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Che sicurezza sul lavoro c’è se si continua a cadere dal tetto? La ministra del Lavoro che fa, cade dalle nuvole?

di Piero Santonastaso | Facebook.com/Mortidilavoro

Un operaio albanese di 66 anni, residente a La Spezia, è morto giovedì 20 febbraio durante un sopralluogo sul tetto di un capannone industriale a Vezzano Ligure (La Spezia).

L’uomo è precipitato da un’altezza di oltre 10 metri, quasi certamente a causa del cedimento del tetto, ed è morto sul colpo. Da verificare l’adozione di tutti gli strumenti di sicurezza per il lavoro in quota.

Giuseppe Pelizzari, 67enne volontario Avis, vicepresidente della sezione di Palazzolo sull’Oglio (Brescia), è morto martedì 18 febbraio nella lunga degenza dell’opera Don Gnocchi, dove era ricoverato da 4 mesi.

Il 21 ottobre 2024 era stato travolto da un’automobile mentre in bicicletta raggiungeva la locale sede dell’Avis. Nello scontro aveva riportato lesioni gravissime, che secondo i medici non facevano sperare nella possibilità di una guarigione.

#giuseppepelizzari#mortidilavoro

Febbraio 2025: 59 morti (sul lavoro 51; in itinere 8; media giorno 2,9)

Anno 2025: 146 morti (sul lavoro 123; in itinere 23; media giorno 2,9)

29 Lombardia (sul lavoro 20, in itinere 9)

18 Veneto (15 – 3)

12 Puglia (12 – 0); Campania (10 – 2)

11 Piemonte (11 – 0)

9 Toscana (8 – 1)

8 Abruzzo (8 – 0)

7 Calabria (7 – 0); Emilia Romagna (5 – 2)

6 Lazio (5 – 1)

5 Sicilia (5 – 0)

4 Umbria, Basilicata (5 – 0); Liguria (3 – 1)

3 Marche (2 – 1)

2 Trentino, Alto Adige (2 – 0); Sardegna (1 – 1)

1 Molise (0 – 1)

Gennaio 2025: 87 morti (sul lavoro 72; in itinere 15; media giorno 2,8)

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Attualità

Quando la Storia è una coperta troppo corta per coprire gli errori bellicisti della Nato, della Ue, del governo italiano.

È successo che anche il Capo dello Stato “come la maggior parte dei politici considerano la storia un contenitore da cui si può prendere qualsiasi cosa faccia comodo”. (Donald Sassoon, “Rivoluzioni”, Garzanti).

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Attualità

Continuano incessanti le morti di lavoro, la media torna di nuovo a 3 vittime al giorno.

di Piero Santonastaso | Facebook.com/Mortidilavoro

Mercoledì 19 febbraio registriamo tre vittime del lavoro e un’inchiesta sul ritrovamento, martedì 18, del corpo di un muratore in un fosso a Nocera Inferiore (Salerno). Partiamo da quest’ultimo fatto, anche se per ora non lo consideriamo nelle statistiche.

Martedì mattina il cadavere di un muratore russo di 64 anni è stato trovato nel controfosso dell’Alveo Comune Nocerino, alla periferia dell’abitato, in una zona lontana dalle case. A un primo esame il corpo non presentava lesioni o traumi ma la magistratura ha ordinato l’autopsia per chiarire le cause della morte. Il sospetto non dichiarato è che qualcuno abbia voluto sbarazzarsi della vittima di uno dei tanti cantieri abusivi.

Una scoperta altrettanto scioccante è stata fatta mercoledì 19 febbraio a Rovato (Brescia), dove un passante ha notato dietro le vetrine oscurate di una pizzeria in ristrutturazione, il corpo senza vita di un uomo.

I carabinieri hanno appurato trattarsi del proprietario, un 54enne, che aveva rilevato un locale chiuso da anni e lavorava alla riapertura.

Le prime indagini hanno accertato che l’uomo era morto da giorni, almeno 4, e che nessuno si era accorto dell’accaduto, pur essendo quella una zona molto frequentata (la stazione ferroviaria dista 50 metri). La causa probabile della morte è un malore durante la ristrutturazione.

Nel Bresciano mercoledì 19 febbraio si registra un’altra vittima (nella provincia sono già 8 i morti di lavoro nel 2025). Si tratta del 72enne Roberto Tosini, residente a Darfo Boario Terme, agricoltore pensionato, vittima di un incidente con il trattore.

Affrontando una curva a gomito per imboccare uno stretto cavalcavia il mezzo agricolo, che trainava un rimorchio, ha urtato un cordolo e Tosini è stato sbalzato dal posto di guida, finendo sotto le ruote del trattore. L’uomo è morto sul colpo.

Giorgio Bedini, 82enne titolare della Bedini Marmi di Marina di Carrara, è morto mercoledì 19 febbraio nel ribaltamento di un carro gru con il quale stava spostando lastre pesantissime.

Non è chiaro cosa abbia causato l’incidente, ma Bedini si è accorto di quel che stava accadendo e ha cercato di salvarsi saltando dalla cabina di manovra, finendo però schiacciato dal mezzo.

#robertotosini#giorgiobedini#mortidilavoro

Febbraio 2025: 57 morti (sul lavoro 50; in itinere 7; media giorno 3)

Anno 2025: 144 morti (sul lavoro 122; in itinere 22; media giorno 2,9)

28 Lombardia (sul lavoro 20, in itinere 😎

18 Veneto (15 – 3)

12 Puglia (12 – 0); Campania (10 – 2)

11 Piemonte (11 – 0)

9 Toscana (8 – 1)

8 Abruzzo (8 – 0)

7 Calabria (7 – 0); Emilia Romagna (5 – 2)

6 Lazio (5 – 1)

5 Sicilia (5 – 0)

4 Umbria, Basilicata (5 – 0)

3 Liguria, Marche (2 – 1)

2 Trentino, Alto Adige (2 – 0); Sardegna (1 – 1)

1 Molise (0 – 1)

Gennaio 2025: 87 morti (sul lavoro 72; in itinere 15; media giorno 2,8)

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Attualità

Dannazione donna torna in scena a Pordenone e a Sacrofano.

Domenica 9 marzo alla 17,00, Teatro Ilaria Alpi, largo Ilaria Alpi, Sacrofano.

Dannazione donna è una pièce che contiene diversi generi teatrali, è una commedia, ma anche una dramma, ma anche un thriller, ma anche una farsa che approda a vera e propria comicità, situazioni che si alternano attraverso incalzanti colpi di scena. 

La vicenda si svolge in una grande azienda, e coinvolge donne con diversi ruoli, dalla donna delle pulizie all’amministratrice delegata, dalla impiegata alla general manager, passando per la precaria, fino alla protagonista stessa. 

L’innovazione, che comporta una vera e propria prova attoriale di alto profilo di Monica Ferri, è nell’interpretazione di otto personaggi da parte di un’unica attrice, che rappresenta così tutte le donne che ogni donna deve saper essere nella sua vita di tutti i giorni. La colonna musicale è eseguita dal vivo dal sassofono di Anna Rizzi.

Dannazione donna, scritta e diretta da Marco Ferri, è stata rappresentata dalla compagnia Signori chi è di scena a Roma per la prima volta otto anni fa, per poi venire ripetutamente messa in scena in altre città di Italia. È tornata in cartellone lo scorso anno a Roma al Teatro San Giustino e a Bracciano al Teatro Delia Scala. 

Il 7 marzo va in scena a Chions (PN), all’Auditorium di Villa Perotti, con il Gruppo Teatro Pordenone Luciano Rocco, per la regia di Francesco Bressan e l’interpretazione di Stefania Moras.

Sempre in occasione della Giornata Mondiale della Donna, Dannazione donna è attesa al Teatro Ilaria Alpi di Sacrofano, il 9 marzo alle 17,00, grazie al patrocinio del Comune di Sacrofano e al mensile La Nuova Sacrofano. L’ingresso è gratuito.

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Come definire il governicchio Meloni.

Ci ha pensato Voltaire, visto che non sembrano esserci definizioni più attuali quanto credibili: “è il mezzo attraverso il quale persone senza morale comandano persone senza memoria”. La parola all’opposizione sociale.

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Sale la media rispetto a gennaio con altri quattro morti di lavoro.

di Piero Santonastaso | Facebook.com/Mortidilavoro

Michele Bernardi, 44enne operaio di Berzo Demo (Brescia), alle 5 di lunedì 17 febbraio ha iniziato il turno di lavoro alla Comin Parfum di Ono San Pietro (Brescia).

Poco prima delle 7 è stato trovato senza vita nel magazzino dell’azienda, dove era stato travolto e schiacciato da uno dei carrelli automatizzati per la movimentazione dei bancali.

Non ci sono testimonianze, perché Bernardi era al lavoro da solo. Indagano i carabinieri e l’Ispettorato del lavoro.

Barbara Finazzi, 43enne perito chimico di Gandosso (Bergamo), dove viveva con il marito e i tre figli, è morta venerdì 14 febbraio nell’ospedale Papa Giovanni di Bergamo, dove era stata ricoverata in gravi condizioni martedì 11 febbraio.

Quel giorno si era accasciata improvvisamente nei laboratori della Italcanditi di Pedrengo, sempre nella Bergamasca, vittima di una ischemia, che l’ha portata alla morte nel giro di 72 ore.

Albin Mellauner, 73enne agricoltore di Luson (Bolzano), gestore di un maso nella frazione di Oberpetschied, è morto lunedì 17 febbraio mentre lavorava il legno in un magazzino della fattoria.

Lo schütze è stato colpito al petto da un tronco ed è caduto all’indietro, battendo la testa. I soccorritori ne hanno constatato la morte sul posto.

Eliano Gizzi, 34enne di Castrocielo (Frosinone), è morto lunedì 17 febbraio alla SKF di Cassino, dove si trovava per conto di una ditta appaltatrice.

Durante il lavoro ha detto ai suoi compagni di non sentirsi bene ed è andato nei bagni dell’azienda. Lì è stato trovato poco dopo senza vita. Sarà effettuata l’autopsia per stabilire le cause della morte.

#michelebernardi#barbarafinazzi#albinmellauner#elianogizzi#mortidilavoro

Febbraio 2025: 49 morti (sul lavoro 43; in itinere 6; media giorno 2,9)

Anno 2025: 136 morti (sul lavoro 115; in itinere 21; media giorno 2,8)

26 Lombardia (sul lavoro 18, in itinere 8)

18 Veneto (15 – 3)

12 Puglia (12 – 0)

10 Piemonte (10 – 0); Campania (9 – 1)

8 Toscana (7 – 1)

7 Abruzzo, Calabria (7 – 0); Emilia Romagna (5 – 2)

6 Lazio (5 – 1)

4 Umbria, Basilicata, Sicilia (4 – 0)

3 Liguria, Marche (2 – 1)

2 Trentino, Alto Adige (2 – 0); Sardegna (1 – 1)

1 Molise (0 – 1)

Gennaio 2025: 87 morti (sul lavoro 72; in itinere 15; media giorno 2,8)

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Attualità

A tocchi a tocchi la campana sona, li turchi so sbarcati alla Marina (Berlusconi).

Marina Berlusconi finge di parlare di politica, in realtà sottoscrive l’auto intervista di Ferrara, mentre Cerasa fa finta di firmare lo scoop. Il Foglio fa la tigre di carta contro Meloni.

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Attualità

Ancora sei morti di lavoro.

di Piero Santonastaso | Facebook.com/Mortidi lavoro

Cinque delle ultime sei vittime sono morte lungo le strade: tre andavano al lavoro, una stava operando con un mezzo spazzaneve, la quinta era un autotrasportatore, categoria che a febbraio conta già 6 morti.

Mato Drinjak, 60enne croato residente con la famiglia a Ponte nelle Alpi (Belluno), dipendente della Fratelli Peterle di Alpago, sempre nel Bellunese, è morto venerdì 14 febbraio, ucciso da un malore nella cabina del camion.

Drinjak ha avuto la lucidità di arrestare il mezzo in sicurezza, a bordo strada, evitando una strage. È accaduto a Puos d’Alpago.

Tre vittime sabato 15 febbraio in Lombardia, tutte in itinere, due nello stesso incidente, a Gravellona Lomellina (Pavia), sulla provinciale 192.

Erano passate da poco le 6,30 quando si sono scontrate frontalmente l’automobile di Cinzia Venturini, 52enne di Cassolnovo che andava al lavoro in un panificio di Gravellona, e quella di Oussama Ikrame, 29enne marocchino residente a Cilavegna, operaio in una ditta di impiantistica, che raggiungeva il posto di lavoro. Entrambi sono morti sul colpo.

Jandaoui Bel Gassem, 54enne ambulante marocchino residente con la famiglia a Gorlago (Bergamo), è morto alle 5,30 di sabato 15 febbraio in un altro frontale, avvenuto a Brusaporto lungo la statale 42 del Tonale e della Meldola.

Il furgone sul quale stava andando al mercato di Treviglio per allestire il banco di vendita si è scontrato con l’auto di Leonardo Longaretti, 24enne universitario di ingegneria che tornava a Gorlago dopo aver festeggiato un esame sostenuto con successo.

I due mezzi si sono incendiati ed entrambi i guidatori hanno perso la vita sul colpo. A Gorlago vivevano a poche centinaia di metri l’uno dall’altro.

Renzo Casagrande, 45enne di Gubbio (Perugia), moglie e due figli, è morto domenica 16 febbraio scendendo con il mezzo spazzaneve dal Monte Cucco, lungo la strada di Val di Ranco, nel territorio di Sigillo (Perugia).

Casagrande stava rientrando dopo aver ripulito la strada dalla neve quando il trattore con benna ha sfondato le protezioni ed è precipitato in un dirupo per alcune decine di metri.

Non ci sono testimoni e non si conosce il momento esatto dello schianto: quando un automobilista in transito ha dato l’allarme era ormai troppo tardi.

Aggiungiamo per ora all’elenco delle vittime il 41enne Alessandro Guerra, morto sabato 15 febbraio a Montalto Uffugo (Cosenza), travolto dal furgone con il quale stava lavorando a un trasloco.

Il mezzo, che era parcheggiato, si è improvvisamente sfrenato e ha travolto l’uomo, spirato poco dopo all’Ospedale Civile di Cosenza. Lascia la compagna e una figlia.

#matodrinjak#cinziaventurini#oussamaikrame#jandaouibelgassem#renzocasagrande#alessandroguerra#mortidilavoro

Febbraio 2025: 45 morti (sul lavoro 39; in itinere 6; media giorno 2,8)

Anno 2025: 132 morti (sul lavoro 111; in itinere 21; media giorno 2,8)

24 Lombardia (sul lavoro 16, in itinere 8 )

18 Veneto (15 – 3)

12 Puglia (12 – 0)

10 Piemonte (10 – 0); Campania (9 – 1)

8 Toscana (7 – 1)

7 Abruzzo, Calabria (7 – 0); Emilia Romagna (5 – 2)

5 Lazio (4 – 1)

4 Umbria, Basilicata, Sicilia (4 – 0)

3 Liguria, Marche (2 – 1)

2 Trentino (2 – 0); Sardegna (1 – 1)

1 Alto Adige (1 – 0); Molise (0 – 1)

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Attualità

“Intanto il re non riscrive il passato (che importa) ma i nomi sul mappamondo”.

di Roberto De Monticelli, Il manifesto

C’è qualcosa di terribile nel silenzio con cui filosofi, giuristi, intellettuali specie accademici assistono oggi non solo alla violazione su larghissima scala, ma all’ostentato ripudio, da parte di molti governi occidentali, dei principi di civiltà enunciati nelle costituzioni rigide delle democrazie e nelle Carte del costituzionalismo globale che la seconda metà del Novecento ha prodotto. A esemplificare questo assunto, non c’è che l’imbarazzo della scelta. 

Guerre e politiche di escalation bellica illimitata. Riarmo selvaggio nei programmi della maggior parte dei governi europei, genocidi tollerati alla luce del sole, deportazioni annunciate di interi popoli, respingimenti di massa di migranti e immigrati, detenzioni illegali, razzismo ostentato ai vertici dei governi, attacchi violenti all’indipendenza dei sistemi giudiziari nazionali e al diritto internazionale, asservimento delle politiche pubbliche a enormi concentrazioni di ricchezza privata, privatizzazione dello spazio cosmico, recesso dai pochi vincoli esistenti alla devastazione dell’ecosistema. 

Assistiamo del resto – come ai tempi in cui fu scritto il famoso romanzo di Camus, La peste – al contagio inquietante con cui il cinismo della Realpolitik, sdoganata ai livelli di governo in alcuni stati democratici occidentali, si diffonde nella sfera dell’informazione e del dibattito pubblico; e al fenomeno complementare del silenzio, della non-partecipazione, quindi dell’apparente indifferenza che vi risponde.

Ma si può tacere quando su un grande giornale nazionale di tradizione progressista si legge, a proposito del piano trumpiano di deportazione di massa della popolazione di Gaza, che si tratta di una proposta, «fuori dagli schemi», e che da parte europea sarebbe segno di «poco coraggio» non prenderla in considerazione (Molinari, Repubblica 13 febbraio)? Oltre certi limiti cinismo o silenzio e indifferenza, i sintomi più classici della «banalità del male», equivalgono a complicità nei crimini: è il fenomeno che Luigi Ferrajoli chiama «l’abbassamento dello spirito pubblico» e il «crollo del senso morale a livello di mass» (L’ostentazione della disumanità al vertice delle istituzioni e il crollo del senso morale a livello di massa, sito di Costituente Terra).

La domanda che sottende questa angosciata constatazione è: c’è una corresponsabilità del dotto, dello studioso, del “filosofo” in senso lato in questo «abbassamento dello spirito pubblico»? E una risposta è: certamente. 

È la lettura puramente politologica che ha prevalso della democrazia, tanto diversa da quella ancora prevalente da Calamandrei al primo Bobbio, e, sul piano globale, nel pensiero che portò alla Dichiarazione Universale del ’48. Un pensiero che sta al polo opposto di quello che, a destra e a sinistra, riduce l’idealità, il vincolo etico in funzione di cui sono progettate tutte le istituzioni democratiche, a ideologia. Cioè a pura retorica di battaglia. 

Quel pensiero etico non si è prolungato fra gli intellettuali della guerra fredda prima, e di un atlantismo triumphans poi, ma nei documenti della perestroika e della politica dell’«Europa Casa comune» dello sconfitto Gorbaciov, assai più dei “nostri” leader consapevole della connessione inscindibile fra ordine internazionale e democrazia in ciascuno stato. E pensare che la sciagurata storia della nostra democrazia incompiuta, sempre di nuovo violentemente intimorita, avrebbe dovuto rendercene fin troppo consapevoli.

A proposito di Alleanza atlantica. Giova accostare gli estremi, il grande statista sconfitto e la visionaria che de Gaulle fece confinare in uno stambugio di Londra perché non intralciasse la politica, nel ’43 – e crepasse pure d’inedia e di dolore: Simone Weil. Profetici entrambi. «Nella politica mondiale odierna non c’è compito più importante e complicato di quello di ristabilire la fiducia fra la Russia e l’Occidente», scrisse Gorbaciov (appena prima di morire). «Sappiamo bene che dopo la guerra l’americanizzazione dell’Europa è un pericolo molto grave», scrisse Simone nel suo stambugio. La perdizione dell’Oriente (non solo mediterraneo) è la perdita del passato e dello spirito.

Ciò che accade oggi, e di cui siamo responsabili, è l’esito dell’avvenuta politicizzazione (ovvio, se l’idealità non è che ideologia) di ogni sfera di valori e di norme, dunque in particolare dell’etica e del diritto, una politicizzazione nel senso più arcaico e tribale di “politica”, intesa come sfera delle relazioni amico-nemico e continuazione della guerra con altri mezzi. Un’evoluzione dell’autoritarismo – più ferino e insieme indissociabile dalla tecnologia, e soprattutto radicato ormai nel potere aziendale e digitale, un completo rovesciamento del Leviatano o “stato etico” fascista, un nazismo a guida privata. Dove l’abolizione della differenza fra il vero e il falso avviene in nome della libertà di opinione e di espressione, e con la forza degli algoritmi che governano i social, per cui poi l’attacco allo straccio di stampa che resta sembra ancora quasi onesto: ti bastono perché non mi piace ciò che dici, all’antica. 

Intanto il re non riscrive il passato (che importa) ma i nomi sul mappamondo. E noi? Vorrei rispondere con le parole di Raji Sourani, Raji Sourani, fondatore e direttore del Centro per i diritti umani a Gaza: «Mi sarei aspettato che l’Europa ci chiedesse di rinunciare alle armi. Macché. Ci chiedeva di rinunciare al diritto».

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Attualità

IL GRANDE INGANNO.

di Valentina Pisanty

Tra la fine degli anni novanta e i decenni successivi, però, alcuni policy-makers intravedono con sempre maggiore chiarezza il potenziale strategico della parola antisemita.

Divenuto sinonimo del Male Assoluto, il termine si presta a una varietà di usi funzionali alla politica di chi se ne sente custode e titolare.

Tra questi, come è evidente, i partiti della destra israeliana quasi ininterrottamente al potere dal 1996. Con l’appoggio di istituzioni americane ed europee, i governi israeliani di stampo ultranazionalista si autoproclamano portavoce ufficiali delle vittime dell’Olocausto, discendenti compresi.

Non importa che, degli attuali quindici milioni di ebrei nel mondo, solo sette abbiano scelto di vivere in Israele. Essendo Israele l’unico paese a maggioranza ebraica, la supervisione della Memoria spetta alla sua leadership politica, sostengono.

Nominatisi motu proprio Guardiani della Memoria, rivendicano un monopolio su quell’area del linguaggio che si riferisce ai crimini storici subiti dagli ebrei d’Europa: genocidio, ghetto, lager, pogrom, razzismo, antisemitismo e altre parole affini. Loro soltanto possono autorizzarne l’uso.

Il copyright gli appartiene di diritto. La premessa da cui partono è che gli antisemiti sono coloro con i quali per definizione non si parla: tuttalpiù si può parlare di loro per decidere come combatterli meglio. È questo il senso dello slogan “Mai Più” attorno al quale le democrazie liberali si sono strette dopo il crollo del Muro di Berlino per ridefinire il proprio progetto identitario comune.

Ne deriva che chiunque meriti l’epiteto antisemita è da considerarsi come un corpo estraneo alla democrazia e perde il diritto di intervenire nei dibattiti pubblici. Con i razzisti non si discute. Fin qui nulla di strano, al netto dei dubbi che si possono nutrire sull’idea che il motto “Mai Più” costituisca una base sufficiente su cui costruire il futuro delle democrazie occidentali.

Il passo successivo, però, molto più temerario, è quello di includere nella categoria degli antisemiti non solo coloro che esibiscono un pregiudizio antiebraico, ma anche gli attuali nemici dello Stato di Israele.

E, tra questi, non solo quei nemici che effettivamente attingono all’archivio dell’antisemitismo storico per screditare le scelte politiche di Israele con argomenti razzisti (ce ne sono), ma anche coloro che, pur senza far ricorso ai luoghi comuni della propaganda antisemita, manifestano un’ostilità radicale nei confronti di Israele, inteso come Stato degli ebrei, o addirittura hanno uno storico contenzioso con Israele per la terra dal fiume al mare.

Il passaggio è tutt’altro che scontato, a cominciare dalla scelta di chiamare Israele lo Stato degli ebrei.

L’espressione è di per sé discriminatoria nei confronti del 25% di cittadini israeliani non ebrei, e difatti la legge che nel 2018 ha definito ufficialmente Israele “la casa nazionale del popolo ebraico” è passata al parlamento israeliano con una maggioranza molto risicata, segno che anche all’interno del paese c’erano voci dissenzienti.

Ma l’identificazione tra ebraismo e Israele è uno dei punti programmatici dei partiti ultranazionalisti al potere, i quali, nel corso degli anni duemila, hanno mobilitato grandi risorse e sforzi diplomatici per ridisegnare i confini tra significati linguistici, sfumando a proprio vantaggio le differenze tra ebraismo e sionismo, come se si trattasse della stessa cosa. (Sorvoliamo ora sul fatto che anche il termine sionismo raccoglie sensi e sfumature diverse che andrebbero specificate di volta in volta: ne riparleremo).

Il che comporta ovviamente anche una attenuazione del distinguo tra antisemitismo e antisionismo, come se il secondo termine fosse sempre e comunque un travestimento eufemistico del primo.

E visto che nessuno protesta, anche se fino a quel momento i due termini hanno coperto aree semantiche diverse, negli anni duemila si fa largo il progetto di mettere per iscritto l’equazione antisionismo = antisemitismo, reclamando che la comunità internazionale sottoscriva le condizioni d’uso di una nuova definizione della parola antisemita.

Una definizione che spinga ai margini il vecchio nucleo semantico del termine, ancora radicato nella memoria dei grandi traumi del Novecento, per sostituirlo con uno più allineato agli obiettivi delle destre israeliane.

Si definisca antisemitismo non più solo, e non tanto, l’“ostilità verso gli ebrei in quanto ebrei”, definizione di cui è più difficile rivendicare un’esclusiva, bensì l’“ostilità verso Israele in quanto Stato degli ebrei”.

Si otterrà un immediato tornaconto in termini di immagine e di legittimazione politica. L’ulteriore spallata consiste nel richiedere che la nuova definizione venga incorporata nei testi delle leggi, dei regolamenti universitari, dei codici di condotta dei partiti, e di tutti i sistemi normativi che disciplinano il dibattito pubblico su temi altamente controversi come il conflitto in Medio Oriente.

In nome dei valori supremi delle democrazie occidentali si potranno perorare meglio le ragioni di Israele. A chi si opporrà troppo drasticamente alle sue scelte politiche mancheranno le parole per dirlo.

La realizzazione del progetto è andata di pari passo con la scalata al potere delle destre mondiali negli ultimi vent’anni. La mia ipotesi è che i due fenomeni siano strettamente interrelati. Non solo nel senso che la ridefinizione della parola antisemita è compatibile con le ideologie dei partiti ultranazionalisti in ascesa, ma anche che tra quei partiti e lo Stato di Israele è in corso da tempo un macroscopico scambio di favori.

I termini dell’accordo sono semplici: supporto incondizionato alle politiche delle destre israeliane contro l’immunità da ogni accusa di razzismo e antisemitismo.

Una visita ufficiale a Yad Vashem (il Memoriale della Shoah a Gerusalemme), specie se accompagnata da espressioni di dura condanna nei confronti degli attuali nemici dello Stato ebraico, è sufficiente per ripulire l’immagine pubblica di qualsiasi leader xenofobo, e quasi sempre erede di formazioni politiche quelle sì inequivocabilmente antisemite, che ambisca ad accedere a ruoli di responsabilità politica.

Il do ut des si è rivelato molto efficace per entrambe le parti, anche perché per smascherarne la strategia occorre avventurarsi nel campo minato della Memoria dell’Olocausto, e della definizione a essa collegata di cosa sia e cosa non sia l’antisemitismo.

Data la delicatezza dell’argomento, molti preferiscono girare al largo, delegando alle istituzioni preposte il compito di tracciare il perimetro del discorso tollerabile, e applicando scrupolosamente qualsiasi precetto venga calato dall’alto. Trump, Orbán, Bolsonaro, Kaczynski, Salvini, Musk, Duterte, che nel 2016 si paragonò a Hitler ma ora si dichiara amico di Israele… L’elenco degli autocrati – o aspiranti tali – che si sono sottoposti al lavacro lustrale include alcuni tra i più famosi spacciatori di retorica antisemita del XXI secolo.

Tutti hanno attivamente costruito e diffuso il mito di Soros, versione aggiornata dei Protocolli dei Savi di Sion, il falso documento creato nei primi anni del XX secolo dalla polizia segreta zarista con l’intento di diffondere odio verso gli ebrei nell’Impero russo.

Alcuni hanno raccontato la propria storia nazionale in chiave revisionista, introducendo nuove fattispecie di reato contro chi osi ricordare – per fare un esempio – il collaborazionismo polacco durante gli anni dell’occupazione nazista.

Altri hanno optato per la tecnica infantile del tu quoque, che in Italia si realizza nella formula “E allora le foibe?”.

Eppure – a dispetto delle rimostranze di molti ricercatori di Yad Vashem, sempre più a disagio e incapaci di porre argine all’uso strumentale della memoria imposto con la massima sfrontatezza dai vertici del Likud, il partito di destra al potere dal 2009 (a parte una breve parentesi nel 2021-22) – i governi israeliani degli ultimi anni non hanno esitato a minimizzare la gravità di simili esternazioni, derubricate a scivoloni retorici.

Tanto più, dicono i filoisraeliani più accaniti, che l’antisemitismo oramai non si esprime attraverso la classica retorica dell’archivio antiebraico. È vero, sostengono, che si trovano ancora schegge dei Protocolli nei testi dei negazionisti, nelle farneticazioni di Q-Anon, un po’ ovunque su X e nelle innumerevoli fantasie cospirazioniste di cui trabocca la rete.

Ma non è di queste intemperanze che ci si deve preoccupare. (Valentina Pisanty, “Antisemita: Una parola in ostaggio”, Bompiani).

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Quatto lavoratori si aggiungono al terribile elenco dei morti di lavoro.

di Piero Santonastaso | Facebook.com/Mortidilavoro

Raffaele Sicari con la forza dei suoi 26 anni ha lottato per 3 giorni contro la morte, nella terapia intensiva dell’ospedale Umberto I di Siracusa, ma venerdì 14 febbraio ha dovuto arrendersi alla gravità delle lesioni riportate.

Nativo di Vibo Valentia, si era trasferito per lavoro a Siracusa per una ditta che si occupa di illuminazione stradale. Martedì 11 febbraio era sul cestello in cima al sollevatore telescopico di un furgone, impegnato con un punto luce sospeso, quando un furgone in transito ha urtato il braccio, provocando la caduta di Raffaele da un’altezza di circa 3 metri.

Il giovane ha riportato lesioni alla testa ed è stato operato per ridurre una massiccia emorragia cerebrale, ma le speranze si sono via via affievolite, fino al decesso. Un’indagine è stata aperta sia sulla dinamica del fatto che sulle misure di sicurezza in opera al momento della caduta.

Francesco Pio Pannella, 25enne di Paupisi (Benevento), operaio nelle officine meccaniche di Trenitalia del capoluogo sannita, è morto all’alba di venerdì 14 febbraio mentre si recava al lavoro.

Con la sua automobile è uscito di strada finendo su un terrapieno e poi contro un palo di cemento, morendo sul colpo. Secondo Repubblica, l’incidente è stato determinato da una manovra improvvisa, dettata dall’aver imboccato contromano una rotatoria in presenza di una pattuglia dei carabinieri.

Antonio Sportella, artigiano 60enne di Lizzanello (Lecce), è morto venerdì 14 febbraio in un incidente stradale a Leverano, sempre nel Salento. Sportella ha tamponato con il suo furgoncino un camion parcheggiato a bordo strada ed è morto all’istante.

Un operaio edile di 53 anni, albanese da anni in Italia, è morto giovedì 13 febbraio sui ponteggi di un cantiere a Martinsicuro (Teramo).

Il lavoratore si è accasciato all’improvviso davanti ai compagni e nulla hanno potuto i soccorritori per salvargli la vita. La magistratura pare comunque orientata a disporre l’autopsia.

#raffaelesicari#francescopiopannella#antoniosportella#mortidilavoro

Febbraio 2025: 39 morti (sul lavoro 36; in itinere 3; media giorno 2,8)

Anno 2025: 126 morti (sul lavoro 108; in itinere 18; media giorno 2,8)

21 Lombardia (sul lavoro 16, in itinere 5)

17 Veneto (14 – 3)

12 Puglia (12 – 0)

10 Piemonte (10 – 0); Campania (9 – 1)

8 Toscana (7 – 1)

7 Abruzzo (7 – 0); Emilia Romagna (5 – 2)

6 Calabria (6 – 0)

5 Lazio (4 – 1)

4 Basilicata, Sicilia (4 – 0)

3 Umbria (3 – 0); Liguria, Marche (2 – 1)

2 Trentino (2 – 0); Sardegna (1 – 1)

1 Alto Adige (1 – 0); Molise (0 – 1)

Gennaio 2025: 87 morti (sul lavoro 72; in itinere 15; media giorno 2,8)

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Il signore sì che se ne intende.

I giudici della Consulta hanno deciso che è giusto tagliare l’adeguamento delle pensioni al costo della vita. Sono esperti: guadagnano 1000 euro al giorno.

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Chissà perché i nipotini della Repubblica di Salò alla fine sono riusciti ad abitare a Palazzo Chigi?

di Federico Fubini

Giulio Andreotti, giovane sottosegretario alla presidenza del Consiglio, sta già intrattenendo buoni rapporti anche con il Movimento sociale italiano (Msi) fondato dai reduci di Salò.

Nell’agosto ’47 Andreotti presenta uno schema di decreto destinato alla piena riabilitazione delle «vittime» del processo di epurazione.

Solo il ministro degli Esteri Carlo Sforza, con il suo passato di antifascista e di capo dell’Alto Commissariato, non ci sta: «Coloro che prestarono servizio alle dipendenze della Repubblica di Salò vanno puniti» ricorda. «Essi tradirono l’idea dello Stato.»

Ma «nella generale euforia» scrive lo storico tedesco Woller «Sforza non trovò nessuno disposto ad ascoltarlo».

Il decreto Andreotti diventa legge il 7 febbraio 1948. […]

Ma era la visione di Einaudi (primo Presidente della Repubblica, ndr), quella di Andreotti e di molti altri che ormai aveva vinto: il modo migliore per superare il fascismo era, semplicemente, smettere di pensarci.

(Federico Fubini “L’oro e la patria”, Mondadori.)

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Depotenziano la sicurezza, annullano i diritti: ecco perché in Italia si muore di lavoro.

di Piero Santonastaso | Facebook.com/Mortidilavoro

Due morti di lavoro in Piemonte, mercoledì 12 febbraio. La regione, quarta nella classifica italiana della vergogna, a oggi ha raddoppiato le vittime rispetto allo stesso periodo del 2024.

Allora erano state 5, quest’anno sono già 10. Peggio, se possibile, ha fatto la Puglia (terza), passata da 5 a 11 morti (+120%) mentre il Veneto (secondo) si limita a un +54%, contando 17 vittime rispetto alle 11 del 2024. La Lombardia, che come sempre comanda la graduatoria, registra un impercettibile calo, scendendo da 22 a 21 morti (-0,5%).

Manuel Vargiu, 45enne di Ponteranica (Bergamo), è stato ucciso mercoledì 12 febbraio da un bullone schizzato via da un nuovo biotrituratore messo in opera ai Vivai Cattaneo di Valbrembo (Bergamo).

Vargiu, dipendente dell’azienda da più di dieci anni, è stato colpito alla testa ed è morto in pochi istanti. Lascia la moglie e un figlio 17enne. Un’inchiesta appurerà le cause della tragedia.

Elio Onorato Ghione, 56enne di Moretta (Cuneo), è morto mercoledì 12 febbraio alla Ferviva Rottami di Bernezzo, sempre nel Cuneese.

Ghione stava manovrando il polipo di cui era dotato un camion da scaricare, quando è caduto a terra all’improvviso, riportando lesioni fatali. Aperta un’inchiesta per appurare le cause dell’incidente, se la caduta sia cioè dovuta a un malfunzionamento o a un malore.

Giacomo Maimonte, 55enne di Arona (Novara), mercoledì 12 febbraio è stato vittima del ribaltamento del miniescavatore sul quale stava operando nel cantiere per la ristrutturazione di una villa a Massino Visconti (Novara).

Maimonte è rimasto schiacciato tra l’escavatore e un muro di sostegno, morendo sul colpo.

#manuelvargiu#elioonoratoghione#giacomomaimonte#mortidilavoro

Febbraio 2025: 35 morti (sul lavoro 33; in itinere 2; media giorno 2,9)

Anno 2025: 122 morti (sul lavoro 105; in itinere 17; media giorno 2,8)

21 Lombardia (sul lavoro 16, in itinere 5)

17 Veneto (14 – 3)

11 Puglia (11 – 0)

10 Piemonte (10 – 0)

9 Campania (9 – 0)

8 Toscana (7 – 1)

7 Emilia Romagna (5 – 2)

6 Abruzzo, Calabria (6 – 0)

5 Lazio (4 – 1)

4 Basilicata (4 – 0)

3 Umbria, Sicilia (3 – 0); Liguria, Marche (2 – 1)

2 Trentino (2 – 0); Sardegna (1 – 1)

1 Alto Adige (1 – 0); Molise (0 – 1)

Gennaio 2025: 87 morti (sul lavoro 72; in itinere 15; media giorno 2,8)

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La nuova segretaria della vecchia CISL si dice contraria al salario minimo garantito. Una volta si chiamavano gialli, oggi sono sindacati del nero.

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Basta lavoro usa&getta nella Pubblica amministrazione.

È lo slogan che campeggia su foto shock con cui un noto creativo ha allestito il presidio davanti alla Regione Lazio, organizzato dai Cobas in piazza Oderisi da Pordenone.

“Quando mi hanno raccontato la storia dei 48dipendenti, ho pensato che queste persone non solo hanno perso il lavoro e quindi lo stipendio, ma addirittura hanno perso il datore di lavoro. Incredibile. Presi, usati, e poi buttati via come vuoti a perdere”, dice Marco Ferri, noto creativo che con i suoi collaboratori ha ideato l’allestimento.  

“Da decenni le A.S.L. e A.O. della Regione Lazio, – dice Domenico Teramo dei Cobas – per poter sopperire alla strutturale carenza di organico nel settore amministrativo, sfruttano lavoratrici e lavoratori precari reclutandoli (illecitamente) tramite appalti di servizi e/o di lavoro somministrato”.In effetti, dopo decenni di sfruttamento la Regione Lazio, anziché avviare un virtuoso percorso di stabilizzazione del personale precario operante presso le strutture sanitarie pubbliche, ha deliberato il “licenziamento” di 48 lavoratrici e lavoratori, addetti alle attività amministrative della ASL Roma 1, con decorrenza 17 gennaio u.s.

L’allestimento del presidio rimanda all’idea di un’istallazione artistica, grazie alle foto di Rod Kirkpatrick, acquisiste attraverso la piattaforma Alamy. “Immaginare lavoratori licenziati come corpi gettati via è un concetto forte, scandaloso, addirittura provocatorio, – dice Marco Ferri – tuttavia se penso allo sgomento di chi improvvisamente si trova senza reddito, cioè senza futuro, temo che ancora una volta si possa dire che “la realtà supera la creatività”. 

L’allestimento è visibile dal 12 febbraio in piazza Oderisi da Pordenone, di fronte alla sede della Regione Lazio, nel quartiere Garbatella, dove i lavoratori precari hanno annunciato l’avvio dalla mattina del 12/02 del presidio permanente. Alle ore 16 è in programma un’assemblea con le diverse realtà del lavoro precario della P.A.

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Roma incazzata.

di Federico Fubini

Imputati dall’Alto Commissariato per la punizione dei delitti e degli illeciti del fascismo erano stati il famigerato ex questore di Roma Pietro Caruso e il suo assistente, Roberto Occhetto.

Erano entrambi accusati – a ragione – di aver aiutato i tedeschi nei rastrellamenti, di aver collaborato con la Gestapo, con le SS, con i reparti più efferati della polizia di Salò (la Banda Koch) ma soprattutto, fra i molti, terribili reati, di aver compilato assieme ai tedeschi la lista dei 335 perseguitati e prigionieri politici che furono poi trucidati alle Fosse Ardeatine.

Il processo a Caruso e Occhetto avrebbe dovuto aprirsi il 18 settembre 1944 a Palazzo di Giustizia, in piazza Cavour, ma quel giorno fin dalle prime ore del mattino molta gente aveva iniziato ad assembrarsi davanti agli ingressi.

Reclamavano di entrare; urlavano «morte a Caruso», «dateci Caruso». Volevano vedere l’accusato alla sbarra, molti volevano semplicemente farsi giustizia da sé. Presto i più agitati forzarono lo sbarramento al portone, centinaia di persone si precipitarono verso l’aula magna al primo piano cercando l’imputato ovunque.

Data la situazione, la polizia tenne Caruso e Occhetto nascosti altrove e il giudice non poté che aggiornare il dibattimento.

In quel momento, nella calca, una donna riconobbe Donato Carretta, l’ex direttore di Regina Coeli, che era stato convocato come testimone dell’accusa. Improvvisamente la furia della folla si riversò contro di lui. Restano ancora in rete poche decine di secondi di riprese di quei momenti.

Carretta viene preso per i capelli, strattonato con violenza, poi pestato in volto finché alcuni poliziotti non riescono miracolosamente a portarlo al riparo in una stanza attigua all’aula magna.

Carretta era stato iscritto al Partito fascista fino all’anno prima e doveva per forza essere stato un funzionario di fiducia del regime, altrimenti non sarebbe mai diventato direttore del più grande carcere di Roma. Ma non si era macchiato di abusi e, in segreto, aveva aiutato vari oppositori a fuggire e a salvarsi la vita. Ne aveva persino ospitati in casa propria. La folla, nella sua sete di vendetta, stava tragicamente sbagliando bersaglio.

L’errore di Carretta quel giorno fu di uscire dal Palazzo di Giustizia troppo presto, dopo i disordini: venne di nuovo riconosciuto in piazza Cavour e pestato brutalmente, trascinato ovunque, i vestiti ormai strappati di dosso. I carabinieri cercarono di nuovo di sottrarlo al linciaggio, portandolo via su una jeep degli americani. Ma l’auto fu bloccata da una folla ormai in uno stato febbrile; Carretta venne di nuovo ghermito, portato via e massacrato per strada.

Si cercò di buttarlo sotto un tram ma – quando il conduttore tirò il freno e si rifiutò di passargli sopra – fu trascinato fino al ponte Umberto e gettato giù nel Tevere, ormai privo di sensi.

Il malcapitato riemerse, riprendendosi al contatto con l’acqua fresca. Cercò di aggrapparsi a un palo per non farsi trascinare dalla corrente, ma di nuovo venne respinto con la forza in mezzo al fiume, raggiunto da una barca e finito da due uomini a colpi di remi lì, in acqua.

Il suo cadavere, nudo, sgocciolante di sangue, venne appeso per i piedi alle inferriate di Regina Coeli; quel giorno sua moglie sfuggì al massacro solo per un soffio. I romani avevano sofferto l’oppressione, i bombardamenti, le privazioni e la spietata occupazione nazista. Avevano visto amici e parenti uccisi o portati via. Molti di loro avevano invocato il duce sotto il balcone di piazza Venezia, pochi anni prima.

Ma ora volevano una resa dei conti esemplare. (Federico Fubini, “L’oro e la patria”, Mondadori.)

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28 morti di lavoro nei primi dieci giorni di febbraio.

di Piero Santonastaso | Facebook.com/Mortidilavoro

Carlo Alberto Mombrini, 57enne di Caravaggio (Bergamo), titolare dell’omonima ditta che produce pavimentazioni speciali, è morto alle 6,30 di lunedì 10 febbraio mentre raggiungeva un cantiere.

Nei pressi di Calcio (Bergamo) si era fermato in una piazzola di sosta della A35, la Brebemi, quando è stato travolto da un camion fuori controllo. Vettura e guidatore sono stati trascinati per decine di metri. Mombrini è morto sul colpo.

A Guardiagrele (Chieti), lunedì 10 febbraio si sono svolti i funerali dell’84enne Nicola D’Angelo, morto sabato 8 nell’ospedale di Pescara, dove era ricoverato dal 31 gennaio.

Quel giorno stava caricando letame sulla benna di un trattore quando il mezzo – che probabilmente era in folle – si è mosso in retromarcia. L’anziano agricoltore è riuscito a salirci su per bloccarlo, ma proprio in quegli istanti il trattore ha colpito un ulivo e D’Angelo è stato scaraventato a terra dalla violenza dell’urto.

Ha lottato più di una settimana per la vita, ma alla fine il suo cuore ha ceduto.

Un 34enne del Bangladesh, regolare in Italia da 3 anni dopo la traversata della Libia, moglie e un figlio in patria, è morto lunedì 10 febbraio a Porto Marghera (Venezia) per cause ancora da stabilire.

Il lavoratore è stato trovato senza vita all’interno di uno yacht affidato alla società di rimessaggio di cui era dipendente.

#carlomombrini#nicoladangelo#mortidilavoro

Febbraio 2025: 28 morti (sul lavoro 26; in itinere 2; media giorno 2,8)

Anno 2025: 115 morti (sul lavoro 98; in itinere 17; media giorno 2,8)

19 Lombardia (sul lavoro 14, in itinere 5)

17 Veneto (14 – 3)

10 Puglia (10 – 0)

9 Campania (9 – 0)

8 Piemonte (8 – 0)

7 Emilia Romagna (5 – 2); Toscana (6 – 1)

6 Abruzzo, Calabria (6 – 0)

4 Lazio (3 – 1); Basilicata (4 – 0)

3 Umbria, Sicilia (3 – 0); Liguria, Marche (2 – 1)

2 Trentino (2 – 0); Sardegna (1 – 1)

1 Alto Adige (1 – 0); Molise (0 – 1)

Gennaio 2025: 87 morti (sul lavoro 72; in itinere 15; media giorno 2,8)

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Attualità

Mo’ so dazi vostri.

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