di sconforto, evidenziate da malesseri come agitazione, problemi cervicali e insonnia.

La notizia di questa nuova epidemia non viene da un giornale scientifico, ma dalla cronaca giudiziaria. Infatti, il procuratore aggiunto di Torino, Raffaele Guariniello, ha aperto un’ inchiesta sui call center torinesi per verificare le condizioni di lavoro degli addetti e in particolare se siano a rischio di contrarre malattie professionali legate alla loro attività, come il tecnostress, appunto, la nuova patologia che può colpire chi usa in modo diffuso le tecnologie informatiche.

Il tecnostress ha degli affetti collaterali, altrettanto letali: mobbing diffuso e tendenza al precariato cronico. Riuscirà il governo a diffondere in tempo il vaccino contro il tecnostress, cioè a varare in tempi rapidi la riforma della legge Biagi? Milioni di giovani pazienti stanno aspettando impazienti.
Beh, buona giornata.

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Alitalia, ultimo atto.

Lo spettacolo è finito: si chiude il sipario sulla farsa Alitalia, la sit-com più lunga del dopoguerra italiano. La compagnia di bandiera va sul mercato.“Quello che avevamo detto lo stiamo facendo”, dice Prodi. Per il “pubblico” pagante e per i passeggeri si apre una prospettiva non più passeggera.

Le offerte per rilevare una quota consistente di Alitalia dovranno essere presentate entro il 29 gennaio 2007. E’ quanto si legge nel bando di gara per la privatizzazione della compagnia, pubblicato sul sito del ministero del Tesoro.

E in cui si precisa che la quota in questione non deve essere inferiore al 30,1%, e non superiore al 49,9. “Quello che avevamo detto lo stiamo facendo”, ha detto il presidente del consiglio Romano Prodi. “Le procedure vanno avanti, non c’è nulla di nuovo”. In realtà, qualcosa di nuovo c’è. C’è che è calato, ma sarebbe meglio dire è crollato il sipario su una della peggiori farse, mai rappresentate in Italia.

E’ finita l’era della finanza creativa a spese del danaro pubblico e delle aspettative di un Paese moderno. Siamo a un nuovo inizio, che non si basa sulle qualità personali di un nuovo management, ma sulle prospettive finanziarie e, ciò che da più parti si chiedeva, sulla solidità di un piano industriale, capace di rilanciare, non solo l’azienda, ma il Paese che rappresenta.

Qualcuno ha detto che in Italia gli scandali non sono fatti, ma opinioni. E allora rimettere Alitalia sul mercato non è un’opinione, ma una fatto, capace da solo di fare giustizia di una lunga teoria di scandali. “Meglio una fine con terrore, che un terrore senza fine”, dice Paolo Maras, segretario nazionale del Trasposto Aereo del Sult, l’agguerrito sindacato di base, che ha dato filo da torcere in questi anni a tutti i manager che si sono cimentati con la farsa, Cimoli compreso.

“Il piano del governo è pieno di incognite-dice Maras-ma le incognite sono meglio della certezza dei fallimenti cui abbiamo dovuto assistere in questi anni.”

Una cosa appare chiara, non solo dalla vitalità del titolo Alitalia che è salito ieri nelle quotazione in Borsa. E’ finita l’epoca degli annunci, dei trucchi e delle boutade, ora il governo sembra deciso a fare sul serio e Prodi sembra aver assunto la piena consapevolezza di essere il rappresentate dell’azionista di maggioranza. La polpetta avvelenata che il governo precedente aveva lasciato a quello attuale non ha avuto gli effetti previsti.

E’ presto per dire come andrà a finire, perché siamo a un nuovo inizio. “L’Italia ha bisogno di Alitalia, non solo per trasportare persone e cose, ma anche per far viaggiare idee, cultura, imprenditorialità nel mondo e dal mondo” dice Maras.

Questa privatizzazione non è una via d’uscita dalla crisi, ma un via d’accesso a una nuova dimensione del trasporto aereo in Italia. Nella quale non sentirsi spettatori, ma protagonisti. Non più passeggeri, ma persone.Beh, buona giornata.

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Chi dorme non piglia peso.

Se vuoi perdere peso, non perdere sonno. Insomma, si può dimagrire dormendo: ecco il risultato pubblicato da un team di scienziati americani sull’ultimo numero dell’International Journal of Obesity.

Per chi non riesce ad ottenere risultati apprezzabili con lo jogging, il pilates, il kick-boxing, ecco il nuovo trend nato negli Usa per riprendersi dagli stravizi delle feste: dormire.

Per i nottambuli la raccomandazione è di spostare la tv fuori dalla camera da letto, consumare meno alcolici e caffeina e spengere il computer presto perché l’assenza di sonno induce a ingurgitare carboidrati e grassi.

E allora, invece di estenuanti diete, di sport scemi, solitari ed estremi un lunga dormita aiuta a vivere meglio e in salute. Non solo perché se dormi non mangi, non bevi, non fumi. Ma anche perché dormire ricarica le pile dello spirito, libera energie celebrali, costringe la mente a misurarsi con l’onirico, invece che con l’immaginifico indotto dal bombardamento mediatico.

Dormire fa calare la ciccia, perché dormendo si separa il fumo dall’arrosto: il fumo della spettacolarizzazione, degli effetti speciali, del frastuono dei suoni, dell’orgia delle immagini. E rimane l’arrosto della propria consapevolezza, dei propri desideri, e, chissà dei bisogni veri, e non più di quelli imposti, conculcati, offerti, suggeriti.

Certo dormire fa bene se i sogni sono alimentati da buone cose da sognare: un bel libro, un bel film, una bella musica, una bel tramonto, una buona cosa da gustare, una bella amicizia da coltivare, una bella donna da amare, un bel bambino da crescere, ma anche una bella tv e una arguta pubblicità aiuterebbero a fare sonni tranquilli.

Insomma, per dormire bene e a lungo bisogna essere tipi svegli.

Tanto per rimanere in tema con il risultato pubblicato dal team di scienziati americani sull’ultimo numero dell’International Journal of Obesity, grasso che cola sarebbe cominciare a eliminare dalla nostra vita la visione di quell’incubo ricorrente che da vent’anni ci minaccia il sonno ogni notte con la fatidica frase: “la vita è un sogno o i sogni aiutano a vivere meglio?”. Ecco un semplice proposito per l’anno nuovo. Beh, buona giornata.

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Il Fantasma del palcoscenico.

Se la politica è un teatrino, quella che è andata in onda ieri è stata l’apparizione televisiva del Fantasma del palcoscenico. Nella conferenza stampa di fine anno, Romano Prodi si è presentato di fronte ai giornalisti e andato in diretta sul Tg Uno.
Il bilancio di fine anno del premier è riconducibile a due parole chiave: “Eredità pesante e stop al declino”.
Dice il presidente del Consiglio: “Abbiamo dato alle imprese degli incentivi fortissimi: 5 mld nel 2007 e 9 miliardi nel 2008. E’ uno sforzo che mai nessuna finanziaria ha fatto”. Che ha aggiunto: “Fare crescere l’Italia è progetto unificante di questo governo”.

Secondo Prodi, il governo porterà il Paese all’avanguardia di tutti i paesi europei. Obiettivi 2007: semplificazione delle procedure burocratiche per aprire azienda in un giorno. Politica ambientale, problema di sopravvivenza e qualità della vita nelle città. Battere i privilegi, dare una scossa al sistema produttivo, togliere ogni riparo e rendita di posizione a chi vuole sfuggire alla concorrenza del mercato.

Sempre secondo Prodi, il governo precedente non è stato in grado di contrastare declino, “la crescita si sta avvertendo, ma senso di fiducia del Paese non è ripreso. Da troppo tempo siamo abituati a arretrare in classifiche della politica. Però avverto con chiarezza segnali confortanti.”

La conferenza stampa è andata avanti per un oretta e mezza, un poco grigia e seriosa, a parte alcune domande infantili, forse giustificate dal luogo, il San Michele a Ripa, che una volta era il carcere minorile della Capitale.

Lo stile di Prodi è inconfutabilmente tutto il contrario della spettacolarizzazione della politica. La qual cosa disorienta i cronisti, a caccia di frasi d’effetto con cui condire i pastoni politici, come si chiamano in gergo. Forse disorienta anche i telespettatori.

Il fatto è che Prodi parla, non recita. Dice non esagera. E per questo viene spesso accusato di non saper comunicare. Rispetto al precedente governo, abbiamo un completo rovesciamento di tono di voce, di registro espressivo, di plot narrativo.

Per anni si è invocato il fantasma di un governo capace al limite dell’impopolarità. E adesso che ce l’abbiamo, almeno l’impopolarità, storciamo il naso, infastiditi e un poco delusi.

L’inversione di tendenza del declino passa attraverso una crisi d’astinenza della politica come intrattenimento, spot, reality show. Alla fine guariranno la politica, la tv e, perché no?, anche la pubblicità. Beh, buona giornata.

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Una questione di vita e di morte.

La notizia della morte di Piergiorgio Welby arriva che i giornali hanno ancora la vecchia notizia. La notizia la batte il Televideo. Quella notizia viene data in prima mattinata da un tg delle reti pubbliche: le immagini mostrano, oltre il suo corpo su un letto d’ospedale, anche la ripresa del citofono della sua abitazione. Sotto il nome scritto sul campanello, P. Welby, ce n’è un altro, di un altro inquilino, proprio sotto: La morte.

Ed ecco che esplode in tutta la sua drammaticità il tema della morte come esercizio di un diritto civile, innominabile, osteggiato, intriso di moralismo e ipocrisia.

Forse un uomo, che non ha il diritto di scegliere dove, come e per merito di chi viene al mondo, può avere il diritto di scegliere come, dove e con chi vuole vivere. Ed estendere questo diritto anche al come vuole cessare la propria esistenza in vita. Insomma, la libertà è di vivere e di morire in pace con se stessi, con i propri principi, prima ancora che con le esigenze morali degli altri.

Non solo la religione, le religioni, ma il cinema, il teatro, la letteratura, la pittura, la poesia e tutte le forme della creatività espressiva degli uomini si sono misurate e si misurano con il tema della morte.

E’ il caso di citare un esempio letterario. Ne “Il profumo” di Patrick Suskind, di cui è stata fatta una recente riduzione cinematografica, il protagonista si farà sbranare, come rivincita della sua malevolenza nei confronti degli altri, per sopravvivere all’odio che reca verso il mondo.

Ne “Le voci del mondo” di Robert Schneider, il protagonista affronterà la morte come sconfitta per non essere riuscito a farsi amare dalla persona amata. Due distinte, contrapposte visioni della morte, come ebbe a scrivere Elias Canetti, premio Nobel per la letteratura nel 1981 proprio a Schneider.

Piergiorgio Welby ha voluto andarsene come il protagonista di Schneider, ma la polemica attorno al suo caso lo vorrebbe come il personaggio di Suskind. Non è giusto.

Il un paese in cui la spettacolarità indotta dalla eccessiva invadenza della tv nella nostra vita fa si che la gente applaude ai funerali, perché così viene meglio in tv, sarebbe utile e giusto il silenzio che si deve a chi diparte per l’ultima dimora. Un silenzio propedeutico alla riflessione, al ricordo, all’esercizio della memoria, che è l’unico concreto modo per l’immortalità della presenza delle persone, oltre la loro vita.

Un poco di silenzio gioverebbe a capire che Piergiorgio Welby si è preso una rivincita contro chi lo voleva un malato, invece che un essere umano. Beh, buona giornata.

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Media e tecnologia

The show must go off.

Il Natale della pubblicità italiana è triste e un po’ scemo. E’ lo specchio di una classe imprenditoriale che forse legge i dati Auditel, forse, ma non legge i dati economici.

La ripresa economica è ricominciata: sono aumentati i valori della produzione industriale, sono aumentati gli indici della propensione ai consumi.

Ma la pubblicità è rimasta indietro, molto indietro, arretrata come i testicoli del cane. E’ al palo della tv, sirena incantatrice della passata gestione della cosa pubblica e finanziaria, di quel governo che credeva bastasse fare spot in cui uno diceva “grazie” a chi comprava qualcosa.

Sciocca mossa propagandistica del governo Berlusconi, cui si accodò Upa, l’unione pubblicitari associati, la “confindustria” delle aziende che investono in pubblicità, guidata da Giulio Malgara, che è anche il presidente di Auditel, e che fu addirittura candidato a presidente Rai..

E allora succede che la spettacolarizzazione della pubblicità produce effetti scemi: non basta più un testimonial, ce ne vogliono un tot per spot. Esemplare, nella sua triste apparizione sugli schermi della nostre tv, il caso Tim: quattro testimonial, tutti insieme disperatamente.

Tra cui spicca, malgrado lei, o almeno si spera, Sophia Loren, vestita da suora, ma gravemente deturpata da una regia senza scrupoli e da un serial killer della fotografia, che dice quello che pensano tutti quelli che hanno visto quel triste spettacolino natalizio: è proprio una schifezza.

Metafora della pubblicità italiana? O più semplicemente autoironia involontaria, maldestra (più destra che mal) e per questo sublime nella sua inconfessabile verità, che, come l’erba sotto l’asfalto, salta agli occhi di ha dovuto subire la serialità ossessiva della sua ripetizione televisiva.

Qui non si tratta di parlare male della pubblicità, cosa che fanno in molti, in troppi, per vile compiacenza a un luogo comune. Qui si tratta di sottolineare che se una delle più importanti aziende italiane fa pessima pubblicità c’è qualcosa che non va.

Non solo fa rima, ma fa anche pensare al fatto che la creatività pubblicitaria italiana merita interlocutori più intelligenti, meno legati al carro della tv spazzatura, e più attenti all’etica della comunicazione di massa.

Il che è un altro modo per dire che “the show must go off”. Beh, buona giornata.

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Quasi-quasi.

Quasi stupefacente la notizia seguente, diffusa dall’Ansa il 25 Novembre, alle 18,10:”Loredana Lecciso ha quasi detto che sarebbe disposta a tornare con Albano o, almeno, a fare l’amore con il cantante.”

Lecciso ha quasi detto: meraviglioso, sublime, sensazionale quel quasi. Nell’epoca di berlusconiana memoria, in cui all’affermazione corrispondeva simmetricamente la smentita, il concetto del “quasi detto” è un vero avvenimento mediatico, non ha precedenti.

Non perché non si sia mai verificato: la quasi notizia è la notizia del giorno. In realtà, è tutto quasi-quasi, oggigiorno.

Abbiamo un quasi governo e una quasi opposizione; una quasi guerra e un quasi pacifismo. La convivenza è una quasi famiglia.

Il precariato è un quasi lavoro. Il corteggiamento una quasi molestia. Berlusconi ha avuto un quasi malore. La tv italiana fa quasi pena, i dati Auditel sono quasi veri, la pubblicità italiana è quasi advertising. Dice: abbiamo scoperto l’approccio olistico nella comunicazione. Però, quasi.

Beh, buona giornata.

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Ma chi si crede di essere, Berlinguer?

A Montecatini Terme è andata in onda la recita di Natale. Berlusconi ha simulato il malore del leader supremo.

Soccorso dai sindaci Scapagnini e Papaccioli si è subito ripreso. Uno spot per la manifestazione del 2 dicembre? Una strategia della difesa per il processo Mills? Un chiamarsi fuori, per manifesta inferiorità fisica per lo scandalo delle schede bianche? O un messaggio a Casini: Pierferdi, tu quoque? Sta volta la diretta di Sky ha tradito il guitto, i suoi occhi mentre simulava lo svenimento era vigili: tutto troppo perfetto per essere vero.
Lo hanno tradito, nell’ordine: Scapagnini che gli sentiva il polso, in piedi vicino al palchetto e la guardia del corpo che gli diceva: si lasci, si lasci. (Vatti a fidare delle comparse, mo quelli mi lasciano e io sbatto il culo per terra per davvero).

La battaglia è persa e con la battaglia anche la guerra: il malore è il trucco di Alberto Sordi agli esami di stato. In politica, in economia, nelle elezioni, nelle televisioni, nel calcio, e anche nella leadership del centro destra, i nodi sono venuti al pettine: il trapianto dei capelli non serve, la calvizie è nel consenso.

E’ finita un epoca. I martiri si ritirino a Villa San Martino. Per il centro-destra si preparano tempi Fini.
Beh, buona giornata.

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Che casino.

Pare che l’ex campione di boxe dei pesi massimi, Mike Tyson lavorerà in un bordello nel Nevada, lo stato americano che ospita Las Vegas, la città del gioco d’azzardo legalizzato.

Sembra un barzelletta, ma la notizia viene data per vera. Morsicatore professionale di orecchie sul ring, ex detenuto ed ex vincente, indebitato fino al collo (e che collo!), Tyson nel 2003 dichiara bancarotta, non essendo più in grado di far fronte ai debiti, che ammontano a 38 milioni di dollari, dopo aver dilapidato, pare, i 400 milioni guadagnati durante la sua carriera. Come dire che il sogno americano si è trasformato in un incubo da cui è difficile svegliarsi. Farà causa a Don King, il patron del pugilato americano per 100 milioni di dollari, ottenendo solo 14 milioni di risarcimento.

Tyson ci ha abituato negli ultimi tempi a stupire, ma sarebbe meglio dire infastidirci con le sue storie di sesso violento, a volte anche fasulle: un paio d’anni fa successe anche durante una sua visita in Italia. Ma questa volta l’ha fatta davvero grossa, accettando un lavoro in un bordello.

Forse è nei casini, dopo aver accantonato definitivamente l’idea di un ritorno alla grande sulla scena pugilistica mondiale. Fatto sta che Tyson avrebbe accettato la proposta di lavorare in un bordello di lusso della altrettanto famosa Heidi Fleiss, la cosiddetta “Madam Hollywood”, specializzata nel procurare prostitute d’alta classe a clienti miliardari per poi ricattarli minacciandoli di rendere pubblici i loro sfizi segreti. Pubblicò anche un libro sull’argomento.

Quello che non si capisce è con quale incarico è stato ingaggiato Iron Mike o forse si capisce: quello del midnight cowboy. Come dire, una carriera andata a puttane.

Tutto sommato è una storia triste: liberatosi dal suo protettore, Don King oggi si ritrova nelle grinfie di una mezzana. Non sapendo come farsi pubblicità, Heidi Fleiss ha scelto un testimonial, come succede molto spesso anche da noi quando nella pubblicità non si sa come accontentare i clienti.

Che casino: tutto il mondo è paese. Beh, buona giornata.

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Che peccato.

E’ morto a Los Angeles Robert Altman. Il regista di Mash, Nashville, America Oggi, Pret a Porter, Gosford Park e da ultimo Radio America, aveva 81 anni e nel 2006 aveva ricevuto l’Oscar alla carriera.

“Mash” fu il suo primo film che vidi. Era l’epoca della guerra in Vietnam e vedere una parodia della guerra in quei momenti così brutti dava il senso allegro della genialità.

Anni dopo, nacque la mia prima figlia, Martina e una della canzoni di “Nashville” divenne la sua canzone: “I’m easy.”

Pensiamo spesso male della cinematografia americana, troppo roboante e commerciale. Una volta venne in Italia John Landis, quello dei “Blues Brothers” e di “Lupo mannaro americano a Londra.” Disse che spesso noi europei ce l’abbiamo con i film americani, che monopolizzano le sale, togliendo spazio ai film d’autore. Disse che era vero, ma che quello che generalmente chiamiamo film americano è in realtà un film internazionale, un prodotto commerciale di intrattenimento, nato per tirare su molti dollari, in tanti mercati locali. E che questo modo di concepire il cinema come business sbanca- botteghini penalizzava anche il cinema d’autore americano.

Se è vero quanto dice Landis, con la scomparsa di Altman, il cinema americano ha perso un autore, noi altri buoni film americani. Che peccato. Beh, buona giornata.

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Quando il bullo è il preside.

La preside di un istituto scolastico genovese minaccia di sospendere due studenti sorpresi a baciarsi davanti al portone della scuola. E in segno di protesta, i compagni di classe si rifiutano di frequentare le lezioni, restando cinque ore nel corridoio.

Il fatto, come riportato dal quotidiano ‘Secolo XIX’, è avvenuto nella succursale di Voltri dell’Istituto tecnico per il commercio ‘Carlo Rosselli’. L’effusione non e’ piaciuta alla preside che li ha subito convocati e minacciati di sospensione.

Ecco un esempio di bullismo di una preside, che se la prende con un gesto d’amore in momento nel quale troppi gesti di violenza nelle scuole sono balzati agli onori della cronaca.

Ecco un altro esempio della stupidità degli adulti cui fa da contraltare il bel gesto collettivo dei compagni di scuola dei due giovani innamorati.

Baciarsi davanti al portone di scuola: signora preside, lo sa che cos’è la gioia di vivere? O se l’è bello e dimenticato? Forse ha qualcosa da imparare dai suoi studenti: coraggio, non è mai troppo tardi. Beh, buona giornata.

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Chiamate il Telefono maturo.

Eurispes e Telefono azzurro hanno presentato il rapporto sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza, frutto di un’inchiesta realizzata su 1.242 adolescenti di età 12-19 anni.

Secondo i dati diffusi, il 70,8% degli adolescenti è poco (33,2%) o per niente (37,6%) interessato alla politica. Solo circa il 7% ne è attratto. Il 53,7% ammette però di capirla poco o per niente. Il problema riguarda i contenuti ma anche la comunicazione: più dei 2/3 dei giovani pensa che i politici siano poco (45%) o per nulla (24%) chiari. C’é poi un problema di affidabilità dei politici: il 71,3% nutre poca (41,7%) o per niente (29,6%) fiducia. Su questo punto, cioè il rapporto con la politica e su come la politica comunica sembrerebbe che i nostri adolescenti siano molto maturi: tutto quello che hanno detto di pensare è semplicemente vero.

Sempre secondo i dati resi noti dalla ricerca di Eurispes e Telefono Azzurro, il 56,4% dei ragazzi vede da 1 a 3 ore; il 13,1% da 4 a 5 ore, il 5,6% per più di 5 ore. Nell’ 83,9% si tratta di una fruizione senza alcun controllo da parte degli adulti. La tv si vede per passare il tempo (46,4%) o per divertirsi (22,6%). Il 13,3% è spinto dal desiderio di essere informato; l’8,4% sostiene che la Tv gli fa compagnia. I programmi più visti sono i film (95,4%), i tg ed i programmi di informazione (70,6%), i programmi comici e di satira (70,2%), i cartoni (64,1%), i programmi musicali ed i varietà (63,4%). La metà dei ragazzi (50,9%) segue in Tv i reality show. In considerazione delle alte percentuali dedicate ai programmi di informazione e a quelli di satira, sembrerebbe che in questo caso gli adolescenti siano addirittura più maturi degli adulti.

Il 93,3% degli adolescenti utilizza il computer, percentuale in cresciuta rispetto al 2005 (89,4%). Il 13,7% degli adolescenti non si collega mai ad Internet. Sul Web si cercano soprattutto informazioni (88,6%) e materiale per lo studio (81,2%). Estremamente diffuso inoltre il download dal Web di musica, film, giochi o video (73,8%). Qui siamo al paradosso: attraverso Internet si cercano informazioni e materiali per lo studio. Che se lo facessero anche i loro padri e madri forse le cose andrebbero meglio, nella politica, nella tv e nella società in genere.

Ciò che se ricava, insomma è che i ragazzi sono migliori degli adulti. Il che in generale è sempre una buona cosa, ma che in particolare pone una domanda: i ragazzi sono così impegnati che non sembrano avere tempo per chiamare il Telefono azzurro.

Proporrei di istituire il Telefono Maturo: questo sì sarebbe utile agli adulti per crescere, per imparare a finirla di far finta di preoccuparsi dei ragazzi, di criticarli e di demotivarli, attraverso i mille trucchi dell’ipocrisia. Invece di preoccuparci di loro, dovremmo preoccuparci di noi: abbiamo accettato un mondo che non siamo stati capaci di cambiare. Guardiamo i ragazzi dal buco della serratura e non ci accorgiamo che sono loro che ci stanno studiando. Beh, buona giornata.

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Media e tecnologia

Air Adv.

Lele Panzeri ha lanciato con successo e divertimento Air Guitar, chi vuole può vedere un brano della serata suYouTube.

Cosa è successo? Che creativi di ogni ordine e grado, dalla pubblicità ai mestieri limitrofi, ma forse è proprio la pubblicità a essere oramai diventata limitrofa alla creatività, si sono esibiti facendo finta di suonare la chitarra.

Ne è uscita fuori una storia piena di sano divertimento, uno sberleffo, uno sghignazzo. Una serata forte, ritmica, epilettica. Vedere per credere: http://www.youtube.com/watch?v=0jnatde_uw0

La qual cosa ha assunto, forse inconsapevolmente, e qui sta il bello, il significato di una metafora: da qualche tempo a questa parte, i creativi pubblicitari fanno air-advertising.

Mettono le mani sulla tastiera del computer, ma la strategia è stata già pensata, mettono le mani sul layout, ma l’art direction viene dettata, prendono la penna e fanno finta di scrivere titoli già predefiniti, suggeriti, per non dire imposti.

La differenza è che l’air guitar di Lele Panzeri è stato un evento sorprendente, quello che succede tutti i giorni nei reparti creativi è invece noioso, banale, convenzionale, conservativo, alquanto deprimente.

Perché alla fine è air-fritta. Beh, buona giornata.

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Quando la notizia è più forte del commento.

Elezioni, ecco le “porcate” che hanno truccato il voto – di Stefano Corradino
Mercoledì, 15 novembre 2006

Un “grande broglio” per danneggiare il centrosinistra. A tutto vantaggio di Forza Italia. È la tesi formulata dal dvd che uscira’ nelle edicole il 24 novembre accluso al settimanale Diario, diretto da Enrico Deaglio. Un memorandum sulle elezioni di aprile firmata dallo stesso Deaglio e Beppe Cremagnani, con la regia di Ruben H. Oliva. Se il voto fosse stato regolare, e cosi’ non e’ stato afferma Deaglio – la maggioranza di centro sinistra avrebbe adesso 15-20 senatori in piu’'”.

“A sette mesi di distanza dalle elezioni del 9 e 10 aprile – afferma Deaglio – non sono ancora disponibili i dati del ministero dell’Interno sulle schede bianche. E noi invece li abbiamo trovati, e sono dati che fanno “saltare sulla sedia” perche’ sono assolutamente uguali in tutta Italia; e mentre crollano vertiginosamente le schede bianche, circa un milione e duecentomila rispetto alle elezioni di cinque anni fa, l’unico dato difforme riguarda Forza Italia che, rispetto agli exit pool cresceva molto oltre le previsioni, diciamo piu’ o meno con la stessa percentuale”.

“Uccidete la democrazia”. Hai dato un titolo piuttosto forte al dvd che sta per uscire. Parli di brogli alle elezioni del 9 e 10 aprile scorso. Come si sarebbero determinati?

Il film racconta cio’ che e’ avvenuto nella notte di lunedi’ 10 aprile scorso. Durante il conteggio dei voti, che avvenne per via telematica, il dato fu subito chiaro e cioe’ quello del crollo, – una cosa mai avvenuta nelle elezioni degli ultimi 50 anni – delle schede bianche e delle schede nulle. Un crollo verticale.

Quante?

Piu’ o meno un milione e duecentomila.

Ma non e’ un dato verificabile?

Dovrebbe esserlo. Ma a sette mesi di distanza dalle elezioni questi dati non sono mai stati rivelati dal ministero dell’Interno e noi, pertanto, i cittadini italiani, non sappiamo ancora definitivamente il risultato delle elezioni.

Piu’ di un milione di schede bianche. Si sono volatilizzate?

Dal ministero dell’Interno non abbiamo saputo niente. Qualcuno probabilmente lo sa ma se lo tiene per se. Ma noi quei dati li abbiamo trovati, e sono dati che fanno “saltare sulla sedia” perche’ sono assolutamente uguali in tutta Italia: le schede bianche stanno in una forbice tra l’1 e il 2 per cento.
E questo dal punto vista statistico, logico, matematico, e politico, e da qualunque punto di vista lo si guardi e’ una cosa non solo bizzarra, ma praticamente impossibile. E mentre si verificava quella notte il crollo delle schede bianche scoprivamo un altro particolare curioso.

Quale?
Che Forza Italia, cresceva molto di piu’ rispetto alle previsioni degli exit pool. Una crescita di circa un milione di voti…

Queste sono gia’ dichiarazioni esplosive. C’e’ dell’altro? Questa mattina, alla lettura della pagina sul Corriere in cui si parla del tuo dvd si sono levate gia’ numerose polemiche. E il dvd ancora non e’ uscito…

E’ tutto l’andamento del voto ad essere sospetto e noi lo abbiamo raccontato minuto per minuto. E cio’ comprende anche il comportamento dell’allora ministro dell’Interno: quella notte, per ben tre volte, invece di restare al Viminale, il ministro e’ uscito, piu’ o meno furtivamente, lasciando tutta l’organizzazione del conteggio dei voti ai suoi funzionari, per andare nella residenza privata del premier Berlusconi. E noi, sulla base delle informazioni in nostro possesso, raccontiamo con scrupolo cos’e’ successo in quella notte nel corso di quegli incontri così agitati”.

Qui si parla di brogli, ma alterare le schede non e’ una cosa cosi’ facile…

In realta lo e’. Siamo andati negli Usa a farci spiegare come si fa da un programmatore informatico che e’ stato il primo a denunciare i brogli elettorali in Florida; e lo ha fatto perche’ lui stesso ha costruito un meccanismo per alterare i dati. E ci siamo fatti anche spiegare come sarebbe stato possibile farlo anche in Italia.
Lui ci ha mostrato come, in trenta minuti, si puo’ creare un software per manipolare i dati e bastano 4-5 persone per gestirlo…

Allora, cosa si evince dal tuo docu-thriller? Chi e’ l’assassino della democrazia?

L’assassino e’ questo metodo. E’ questa legge elettorale che si presta a tantissime nefandezze e il sistema di trasmissione dei dati completamente avulso da qualsiasi tipo di controllo. Noi votiamo e poi c’e’ qualcuno che ci dice chi ha vinto le elezioni. Ma i cittadini non hanno alcuna possibilita’ di controllo.

La tua conclusione personale (e politica) ?

Se il voto fosse stato regolare a quest’ora la maggioranza di centro sinistra al Senato avrebbe dai 15 ai 20 senatori in piu’.

da www.articolo21.info

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