“Rinnovo il mio forte appello al governo e al parlamento afgano, alle ambasciate occidentali presenti a Kabul, alle Nazioni unite, alle organizzazioni non governative, ai colleghi giornalisti afgani e italiani, alle associazioni umanitarie perché facciano del tutto per ottenere il rilascio di Adjmal e di Rahmatullah. Vi ringrazio per l’immensa solidarietà che tutti voi mi avete trasmesso e l’affetto con cui avete accolto il mio rilascio.
Continuiamo la mobilitazione, con lo stesso impegno e con la stessa forza, fino a quando non saranno liberati anche i miei due amici.“ (Daniele Mastrogiacomo). Beh, buona giornata.
Autore: Marco Ferri
Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.
Alti e bassi.
Secondo uno studio recente non è vero che le persone più basse tendono ad essere più aggressive: la teoria del cosiddetto “Complesso di Napoleone” è stata smentita scientificamente. In effetti sono i più alti ad avere un’attitudine più violenta in situazioni di conflitto. La ricerca, pubblicata dai quotidiani londinesi, ha così sfatato un mito che, secondo un sondaggio, era diffusa tra circa l’80% della popolazione.
Lo studio è stato commissionato dal programma del canale televisivo Bbc3 “Fuck Off, I’m Small” (Fottiti, sono basso) alla University of Central Lancashire. I ricercatori hanno selezionato dieci uomini più bassi di 1 metro e 50 e altrettanti di statura media, e hanno creato della squadre, una dei basso e l’atra degli alti, coinvolgendole in un gioco, il ‘Chopstick Game’ (il gioco delle bacchette cinesi): in pratica ad ogni coppia veniva dato un bastoncino col quale dovevano duellare con gli altri. I dati raccolti grazie ad alcuni rilevatori del battito cardiaco hanno mostrato che i partecipanti più alti tendevano a reagire in modo più aggressivo. “I risultati hanno confermato che la ‘Sindrome del nano ‘ è solo un mito. Quando la gente vede una persona bassa che si comporta in modo violento pensa che ciò sia dovuto all’altezza. Ma in realtà è solo per attirare maggiormente l’attenzione”, ha commentato il dottor Mike Eslea, lo psicologo che ha guidato la ricerca.
Che un canale televisivo commissioni una ricerca “scientifica”, che si è svolta facendo fare a due squadre di pirla una battaglia a colpi di bacchette cinesi è quanto di più comico si possa avere, per confutare, l’altrettanto squinternata teoria del Complesso di Napoleone, teorizzata per la prima volta dallo storico Alfred Adler, secondo il quale i 158 centimetri del generale Bonaparte avrebbero giocato un ruolo essenziale nella formazione del suo carattere.
Diciamocelo: più che una bufala, sembra un’anticipazione del 1° Aprile, giorno fatidico del celeberrimo “Pesce d’Aprile”. Da noi questa tradizione si è un poco persa, forse perché viviamo in un paese che ha 365 pesci d’aprile l’anno.
Come dimostrano, a proposito di stature, di ricerche, e di canali televisivi, le ultime dichiarazioni del capo della minoranza: “”Se questo governo andrà a casa i più felici, dopo gli italiani, saranno proprio i nostri alleati”. Lo ha detto il presidente di Forza Italia che ha parlato a Reggio Calabria, riferendosi a Stati Uniti, Gran Bretagna e agli altri alleati dell’Italia sullo scenario internazionale.
La qual cosa è bizzarra, proprio dopo che il suo partito ha votato al Senato contro il finanziamento delle missioni militari italiane all’estero.
Come volevasi dimostrare: tra alti e bassi, noi il “pesce d’aprile” ce lo giochiamo come un jolly, ad ogni comizio elettorale. Beh, buona giornata.
I veri Talebani sono loro.
I veri Talebani non sono quelli che sono usciti dalle matrasse, le scuole coraniche nate in Pakistan e poi diventate, grazie ai dollari americani la palestra del fondamentalismo islamico, da scagliare contro i sovietici in Afghanistan.
I veri Talbani sono a Washington, a Londra, a alcuni di loro sono anche a Roma. Sono fedeli alla religione della guerra, intransigenti nella teoria dello scontro di civiltà, integralisti nello scontro di religione. Per loro è meglio un Baldoni ammazzato, un Calidari assassinato che un Mastrogiacomo vivo.
Eccola la logica perversa, vassalla, guerrafondaia, che si gioca sul terreno della politica, con la p minuscola, sempre e solo con la pelle degli altri. La vicenda di Daniele Mastrogiacomo ha dimostrato che la guerra al terrorismo è un bluff, che l’esportazione della democrazia una balla. I Talebani, quelli dell’Afghanistan hanno il controllo militare, dunque amministrativo e politico della grande maggioranza del territorio.
Karzai, che prima veniva descritto come il semplice sindaco di Kabul, ora sembra essere il semplice amministratore del condominio della truppe alleate, coinvolte in una guerra senza fondamento, senza prospettive, senza risultati. Con chi bisognava trattare la liberazione di Mastrogiacomo? Quali erano i rapporti di forza sul campo? Esattamente con i veri “padroni” di casa, quelli che hanno permesso la trattativa che ha portato alla liberazione di Mastrogiacomo. Per cui con i Talebani si è trattato, con successo.
Ma il punto è un altro. Se monta la rabbia nelle cancellerie occidentali, che si contrappone alla gioia per la liberazione del giornalista italiano è semplicemente perché questo episodio costringe tutti a guardare in faccia alla realtà, uscire dalla menzogna e dalle ambiguità: adesso bisogna avere il coraggio di dire la verità all’opinione pubblica. Vale a dire: cinque anni e mezzo di guerra in Afghanistan, tanto quanto durò la Seconda Guerra Mondiale sono stati un fallimento. Perché l’obiettivo non era sconfiggere il mullah Omar, ma attaccare poi l’Iraq e tentare di aggredire a breve l’Iran.
La guerra è la continuazione della politica, con altri mezzi, diceva von Clausewitz: e infatti, è proprio la continuazione del piano di Bush di presenza militare in quell’area del mondo, utile anche per mantenere sotto tiro l’Europa.
L’Italia non è isolata perché sta dalla parte della stragrande maggioranza dei cittadini europei, e da qualche mese anche americani che hanno capito il trucco di chi fa le guerre per non finirle e continuarne altre, e accenderne di nuove.
Non lo scordi Prodi, non lo rinneghi D’Alema: Daniele Mastrogiacomo è tornato tra noi, e noi siamo felici di essere con lui. Con lui vivo, siamo tutti più vivi. Beh, buona giornata.
Pessime notizie dal Censis, l’istituto di ricerca più attendibile d’Italia. Gli italiani sono i più arretrati tra gli europei (Francia, Gb, Spagna, Germania i paesi presi in esame oltre al nostro) nell’utilizzo dei media. E’ la diagnosi del sesto rapporto Censis-Ucsi che segnala come la dieta mediatica basata solo su tv, radio e cellulari, escludendo giornali, riviste, libri ed internet, è da noi seguita da ben il 28%. Contro il 24% degli spagnoli, il 19,2% dei francesi, l’8,8% dei tedeschi, l’8,5% dei britannici.
Ancor più preoccupante è che la quota di giovani che non legge e non usa internet: tra gli italiani il 14,4% (contro il 13,4% degli spagnoli, il 14,1% dei francesi, il 9,1% dei tedeschi, il 6,1% dei britannici) e alta è anche la percentuale di giovani italiani che hanno aggiunto a tv, radio e cellulari anche internet, continuando ad escludere la carta stampata (da noi l’11%, in Spagna e Gran Bretagna il 10%, in Francia addirittura il 20%, in Germania l’8,5%).
Dal rapporto Censis-Ucsi, gli italiani risultano ultimi tra quanti utilizzano tutti i media (dalla tv, ai libri ad internet): da noi sono il 23,2%, in Spagna il 33,4%,in Francia il 28,6%, in Germania il 37,3%, in Gran Bretagna il 46,4%.
L’urgenza di mettere mano alla riforma del sistema televisivo italiano a una concreta riforma della tv pubblica è diventata emergenza culturale, democratica, civica. Senza una corretta frequentazione con i media non c’è una corretta costruzione, personale e collettiva dell’opinione delle persone e dunque dell’opinione pubblica, quella che controlla, promuove e boccia il funzionamento di una società civile e democratica.
“In tv il giornalismo è diventato spettacolo di massa in cui l’effetto sostituisce il fatto e il culto del dramma uccide la riflessione. L’entertainment non è show, ma ‘peep show’, il voyeurismo ha preso il posto del quoziente di intelligenza”, ha detto giorni fa Jaques Séguéla, famoso pubblicitario francese, parlando della nostra tv, giorni or sono in un convegno in Italia.
In un paese nel quale non si leggono i giornali né libri, non si cercano informazioni via internet, non si cercano fonti diverse per conoscere la verità dei fatti, in un paese dove si parla per sentito dire (dalla tv), vince chi di tv ne ha di più, come abbiamo visto già succedere.
Comanda chi urla più forte e più volte al giorno, e attraverso la tv inocula il suo potere nelle menti, le inquina con i propri interessi economici e politici, forza e impone una visione unilaterale della realtà. Vince chi ti sbatte in faccia le sue opinioni, camuffandole da fatti, come una gragnola di sberle in faccia, che ti inebetiscono e non ti lasciano il tempo di giudicare. Cattura la tua attenzione, portandola il più lontano possibile dalla realtà.
Siamo nei guai seri, se non diciamo chiaramente: basta tanta tv, mai più questa tv. Beh, buona giornata.
Addio al mito “italiani, brava gente”. Anni e anni di utilizzo politico e mediatico dei succhi più acidi della pancia degli italiani, anni e anni di paura della diversità, sparsa a piene mani da chi andava in cerca del consenso politico, anni e anni dell’uso più sconcio della sicurezza, per allarmare le coscienze e renderle disponibili all’audience dei peggiori istinti hanno dato i loro frutti sperati, inseguiti, suggeriti, coartati, millantati, coltivati e finalmente diventati maturi: in Italia esiste il razzismo a danno delle comunità nomadi e di alcune categorie di immigrati.
Lo afferma il rapporto di Doudou Die’ne. Il Relatore speciale dell’Onu ha trovato “particolarmente allarmante” l’informazione ricevuta sugli episodi di schiavizzazione nel settore agricolo, delle condizioni di lavoro precario degli immigrati, dei lavoratori domestici e dell’alta incidenza della prostituzione. Die’ne ha anche lamentato l’assenza di accordi bilaterali con la comunità musulmana.
Incaricato di valutare i fenomeni del razzismo, della discriminazione sociale e della xenofobia, Doudou Die’ne ha effettuato una visita in Italia dal 9 al 13 ottobre scorso. Nel rapporto sulla situazione nel nostro Paese, il Relatore Speciale – sottolinea un comunicato del nostro ministero della Solidarietà sociale – ha trovato particolarmente allarmante l’informazione ricevuta in merito agli episodi di schiavizzazione nel settore agricolo, alla situazione delle donne migranti, alle condizioni di lavoro – precarie e fino ai limiti dell’abuso – dei lavoratori domestici, nonché l’alta incidenza della prostituzione.
Doudou Die’ne ha anche lamentato, oltre che l’assenza di accordi bilaterali con la comunità musulmana, vittima, fra l’altro, di atteggiamenti di particolare diffidenza se non di ostilità, ha, dunque, lamentato e anche fortemente criticato l’approccio della Legge Bossi-Fini che a suo parere ha posto l’accento più sulla sicurezza che sulla razionalizzazione del meccanismo dei flussi e sull’integrazione dei migranti.
La legge prodotta dal precedente Governo – come ha esplicitamente fatto notare il Relatore Speciale dell’ONU – ha finito con l’esercitare addirittura un effetto contrario rispetto alle necessità di integrazione e di dialogo interculturale, contenendo in sé meccanismi tesi a criminalizzare taluni segmenti della comunità degli immigrati nel nostro Paese.
Saranno contenti i militanti e i dirigenti della Lega Nord, i loro appelli a negare pari dignità ai “bongo-bongo”, come graziosamente li ha definiti spesso il senatore Calderoli, vice presidente, non della bocciofila di Bergamo bassa, ma del Senato della Repubblica, seconda istituzione dello Stato.
Può esserne fiero l’on Gianfranco Fini, firmatario della legge sull’immigrazione nella passata legislatura: e questa sarebbe una Destra moderna e democratica?
Infatti, può andare a testa alta l’on. Alemanno che, in qualità di coordinatore di An di Roma non si perde una, dico una, manifestazione rionale contro i Rom.
Bastasse vergognarsi, ci sarebbe da vergognarci. Ma qui i “mea culpa” servono a niente. Bisogna risalire, subito la brutta china che ha preso il nostro Paese da qualche anno a questa parte. Se continuiamo a essere tolleranti con l’intolleranza, a far buon viso a cattivi atteggiamenti, a far finta di non sentire l’inascoltabile finiremo di dimenticare la memoria: quella di un Paese nel quale si cantava “Faccetta nera”, si accettavano le leggi razziali, si apostrofavano “terroni” gran parte dei cittadini italiani.
La cosa più infame è aver dimenticato che molti italiani hanno cantato “partono i bastimenti, per terre assai lontane”. Che ne direste di farla finita con questa amnesia collettiva? Per cominciare bisogna smettere di fare finta di niente. Beh, buona giornata.
Operazione chirurgica.
Un uomo si è presentato all’ospedale di Emergency di Lashkar-gah nel Sud dell’Afghanistan.
Presentava ferite nell’animo e nella professione di giornalista, piene di angoscia e paura di morire ammazzato: è stato accolto e curato. Si tratta di Daniele Mastrogiacomo, inviato di guerra di Repubblica.
Emergency in Afganistan ha messo su quattro ospedali, all’ingresso dei quali c’è una scritta rossa su fondo bianco: no weapons (niente armi).
Emergency cura tutti quelli che si presentano: cura corpi martoriati, non controlla documenti, né nazionalità, né gruppi di appartenenza. Ma non vuole armi, non vuole nemici.
Ha ragione il nostro presidente del Consiglio a sottolineare la grande coesione che la cattura e la prigionia di Mastrogiacomo hanno saputo dimostrare durante i lunghi giorni della sua detenzione. A complimentarsi con la ferma serenità dei famigliari di Mastrogiacomo, la consapevole solidarietà dei suoi colleghi e del direttore Mauro.
A complimentarsi con il senso di responsabilità delle testate giornalistiche, che hanno compreso che la riservatezza a volte è il modo migliore di informare il pubblico. A complimentarsi con gli appena “rinnovati” servizi di intelligence militare italiani sul campo. E con l’ambasciatore italiano a Kabul. E a ringraziare il governo Karzai.
Forse però ringraziare Gino Strada, il fondatore e il leader di Emergency, come pure è avvenuto, proprio non basta. Perché questa vicenda, che si è risolta felicemente, dimostra che quattro ospedali fanno più di 2000 uomini in armi, tanti quanti sono i nostri militari impegnati in quel Paese.
Che Emergency, canale attivato, pare dagli stessi Taleban e forse anche da Repubblica, ha potuto più di quello attivato dal nostro Ministero degli esteri, che pure è stato tenuto sempre informato e che non ha messo bastoni fra le ruote, come è sempre apparso lampante durante i rapimenti dei nostri giornalisti e operatori umanitari, avvenuti in Iraq durante il governo precedente. A cui va ascritto, senza possibilità d’appello, il torto di non aver saputo tutelare l’integrità fisica dei cittadini italiani in quel martoriato paese.
Qui è il punto, non tanto per risarcire gli errori del passato: ai famigliari e ai colleghi di Enzo Baldoni servirebbe a niente, purtroppo. Come si dice, a tutto c’è rimedio, tranne che alla morte.
Il punto, dicevamo è che la dissennata “guerra al terrorismo” ha trascinato non solo i nostri militari, ma i nostri passaporti, la nostra lingua, le nostre libertà civili dentro una guerra inutile, dannosa, inconcludente, tragica, sanguinosa.
L’idea maledetta di concepire un giornalismo “embedded” ha fatto diventare bersagli e obiettivi militari i reporter, i cronisti. Ha fatto coincidere, nel modo più semplice e basico, e per tanto tragico e pericoloso, il paradigma dell’odio: il tuo paese è nemico del mio paese, tu sei mio nemico.
Queste le colpe, storiche e politiche del governo precedente. Che sono ancora quelle dell’attuale Amministrazione Bush. Ma anche quelle dei nostrani eroi da talk-show, dei guerrafondai con le pantofole, dei fan dello scontro di civiltà, dello scontro di religione. Di queste colpe, sia pur faticosamente, il governo Prodi dimostra di voler prendere le distanze e cambiare politica. E’ un bene. Anche l’idea di una conferenza di pace, Taleban compresi è un bene, perché cancella l’ipocrisia della “missione di pace” in Afghanistan.
La liberazione di Daniele Mastrogiacomo è una operazione chirurgica, non solo perché è avvenuta grazie alla buona reputazione di un chirurgo di nome Gino Strada. E’ un’operazione chirurgica, non di quelle baldanzosamente militari, che poi lasciano inevitabilmente sul terreno “danni collaterali”, cioè civili inermi.
Lo è perché sancisce il diritto di non essere d’accordo col paese e le sue scelte. Il diritto di informare la propria opinione pubblica. Il diritto alla libertà di informazione e di dissenso. Il diritto a non essere nemico giurato di nessuno. In Afghanistan, e non solo, Gino Strada cura tutti.
Anche noi, in Italia, stavolta siamo stato curati. No weapons, senza armi. Beh, buona giornata.
Allora?
LIBERATE DANIELE MASTROGIACOMO, E’ UN GIORNALISTA
SET DANIELE MASTROGIACOMO FREE, HE IS A JOURNALIST
أفرجوا عن دانييليه ماستروجاكومو، هو صحفي
دانييليه ماستروجاكو آزاد كنيد، او روزنامهﻨﮕارى هست
La pizza a mille dollari.
Un nuovo ristorante di New York, Nino’s a Manhattan, ha inserito nel menù la “Pizza lussuosa Bellissima”, condita con sei tipi di caviale, aragosta, erba cipollina, panna acida e salsa wasabi: prezzo, mille dollari.
Il proprietario, Nino Selimaj, assicura che è la pizza più cara al mondo e ne va fiero. “E’ qualcosa di speciale”, ha raccontato in un’intervista al ‘New York Daily News’, “E’ una pizza per persone amanti del lusso.”
Contemporaneamente, verso le 21,30 dello stesso giorno, quattro persone sono morte in una sparatoria nel cuore di Manhattan.
Si tratta di due ausiliari della polizia, un barista e un uomo armato che ha aperto il fuoco, provocando la sparatoria. Tutto è cominciato quando l’uomo armato di pistola è entrato in una pizzeria del Greenwich Village. L’uomo ha aperto il fuoco e ucciso il barista che si trovava dietro il bancone della pizzeria. I due ausiliari, che erano disarmati ma vestiti con una divisa del tutto simile a quella degli agenti regolari, hanno inseguito l’uomo in strada e lì è cominciato uno scontro a fuoco in cui tutti e tre sono rimasti uccisi.
L’uomo ha infatti ucciso i due ausiliari, ma poco dopo sono intervenuti altri poliziotti, che lo hanno ucciso dopo un inseguimento.
Non si conosce la causa che ha portato l’uomo a sparare al barista della pizzeria. Che non avesse 1000 dollari per una “Pizza lussuosa bellissima”? Beh, buona giornata.
I figli sono figli. Lo stabilisce in maniera definitiva il disegno di legge recante modifiche in materia di filiazione approvato dal Consiglio dei ministri. Il provvedimento, composto di tre articoli, si propone di eliminare definitivamente dall’ordinamento ogni traccia, anche lessicale, di ingiustificata difformità di trattamento tra figli nati nel matrimonio e quelli nati fuori dal matrimonio.
Secondo quanto stabilito dall’art. 30 della Costituzione, il ddl elimina anche le residue differenze legate a una visione, ormai da tempo superata, di conservazione del patrimonio familiare che si trovano nel regime delle successioni. La nuova legge riforma anche l’istituto della parentela riconoscendo il legame di parentela tra il figlio riconosciuto nato al di fuori del matrimonio e i parenti del genitore. Si prevede infine come “necessario e doveroso” l’ascolto del minore di tutte le questioni e i procedimenti che lo riguardano.
Finalmente in Italia tutti i figli saranno uguali. Lo ha detto il ministro della famiglia Rosy Bindi: ”Con la delega viene introdotto un unico stato di figlio superando – ha spiegato il ministro – ogni traccia di discriminazione tra figli nati dentro e fuori il matrimonio. Con questo provvedimento – ha aggiunto – diamo ai figli una famiglia perché fino ad oggi esisteva soltanto un rapporto di filiazione tra figlio naturale e genitore che lo ha riconosciuto, ma nessun rapporto con nonni, zii, fratelli e cugini”.
Il ministro Bindi ha anche sottolineato che un’altra conseguenza importante del provvedimento riguarda il capitolo ”successioni”. Anche il figlio nato fuori dal matrimonio avrà diritto di partecipare all’eredità. ”Un altro aspetto non meno importante – ha detto ancora il ministro – è l’interpretazione della parola “potestà” che viene intesa nel senso di una assunzione di responsabilità educativa dei genitori nei confronti dei figli”.
Nel giorno in cui Benedetto XII lancia una nuova offensiva contro lo stato laico, emettendo una specie di “fatwa” che impone ai cattolici (medici, farmacisti, infermieri e giudici e, dulcis in fundo ai politici) l’obiezione di coscienza sulla contraccezione, il controllo delle nascite e il diritto di non avere una maternità indesiderata, e sulla pillola e sul preservativo, un ministro della Repubblica, che non nasconde la sua fede religiosa fa qualcosa di concreto, e non ideologico, una vera obiezione di coscienza per la famiglia e per i figli nati da ogni tipo di relazione affettiva.
Si vede che Rosy Bindi vive nel Terzo Millennio, il Papa è invece nostalgico dell’Anno Mille. Beh, buona giornata.
“Ciò che in questi giorni sta venendo fuori, da alcune indagini giudiziarie, esigerebbe ad esempio pronti e radicali interventi su certi programmi, certi contenuti e certi personaggi.”
Lo dice Sandro Curzi, su Off, giornale dello spettacolo. E aggiunge: “Ma lo stato di precarietà in cui si sentono oggi le direzioni di rete non consente loro di effettuare in corsa tali impegnativi interventi – assumendosi le responsabilità di scelte ed eventuali omissioni – né tanto meno di varare un serio programma a tempo medio-lungo di lavoro e di innovazioni.”
All’Ansa, Antonio Marano, ha detto “Il clima d’incertezza sulle nomine, sul cambio di rete non ha fatto male solo a me ma alla rete e quindi all’azienda’. Il direttore di Raidue si sfoga: “Un minimo di stabilità, non ai dirigenti che devono avere la flessibilità a spostarsi, ma alla struttura della rete ci deve essere. Questa situazione di stallo ha dato ulteriore difficoltà ”. Per poi aggiungere:”Gli artisti ti danno fiducia fino ad un certo punto – aggiunge – perché pensano che potresti andare via da un momento all’altro”.
Il continuo tiro al piccione all’interno del consiglio di amministrazione sta molto evidentemente ostacolando la presenza della Rai nel mercato televisivo italiano.
Curzi e Marano non militano certo dalla stessa parte del problema, ma dicono, quasi paradossalmente la stessa cosa: così facendo la Rai è la palo. E questo non giova, se non addirittura danneggia gravemente il suo ruolo nella concorrenza.
E’ una situazione fuori da ogni logica. Ve lo immaginereste il consiglio di amministrazione di una grande compagnia che lavora contro gli azionisti, contro gli operatori dell’azienda e contro gli acquirenti dei prodotti? Eppure è quello che sta succedendo in Rai in questi mesi. Secondo l’Upa, l’associazione degli investitori pubblicitari, il mercato italiano della pubblicità in tv nel 2007 crescerà solo del 1% .
Se la Rai continua a sbandare in questo modo, quanto sarà in grado di raccogliere di quello striminzito 1%? Si vuole che Mediaset faccia la parte del leone, proprio mentre sta cercando di fare nuove acquisizioni (si parla e si smentisce di Telecom o Fastweb o Endemol)?
Curzi dice che porrà la questione di un deciso cambio di passo del consiglio e della direzione generale, in modo perentorio alla prossima riunione del consiglio di amministrazione della Rai. Bene. Speriamo che l’azionista, cioè il Governo nel frattempo non cambi distrattamente canale. Beh, buona giornata.
LIBERATE DANIELE MASTROGIACOMO, E’ UN GIORNALISTA
SET DANIELE MASTROGIACOMO FREE, HE IS A JOURNALIST
أفرجوا عن دانييليه ماستروجاكومو، هو صحفي
دانييليه ماستروجاكو آزاد كنيد، او روزنامهﻨﮕارى هست
Sèguèla, il rompi “balle”.
Mentre si sta dipanando la matassa dell’ultima inchiesta cosiddetta Valletopoli, quell’intreccio tra la tv dei gossip, la stampa dei gossip, che tanti personaggi ha dato anche alla pubblicità italiana, Jacques Sèguèla, grande vecchio della pub francese spara a zero contro la televisione italiana. Sa quello che dice, mica racconta balle.
«I cinque anni di governo Berlusconi hanno ucciso ogni differenza tra Rai e Mediaset». E ancora: «Il voyeurismo ha preso il posto del quoziente di intelligenza, l’inno italiano è diventata la bandana di Berlusconi» e «Michelangelo e Pavese hanno di che rivoltarsi nella tomba».
Jacques Sèguèla dice quello che pensiamo tutti, ma che facciamo fatica a dire, immersi ormai in una fetida coltre di mediazioni politiche: omologazione, appiattimento, volgarità e quindi perdita di qualità, sono per Seguela i mali cronici della tv nostrana.
Se da un lato specchio dell’omologazione tra tv pubblica e privata sono i contenitori domenicali («’Domenica in’ e ‘Buona domenica’ – ha detto – sono l’unica celebrazione del silicone made in Italy, lo stesso coronamento del vuoto, la stessa adorazione del vitello d’oro della mediocrità e della volgarità») dall’altro il più noto della pubblicità francese tratteggia un quadro altrettanto fosco dell’informazione tv: «Il giornalismo è diventato spettacolo di massa in cui l’effetto sostituisce il fatto e il culto del dramma uccide la riflessione. L’entertainment non è show, ma ‘peep show’, il voyeurismo ha preso il posto del quoziente di intelligenza, l’inno italiano è diventata la bandana di Berlusconi così come in Francia la marsigliese è diventata un rap. In questo modo la res pubblica diventa res diabolica. E Michelangelo e Pavese hanno di che rivoltarsi nella tomba».
Sèguèla non sente il bisogno di nascondersi dietro un dito, e dice quello che vede e pensa, anche della nostra pubblicità: «È una vergogna che i film siano continuamente interrotti dagli spot pubblicitari – dice e ricorda che il 18% di tutto il tempo televisivo è tempo pubblicitario – Troppa pubblicità uccide la pubblicità, è come i saldi che rappresentano il killer del commercio».
Apriti cielo. Siccome in Italia gli scandali non sono fatti, ma opinioni, ecco le opinioni degli “addetti ai lavori”.
In primis Giancarlo Leone, vicedirettore generale della Rai: «Non condivido affatto la sostanziale omologazione fra servizio pubblico e televisione commerciale. Il servizio pubblico ha una sua specificità centrata sull’informazione, una informazione che in tutta Europa non è capillare e frequente come la nostra». Balle ipocrite.
«Raccolgo la provocazione di Sèguèla come spinta a migliorarci, ma prima di buttar via tutto ci penserei su» dice Gina Nieri, consigliere di amministrazione Mediaset, convinta che «la nostra televisione sia tra le migliori al mondo. Abbiamo i migliori format che propongono anche le principali tv europee e Usa, un livello di informazione altissimo. I contenitori domenicali? Credo che ci siano margini di miglioramento, ma non è tutto volgare». Ancora balle.
Infine Renzo Lusetti, responsabile del Dipartimento informazione della Margherita, che ospitava il convegno cui è stato ospite Sèquèla, difende gli spot pubblicitari e auspica che proprio la pubblicità possa «diventare un baluardo per il pubblico, un punto di riferimento in un panorama che va mutando e nel quale la pubblicità diventa sempre di più specchio dei tempi». Balle spaziali.
Caro Jacques, per una televisione vera e una pubblicità buona, ce n’est qu’un début, continuons le combat. Beh, buona giornata.
L’amaro Giuliani.
Forse un pubblico ministero dovrà cercare le prove, con l’aiuto della polizia giudiziaria, un giudice per le indagini preliminari dovrà istruire il processo, una corte d’assise, quella con i giudici popolari potrà finalmente giudicare i responsabili della morte del giovane Carlo Giuliani.
Non lo ha deciso la magistratura italiana. “Evviva l’Europa. Andremo al processo”. Lo ha detto il padre di Carlo Giuliani dopo la decisione della Corte Europea dei diritti dell’uomo. Il tribunale ha accolto il ricorso della famiglia perché sia riaperto il caso sulla morte del figlio avvenuta durante gli scontri del G8.
E’ una buona notizia per il senso di giustizia che si aspettano i cittadini della Repubblica italiana. Allo stesso tempo è una pessima notizia per la nostra giustizia, perché la decisione è stata coartata dalla Corte Europea per i diritti dell’uomo. Essa suona come un rimprovero alla legalità del nostro Paese. Un rimprovero, bisogna accettarlo, molto ben meritato.
Una volta Pasolini scrisse che sapeva chi aveva fatto le stragi, i complotti, i tentati golpe, ma semplicemente non aveva le prove. Perché le prove, in uno stato di diritto le deve cercare e dimostrare nelle aule di giustizia uno dei poteri dello Stato, il potere giudiziario.
Noi conosciamo la verità politica dei lunghi e sofferti anni della nostra democrazia, anni scanditi dall’intolleranza contro il dissenso e la protesta di piazza. E’un elenco lungo, molto lungo di misfatti impuniti, di morti ammazzati, di bombe esplose.
La ragion di stato voleva fosse un prezzo da pagare, c’era la Cortina di Ferro, c’era il Patto Atlantico, contrapposto al Patto di Varsavia. C’era la Guerra Fredda, ma il sangue versato sulle nostre strade e piazze, stazioni ferroviarie e treni, campi e officine, scuole e università era ancora caldo, quando le inchieste furono repentinamente archiviate, se non mai svolte.
Ancora una volta, dopo i fatti del G8 si sono inventate bugie che potessero attutire i colpi di manganello e di pistola, il fragore delle vetrine infrante, delle auto date alle fiamme. A piazza Alimonia Carlo Giuliani fu sparato e poi spappolato da una camionetta. Ma la Guerra Fredda era finita, non c’era nessuna giustificazione “storicamente plausibile” perché le forze dell’ordine fossero così ferocemente scatenate contro la folla manifestante.
Dopo il pronunciamento della Corte Europea per i diritti dell’uomo, Rifondazione comunista chiede una commissione di inchiesta. “Credo ci sia da fare chiarezza, senza criminalizzare nessuno, ma occorre stabilire chi ha voluto che a Genova finisse in quel modo”, ha detto il ministro Ferrero.
A noi, però, rimane il sapore amaro di un Paese che ha voluto con tutte le sue forze (di governo, di polizia e della giustizia) tornare indietro agli anni bui della Repubblica. L’amaro della vicenda di Carlo Giuliani, appunto. Beh, buona giornata.
LIBERATE DANIELE MASTROGIACOMO, E’ UN GIORNALISTA
SET DANIELE MASTROGIACOMO FREE, HE IS A JOURNALIST
أفرجوا عن دانييليه ماستروجاكومو، هو صحفي
دانييليه ماستروجاكو آزاد كنيد، او روزنامهﻨﮕارى هست
Da Megachip.info. Beh, buona giornata.
Dichiarazioni stupefacenti.
Il ministro degli Interni propone l’antidoping agli studenti. I ragazzi potrebbero dover sottoporsi alle analisi “ad, esempio, dopo le interrogazioni”. Forse in caso di prestazioni “sospette”. E se lo studente dovesse risultare positivo, spiega Amato, dovrebbe scontarne le conseguenze. “Perderebbe punti. E chiaramente l’interrogazione non sarebbe valida”.
Questo lo stupefacente ragionamento del ministro: “Noi oggi facciamo l’antidoping solo agli atleti. Perché non prevedere un uso più ampio di questo controllo e renderlo più sistematico, ad esempio all’uscita delle discoteche e a scuola?”.
Al convegno dell’Anci (l’associazione dei comuni) della Toscana sulla sicurezza, il ministro degli Interni Giuliano Amato lancia una nuova idea per combattere la droga: effettuare anche sugli studenti i controlli sull’assunzione di stupefacenti. Controlli finora riservati, appunto, esclusivamente agli atleti in gara. E’ una proposta che farà discutere, come sottolinea lo stesso ministro. “Bisogna pensare anche a cose del genere, anche se può apparire una cosa un po’ idiota”.
Una provocazione, ammette subito dopo. “Cose del genere, però, meritano di essere prese in considerazione. E poi, magari – spiega Amato – sostituite da altre”.
Ci pare molto “fumo” e niente arrosto. Un trip ultraproibizionista che porta solo al ridicolo. Su un problema serio.
Di questo passo, dovremmo fare l’antidoping ad ogni consiglio dei ministri, consiglio comunale, ad ogni riunione di partito, ai ogni convention aziendale, a ogni consiglio di amministrazione. E perché no, ad ogni esternazione nei talk- show. Ad ogni sentenza di tribunale, a ogni celebrazione di un matrimonio, ad ogni comizio, ad ogni cameriere quando ti presenta il conto, ad ogni barbiere (qui un emendamento dovrebbe prevedere l’antidoping prima del rasoio).
Cara, ti amo. Antidoping. Mamma ho fame. Antidoping. Vorrei un caffè. Faccia lo scontrino alla cassa e l’antidoping nel cesso.
Il ministro dice di essere stato molto impressionato da una inchiesta della tv: “Io spero che milioni di italiani – ha infatti concluso, commentando le immagini trasmesse dal TG1 l’altra sera – si siano raggelati davanti al servizio del telegiornale di Gianni Riotta.”
Scusi, signor ministro: quando ha visto il servizio delle Jene davanti al Parlamento, che facevano la prova “sudo-coca” che ha pensato? Ah, ci scusi: quello lo hanno censurato. A proposito, questo fatto non le è sembrato stupefacente? Beh, buona giornata.
Ora o “mais” più.
La cosa peggiore che Al Gore poteva fare a Bush, che gli scippò la Casa Bianca nel 2000, grazie a trucchi elettorali escogitati dal fratellino Jeb, governatore della Florida, è dire la verità sul futuro energetico del pianeta.
E’ una “scomoda verità”, che rende ridicoli, nonostante la ferocia delle guerre fin qui scatenate, i piani militari della Casa Bianca, alla disperata ricerca del possesso diretto dei pozzi di petrolio.
Al Gore ha detto che biocarburanti rappresentano l’unica soluzione possibile per ridurre le emissioni causate dalle tonnellate di carburanti utilizzate in tutto il mondo per i mezzi di trasporto.
Non lo ha mandato a dire attraverso il film, “Una scomoda verità”, con il quale ha vinto recentemente due Oscar. Lo ha detto di persona, intervenendo a Bruxelles ai lavori del ‘World Biofuels Markets’.
Parlando a braccio ad una platea da cui erano rigorosamente esclusi gli organi di stampa, l’ ex vicepresidente Usa dell’Amministrazione Clinton ha impressionato con le sue argomentazioni.
“Ci ha fatto abbastanza paura” ha detto uno dei presenti all’Ansa “diventa imperativo agire entro i prossimi cinque anni”. Seconda Al Gore, allo stato attuale c’é un 90%, 99% di possibilità che le emissioni di CO2 continuino ad aumentare. “Siamo come un malato a cui un medico diagnostica la possibilità di avere nel 90 %, 99% dei casi, un infarto”, ha detto. Al Gore si è spinto a sostenere che il problema assume una particolare gravità perché, se un tempo le variazioni avvenivano nell’arco di una generazione, ora si producono nel giro di mezza generazione, e questo ridotto spazio temporale non da molte possibilità di intervento.
I 1300 partecipanti provenienti da 54 paesi, che partecipano al ‘World Biofuels Markets’, convocati per sviscerare i più svariati aspetti legati al mondo dei biocarburanti (da una visione del mercato globale, allo sviluppo dell’industria, alle opportunità finanziarie e di investimento, ad aspetti squisitamente tecnici) sembra siano riamasti sotto shock.
E’ uno stato d’animo assolutamente condivisibile. Le ultime guerre scatenate dai Bush, che col petrolio hanno fatto fortuna, si stanno dimostrando sanguinose, dispendiose, sia in termini umani che finanziari.
Fanno male anche alla coscienza, e attentano alla nostra idea di libertà e giustizia, come dimostra l’emozione provocata dalla cattura del reporter Mastrogiacomo, di cui attendiamo con trepidazione notizie tranquillizzanti.
Il tutto per una maledetta una fonte di energia come il petrolio, capace di provocare un collasso al pianeta, in un arco di tempo inferiore al tempo previsto dai generali per vincere le guerre in Iraq e in Afghanistan o a quella che sta progettando il Pentagono contro l’Iran. Senza contare che ci sono due tecnici italiani dell’Eni, ancora ostaggi di una formazione militare nel Delta del Niger, che rivendica una migliore redistribuzione dei proventi dello sfruttamento del petrolio.
Solo ieri Parlamento italiano ha stanziato molti altri milioni di euro per finanziare le missioni militari nell’area geopolitica tra le più ricche di petrolio del pianeta.
Il fatto che proprio un leader statunitense sia venuto a dimostrare che tutto questo è inutile, dannoso e dannatamente molto pericoloso, fa davvero un certo effetto. Effetto serra, appunto. Beh, buona giornata.
La cattura di Daniele Mastrogiacomo in Afghanistan è un danno collaterale della scelleratezza della “guerra contro il terrorismo”.
Infatti, Mastrogiacomo non è stato rapito, ma catturato dai Talebani. E’ la differenza tra una “banda” e un “esercito”. Sotto occupazione militare da cinque anni, i Talbani hanno ancora il pieno controllo di gran parte del territorio dell’Afghanistan.
Se ne deve essere accorto anche Dick Cheney, il vice presidente degliUsa che pochi giorni fa è stato svegliato da una bomba, esplosa in una base americana a settanta chilometri da Kabul. E forse il botto lo ha fatto diventare più arrogante: i marines hanno aperto il fuoco contro la popolazione civile qualche giorno fa.
Il generale Mini, proprio sulle pagine di Repubblica, di cui Mastrogiacomo è corrispondente, il giorno stesso in cui è apparsa la notizia della sua cattura, ha detto che quella è stata una reazione dettata “dalla frustrazione” delle truppe americane che non riescono, proprio non riescono, ad aver ragione degli insorti. Non è un gioco di parole, ma un esercito non ha ragione del nemico quando ha torto.
La cattura di Mastrogiacomo dimostra che la guerra al terrorismo, invenzione propagandistica dell’Aministrazione Bush, è una battaglia persa: si pensava di fare una passeggiata in Afghanistan, che fosse il trampolino per aggredire l’Iraq e poi finalmente dare la spallata finale all’Iran. Balle: quando Bush si presentò vestito da top gun sulla portaerei sulla quale campeggiava lo striscione “mission accomplished” non voleva dire che avrebbe vinto in Iraq, ma semplicemente che aveva trascinato mezza Europa nel conflitto. Quella sì che è stata una missione compiuta.
Noi italiani siamo stati trascinati nelle guerra, anzi in due. Il governo di prima ha mentito: ci ha raccontato che si andava a fargli fare la pace, sia in Afghanistan che in Iraq.
Il governo di adesso ha difficoltà a dire che la verità di prima era una menzogna: siamo andati a fare un guerra, anzi due senza essere preparati, né nel corpo (di spedizione) né nell’anima (pacifista, non quella dei cortei, quella della Costituzione).
Uomini come Mastrogiacomo hanno corso rischi, come quelli che proprio lui sta correndo in queste ore, per cercare di raccontare come sia possibile quanto è stato possibile per le nostre missioni militari. Un lavoro complicato, pericoloso, al limite della professione, oltre che del pericolo di lasciarci la pelle: di Enzo Baldoni abbiamo ricevuto in cambio le ossa, per la liberazione di Giuliana Sgrena, abbiamo dovuto pagare il prezzo del cadavere crivellato di Callipari.
E’ giunto il momento di chiederci perché stiamo in Afghanistan, prima ancora di capire come ci siamo andati. Qui il problema non è andare via, il problema è che qualcuno ci spieghi perché ci siamo andati. Solo se qualcuno ha il coraggio di dire chiaramente il perché, troveremo il come uscirne.
Mastrogiacomo è andato lì proprio per raccontarci il perché. D’Alema e Parisi, rispettivamente ministri degli Esteri e della Difesa dovrebbe dirci chiaramente perché e smetterla di trattarci come bambini, cui non si possa dire fino in fondo tutte le verità.
Noi che vogliamo sapere perché saremo oggi alle 12,30 in piazza del Campidoglio a Roma: vogliamo Daniele Mastrogiacomo libero.
Se è vero che chi salva un uomo salva il mondo intero, chi salva un giornalista salva la libertà di stampa, cioè salva la libertà di sapere che cosa succede davvero, che è l’unica strada per sapere tutto quello che non ci hanno voluto far sapere. Anche se è una strada che passa per Kandahar. Beh, buona giornata.
La mejo tivvù.
“Viva l’Italia, pane e politica” è la prova provata che la Rai è viva. Viva la Rai.
In una giornata televisiva tra le più sceme del Terzo Millennio, con Baudo che faceva Masaniello per tutto il pomeriggio su Rai Uno, e la Perego su Canale 5 che ha organizzato la Vandea anti-servizio pubblico è arrivata, tra truci telefilm americani, di quelli morti, feriti, squartati e guanti di paraffina, la De Filippi e i suoi amichetti e la fiction ospedal-popolare di Rai Uno, a freddo, senza preavviso, è arrivata in onda su Rai Tre la Televisione, con la T maiuscola.
Quella che sfugge agli schemi, alle compatibilità del palinsesto, quella che fa spettacolo senza spettacolarizzare, che fa inchiesta senza spettegolare, che fa realtà senza reality, che fa denuncia senza piùùùù, sgnach, blegh e ohhhh, tipo le Jene.
Un cronista in mezzo alla strada, a Catanzaro a raccontare come si fa la politica in Italia. Sì, come si fa, chi la fa, perché la fa. Non era un documentario, non era una denuncia, non era costume né colore. Era il nostro Paese. E la Rai è sembrata la BBC.
La qual cosa rimanda al mittente, semplificandola, la domanda che ci facciamo da troppo tempo: cos’è la Tv di qualità? Eccola, è questa. E’ quella che nasce da una idea, che cresce facendola, che è ingenua, semplice, tenera: che guarda raccontando quello che vede, che non ha bisogno di costosi format.
Che vede, facendoti guardare chi siamo, da dove veniamo, dove stiamo andando. Che ti dice dove si coltiva quell’organismo geneticamente modificato che è il ceto politico del nostro Paese.
Che poi, dall’agone politico locale, arriva al regionale, e poi al Parlamento e poi, magari, anche al Governo. Ecco come si allevano i piccoli mostri, i satrapi, i tiranni che poi ci si piazzano sullo stomaco per decenni, entrano nella nostra vita civile e politica, dalla politica all’amministrazione pubblica, dal partito agli enti, nella pervicace ossessione del potere, fin su, magari fin dentro le istituzioni centrali, fin dentro la stessa Rai.
Allora, non c’è bisogno di rimpiangere “Viaggio in Italia” di Mario Soldati. Non c’è bisogno di fare tanti dibattiti. Non c’è bisogno di coinvolgere trust di cervelli. Se ci sono persone che sanno fare questa televisione in Rai, la Rai c’è.
Dobbiamo solo rimuovere le macerie che hanno seppellito, nel tentativo si soffocarle, persone che osano pensare, che osano lottare, che osano vincere: autori, giornalisti, conduttori, tecnici. Loro ci fanno bene, e fanno bene anche agli inserzionisti pubblicitari. Basta pane e cicoria. E’ tempo di “viva l’Italia, pane e politica”. Beh, buona giornata.
Sanremo. The winner is.
Le polemiche scatenate dal centro-destra lo dimostrano: il vincitore del Festival di Sanremo è Romano Prodi. Evocato sul palcoscenico dell’Ariston , con le sembianze del suo sosia, dopo che Pippo XII aveva evocato lo spettro del Bartali che ricompatto il Paese dopo l’attentato a Togliatti, Prodi vince il Festival, dopo la fiducia al Senato e lo scoppiettante dibattito alla Camera. La mini-crisi di governo è coincisa col 57 Festival. In questi giorni abbiamo sentito cantare tutti. Ma alla fine, è la canzone di Prodi che prevale, con successo di critica e di pubblico.
La crisi nasce all’interno della maggioranza e finisce tra le fila dell’opposizione, che sarebbe meglio chiamare d’ora in poi minoranza. Sono volati gli stracci tra i leader del centro-destra. Fassino, poi rompe in testa a Berlusoni il suo grissino di ferro. E tutti gongolano, soprattutto dalle parti della Lega e dell’Udc. Il Festival di Sanremo, come la fine della crisi di governo, ha ricompattato il Paese: tutti davanti alla tv, a schignazzare o a criticare, a cercare di vedere di nascosto l’effetto che fa, ma tutti davanti alla tv. E lo spettacolo ha dato ragione alla logica di sempre: tutto bene quello che finisce bene. In aula a Montecitorio abbiamo sentito le parole, a Sanremo la musica: in entrambi i casi, hano fatto la loro buona figura l’impegno, i temi sociali.
La vera doppia conduzione è stata quella di Pippo Baudo al Festival e quella del Capo dello Stato, durante la crisi. Una scelta perfetta, una coppia affiatata. Il Festival viene premiato dagli ascolti, la politica viene premiata dalla melodia della nuova riforma elettorale. Tutti contenti, anche gli sponsor, dell’una e dell’altro evento politico-canoro-mediatico.
Dunque, Prodi vince. E non veniteci a dire che Afghanistan, Tav, Dico e Dal Molin erano sole canzonette. Questi sono discorsi da dopo festival. Beh, buona giornata.
”Chiediamo che Dolce e Gabbana ritiri la pubblicità o che l’azienda sia richiamata al rispetto delle
regole”. Firmato tredici tra senatrici e senatori dell’Ulivo e di Forza Italia, tra cui, prima firmataria Vittoria Franco, presidente della commissione Cultura e responsabile nazionale delle Donne Ds.
Si tratta di un annuncio pubblicitario in cui si mima una violenza di gruppo su una donna, che molti avranno visto sui quotidiani italiani.
L’annuncio pubblicitario in questione aveva già fatto analogo scalpore in Spagna e D&C hanno deciso di ritirarla, non senza aver detto che si tratta di una foto artistica e che l’arte non è violenta.
In realtà, al netto della richiesta dei parlamentari italiani e anche della decisione, unilaterale, dei direttori delle testate che hanno pubblicato l’inserzione ( perché come tutti sanno il commerciale vende spazi pubblicitari, ma il direttore della testata ha l’ultima sempre l’ultima parola sull’opportunità della pubblicazione), inevitabilmente le polemiche diventano un moltiplicatore della comunicazione.
Vale a dire che ben consapevoli di fare qualcosa che va oltre le regole, al solo scopo di proporre una provocazione, nel momento stesso in cui si accetta la provocazione, la polemica è un valore aggiunto dell’investimento pubblicitario, oltrettutto molto prezioso, perché è gratis.
Rivolgersi al Giurì è alquanto velleitario: l’Istituto di autodisciplina prende decisioni successive all’uscita di una campagna “incriminata”, e ora che prende una decisione, in genere la campagna ha avuto il suo corso.
Per altro, le decisioni dell’Istituto sono vincolanti, non tanto per l’azienda, quanto per le testate o le emittenti, che sono tenute a non mettere in onda o pubblicare inserzioni pubblicitarie censurate dal Giurì. I tredici parlamentari avrebbero fatto meglio a chiedere ai direttori dei più importanti quotidiani italiani di spiegare il motivo per cui hanno deciso di pubblicare quell’ inserzione: nelle redazioni ormai comanda solo il marketing?
Per il resto, è inutile entrare nel merito della rappresentazione che propone l’annuncio incriminato. Utile invece è prendere in considerazione una fatto molto semplice, che taglia la testa al toro a ogni tentazione censoria e a ogni valutazione moraleggiante sul ruolo della pubblicità.
Il fatto è questo: quando una azienda fa pubblicità esprime non solo offerte commerciali, ma il modo di pensare della marca, i suoi valori, la sua collocazione nelle problematiche sociali, che spesso sono quelle che pensa l’imprenditore.
Allora la domanda è: condividete questo modo di vedere la donna, da parte di Dolce e Gabbana? Se è sì, continuerete ad acquistare e indossare quella griffa, se è no, beh, la conseguenza è semplice.
Se i giornali fanno certe scelte per via del registratore di cassa, le aziende cambiano modo di pensare, proprio per via del registratore di cassa. A voi decidere.Questo vale, ovviamente sia per gli abiti che per i giornali. That’s all, folks. Beh, buona giornata.